FABRIZIO
CILENTO
INCLUSUM
LABOR ILLUSTRAT
Fuori
dalla taverna del cantiniere orfano
finalmente fuori dal raggio
della musica cinese sillabica.
Lenzuola
distese a mezz'aria
sbandierano il bianco e aprono
un varco nel vecchio giardino
dove nel tempio contemplo rovine pulite
e perfette sul naso d'un aeroplano
rovine sommerse, affogate nei maremoti
di laghi di strade e segnali stradali.
Respiro
subacqueo
percorso d'adolescente anoressica
dalla corta veste rossa
qualcuno le accarezza
la magra caviglia essenziale
miracoloso equilibrio di gravità
esasperante lentezza e baci di giada.
E
il dolce sereno sorriso si muta
in turbata espressione del viso.
GRETA
GRANA
DU.
e torno, di un colore grattato sotto al colore
e
qualsiasi cosa succeda
brucia ancora e
brucia ancora la faccia strisciata sulla faccia
qualsiasi cosa succeda
i petardi interrotti
dei tuoi orgasmi
ormai è tardi
ormai li ho dentro
quindici maggio duemila, lunedì
tra le stazioni di casalpusterlengo e piacenza
per placido
FILIPPO LANDINI
SHOP
LIFTING
1
euro
1 restauro flambé
1 intero megastore scompare
pedofilia
autunno/inverno
latifondi united pecore multicolori
urla
auto in fiamme spari
urla spakkamenti spakkadenti
bipedi
vetri infranti
quadrupedi attenti spaventati
branchi visi nascosti colpi di tosse
scatti
del corpo anfibi alla gola
coda
tesa pelo ritto
gas nervino elettroshock
fuggire
a sei zampe
bipede + quadrupede
skratch loop in kaos
ricordo
da bambino on TV
cucciolo di foca stroncato
mi sentii morire nakue l'odio
capii cos'era forse l'anima
cucciolo
di foca sangue
divieto di sosta spacca
vetrina di questa macabra realtà
e l'anima si sveglia
shop
lifting klaro ke sì
PAOLO MACCARI
FALENE
Le
falene smisero il volo
disprezzando le cieche volute
le abitudini intorno alla luce
strisciarono
infantilmente come bruchi,
verso l'ombra profondamente
intente a disfarsi delle ali.
ELEONORA
PINZUTI
DÉ
(VIRTÙ)
resistere:
fermarsi contro.
m
o l e s nelle sinapsi.
sono odore_volto_sole lento
l'accento che non trascorre
cadendo.
tutto
resta sospeso
un quadro aperto, un sapore mai sciolto,
l'osso tolto che ancora duole.
In
quale schermo? In quale rostro?
m'addentro,
vi sosto.
transduco nel gravitone parallelo
di qualsivoglia verso. questo stesso.
Ma converso.
MARINARE
ALESSANDRO
RAVEGGI
SANTA
CRUZ, MON AMOUR!
Oh
questa zuffa cagionevole di Brest,
il mezzo viso mascolino
sboccato & lungimirante della
Sfinge ieratica Querelle
tra i lampioni risentiti d'Aprile
a darmi l'enigma
nel greve vicolo dove solo tu tessi bella & instancabile
prossima splendida narrazione, prossimi splendidi accorgimenti
notturni.
Per
la bestia triste sembra che accorrano
da tutta l'Europa della mente.
Disdetta
è la coperta grezza che ha vinto la notte
gli ubriachi questuano pietà barcollanti
e tra essi ardono poeti leggendari inediti,
la polizia sguinzaglia senza riposo le sue ombre nelle coscienze,
creature di una triste concezione dell'oscurità,
nel
petto mancano monete per il jukebox brillante
con i suoi neri dischetti di desolazione
tanto che nel bar si urla
"Chi sa niente del Teatro e della vera vera Morte di 'sto
Pasolini?"
