LA
MIA MADONNA
Edvard
Munch
Lui
era seduto, le braccia intorno alla vita di lei. La sua testa
era vicinissima a lui. Che strana sensazione avvertire così vicino
i suoi occhi, la sua bocca, il suo seno. Poteva distinguere
ogni ciglia dell’occhio. Scorgeva le linee ombreggianti
all’interno dell’occhio. Poteva guardare attraverso
i capelli e le pupille erano ingrandite nella semioscurità.
Le toccava le labbra con le dita, il tepore della sua carne lo
commuoveva e le labbra si allargarono fino ad un sorriso. Sentiva
i grandi occhi grigio blu appoggiarsi sui suoi. Guardò la
sua spilla, risplendeva di una luce rossa, la sentiva con le
sue dita tremanti. Poggiò la testa sul suo seno, percepiva
le pulsazioni del suo cuore e quelle labbra tremanti sul collo.
E questo gli dava un fremito per tutto il corpo, un piacere sensuale
tremante – e si spingeva convulsamente contro di lei.
Un
buio profondo, dall’intenso color viola stava scendendo
su tutta la terra: sedevo sotto un albero, le foglie cominciavano
a diventare gialle. Lei era accanto a me: aveva chinato la
sua testa sulla mia, i capelli rosso sangue penetravano tra
i miei, si attorcigliavano intorno a me come un serpente sanguinolento.
Si era allontanata – non so perché – e sempre
più si allontanava verso il mare. Quando improvvisamente
avvertì la presenza di una rete invisibile, che dai suoi
capelli mi avvolgeva completamente. Poi lei scomparve del tutto
nell’acqua e allora ebbi la sensazione di un dolore acuto
perché la rete non poteva essere più sciolta.
Ti
desidero quando il tuo sguardo è stanco e affaticato,
quando hai sulle labbra quella smorfia di dolore a causa della
tua sofferenza, quando il tuo volto è pallido, quando
mi sfiora il pensiero che anche tu pensi a me e io ti desidero
non più di quanto esista la certezza del male. L’umanità è una
malattia della terra. Il duro scorpione della terra ha emesso
gocce e fango, che sono diventati uomini e animali.
Si può vivere per un amore – ma si può vivere
anche per un odio. Tante volte quando eravamo insieme e tu posavi
dolente la tua testa sulla mia, mi sono chiesto se realmente
ti desideravo: ti desidero quando ti vedo per la strada alta
elegante e pallida, soprattutto quando di notte il tuo volto
si appoggia su di me con quell’espressione dolorosa sulla
bocca. Ti desideravo in quelle notti in cui ti allontanavi sorridendo:
come una baccante in mezzo ad un gruppo di ammiratori. Ma soprattutto
desideravo te, il tuo volto, quando quel giorno sei andata dall’altro.
Entra,
guarda quante nuvole – disse. Entrai, mi diressi verso
di lei: il cielo era rosso sangue. Sembra quasi un drago d’oro – disse.
La presi per la vita, la sua testa riposava sulla mia.
Rimanemmo così per lungo tempo, una corrente sanguigna
straordinariamente calda mi attraversò il corpo: la spinse
lentamente verso di me. Ma lei si scostò: indossava una
strana veletta che le oscurava gli occhi. Rimanemmo in silenzio.
Poi siamo usciti e ci siamo seduti l’uno accanto all’altro.
percepii il suo calore e il suo corpo appoggiato al mio.
Ci baciamo a lungo. Nel grande atelier solo un grande silenzio.
Mi appoggiai con la guancia su di lei e le scompigliai i capelli.
Il volto s’infiammò. Le dissi di aver fiducia in
me, ma lei non rispose. sentii lacrime brucianti sulla mia mano:
allora la guardai, i suoi occhi erano luccicanti e pieni di lacrime.
Che cos’hai – le chiesi. Cercai di afferrarla come
un bambino, lei si avvicinò a me in modo spasmodico.
Mia piccola bambina, so cosa c’è – e le accarezzai
i capelli neri. Temo che tu sia malata – la tua passione.
Non rispose, rimase in piedi con i capelli in disordine, gli
occhi luccicavano attraverso le lacrime.
Ti odio – disse.
Come, mi odi – non ti ho fatto nulla di male, baciami,
dì qualcosa di bello.
Mise in ordine i suoi capelli senza dire nulla.
Dammi la mano, e me la diede.
Mi guardò a lungo.
Possiamo dire di essere felici come prima. A lungo ci tenemmo
per mano.
