LE POESIE DI NODO SOTTILE III


Nodo sottile è una selezione di poeti d'età compresa tra i 18 e i 35 anni, promossa dall'Archivio Giovani Artisti del Comune di Firenze. L'iniziativa, giunta alla terza edizione (e alla terza antologia uscita quest'anno per i tipi di Crocetti), cerca di proporsi sempre di più - in un quadro nazionale poco attento alla produzione artistica giovanile - come un'importante occasione di visibilità per i giovani poeti.
Le poesie qui riportate sono state selezionate dalla redazione della Rivista Sagarana tra quelle premiate al concorso. La Sagarana ha deciso di inserirle all'interno della sezione Vento Nuovo con lo scopo di aiutare a pubblicizzare la migliore produzione letteraria dei giovani scrittori italiani.

 

INCLUSUM LABOR ILLUSTRAT - Fabrizio Cilento
DU - Greta Grana
SHOP LIFTING - Filippo Landini
FALENE - Paolo Maccari
DE' (VIRTU') - Eleonora Pinzuti
SANTA CRUZ, MON AMOUR! - Alessandro Raveggi
Massimo Sannelli
AMINA - Katia Sebastiani
L'AUTOMOBILE DAL PASSATO FUTURISTA - Alessandro Seri
PORTRAIT #2 (CON BUSTO ORTOPEDICO) - Marco Simonelli
CAVEA DEL NORD - Claudio Suzzi
MAMAGNESE ME MAMA - Elio Talon
IL CORPO RICONOSCIUTO - Italo Testa
STO SVANENDO - Maria Teresa Zuccaro


UOVA IN SBOCCIO - Un commento di Andrea Cortellessa sui poeti di Nodo Sottile III


FABRIZIO CILENTO

INCLUSUM LABOR ILLUSTRAT

Fuori dalla taverna del cantiniere orfano
finalmente fuori dal raggio
della musica cinese sillabica.

Lenzuola distese a mezz'aria
sbandierano il bianco e aprono
un varco nel vecchio giardino
dove nel tempio contemplo rovine pulite
e perfette sul naso d'un aeroplano
rovine sommerse, affogate nei maremoti
di laghi di strade e segnali stradali.

Respiro subacqueo
percorso d'adolescente anoressica
dalla corta veste rossa
qualcuno le accarezza
la magra caviglia essenziale
miracoloso equilibrio di gravità
esasperante lentezza e baci di giada.

E il dolce sereno sorriso si muta
in turbata espressione del viso.




GRETA GRANA

DU.


e torno, di un colore grattato sotto al colore

e qualsiasi cosa succeda
brucia ancora e
brucia ancora la faccia strisciata sulla faccia
qualsiasi cosa succeda
i petardi interrotti
dei tuoi orgasmi
ormai è tardi
ormai li ho dentro


quindici maggio duemila, lunedì
tra le stazioni di casalpusterlengo e piacenza
per placido



FILIPPO LANDINI

SHOP LIFTING

1 euro
1 restauro flambé
1 intero megastore scompare

pedofilia autunno/inverno
latifondi united pecore multicolori

urla auto in fiamme spari
urla spakkamenti spakkadenti

bipedi vetri infranti
quadrupedi attenti spaventati
branchi visi nascosti colpi di tosse

scatti del corpo anfibi alla gola

coda tesa pelo ritto
gas nervino elettroshock

fuggire a sei zampe
bipede + quadrupede
skratch loop in kaos

ricordo da bambino on TV
cucciolo di foca stroncato
mi sentii morire nakue l'odio
capii cos'era forse l'anima

cucciolo di foca sangue
divieto di sosta spacca
vetrina di questa macabra realtà
e l'anima si sveglia

shop lifting klaro ke sì



PAOLO MACCARI

FALENE

Le falene smisero il volo
disprezzando le cieche volute
le abitudini intorno alla luce
strisciarono
infantilmente come bruchi,
verso l'ombra profondamente
intente a disfarsi delle ali.