Nessuno
può essere in pace con la sua razza
e per poco si riempie il boccone di secchi sputi,
Santa Croce è un contenitore di anime brucanti e affamate
di foglie d'erba
i suoi pub confessori dove ragionare del Bene.
Le
ciurme turistiche,
accoliti di un deus ex machina che si attarda a mostrarsi,
reclamano la loro meritata superiorità.
Palazzo Vecchio e Il Duomo,
scuse della Storia illibata & ripudiata,
si aggiustano il colletto alle luci della città
e
Nessuna Divina Commedia
abbevera la mia lirica idolatria
inumano Giobbe ad irrigidire la lingua
la stessa lingua
stiletto sui passaggi del corpo latteo, che ha scritto l'atto
di fede,
senza punti e a capo,
greco profilo & greca vendetta della ragione
e più socratico grugno in singhiozzi,
salutando così
"Dante, addio. È stato bello fin che è durato!"
ciò che si vocifera della giornata.
MASSIMO
SANNELLI
si
guarda Vittoria, sotto luce, donna: la cecità,
come citazione, non regge. Anima: e perché
tu piangi?, e circoscritta; e porta
il corpo in pena, un poco, non senza
dignità: ora l'apertura creerà circolo
virtuoso; il carattere diventa pieno;
la giornata esclude la macerazione.
*
la loro maternità concede tutto;
"l'intimo
è intimo" colpendo, con
opere grandi e omissioni grandi e diversa
intelligenza, diversa. la separazione
non continua: così la città orizzontale
- l'orizzonte, linea - non appartiene,
veramente, più: e la sua apparizione
matutina: un sogno. / per serenità è chiarore
lo sviluppo da tempo a tempo, e da
un'ora a un'altra, sicura, ora: né anche
la scrittura non ne soffre attualmente:
così creatura una, tanto figlio virtuoso
l'altro, per eccesso d'amore.
KATIA
SEBASTIANI
AMINA
Chi
è senza peccato
scagli la prima pietra
ma Cristo è già venuto
un po' più a nord
e certo non verrà
domani sulla piazza di Shendam.
Ti
sotterreranno, tutta
le gambe il ventre il figlio
le spalle con le braccia.
Qualcuno
invocherà
Allah, lanciando il primo sasso
ma Cristo non verrà
domani sulla piazza di Shendam.
E
l'unica preghiera
possibile che resta
è che ti ammazzi
in fretta il primo sasso.
ALESSANDRO
SERI
L'AUTOMOBILE
DAL PASSATO FUTURISTA
L'automobile
dal passato futurista
s'addormenta in un parcheggio
puntellato da alberi vuoti
parlano
le voci
di poesie con muscoli e vene
di
giovanotti accostati a profumi
elemosinanti fatue felicità
scudisciate via dal risveglio.
In
cerca d'un saldo spuntone
dove appendere la veste di pelle delle emozioni
destiamo un silenzioso torpore.
-
Non vorrei essere un profumo che smetti -
dichiara la voce di lui
tace la voce di lei
- Vorrei essere il tuo odore -
Esitante
e notturna riprende un po' fiato
l'automobile dal passato futurista
che in bilico su tre ruote e un mattone
sospira protettrice e annoiata ogni tanto alle stelle
oltre la nebbia.
MARCO
SIMONELLI
PORTRAIT#2
(CON BUSTO ORTOPEDICO)
Incrinata
catene
con pelle intorno
stringono dal vivo la colonna
Danzando sul crinale della mensola
concorda che carne non è carta
(rimane monco
questo soldatino)
La
vede in fuoco
(scivolare da sotto
il parapetto
al giaciglio scheggiato
ai frantumi del letto)
CLAUDIO
SUZZI
CAVEA
DEL NORD
Una
città di cui non si sa nulla (solo grassi gatti);
nessuno ciarla vede o sente, nessuno stamani
cammina in quella giungla di torri svuotate.
