JEAN
AMERY: IL RISENTIMENTO COME MORALE
Guia
Risari
Jean Améry (nella foto), scrittore e saggista "non-non-ebreo",
fu un testimone particolarmente acuto e sensibile della Shoà.
In Italia è noto soprattutto per tre saggi di
chiara ispirazione filosofica - Intellettuale ad Auschwitz,
Rivolta e rassegnazione, Levar la mano su di sé - e
per il romanzo anti-flaubertiano Charles Bovary, medico di
campagna.
Questo volume presenta l'opera di Améry e approfondisce
alcuni temi del pensiero occidentale - l'invecchiamento, il suicidio,
la concezione del tempo e dell'individuo - ma affronta ugualmente
le questioni della Shoà, della testimonianza e della creazione
letteraria, proponendo una rivalutazione filosofica del risentimento,
inteso come re-sentir, capacità percettiva e coscienza
riflessiva, "la fonte emozionale di ogni morale autentica,
che fu sempre morale degli sconfitti" (Améry).
Questo
saggio nasce dall'esigenza di rivalutare la nozione di risentimento,
troppo spesso ridotta ad un'unica accezione, fraintesa o trascurata,
alla luce di un evento storico che ha creato un nuovo tipo d'uomo:
la vittima dei campi di sterminio. Come sostiene Robert Antelme,
l'uomo, destinato dalle SS all'annientamento, non è stato
cancellato dalla storia (1). Il sistema concentrazionario ha,
anzi, radicalizzato la sua consapevolezza. "Avete costruito
in noi una coscienza irriducibile - scrive Antelme, rivolgendosi
ai suoi aguzzini - Non potete più sperare di fare in modo
che noi si stia contemporaneamente al nostro posto e nella nostra
pelle, condannandoci" (2).
Un avvenimento storico come la Shoah giustifica, anzi esige,
una riconsiderazione di alcuni schemi mentali, spesso inadeguati.
È quanto Jean Améry compie in Intellettuale ad
Auschwitz, allorché prende in considerazione i propri
risentimenti. Egli si stacca da una tradizione filosofica che,
a partire da Nietzsche e Scheler, vedeva nel risentimento la manifestazione
di uno spirito astioso, per rivendicare la propria "stortura"
come una forma più morale e storicamente più giusta
di essere uomo. Il risentimento, infatti, è quel ritornare
al passato, che inchioda il colpevole alle sue responsabilità
e spinge la vittima a un legittimo, anche se tardivo, moto di
rivolta contro l'ingiustizia. Il risentimento, quindi, non è
la vendetta ignobile e sotterranea dell'impotente; esso diviene,
per la vittima di un sistema oppressivo, l'unico modo per moralizzare
la vita e la storia. Lo sconfitto, rovesciando la tradizionale
posizione di riserbo o di acquiescenza, spezza il proprio isolamento
e, con il risentire, fornisce alla morale dei nuovi strumenti
di attacco e di conferma. Ri-sentire, nel senso ampio di richiamare
alla memoria con partecipazione emotiva, ricordare non solo i
fatti trascorsi ma gli stati d'animo e le sensazioni che necessariamente
li accompagnano, è la premessa ineludibile per ogni atteggiamento
valutativo.
(
)
Nel presentare questa nuova concezione del risentimento, non ho
potuto né voluto prescindere dall'autore di essa. Troppo
stretto è qui il legame tra il contributo teorico di Améry
e il suo vissuto. Risulta valida, in proposito, l'affermazione
che Nietzsche faceva su di sé: "In tutte le opere
che ho scritto, io ho messo dentro anima e corpo: non so che cosa
siano problemi puramente intellettuali" (3). Vi è
nell'esperienza di prigionia di Améry la chiave di lettura
per comprendere le sue prese di posizione, i suoi interessi filosofici,
così come i suoi inevitabili limiti. "So bene - egli
ammette a conclusione del suo saggio su Auschwitz - che queste
esperienze mi hanno reso inabile alle speculazioni profonde e
a quelle elevate. Che possano avermi fornito migliori strumenti
per comprendere la realtà è infine la mia speranza"
(4).