ELEONORA PINZUTI

DÉ (VIRTÙ)

resistere: fermarsi contro.

m o l e s nelle sinapsi.
sono odore_volto_sole lento
l'accento che non trascorre
cadendo.

tutto resta sospeso
un quadro aperto, un sapore mai sciolto,
l'osso tolto che ancora duole.

In quale schermo? In quale rostro?

m'addentro, vi sosto.
transduco nel gravitone parallelo
di qualsivoglia verso. questo stesso.
Ma converso.



MARINARE

ALESSANDRO RAVEGGI

SANTA CRUZ, MON AMOUR!

Oh questa zuffa cagionevole di Brest,
il mezzo viso mascolino
sboccato & lungimirante della
Sfinge ieratica Querelle
tra i lampioni risentiti d'Aprile
a darmi l'enigma
nel greve vicolo dove solo tu tessi bella & instancabile
prossima splendida narrazione, prossimi splendidi accorgimenti notturni.

Per la bestia triste sembra che accorrano
da tutta l'Europa della mente.

Disdetta è la coperta grezza che ha vinto la notte
gli ubriachi questuano pietà barcollanti
e tra essi ardono poeti leggendari inediti,
la polizia sguinzaglia senza riposo le sue ombre nelle coscienze,
creature di una triste concezione dell'oscurità,

nel petto mancano monete per il jukebox brillante
con i suoi neri dischetti di desolazione
tanto che nel bar si urla
"Chi sa niente del Teatro e della vera vera Morte di 'sto Pasolini?"

Nessuno può essere in pace con la sua razza
e per poco si riempie il boccone di secchi sputi,
Santa Croce è un contenitore di anime brucanti e affamate di foglie d'erba
i suoi pub confessori dove ragionare del Bene.

Le ciurme turistiche,
accoliti di un deus ex machina che si attarda a mostrarsi,
reclamano la loro meritata superiorità.

Palazzo Vecchio e Il Duomo,
scuse della Storia illibata & ripudiata,
si aggiustano il colletto alle luci della città

e Nessuna Divina Commedia
abbevera la mia lirica idolatria
inumano Giobbe ad irrigidire la lingua
la stessa lingua
stiletto sui passaggi del corpo latteo, che ha scritto l'atto di fede,
senza punti e a capo,
greco profilo & greca vendetta della ragione
e più socratico grugno in singhiozzi,
salutando così
"Dante, addio. È stato bello fin che è durato!"
ciò che si vocifera della giornata.



MASSIMO SANNELLI

si guarda Vittoria, sotto luce, donna: la cecità,
come citazione, non regge. Anima: e perché
tu piangi?, e circoscritta; e porta
il corpo in pena, un poco, non senza
dignità: ora l'apertura creerà circolo
virtuoso; il carattere diventa pieno;
la giornata esclude la macerazione.
*
la loro maternità concede tutto;

"l'intimo è intimo" colpendo, con
opere grandi e omissioni grandi e diversa
intelligenza, diversa. la separazione
non continua: così la città orizzontale
- l'orizzonte, linea - non appartiene,
veramente, più: e la sua apparizione
matutina: un sogno. / per serenità è chiarore
lo sviluppo da tempo a tempo, e da
un'ora a un'altra, sicura, ora: né anche
la scrittura non ne soffre attualmente:
così creatura una, tanto figlio virtuoso
l'altro, per eccesso d'amore.



KATIA SEBASTIANI

AMINA

Chi è senza peccato
scagli la prima pietra
ma Cristo è già venuto
un po' più a nord
e certo non verrà
domani sulla piazza di Shendam.

Ti sotterreranno, tutta
le gambe il ventre il figlio
le spalle con le braccia.

Qualcuno invocherà
Allah, lanciando il primo sasso
ma Cristo non verrà
domani sulla piazza di Shendam.

E l'unica preghiera
possibile che resta
è che ti ammazzi
in fretta il primo sasso.



ALESSANDRO SERI

L'AUTOMOBILE DAL PASSATO FUTURISTA

L'automobile dal passato futurista
s'addormenta in un parcheggio
puntellato da alberi vuoti

parlano le voci
di poesie con muscoli e vene

di giovanotti accostati a profumi
elemosinanti fatue felicità
scudisciate via dal risveglio.

