È ESISTITO
UNO SPIRITO DADA?
Raoul Hausmann
La
parola “spirito” possiede un doppio significato:
apparizione sovraumana, spettro, e forma di espressione non-materialistica.
Dada era forse uno spettro? Per i più era uno spauracchio.
Dada era forse una forma superiore di espressione non-materialistica – anche
se lo fosse stata, ben pochi se ne erano accorti; i cervelli
erano troppo obbligati sul binario unico post-classico o falso-romantico.
Il perché di tutto ciò sarebbe un problema secondario
e irrilevante – ma poiché oggi a New York, Roma
e Berlino esistono neo-dadaisti che non possiedono uno spirito
e che sono soltanto spettri di “allora”, la questione
deve invece essere chiarita.
Molti
si autodefinirono Dada e in verità non lo erano. Hugo
Ball, il fondatore del “Cabaret Voltaire”, un uomo
pieno di spirito, non era un dadaista. Se Walter Serner non
avesse calcato un po’ troppo la mano con una sua specie
di psicologia criminale, sarebbe stato un vero dadaista. Marcel
Janco non era dadaista. Hans Richter non era dadaista. Gli
unici dadaisti zurighesi erano Hans Arp e Tristan Tzara. Un
caso intermedio come Huelsenbeck è stato di tanto in
tanto dada, ma per il resto troppo sciatto, un semplice spaccone.
Quanti fantasmi di uno spirito sconosciuto vagavano nella Spiegelgasse.
A Colonia Max Ernst era dada, ma non Baargeld.
A Berlino la coppia Grosz-Heartfield, logorata dall’invidia
e dall’odio, era un megafono moralista ma non dada, né tanto
meno il disgraziato Mehring. L’ober-dada Baader era più auto-dada
che dada mondiale e io stesso non ero esclusivamente dada.
Quelli di Parigi non sono mai stati dada, ma fin dall’inizio
solo buffoni nichilisti o surrealisti.
E allora? Beh, dada era fin dai suoi esordi il fantasma di se
stesso.
Tuttavia per un certo periodo c’è stato uno spirito
dada, ed è di quello che desidero parlare.
Per
evitare equivoci: nessun dadaista sapeva realmente cosa stava
facendo e perché. Gli uni erano colti da tendenze distruttrici,
gli altri volevano essere “moderni”. Non voglio
parlare in questa sede di Janco o Ernst, ma solo degli scrittori.
Quando posi al mio manifesto “Dada è più che
Dada” il motto “Il dadaista odia la stupidità e
ama la follia”, si trattava di una continuazione logica
del romanticismo tedesco, che io allora conoscevo appena - ad
eccezione di E. T. A. Hoffmann e Hölderlin –, ma proprio
per questo un tale inconscio legame di successione possedeva
una logicità ancora più stringente. Si vedrà di
seguito come lo spirito dada che si infiammava qua e là fosse
molto lontano dal romanticismo.
Per il Club Dada a Berlino io e il mio amico Franz Jung dirigevamo
questo spirito da “dietro le quinte”, ma esso non
era né esistenzialista, né programmatico, né individal-anarchico – si
trattava semplicemente della furibonda consapevolezza che tutti
gli ideali, per quanto siano impastati alla maniera “materialistica”,
valgono non più dello “spirito puro” che allora
veniva tanto ostentato. Forse quel duro spirito di un secondo
era realizzabile semplicemente per due o tre brevissimi batter
d’occhio (ma – oho! – non un batter d’occhio
degli àuguri, - no! - piuttosto di alcune persone profondamente
colpite dalla vivida sporcizia dell’esistenza, le quali
cercano di salvaguardare se stesse e una porzione d’ambiente
circostante). Una presunzione? No, lo si vedrà tra poco.
Dada
era vedere: come e perché l’uomo vive, e c’era
arte non mimesis, e l’eternità solo un fumo stantio.
Certo, gli artisti avevano soprattutto recitato delle parti con
se stessi, in belle pose e bei costumi, la società si
era rimasticata leggi eterne che mutavano incessantemente durante
i millenni - di tutto ciò si fece piazza pulita, in un
colpo solo. L’uomo sembrava essere fatto solo per “raggiungere
qualcosa”, ma siccome non sapeva fare niente di buono,
voleva ottenere potere e sottomissione. Nel manifesto “Dada è più che
dada” si può leggere: “… il fatto che
il dadaismo sia in parte inspiegabile è per noi rinfrescante
come la reale inspiegabilità del mondo - i tromboni spirituali
si chiamino pure Tao, Brahm, Om, Dio, Forza, Spirito, Indifferenza
o in qualsiasi altro modo – sono sempre le stesse guance
che si gonfiano per suonarli…”.
