ERNESTO SABATO
- L'UMANITÀ CHE ABBIAMO PERDUTO -
Un'intervista
di Romano Pitaro
Parla
il grande scrittore argentino, coscienza critica di un Paese in
ginocchio
Fu
Camus a scoprirlo e il suo primo volume, Tunnel, riflette
l'ansia di vivere in un mondo assurdo. Fu poi la volta del suo
grande romanzo: Sopra eroi e tombe. Sabato è un
romanziere dalle descrizioni forti e impressionanti, ma anche
un intellettuale lucido e sempre dalla parte dei più deboli
(fu chiamato a presiedere la Commissione nazionale sui desaparecidos
nel 1985) che, ancora oggi, a 91 anni, propone un Patto tra
gli oppressi. Lo incontriamo una sera di giugno nella sua
vecchia casa di Santos Lugares, un quartiere della ribollente
Buenos Aires, dove dipinge e riflette: "Gli organismi
internazionali sono schiavi di una logica diabolica. Eravamo un
grande Paese ed oggi ci siamo ridotti così, che tristezza.
Il superamento di questa crisi dipenderà dalla gravità
con cui sapremo assumerla".
ad
Ernesto Sabato
"Tutta
la nostra vita sarebbe una serie di grida anonime in un deserto
di astri indifferenti?" Sabato per tanti è questo
interrogativo desolato, l'uomo che ha davanti a sé l'abisso
del nulla e dei silenzi totali e che, se si affida al punto di
domanda, è soltanto per non cedere al suicidio. Quest'interrogativo
attraversa la sua opera e avvinse Albert Camus e l'esistenzialismo
agli inizi del Novecento.
Ma questo romanziere argentino di 91 anni, che è stato
"ragazzino solitario e spaventato di un villaggio della
Pampa", avrebbe potuto essere un ragazzino spaventato
di un villaggio della Calabria dei primi del '900, quasi a ricordare
che in ciascuno di noi corrono sempre due destini, quello che
si è e quello che si sarebbe potuto essere. Quando gli
ricordo il destino che non ha avuto, si schermisce con un sorriso,
ma non distrae la sua anima dai dolori del presente: "E'
cosi", annuisce con voce flebile.
Sabato è non solo l'acuto, scrupoloso notaio di anime sprofondate
nell'oblio del terrore, dello sconforto e della paranoia (il suo
capolavoro è "Sopra eroi e tombe " che insieme
al Grande Sertão di Guimarães Rosa, secondo lo scrittore
triestino Claudio Magris, è il più grande romanzo
sudamericano e uno dei grandi libri del secolo).
Se pensiamo a Sabato e allo sradicamento subito dalla sua famiglia,
violento come solo l'emigrazione sa essere, e alla carneficina
dei militari nell'Argentina della "guerra sporca", comprendiamo
come abbia potuto mettere in bocca al protagonista di Tunnel (il
suo primo libro) Juan Pablo Castel, una frase cosi drammatica:
"Che il mondo sia orribile è una verità
che non necessita dimostrazioni".
Ma c'è sempre una luce dietro ogni sua rinuncia totale,
un baluginìo timido ma resistente alle tenebre . E se la
s'insegue, si scopre non la freddezza del razionalista, ma un
ingegno vivido, caldo, una saggezza che ha radici antiche, tempra
forte.
Cosi si scopre che Ernesto Sabato è anche un inno alla
speranza. Il suo sorriso dolce e la mano che tende per salutarci,
quando ci riceve nella casa dove ha vissuto per più di
sessant'anni , sono disarmanti. Dopo viaggi nell'animo umano più
inverecondo e ricolmo di feccia e l'immersione nelle crudeltà
della storia del suo Paese, è sempre lui che trova la forza
di affermare: "Soltanto chi sarà capace di incarnare
l'utopia sarà pronto per la battaglia decisiva, quella
destinata a recuperare l'umanità che abbiamo perduto".