In cerca d'un saldo spuntone
dove appendere la veste di pelle delle emozioni
destiamo un silenzioso torpore.

- Non vorrei essere un profumo che smetti -
dichiara la voce di lui
tace la voce di lei
- Vorrei essere il tuo odore -

Esitante e notturna riprende un po' fiato
l'automobile dal passato futurista
che in bilico su tre ruote e un mattone
sospira protettrice e annoiata ogni tanto alle stelle
oltre la nebbia.



MARCO SIMONELLI

PORTRAIT#2 (CON BUSTO ORTOPEDICO)

Incrinata

catene con pelle intorno
stringono dal vivo la colonna
Danzando sul crinale della mensola
concorda che carne non è carta
(rimane monco
questo soldatino)

La vede in fuoco
(scivolare da sotto
il parapetto
al giaciglio scheggiato

ai frantumi del letto)



CLAUDIO SUZZI

CAVEA DEL NORD

Una città di cui non si sa nulla (solo grassi gatti);
nessuno ciarla vede o sente, nessuno stamani
cammina in quella giungla di torri svuotate.
Il grigio delle piogge estive trasuda in
cave mollicce (pochi escavatori sbiaditi)
dove s'impantanano i morti dalla fame :
un piatto di riso quando va bene
o uno stufato d'argilla
con cortecce d'albero bagnate.
Entropia!
Nessuno sa che la vita non è solitudine eppure tutti
si incontrano, a migliaia, come d'un branco
cucciolata malfamata. Troppi bambini in quella piazza
sotto il bronzo del leader, accanto ad una sporca colata
di fanteria fendono gesti tayloristi, serie di sei ore
d'incoscienza. Piccoli corpi in movimento e nessuno
inciampa a rompere le righe; l'altoparlante ognipresente
batte il tempo d'uno schema prefisso e con il corpo
compongono segni cubitali, ideogrammi ieratici (visibili con le ali)
d'una città frigida, di cui s'ignora il significato.
(E nessun uomo deforme, si lascia riprendere)



ELIO TALON

MAMAGNESE ME MAMA

Che sia propio da baùchi
meter i sogni sui balconi
come un dolse apena fato
che fa voja anca ai oxèi
Ma se a vita che xe fora
xe el mondo che ne speta
se li porti via con sé
l'uomo stanco che ha bisogno
se ne faccia una coperta
e la venda dopo un viajo
Bambin mio
cussì i fiori
se qualcuno li tol su
xe par esser più contento
Vardemo pur
dai giardini dentro e case
e dae case dentro e strade
che xe più sior l'omo che ride
e ride ben chi no' ga paura

Mamma Agnese mia mamma

Che sia proprio da ingenui mettere i sogni sui balconi, come un dolce appena fatto che fa voglia anche agli uccelli. Ma se la vita che sta fuori è il mondo che ci spetta, se li porti via con sé l'uomo stanco che ha bisogno, se ne faccia una coperta e la venda dopo un viaggio. Figlio mio, così i fiori: se qualcuno li raccoglie è per essere più contento. Guardiamo pure dai giardini dentro le case e dalle case dentro le strade, che è più ricco l'uomo che ride e ride bene chi non ha paura.



ITALO TESTA

IL CORPO RICONOSCIUTO

come le iene ruotano dietro la porta
la pianura brucia di disperse divinità;
i giorni della mezza luce si piegano,
quasi ventagli che ronzano nel breve declino
statue intorno alle mura proiettano
il canto del sangue, le storie di ieri
snodate sulle file di pietre.
Nel calore cade la polvere: a notte
il corpo dell'annegato riaffiora nei sogni.



MARIA TERESA ZUCCARO

STO SVANENDO

Uno strano rumore
Un tonfo sordo, lontano.
Poi l'impercettibile sensazione
Di aver perso un ricordo.

È caduto, e adesso
È lì per terra, rotto.
Sono io a otto anni,
mio padre mi tiene per mano.