Il grigio delle piogge estive trasuda in
cave mollicce (pochi escavatori sbiaditi)
dove s'impantanano i morti dalla fame :
un piatto di riso quando va bene
o uno stufato d'argilla
con cortecce d'albero bagnate.
Entropia!
Nessuno sa che la vita non è solitudine eppure tutti
si incontrano, a migliaia, come d'un branco
cucciolata malfamata. Troppi bambini in quella piazza
sotto il bronzo del leader, accanto ad una sporca colata
di fanteria fendono gesti tayloristi, serie di sei ore
d'incoscienza. Piccoli corpi in movimento e nessuno
inciampa a rompere le righe; l'altoparlante ognipresente
batte il tempo d'uno schema prefisso e con il corpo
compongono segni cubitali, ideogrammi ieratici (visibili con le
ali)
d'una città frigida, di cui s'ignora il significato.
(E nessun uomo deforme, si lascia riprendere)
ELIO
TALON
MAMAGNESE
ME MAMA
Che
sia propio da baùchi
meter i sogni sui balconi
come un dolse apena fato
che fa voja anca ai oxèi
Ma se a vita che xe fora
xe el mondo che ne speta
se li porti via con sé
l'uomo stanco che ha bisogno
se ne faccia una coperta
e la venda dopo un viajo
Bambin mio
cussì i fiori
se qualcuno li tol su
xe par esser più contento
Vardemo pur
dai giardini dentro e case
e dae case dentro e strade
che xe più sior l'omo che ride
e ride ben chi no' ga paura
Mamma
Agnese mia mamma
Che
sia proprio da ingenui mettere i sogni sui balconi, come un dolce
appena fatto che fa voglia anche agli uccelli. Ma se la vita che
sta fuori è il mondo che ci spetta, se li porti via
con sé l'uomo stanco che ha bisogno, se ne faccia una coperta
e la venda dopo un viaggio. Figlio mio, così i fiori:
se qualcuno li raccoglie è per essere più contento.
Guardiamo pure dai giardini dentro le case e dalle case dentro
le strade, che è più ricco l'uomo che ride e ride
bene chi non ha paura.
ITALO
TESTA
IL
CORPO RICONOSCIUTO
come
le iene ruotano dietro la porta
la pianura brucia di disperse divinità;
i giorni della mezza luce si piegano,
quasi ventagli che ronzano nel breve declino
statue intorno alle mura proiettano
il canto del sangue, le storie di ieri
snodate sulle file di pietre.
Nel calore cade la polvere: a notte
il corpo dell'annegato riaffiora nei sogni.
MARIA
TERESA ZUCCARO
STO
SVANENDO
Uno
strano rumore
Un tonfo sordo, lontano.
Poi l'impercettibile sensazione
Di aver perso un ricordo.
È
caduto, e adesso
È lì per terra, rotto.
Sono io a otto anni,
mio padre mi tiene per mano.
È
l'ultimo di tanti:
Fatti, cose, persone,
Sono tutti in frantumi, come vetro.
Me
li lascio dietro correndo
Ma se scorgo appena un mio riflesso
Mi vedo scomparire piano piano.
(Poesie
tratte da Nodo
Sottile 3,
a cura di Vittorio Biagini e Andrea Sirotti, Crocetti Editore,
Milano 2002, pp. 142, € 12,50)
Un commento di Andrea Cortellessa sui poeti di Nodo sottile
3:
UOVA IN SBOCCIO
IL CHIARO È DENTRO.
Emilio Villa
Impossibile,
in casi come il presente, non usare la categoria del futuribile,
dell'incoativo. Del "promettente", insomma. Ogni rassegna
di poeti "giovani" (anagraficamente tali o meno, beninteso)
non può non insistere su quanto di potenza vi sia, anziché
in atto. Promettente è chi ancora non ha fatto,
insomma, ma già mostra - nel fare - un atteggiamento,
un piglio, una postura che - futuribilmente pronosticando, appunto
- ci appaiano interessanti, suggestivi, stimolanti. Vettori, come
si dice in fisica, marcati da un "momento
angolare" che indica la direzione giusta.