Non
ci sono radici e l’uomo è un albero. La terra
suda fango e questo si trasforma in piante, animali e uomini.
L’uomo è un albero che mantiene salde le sue radici
con la terra. E la terra è un qualcosa tra un albero
con rami bellissimi e le radici. Un albero percepisce chiaramente
il punto in cui cresce un ramo e questo è un presentimento:
questo è il destino.
Ora ci sono due alberi. Due esseri umani sono come due sfere
che si incontrano nello spazio.
Sono venuto al mondo per essere malato: la neve ha gelato le
mie radici, il vento ha bloccato la crescita del tronco, il sole
bruciante della vita non risplende sui germogli verdi e così l’albero
della mia vita è stato spezzato sul nascere: sentivo che
tutto era stato fatto troppo presto. E così non rimase
altro che sperare di poter salire la piccola scala per poter
accedere finalmente alle vicinanze del fuoco luminoso della vita.
Ma il mio posto nel mondo era lontano dal sole, mentre lei ha
avuto la forza di chiedere al sole foglie e fiori sui rami. Ma
così come era arrivata è andata via: le sue radici
erano piantate nella terra concimata, il suo tronco era illuminato
dal sole in modo da far crescere i rami; le foglie e i rami erano
presenti fin dall’origine e lei non era mai stata lontana
dal sole. Aveva luce sufficiente sia per trasformarsi che per
soffrire. E così il suo albero grande mi coprì di
nuvole allontanando per sempre dal mio albero la possibilità di
essere riscaldato, anzi, ha portato via con sé anche il
calore...
L’amore è qualcosa
che assomiglia alla melodia che conclude un brano musicale:
la melodia giunge da lontano, lentamente, ma alla fine arriva
e soltanto allora fa sentire la sua forza originaria: e poi
di nuovo lentamente scompare.
Puoi avvertire la stessa sensazione sulla spiaggia quando scompare
il giorno infuocato. Potrai vedere un’onda lunga, possente
muoversi stancamente verso di te; non sai da dove sia partita
né quanto tempo abbia impiegato a formarsi, sai solo che
alla fine si romperà contro i tuoi piedi e poi ne arriverà un’altra
e poi un’altra ancora e poi un’altra...
Stai pensando a qualcosa di dolcemente triste, ma tu rimani solo
con la tua solitudine.
(Brano
tratto da Il Grido – Scritti sull’arte e sull’amore,
Via del vento edizioni, Pistoia, 2002, traduzione a cura di
Tiziana Musi)
Edvard
Munch, nasce a Løten (Oslo) nel
1863. La sua adolescenza è segnata da numerosi lutti:
la morte della madre nel 1868 e quella della sorella Sophie
nel 1877 segnano in modo indelebile la sua biografia. Al termine
degli studi, e incoraggiato a intraprendere la vita artistica
dalla zia materna Karen, che alla morte della madre aveva assunto
il governo della casa, nel 1885 decide di recarsi a Parigi
dove frequenta l’Atelier di Bonnat. I suoi esordi pittorici
risentono del clima simbolista francese: in particolare la
ricerca di Gauguin e dei Nabis saranno determinanti sul piano
formale nell’elaborazione di quei temi che diventeranno
icone dell’alienazione dell’uomo moderno e del
disagio psichico. Nel 1892 partecipa alla mostra della Verein
Berliner Künstler, successivamente chiamata Secessione
Berlinese, dove Munch espone un ciclo di dipinti intitolato
in seguito dall’artista stesso Il fregio della vita
e della morte ottenendo un immediato successo ma suscitando anche
scandalo negli ambienti artistici più conservatori.
Appartengono a questo periodo le sue opere più famose:
Il Grido, Ansietà, Madonna, Vampiro, Tre donne. In questi
anni viaggia molto in Europa. Nel 1898 incontra Tulla Larsen,
fondamentale per il suo percorso biografico. Ma la fatica del
vivere si manifesta in una sempre maggiore irrequietezza che
lo porta nel 1900 a ricoverarsi in un sanatorio in Svizzera.
Prosegue incessante la sua attività pittorica. Nel 1908
Munch soffre di un crollo nervoso più grave dei precedenti
che lo costringe ad una permanenza di circa nove mesi in una
clinica per malattie nervose a Copenhagen, dove scriverà il
poema Alfa e Omega. Trascorre il resto della sua vita in Norvegia
ottenendo sempre maggiori riconoscimenti sul piano internazionale.
Muore ad Oslo nel 1944.
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