È l'ultimo di tanti:
Fatti, cose, persone,
Sono tutti in frantumi, come vetro.

Me li lascio dietro correndo
Ma se scorgo appena un mio riflesso
Mi vedo scomparire piano piano.


(Poesie tratte da Nodo Sottile 3, a cura di Vittorio Biagini e Andrea Sirotti, Crocetti Editore, Milano 2002, pp. 142, € 12,50)

 


Un commento di Andrea Cortellessa sui poeti di Nodo sottile 3:


UOVA IN SBOCCIO


IL CHIARO È DENTRO.
Emilio Villa

Impossibile, in casi come il presente, non usare la categoria del futuribile, dell'incoativo. Del "promettente", insomma. Ogni rassegna di poeti "giovani" (anagraficamente tali o meno, beninteso) non può non insistere su quanto di potenza vi sia, anziché in atto. Promettente è chi ancora non ha fatto, insomma, ma già mostra - nel fare - un atteggiamento, un piglio, una postura che - futuribilmente pronosticando, appunto - ci appaiano interessanti, suggestivi, stimolanti. Vettori, come si dice in fisica, marcati da un "momento angolare" che indica la direzione giusta.
C'è anche un temperamento (più diffuso, per la verità, fra chi di professione legge narrativa) che tout court preferisce la condizione dell'aruspice, del lanternoforo, dello scommettitore, a quella di chi stila consuntivi. L'assolutamente presente, anzi il non ancora del tutto avvenuto (in gergo jazz, di un certo tipo di fraseggio, si dice stare avanti), è, si capisce, una dimensione elettrizzante. Un analgesico euforizzante, talora un gerovital. La droga del talent-scout. Succede così che, con le migliori intenzioni (e magari no), si prendano stentate lucciole per preziose lanterne. E rondini isolate per piene primavere. Ma resta in ogni caso rivitalizzante, alla lettera, l'atto di scrutare gemme rigogliose che ancora non abbiano effuso il primo petalo: o uova ben chiuse in cui senti già, a fior di polpastrello, l'agitato intepidirsi di una vita a venire.
Sto insomma facendo l'elogio di Biagini e Sirotti. Così come andrà prima o poi esteso, l'elogio, a tutte quelle figure che spendano parte non piccola della propria sensibilità a censire, nel mare magno di carta versificata, qualche barlume di creazione. Una promesse de bonheur. Mentre un ruolo come il mio, certo, è già molto più mediato: e impuro. Non è del tutto au fond de l'inconnu, insomma, che mi trovo a trouver du nouveau; ma resta vero che la speranza - che questo benedetto nuovo si affacci, d'improvviso, come ladro nella notte - debba essere parte integrante dell'emozione di chi legge: Omero come l'ultimo pezzo di carta raccattato da terra (a non dire delle differenze, anche, tra chi è davvero all'esordio e chi invece si è già in qualche modo segnalato - e il cui statuto, dunque, è già in qualche misura mutato: per esempio, qui, Paolo Maccari…).
Ci si ricorda allora che per un grande e impareggiabile vecchio del nostro piccolo mondo, Emilio Villa, l'essenza di un'opera autentica - poesia o pittura - è proprio nella sua germinalità: nel momento in cui è ancora incompleta ma, proprio per questo, infinitamente proiettata in avanti. "L'idea delle forze divaricate e non ancora create", l'opera in fieri - lo squarcio attraverso il quale operare, cioè -, per un simile temperamento, è il momento in cui dal perfetto silenzio del nulla si esplode verso. In un dilavare di fattezze. La creazione artistica come modello dell'universo; il big bang su un foglio di carta: o appunto, come dice lui, una "cosmogonia del non-visibile". In quello che - per questo genio dell'antiprogrammaticità - più si avvicina a essere un programma di lavoro (uno scritto datato 1952), si legge infatti: "la parte più sollevata, più solenne, più audace della produzione artistica moderna è quella che cerca il suo orientamento nella naturale reviviscenza delle etimologie sorprese nel loro trasalimento originario, e nella sua alterna condotta storica. Il recupero dell'atto iniziale, e di tutte le sue