C'è anche un temperamento (più diffuso, per la verità,
fra chi di professione legge narrativa) che tout court
preferisce la condizione dell'aruspice, del lanternoforo, dello
scommettitore, a quella di chi stila consuntivi. L'assolutamente
presente, anzi il non ancora del tutto avvenuto (in gergo jazz,
di un certo tipo di fraseggio, si dice stare avanti), è,
si capisce, una dimensione elettrizzante. Un analgesico euforizzante,
talora un gerovital. La droga del talent-scout. Succede così
che, con le migliori intenzioni (e magari no), si prendano stentate
lucciole per preziose lanterne. E rondini isolate per piene primavere.
Ma resta in ogni caso rivitalizzante, alla lettera, l'atto di
scrutare gemme rigogliose che ancora non abbiano effuso il primo
petalo: o uova ben chiuse in cui senti già, a fior di polpastrello,
l'agitato intepidirsi di una vita a venire.
Sto insomma facendo l'elogio di Biagini e Sirotti. Così
come andrà prima o poi esteso, l'elogio, a tutte quelle
figure che spendano parte non piccola della propria sensibilità
a censire, nel mare magno di carta versificata, qualche barlume
di creazione. Una promesse de bonheur. Mentre un ruolo
come il mio, certo, è già molto più mediato:
e impuro. Non è del tutto au fond de l'inconnu,
insomma, che mi trovo a trouver du nouveau; ma resta vero
che la speranza - che questo benedetto nuovo si affacci,
d'improvviso, come ladro nella notte - debba essere parte integrante
dell'emozione di chi legge: Omero come l'ultimo pezzo di carta
raccattato da terra (a non dire delle differenze, anche, tra chi
è davvero all'esordio e chi invece si è già
in qualche modo segnalato - e il cui statuto, dunque, è
già in qualche misura mutato: per esempio, qui, Paolo Maccari
).
Ci si ricorda allora che per un grande e impareggiabile vecchio
del nostro piccolo mondo, Emilio Villa, l'essenza di un'opera
autentica - poesia o pittura - è proprio nella sua germinalità:
nel momento in cui è ancora incompleta ma, proprio per
questo, infinitamente proiettata in avanti. "L'idea delle
forze divaricate e non ancora create", l'opera in fieri
- lo squarcio attraverso il quale operare, cioè
-, per un simile temperamento, è il momento in cui dal
perfetto silenzio del nulla si esplode verso. In un dilavare
di fattezze. La creazione artistica come modello dell'universo;
il big bang su un foglio di carta: o appunto, come dice lui, una
"cosmogonia del non-visibile". In quello che - per questo
genio dell'antiprogrammaticità - più si avvicina
a essere un programma di lavoro (uno scritto datato 1952), si
legge infatti: "la parte più sollevata, più
solenne, più audace della produzione artistica moderna
è quella che cerca il suo orientamento nella naturale reviviscenza
delle etimologie sorprese nel loro trasalimento originario, e
nella sua alterna condotta storica. Il recupero dell'atto iniziale,
e di tutte le sue conseguenze, questa decisiva e definitoria ripresa
del gesto puro che ha condotto l'uomo preistorico alla comunicazione
concreta con il mondo, anzi a una presa di possesso del mondo,
è sottinteso, ma non tanto sottinteso, da non essere almeno
segretamente operante, nella maturità del lavoro moderno".
L'attenzione al momento iniziale (altri ama dire oggi esordiale)
- al prorompere di un gesto puro - è insomma connaturata
al linguaggio poetico. Il quale interviene sempre a interrompere
un silenzio. A lasciare una traccia sul bianco. (L'ètimo
di poesia, com'è notissimo, si lega del resto al
fare: dunque a spezzare un'immobilità.) Compito
di chi legge è allora, diceva Villa presentando le sue
traduzioni da Saffo, spostare la propria attenzione sulle "pressioni
di nascita della parola, le difficoltà della nascita, premiti
attriti sparizioni deposizioni dormizioni dissolvimenti estinzioni:
l'intrigo dell'evento sorgivo".