Lo scrittore vivente più autorevole dell'America meridionale
che ha sangue calabrese ("Mescolati alla moltitudine di
colonizzatori, i miei genitori approdarono su queste spiagge con
la speranza di fecondare la Terra promessa che si estendeva oltre
le loro lacrime. Mio padre discendeva da italiani di montagna,
abituati alle asperità della vita, invece mia madre, che
apparteneva a un'antica famiglia albanese, dovette sopportare
i disagi con dignità" scrive in Prima della
fine, una sorta di testamento letterario destinato a coloro
"che si avvicinano alla morte e si chiedono a che pro
e perché abbiamo vissuto" e soprattutto utile
per capire il secolo da poco archiviato e l'Argentina "insozzata
dai governanti e dalla maggior parte dei politici") ci
riceve nella sua abitazione di Santos Lugares, nella periferia
ovest di Buenos Aires, e ci fa accomodare in uno studio tappezzato
di libri ( "Una volta a chi mi chiedeva quali letture
fare, ho risposto: leggete ciò che vi appassiona, sarà
l'unica cosa che vi potrà aiutare a sopportare l'esistenza").
Sulla scrivania la foto di sua moglie Matilde e del figlio, Jorge
Federico, entrambi morti ma con i quali parla ogni giorno: "Spesso
li guardo con la nostalgia di uno sguardo che mi spezza il cuore.
Come vorrei tornare indietro nel tempo. Darei tutti i miei libri
- e darei il mio prestigio, e gli onori e i riconoscimenti, pur
di recuperare la loro vicinanza".
Ha 91 anni, compiuti lunedì 24 giugno: "Quando
ero giovane credevo che il limite massimo per la mia vita sarebbe
stato 80 anni. Mi sono sbagliato. Si apprende di più dalla
vita quando si è vicino alla morte". Sabato ne
ha viste tante nella sua Argentina disincantata, "distrutta",
insanguinata ( "Negli anni che precedettero il colpo di
Stato del 1976 - ci ha detto - accaddero atti di terrorismo che
nessuna società civile avrebbe potuto sopportare. Invocando
tali fatti, i golpisti, criminali della più bassa lega,
rappresentanti di forze demoniache, scatenarono un terrorismo
infinitamente peggiore, poiché si esercitò con la
forza e l'impunità permessa dallo Stato assoluto, dando
inizio a una caccia alle streghe che pagarono non solo i terroristi,
ma migliaia e migliaia di persone") e oggi, ancora una
volta, in ginocchio.
Il Paese definito " il più metafisico del mondo"
appare quasi come una caramella succhiata, si stenta persino a
intravedere un accenno di futuro. "Eravamo un grande Paese
- ricorda più volte Sabato, ogni qual volta l'Argentina
s'infila nelle nostre parole. Con un mormorio quasi impercettibile,
come un pensiero fisso che lo tormenta: "Eravamo un grande
Paese. Io sono angosciato per la situazione che vive il mio paese.
Noi fummo una grande nazione intorno agli anni '20, ma oggi il
logoramento del mio Paese è tale che la parola nazione
è come un vestito grande su un corpo esile. E' sommamente
grave arrivare a scoprire che si è tradito tutto ciò
che significava il comune destino da realizzare; ed io le posso
assicurare che questo Paese ha avuto tutte le occasioni per incarnare
un importante destino. Però le abbiamo sciupate. Sistematicamente,
abbiamo disatteso tutte le opportunità che la storia ci
ha offerto e cosi siamo passati da granaio del mondo a un paese
dove ci sono bimbi che muoiono denutriti . E' da anni che io lancio
degli allarmi sulle conseguenze spaventose di questa politica
di sfruttamento e disumanizzazione".
Mentre ci mostra alcune edizioni italiane dei suoi tre romanzi
importanti: "Eravamo un grande Paese e adesso ci siamo
ridotti cosi. Che tristezza! Che tristezza!", soggiunge.
E i militari, maestro, i militari sono ancora uno spettro in questo
Paese che ha conosciuto le loro degenerazioni? Mi fissa attraverso
le sue spesse lenti, e di colpo ogni tremore del suo corpo vacillante
scompare, si capisce che non vuole rispondere, che ciò
che sta accadendo oggi in Argentina lo scuote e lo prostra, ma
poi il pensiero che non voleva articolare gli sfugge di bocca
: "I militari, i militari io li tengo alla porta, non
li faccio neanche entrare in casa mia
"
Sabato le ha attraversate tutte le drammatiche pagine argentine,
non solo quelle dell'arrivo degli europei, ad incominciare dalla
seconda metà del XIX secolo, che abbandonavano le loro
poche cose in cerca di un pezzo di terra da arare e strappare
"alla metafora del vuoto" che è la Pampa: "Quegli
uomini, per la maggior parte, non trovarono che un altro tipo
di miseria, fatta di solitudine e di nostalgia. Da questo irrimediabile
sconforto nacque il canto più strano che sia mai esistito,
il tango che una volta, Enrique Santos Discepolo, il suo creatore
più illustre, definì un pensiero triste che si balla.