conseguenze, questa decisiva e definitoria ripresa del gesto puro che ha condotto l'uomo preistorico alla comunicazione concreta con il mondo, anzi a una presa di possesso del mondo, è sottinteso, ma non tanto sottinteso, da non essere almeno segretamente operante, nella maturità del lavoro moderno". L'attenzione al momento iniziale (altri ama dire oggi esordiale) - al prorompere di un gesto puro - è insomma connaturata al linguaggio poetico. Il quale interviene sempre a interrompere un silenzio. A lasciare una traccia sul bianco. (L'ètimo di poesia, com'è notissimo, si lega del resto al fare: dunque a spezzare un'immobilità.) Compito di chi legge è allora, diceva Villa presentando le sue traduzioni da Saffo, spostare la propria attenzione sulle "pressioni di nascita della parola, le difficoltà della nascita, premiti attriti sparizioni deposizioni dormizioni dissolvimenti estinzioni: l'intrigo dell'evento sorgivo".
È lungo quest'asse allora - nella convinzione che non solo di tema si tratti ma, specificamente, di attitudine percettivo-operativa: di grammatica della visione - che sarà bene leggere i versi selezionati da Biagini e Sirotti. E non è ricerca senza frutti. All'esordio stesso della silloge di Fabrizio Cilento, per esempio, trovo un'immagine che è - almeno dall'età barocca - fra le topicamente eminenti, a dire l'intrigo dell'evento sorgivo: quella del bombice, o baco da seta. Emblema (in senso stretto) di una vita ancora tutta avviluppata nelle spire dei suoi premiti attriti… (e altrove lo stesso autore insiste sulla condizione del "morbido neonato", deposto "nel prologo dell'avventura fisiologica"). Ma nel repertorio dello stesso Maccari (che pure mostra, com'era prevedibile, una maturità già invidiabile per tenuta di misure e accenti) si trovano, del pari, animali primordiali e "preliminari" come le "falene", ancora "intente a disfarsi delle ali" (qui però l'immagine è in qualche modo, e significativamente, rovesciata: in quanto le falene retrocedono alla condizione "infantile" di "bruchi"). La Passione entomologica di Claudio Suzzi appare a questo punto assai meno innocente; e forte è l'autoritratto dell'"uomo spora", "mantecato d'un miele che potrebbe esplodere". (La tentazione di disintegrarsi è sempre, del resto, un correlato psichico della voglia impellente di nascere.) Uova e insetti si trovano altresì al centro dell'immaginario - davvero larvale, spesso perturbante - di Italo Testa: che deve disciplinare il prepotente rigoglio di immagini, certo, ma appare intanto animato - tra "deformità" e "tenerezze" - da autentiche ossessioni fisiologiche. Nido, seme, ma in generale il microcosmo dell'infanzia ("febbre, ma amore"): sono gli assi attorno a cui lavora il telaio di un altro giovane che già ha avuto modo di segnalarsi, Massimo Sannelli; e nel suo ultimo testo brividano nuove, nude vite (di cui "carezzare i capelli").
Un lessico ruminante, preliminare, appare quello - lavoratissimo - di Elio Talon. Che a sua volta in un componimento si rivolge, in veste di "me mama" (con zanzottiano petèl, dunque) al "bambin mio", e in un altro a un "fio mio / che ti si picolo"; ma che colpisce soprattutto per il mistilinguismo fra sostrato veneto e "macchie" italiane (che possono annettersi interi versi): in cui pare davvero scrutarsi la diacronia di un linguaggio che, "se a vita che xe fora / xe el mondo che ne speta", improvvisamente cresce, si fa adulto. Una dialettica fra diverse generazioni - decisamente meno irenica, stavolta - si trova anche nei versi di Katia Sebastiani, declinati talora secondo icone venerate della tradizione femminista, altre volte con accenti nuovi (che affrontano soprattutto altra, ancor meno pacificata dialettica: quella fra chi nel mondo, confortevolmente, si trova a nord - e chi invece, per sua sfortuna, no). E una ventata di ribellismo generazionale anima il verso lungo - teatrale battente e beat (si trova citato Ginsberg: del quale, se non sbaglio, c'è anche qualche intenzione di calligramma…) - di Alessandro Raveggi: il quale vagheggia febbrile "i primi sintomi di una deflagrazione necessaria". Fa abbastanza eccezione, in questo mood, l'ironia "postuma" (anche metapoeticamente tale, nell'ultimo componimento) di Alessandro Seri: un cui reperto archeologico eloquentemente è, "annoiata", L'automobile del passato futurista. Ma davvero avanti, per l'eccitante fraseggio a chiazze per l'appunto post-futuriste, cioè neo-cronenberghiane, appare di contro Filippo Landini ("Le creature non cambiano vita / La inventano"); così come, con curioso intrecciarsi di imagismi ideogrammatici e calchi da formule scientifiche, la fantasia piacevolmente poco italiana di Eleonora Pinzuti (tra "gravitone parallelo" e "rasoio di Occam"…).
Quella di Greta Grana appare una delle fisionomie già meglio riconoscibili. Sintassi e prosodia sono evidentemente ridotte all'elementare, in un diarismo microevenemenziale che obbliga il verso a rannicchiarsi in postazioni globulari. Ma c'è probabilmente una cosciente volontà di haiku, e insomma di sillabazione neo-ungarettiana (ne farebbe fede l'enfasi sulla data apposta in calce ai componimenti, tradotta in lettere anziché in cifre: come a sancire, di quella data, la natura di parola, e quindi di evento). Qui - come un po' dappertutto - si constata peraltro quanto sia diffuso, nei poeti dell'ultima generazione, un senso nuovo (che potrebbe dirsi, a cercare a tutti i costi l'etichetta, post-human) dell'identità corporea. Un'identità che, deleuzianamente, non è più organica - appunto nel senso che dell'organismo ha perso l'articolazione, la complessità: ed è sempre più spesso ridotta a frammento, a macchinario magari efficiente, ma disaggregato. Penso all'impressionante autoscopia di Suzzi, Disequilibrio (incontro di sumo tra parte superiore e parte inferiore del corpo): dove sono i dettagli del corpo a sbalzarsi violentemente in primo piano ("snodi", "articolazioni", "pube", "dolci curve dell'ileo"…); penso alla raffinata, piccola sequenza di Marco Simonelli (a sua volta non proprio un absolute beginner), La bambina di vetro: dove della figura umana (se così vogliamo ancora considerarla) si vedono solo le protesi, il "busto ortopedico", "il nylon delle calze", la seconda pelle - lievemente, atrocemente oscena: come una scarpa di Magritte… - del "pullover […] duro di sudore"; penso poi a tutti i componimenti di Maria Teresa Zuccaro: dove figurano solo "cocci", "frantumi", e la finzione dell'io è ridotta allo schema disumano di un codice fiscale (come dire organi senz'anima, ossa senza carne): "Sono a pezzi, tuttavia / Appaio intera, ebete e sorridente / Mentre cammino fra la folla / E faccio finta di niente".
È caratteristica di un artista giovane, come di chiunque appena uscito dall'adolescenza (sempre è bene precisare: anagraficamente o meno), la coazione al narcisismo. E lo sguardo ombelicale, infatti, è da sempre un difetto generazionale degli scrittori all'esordio. C'è però, in questi giovani poeti, un codice basico che in qualche misura da questo pericolo li protegge - per proiettarli, appunto, avanti. Si potrebbe dire che il DNA sotteso al nostro lirismo, che è volenti o nolenti il codice petrarchesco, abbia agito in loro frantumando, appunto, lo specchio di Narciso: se lo sguardo del poeta (come hanno spiegato interpreti storici dei Rerum Vulgarium Fragmenta) è catatonicamente coatto alla frammentazione dell'oggetto del proprio scopico desiderio - riducendo Laura a una spettrale collezione di mani, occhi e capelli -, si assiste qui, insomma, a una sorta di autopetrarchismo. Che è forse niente più di una fisiologica fase di apprendistato. Ma che ritaglia, intanto, già credibili silhouettes d'autore.




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