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Eppure i saggi principali di Améry testimoniano anche un'altra
esigenza: quella d'interrogarsi su questioni fondamentali, esercitando
uno spirito filosofico ricco di sensibilità e riferimenti
culturali. "I libri - scrive Améry - non hanno solo
un proprio destino: talvolta possono essere un destino" (5).
Così in Rivolta e rassegnazione Améry cercherà
di descrivere quell'impercettibile e spietato processo di decadimento
che è l'invecchiare. L'intuizione più rilevante
riguarda qui il rapporto di proporzionalità inversa che
lega spazio e tempo. Levar la mano su di sé, ideale
continuazione del saggio precedente, analizza lo stato d'animo
del suicida, difendendo la dignità della morte libera dai
pregiudizi del senso comune. Améry nega che il suicidio
sia un chiaro indizio di follia, egoismo o immoralità;
ad un gesto così estremo, che pure resta un messaggio rivolto
all'Altro, egli s'accosta con comprensione e lucidità.
Infine, Charles Bovary, medico di campagna è un'ultima
appassionata difesa del raté, dello sconfitto, goffo e
impacciato, dietro al quale si scorge in controluce il fantasma
magro e sparuto del sopravvissuto.
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L'analisi delle reazioni, dell'atipicità del singolo diventano
in Améry l'occasione non solo per ricordare le responsabilità
della società in questo processo trasformativo, ma anche
per riconoscere il diritto di opporsi ad un tale abuso di forza.
Tuttavia, per Améry, il risentimento non è una spinta
eversiva a modificare radicalmente il dato; il suo legame profondo,
esclusivo col passato rende inaccettabile una rinascita, una miracolosa
palingenesi, capace di cancellare definitivamente il peso di ricordi
dolorosi. L'intuizione fondamentale di Améry consiste esattamente
nell'aver colto la complessa ambivalenza del risentimento, che
è rifiuto reattivo del presente e allo stesso tempo attaccamento
emotivo, esistenziale al passato. Il volto drammaticamente segnato
di Améry e la scelta di una morte libera sono l'espressione
di un contrasto continuamente rinnovato fra rivolta e rassegnazione,
mai risolto.
(Brano
tratto da Jean Améry. Il risentimento come morale,
Franco Angeli, Milano, 2002)
NOTE
(1)
R. Antelme è l'autore di L'espèce humaine, edito
da Gallimard nel 1947, nel quale egli racconta le vicende del
Kommando di Gandersheim. In questa località, Antelme fu
condotto il 1 ottobre 1944 da Buchenwald; da qui, nell'aprile
del 1945, fu evacuato e portato a Dachau, per essere infine liberato.
(2) R. Antelme, La specie umana, Einaudi, Torino, 1954, p. 122.
(3) F. Nietzsche, Aurora, a cura di F. Masini e M. Montinari,
Adelphi, Milano, 1962, aforisma 4 [285], p. 403.
(4) J. Améry, Intellettuale ad Auschwitz, a cura di C.
Magris, Bollati Boringhieri, Torino, 1987, p. 162.
(5) J. Améry, Levar la mano su di sé, a cura di
I. Cervelli, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, p. 21.
Guia
Risari, laureatasi in filosofia all'Università Statale
di Milano, si è specializzata in studi ebraici moderni
e letteratura all'Università di Leeds. Ha dedicato interventi
e articoli a Levi, Améry e Benjamin e attualmente si occupa
di letteratura comparata, mentre collabora con alcune case editrici
e riviste. Tra le sue pubblicazioni, The Document Within the
Walls, un saggio su Bassani e l'antisemitismo italiano (Troubador
Publishing, 1999), alcuni racconti e favole. Ha vinto il I premio
"Marengo d'oro" 2002, il I premio per la Saggistica
Filosofica "Il Viaggio Infinito" 2002, il premio del
Parlamento Europeo per la saggistica edita 2002 e il premio Firenze
2002 per la saggistica edita con il saggio Jean Améry.
Il risentimento come morale (Franco Angeli, Milano, 2002).
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