Il tango è l'unico ballo popolare introspettivo".
E quasi pensando ai suoi genitori, che arrivarono in Argentina
a fine '800 da Fuscaldo (Francesco, il padre) e da San Martino
di Finita (la madre Giovanna Maria Ferrari) in provincia di Cosenza:
"Quanti italiani - ha scritto una volta - avrebbero
continuato a vedere le loro montagne e i loro fiumi, separati
dal dolore e dagli anni, nelle strade di Buenos Aires, in questa
metropoli costruita sul porto e trasformata in un deserto di ammucchiate
solitudini".
L'ultima delusione di questo scrittore che Guido Piovene, in un
piacevole saggio del 1966, defini " descrittore forte e impressionante"
e il cui primo romanzo, Tunnel, fu fatto conoscere all'Europa
da Camus , è stata l'ingiustizia delle leggi che hanno
impedito la punizione dei colpevoli di misfatti atroci commessi
durante la Guerra sporca .
E' stato lui a presiedere la commissione sugli scomparsi dal 1973
al 1986 (forse più di 30 mila vittime della tirannide)
dando al mondo Nunca más, la relazione ufficiale
redatta dalla commissione insediata da Raul Alfonsin nel 1985
che consentì la condanna dei membri della Giunta militare
(Videla, Viola e l'ammiraglio Massera): "In più
di cinquantamila pagine furono registrate le scomparse, le torture
ed i sequestri di migliaia di persone, spesso giovani ed idealisti,
il cui supplizio sarebbe rimasto per sempre nel punto più
lacerato del nostro cuore".
Oggi però sempre lui, con negli occhi le immagini delle
Madres de la Plaza de Mayo che ogni giovedì pomeriggio
sfilano davanti alla Casa Rosada ( secondo alcuni non più
in cerca delle persone scomparse ma della lista degli assassini
), commenta con scoramento il non essere riusciti a punire i colpevoli,
che, complici le leggi d'Obediencia debita e Punto final e poi
gli indulti "hanno cancellato quella volontà sovrana
che doveva essere un esempio di lotta etica, che avrebbe avuto
conseguenze esemplari per il futuro del Paese".
Nella conversazione Sabato s'intenerisce, quando il presidente
del Consiglio regionale calabrese, Luigi Fedele, lo invita a venire
in Calabria "Venga nella regione dei suoi genitori a trarre
dal Mediterraneo nuove ispirazioni per i suoi quadri". Riflette
un istante : "Verrò, verrò, se ce la faccio
".
Gli ricordo la pagina dedicata al padre calabrese ed alla Calabria
in uno dei suoi ultimi libri e avverto, attraverso il suo mezzo
sorriso , una commozione profonda in quest'uomo che ha attraversato
il '900 in lungo ed in largo: comunista, anarchico, socialista,
senza fedi, sempre contro l'oppressione, accanto agli ultimi (ancora
oggi tenta di dare una mano ai ragazzi sbandati del suo quartiere
e della sua città devastata dalla crisi).
Il ricongiungimento simbolico alla terra da cui s'imbarcarono
con il cuore in gola i suoi genitori alla ricerca di un futuro,
gli fa luccicare gli occhi . Ma la sua lingua non si lascia costringere
da nessuna angusta cavità dei suoi ricordi, dei dolori
che l'hanno schiacciata. Parla di sé in circa due ore di
conversazione senza narcisismi e supponenze, ma soprattutto degli
altri, questa coscienza critica di un Paese, l'Argentina, costretta
ancora una volta a ricominciare da zero, sempre che voglia fare
finalmente i conti con la storia, ma, anzitutto, con i propri
errori. Spiega senza peli sulla lingua : "La situazione
argentina è molto più grave di una semplice involuzione,
giacché contiene tutto il dolore che discende dall'aver
tradito l'utopia di quei grandi uomini che hanno fondato la nostra
nazione. La situazione si è aggravata per la delusione
e la sfiducia provocate nella gente dai discorsi demagogici della
politica, dalla corruzione, dall'impunità per le mafie
del potere e dall'inefficacia della classe politica. In questa
situazione, sarà molto difficile tornare a mettere in alto
le bandiere della speranza nel cuore del nostro popolo. Non si
può continuare a chiedere sacrifici alla gente per ricostruire
un territorio devastato da coloro che avrebbero dovuto governarlo".