È lungo quest'asse allora - nella convinzione che non solo
di tema si tratti ma, specificamente, di attitudine percettivo-operativa:
di grammatica della visione - che sarà bene leggere
i versi selezionati da Biagini e Sirotti. E non è ricerca
senza frutti. All'esordio stesso della silloge di Fabrizio Cilento,
per esempio, trovo un'immagine che è - almeno dall'età
barocca - fra le topicamente eminenti, a dire l'intrigo dell'evento
sorgivo: quella del bombice, o baco da seta. Emblema
(in senso stretto) di una vita ancora tutta avviluppata nelle
spire dei suoi premiti attriti
(e altrove lo stesso
autore insiste sulla condizione del "morbido neonato",
deposto "nel prologo dell'avventura fisiologica"). Ma
nel repertorio dello stesso Maccari (che pure mostra, com'era
prevedibile, una maturità già invidiabile per tenuta
di misure e accenti) si trovano, del pari, animali primordiali
e "preliminari" come le "falene", ancora "intente
a disfarsi delle ali" (qui però l'immagine è
in qualche modo, e significativamente, rovesciata: in quanto le
falene retrocedono alla condizione "infantile"
di "bruchi"). La Passione entomologica di Claudio
Suzzi appare a questo punto assai meno innocente; e forte è
l'autoritratto dell'"uomo spora", "mantecato d'un
miele che potrebbe esplodere". (La tentazione di disintegrarsi
è sempre, del resto, un correlato psichico della voglia
impellente di nascere.) Uova e insetti si trovano altresì
al centro dell'immaginario - davvero larvale, spesso perturbante
- di Italo Testa: che deve disciplinare il prepotente rigoglio
di immagini, certo, ma appare intanto animato - tra "deformità"
e "tenerezze" - da autentiche ossessioni fisiologiche.
Nido, seme, ma in generale il microcosmo dell'infanzia ("febbre,
ma amore"): sono gli assi attorno a cui lavora il telaio
di un altro giovane che già ha avuto modo di segnalarsi,
Massimo Sannelli; e nel suo ultimo testo brividano nuove, nude
vite (di cui "carezzare i capelli").
Un lessico ruminante, preliminare, appare quello - lavoratissimo
- di Elio Talon. Che a sua volta in un componimento si rivolge,
in veste di "me mama" (con zanzottiano petèl,
dunque) al "bambin mio", e in un altro a un "fio
mio / che ti si picolo"; ma che colpisce soprattutto per
il mistilinguismo fra sostrato veneto e "macchie" italiane
(che possono annettersi interi versi): in cui pare davvero scrutarsi
la diacronia di un linguaggio che, "se a vita che xe fora
/ xe el mondo che ne speta", improvvisamente cresce, si fa
adulto. Una dialettica fra diverse generazioni - decisamente meno
irenica, stavolta - si trova anche nei versi di Katia Sebastiani,
declinati talora secondo icone venerate della tradizione femminista,
altre volte con accenti nuovi (che affrontano soprattutto altra,
ancor meno pacificata dialettica: quella fra chi nel mondo, confortevolmente,
si trova a nord - e chi invece, per sua sfortuna, no). E una ventata
di ribellismo generazionale anima il verso lungo - teatrale battente
e beat (si trova citato Ginsberg: del quale, se non sbaglio,
c'è anche qualche intenzione di calligramma
) - di
Alessandro Raveggi: il quale vagheggia febbrile "i primi
sintomi di una deflagrazione necessaria". Fa abbastanza eccezione,
in questo mood, l'ironia "postuma" (anche metapoeticamente
tale, nell'ultimo componimento) di Alessandro Seri: un cui reperto
archeologico eloquentemente è, "annoiata", L'automobile
del passato futurista. Ma davvero avanti, per l'eccitante
fraseggio a chiazze per l'appunto post-futuriste, cioè
neo-cronenberghiane, appare di contro Filippo Landini ("Le
creature non cambiano vita / La inventano"); così
come, con curioso intrecciarsi di imagismi ideogrammatici e calchi
da formule scientifiche, la fantasia piacevolmente poco italiana
di Eleonora Pinzuti (tra "gravitone parallelo" e "rasoio
di Occam"
).