Né Jung né io gonfiavamo le guance, avevamo visto
troppo, troppo lontano e troppo in profondità, era quel
che ci distingueva da chi aveva recepito solamente certi fenomeni
e processi di opportunistica dipendenza dallo scandalo. Se Kierkegaard
scrisse: “Lo scandalo è là dove Dio è assente”,
noi sapevamo che esistevano solo scandali consunti, poiché Dio,
un’invenzione degli esseri umani, da nessuna parte era
presente.
Tuttavia, e appunto per quel motivo, era necessario trovare una
condotta che l’uomo potesse mantenere, senza costume e
senza uniforme, per lo meno nei momenti decisivi. Ma non ci sono
altro che momenti decisivi.
Prima esigenza: bisogna giudicare se stessi in ogni centesimo
di secondo. Non: conosci te stesso – bensì giudica
te stesso. Cosí. Primo punto.
Non farti un’immagine di Dio, bensì renditi conto
di essere un bugiardo da quattro soldi. Perché lasciare
la responsabilità alle istituzioni, se sono responsabile
di me stesso.
Naturalmente bisogna iniziare questo processo dall’infanzia
(e questo era forse il lato “infantile” dello spirito
dada).
Siamo
stati noi i primi a sperimentare che l’uomo non è mai
vincitore – i successi non nascondono altro che un tracollo.
Eravamo gli unici a riconoscere che le flessioni e gli slanci
del singolo, la sua missione (ma non la sua sottomissione!),
la lotta contro ogni vacuità erano più importanti
di tutto ciò che fino a quel momento la filosofia, la
religione e la scienza avevano smerciato come valori esistenziali
per l’uomo. Il vinto è superiore al vincitore,
Enkidu superiore a Gilgamesh. Così fin dal principio.
E il bambino, costretto all’adattamento, alla negazione
del proprio inconscio, è superiore alla famiglia. Che
cosa ne sapete voi delle sue crisi di coscienza che hanno inizio
ben prima del ridicolo Edipo e delle lotte di classe dell’età matura?
Che supplizio già la pura comunicazione con gli altri
per mezzo della lingua. Che ne sapete voi di tutto ciò?
Se osserviamo lo sviluppo del diritto patriarcale nell’antica
Grecia, ci accorgiamo che l’uomo si mette subito all’opera
- con la violenza - nelle vesti di oppressore, sancendo l’inferiorità della
donna e soprattutto del bambino.
Niente è cambiato, neppure nel marxismo: esistono solo
conquiste e ideali maschili sulla terra. Aggressioni fobiche
dominano la società e gli spiriti che aleggiano si chiamano
successo e progresso.
Dada ha dato un taglio a tutto questo. Tutto ciò si poteva
leggere nella “Freie Strasse” [“Strada Libera”]
fondata da Jung, e nei miei articoli su “Erde” [“Terra”].
Non interessa nessuno.
E
tuttavia: Dada era fondato sulle idee antifreudiane di Otto
Gross e sulla sua definizione del conflitto fondamentale del
proprio con l’estraneo.
La terribile parola di Gesù: “Siate come i fanciulli”,
con tutti i suoi profondi orrori, non è mai stata applicata
- eccetto che in alcune posizioni del dada.
Questo spirito era lontano mille miglia dal masochismo dell’avanguardia,
che costruisce la sua gloria con ferri vecchi.
Nel senso reale della parola, e nell’uso esteso di una
condizione esistenziale che non mai stata la sua e che non può esserlo.
Si fanno esposizioni con il “niente” e si impiega
la recitazione cantilenante di poesie sonore secondo il procedimento
di suggestione preso in prestito dal culto vudù.
Fatica sprecata! Ciò che nel Dada era realtà non si comprende in
tal modo.
Da
4000 anni a questa parte la messa a nudo e la concentrazione
dei fallimenti psichici dell’uomo nel campo generico
dell’horror vacui, fino a trasformarli in religioni e
archetipi mitici, ha alimentato la debolezza morale del singolo.
Nessuna psicanalisi può essere in questo caso d’aiuto:
la capacità del singolo di assumersi le proprie responsabilità è ostacolata
da agiografie. Nessun sistema etico ha mai potuto mutare questa
situazione: solo dada possedeva la capacità omnicomprensiva
di provocare l’auto-disintossicazione di ogni singolo
Io, come ho spiegato chiaramente nel “Pamphlet contro
la concezione weimariana della vita” del 1919.
Ma
ai cechi è inutile parlare e, per quanto si gesticoli,
i sordi capiscono solo dove devono sedersi. Lo spirito dada
fece esplodere quel loro sgabello!
(Traduzione
di Luca Acuti)
Raoul
Hausmann (1886-1971) fu tra i piú attivi promotori
del DADA berlinese, caratterizzato rispetto a quelli di Zurigo,
Colonia e Parigi per un maggiore impegno politico. Si distinse
nella direzione di riviste e nella stesura di manifesti programmatici,
partecipò a numerose performances dadaiste, inventò la
poesia fonetica e il fotomontaggio. Dopo la fine dell'avventura
DADA, si dedicò con esiti straordinari alla fotografia.
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