Ma si è giunti a questo punto perché l'Argentina
è, come diceva Guido Piovene, il Paese più metafisico
del mondo? Un Paese quasi irreale che non fa i conti da decenni
con la sua reale condizione economica? All'inizio della conversazione,
avevo avuto la percezione che Sabato volesse eludere i temi politici,
muoversi soltanto nell'etereo pensiero scevro delle acuminate
concretezze del presente. Errore. Di punto in bianco, nei suoi
occhi si accende la vis polemica contro un certo modo di essere
scrittore e di essere nella storia afflitta dalla mortalità
dell'uomo : "Se lei, citando Piovene, vuol dire che l'Argentina
non è riuscita a portare avanti un progetto di Paese per
una sua certa condizione metafisica, io non sono d'accordo. Il
problema metafisico fondamentale, il classico mal metafisico che
affligge l'uomo è l'inevitabile dramma della sua fine,
il fatto tragico che l'uomo, costituzionalmente, è un essere
per la morte. Anche se, paradossalmente, data questa curiosa dialettica
dell'esistenza, gli eventi più portentosi della storia
sono stati concretati da esseri umani imperfetti. Uomini e donne
che hanno costruito le proprie opere come chi innalza un monumento
in un porcile. Non si tratta di grandi fatti dovuti a dei Prometeo,
ma a dei mortali effimeri e fragili, uomini di carne ed ossa,
come Beethoven, Dante, Bolivar o Belgrano. E che maggior segno
di maturità si può chiedere ad un uomo, oltre a
quello di accettare questa dura condizione dell'esistenza, il
che significa vivere ed operare in permanente tensione con la
morte". E allora, maestro ?
"Le ho già detto che stiamo attraversando una gran
crisi. Ma questo disastro al quale lei ben fa riferimento, non
può essere attribuito al dramma metafisico. In fin dei
conti gli argentini non sono gli unici esseri umani del pianeta,
con la sgradevole abitudine di morire. Lo stesso dramma affligge
il più umile e il più importante dei cittadini di
qualunque nazione, senza che questo faccia tremare gli indici
della borsa. Parliamo sul serio: quello che afferma Piovene è
in gran parte indovinato, ma se lei mi chiede di questo disastro
che stiamo vivendo, io le dico che la responsabilità non
può essere ascritta alla metafisica; ma ad un sistema economico
imposto come modello unico ed al quale si pretende di adattare
tutto l'ambito della realtà. Ciò che sembra irreale,
tremendo, spaventoso, è che per gli organismi internazionali
che sostengono questo modello, la sacralità dell'umana
creatura sia un ostacolo per i loro bilanci. Spesso penso che
gli organismi internazionali siano schiavi di una logica demoniaca."
Sabato è nato a Rojas, nei pressi di Buenos Aires nel 1911.
Di lui si racconta di tutto, della sua conversione alla letteratura
quando nel 1945 rinuncia alla scienza (si è laureato in
fisica a La Plata), del suo impegno alla Presidenza della Comisiòn
Nacional de la Desaparaciòn de Personas nel 1983. Da quando
ha rinunciato alla carriera di scienziato per la riflessione letteraria,
il suo mondo di relazioni è cambiato. Oggi è convinto
che non solo l'Argentina stia soffrendo, ma il mondo intero corra
dei rischi: "Dobbiamo aprirci al mondo. Non pensare che
il disastro sia là fuori, ma che arde come un incendio
proprio nelle nostre sale da pranzo".
Nel suo volume di memorie, in cui scorre la sua esistenza, dall'infanzia
all'impegno politico, dalle conoscenze importanti come Camus e
Che Guevara, lancia un tutt'altro che pessimista "Patto
tra i vinti" di tutti i continenti: "Anch'io
ho voluto fuggire dal mondo, ma alla fine non l'ho fatto. Vi propongo,
dunque, con la gravità delle ultime parole di una vita,
di unirci in un compromesso: usciamo verso gli spazi aperti, rischiamo
per gli altri, aspettiamo, assieme a chi tende le braccia, che
una nuova onda della storia ci accompagni. Forse sta già
succedendo, in un modo silenzioso e sotterraneo, come i germogli
che palpitano sotto la terra in inverno. Qualcosa per cui valga
la pena di soffrire e morire, una comunione tra uomini, quel patto
tra vinti. Un sola torre, si, ma rifulgente e indistruttibile.