Quella di Greta Grana appare una delle fisionomie già meglio
riconoscibili. Sintassi e prosodia sono evidentemente ridotte
all'elementare, in un diarismo microevenemenziale che obbliga
il verso a rannicchiarsi in postazioni globulari. Ma c'è
probabilmente una cosciente volontà di haiku, e insomma
di sillabazione neo-ungarettiana (ne farebbe fede l'enfasi sulla
data apposta in calce ai componimenti, tradotta in lettere anziché
in cifre: come a sancire, di quella data, la natura di parola,
e quindi di evento). Qui - come un po' dappertutto - si constata
peraltro quanto sia diffuso, nei poeti dell'ultima generazione,
un senso nuovo (che potrebbe dirsi, a cercare a tutti i costi
l'etichetta, post-human) dell'identità corporea.
Un'identità che, deleuzianamente, non è più
organica - appunto nel senso che dell'organismo ha perso
l'articolazione, la complessità: ed è sempre più
spesso ridotta a frammento, a macchinario magari efficiente, ma
disaggregato. Penso all'impressionante autoscopia di Suzzi, Disequilibrio
(incontro di sumo tra parte superiore e parte inferiore del corpo):
dove sono i dettagli del corpo a sbalzarsi violentemente in primo
piano ("snodi", "articolazioni", "pube",
"dolci curve dell'ileo"
); penso alla raffinata,
piccola sequenza di Marco Simonelli (a sua volta non proprio un
absolute beginner), La bambina di vetro: dove della
figura umana (se così vogliamo ancora considerarla) si
vedono solo le protesi, il "busto ortopedico", "il
nylon delle calze", la seconda pelle - lievemente, atrocemente
oscena: come una scarpa di Magritte
- del "pullover
[
] duro di sudore"; penso poi a tutti i componimenti
di Maria Teresa Zuccaro: dove figurano solo "cocci",
"frantumi", e la finzione dell'io è ridotta allo
schema disumano di un codice fiscale (come dire organi senz'anima,
ossa senza carne): "Sono a pezzi, tuttavia / Appaio intera,
ebete e sorridente / Mentre cammino fra la folla / E faccio finta
di niente".
È caratteristica di un artista giovane, come di chiunque
appena uscito dall'adolescenza (sempre è bene precisare:
anagraficamente o meno), la coazione al narcisismo. E lo sguardo
ombelicale, infatti, è da sempre un difetto generazionale
degli scrittori all'esordio. C'è però, in questi
giovani poeti, un codice basico che in qualche misura da questo
pericolo li protegge - per proiettarli, appunto, avanti.
Si potrebbe dire che il DNA sotteso al nostro lirismo, che è
volenti o nolenti il codice petrarchesco, abbia agito in loro
frantumando, appunto, lo specchio di Narciso: se lo sguardo
del poeta (come hanno spiegato interpreti storici dei Rerum
Vulgarium Fragmenta) è catatonicamente coatto alla
frammentazione dell'oggetto del proprio scopico desiderio - riducendo
Laura a una spettrale collezione di mani, occhi e capelli -, si
assiste qui, insomma, a una sorta di autopetrarchismo.
Che è forse niente più di una fisiologica fase di
apprendistato. Ma che ritaglia, intanto, già credibili
silhouettes d'autore.
Precedente VENTONUOVO
Copertina
|