In tempi oscuri ci aiutano coloro che hanno saputo orientarsi
nella notte. Pensate sempre alla nobiltà di questi uomini
che redimono il genere umano. Attraverso la loro morte ci consegnano
il valore supremo della vita, mostrandoci che l'ostacolo non impedisce
la storia, e ci ricordano quanto l'utopia sia necessaria all'uomo."
Quando ci lasciamo, Sabato è visibilmente stanco. Ho visto
il lettino in cui dorme in una stanza angusta fatta di cose essenziali,
una lume per la notte, dei libri, una macchina per scrivere su
un tavolino accanto alla finestra. Non ci sono lussi nella sua
casa in cui le crepe nell'intonaco corrono veloci senza che nessuno
possa fermarle, quasi che il suo ritorno in questa casa, in cui
vissero sua moglie e suo figlio, non consenta aggiustamenti, mutamenti
di scenario ("Voglio che la casa resti cosi com'è,
con le sue crepe e le pareti mezzo scrostate
questa casa
in cui nacque la mia opera e in cui morì Matilde").
Stessa cosa per gli alberi, la vecchia araucaria, due pini centenari
e un mastodontico gelso che nessuno pota più nel suo giardino
selvaggio. Una casa destinata a non subire ritocchi, testimone
di vite vissute. Sabato attende la fine, specchiandosi nei muri
ruvidi di stanze che hanno sentito il respiro della vita che da
qui è passata. E mentre l'attende dipinge, seduto su uno
sgabello accanto ad una tela: "la pittura mi aiuta a liberarmi
delle ultime tensioni notturne". E sulla tela tratteggia
le sue angosce surrealiste in chiave originale, "l'universo
tenebroso, illuminato solo da una tenue luce".
In qualche posto, questo scrittore che non ha mai concepito l'arte
come connessioni di parole e di stili astratti ("l'arte
per me è un prezioso mezzo per scrutare la condizione dell'uomo
e della sua anima, in questo mondo apocalittico, l'arte e la letteratura
ci debbono aiutare a scoprire il significato della vita e della
morte"), ha scritto che spesso nella sua vita si è
sentito "come colui che aspetta un treno che mi riportasse
indietro". Indietro dove? E fin dove? E cos'hanno a che
vedere con la sua storia spesso finita al centro delle cronache
mondiali per un impegno a difesa dei diritti umani, i richiami
alle canzoni della terra di suo padre ("Ricordo che certe
volte la sera mi teneva sulle ginocchia e mi cantava le canzoni
della sua terra"), o il Mediterraneo "che gli offuscò
lo sguardo" quella volta che andò in Calabria a conoscere
il luogo dove un giorno il padre s'innamorò di sua madre
?
La cosa curiosa di questo scrittore che ha scritto soltanto quando
sentiva dentro di sé il desiderio di aggiungere un mattone
nella gigantesca pila del sapere umano, è che, pur indugiando
spesso alla riflessione astratta, non si lascia mai distaccare
dalla realtà di tutti i giorni, neanche oggi. Da dove deve
può ricominciare l'Argentina ?
Sabato si ritrae per un istante, accarezza il suo vecchio cane
che scodinzola e s'infila sotto il tavolo : "Siamo giunti
a questo punto per via dei militari, delle politiche sociali ed
economiche non pensate per l'interesse generale, ma imposte dal
dispotismo dei grandi gruppi internazionali che ci controllano,
complici i tanti funzionari pubblici corrotti che hanno saccheggiato
il patrimonio del paese a beneficio personale. La soluzione dovrà
venire dalle crepe che si stanno aprendo nel tessuto sociale e
politico, da questo disastro può uscire un altro tipo di
impegno. Come in ogni grande tragedia, questo è un tempo
risolutivo e il superamento di questa crisi dipenderà dalla
gravità con cui sapremo assumerla."
Ernesto Sabato
..
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