IL
MORTO
Ray
Bradbury
"È
quell'uomo laggiù," sciamò la signora Ribmoll,
indicando con il capo l'altro lato della strada. "Vede quel
tizio appollaiato sul barile di catrame, davanti al negozio del
signor Jemkins? Be', è lui.Lo chiamano Martin lo Strano."
"Quello che dice di essere morto?" strillò Arthur.
La signora Ribmoll annuì. "Picchiato come un'incudine.
È convintissimo di essere morto fin dall'alluvione e nessuno
gli dà retta.
"Lo vedo seduto là tutti i giorni," proseguì
Arthur.
"Se ne sta là seduto, sì. Sta seduto e fissa
il vuoto. Io dico che è una vera vergogna che non lo sbattano
in galera."
Arthur fece una smorfia rivolta allo sconosciuto. "Bah!"
"Lascia perdere, non si accorge di niente. È l'uomo
più incivile che abbia mai visto. Non c'è niente
che gli vada bene." La signora Ribmoll diede uno strattone
al braccio di Arthur. "Andiamo, tesoro, dobbiamo andare a
fare spese."
Risalirono
la strada passando davanti al barbiere, il signor Simpson, che
rimase a guardare fuori dalla vetrina, tagliuzzando a vuoto con
le sue forbici blu e masticando una gomma ormai priva di gusto.
Il barbiere sbirciò pensieroso attraverso il vetro macchiato
dalle mosche, osservando l'uomo seduto sul barile di catrame.
"Immagino che sposarsi sia la cosa migliore che potrebbe
capitargli", esclamò. I suoi occhi brillavano maliziosi.
Da sopra la spalla lanciò un' occhiata alla sua manicure,
la signora Weldon, intenta a limare le unghie tutte rovinate di
un contadino di nome Gilpatrick. Sentendo questo suggerimento
la ragazza non sollevò lo sguardo. L'aveva udito spesso.
La prendevano sempre in giro per colpa di Martin lo Strano.
Il signor Simpson si allontanò dalla vetrina e riprese
a lavorare sui capelli impolverati di Gilpatrick, che si mise
a ridacchiare sottovoce. "Quale donna sposerebbe lo Strano?
A volte quasi ci credo anch'io che sia morto, ha addosso un tale
puzzo."
La signora Weldon alzò lo sguardo, fissò Gilpatrick
e gli tagliò deliberatamente un dito con una delle sue
limette affilate. "Accidenti! Stia attenta a quel che fa!"
La ragazza lo fissò con i suoi occhi azzurri piccoli e
calmi nel visino pallido. Aveva i capelli castano-topo, non si
truccava e in genere non parlava con nessuno.
Il signor Simpson scoppiò in una ristata stridula e fece
scattare a vuoto le forbici d'acciaio. "Gah, gah,gah!"
rise più o meno così. "La signora Weldon sa
cosa fa, Gilpatrick, meglio che tu stia attento. Lo scorso Natale
la signorina Weldon ha regalato a Martin una bottiglia di acqua
di colonia che l'ha aiutato a coprire un po' la sua puzza."
La signorina Weldon posò gli strumenti.
"Mi spiace, signorina Weldon," si scusò il signor
Simpson. "Non dirò più nulla."
La donna riprese in mano i suoi arnesi con evidente riluttanza.
"Ehi, ecco che ricomincia!" urlò uno degli altri
quattro clienti in attesa nel negozio. Il signor Simpson si girò
di scatto, rischiando di portarsi dietro, tra le forbici, il roseo
orecchio di Gilpatrick. "Venite a vedere, ragazzi!"
In
quel preciso istante, dall'altra parte della strada lo sceriffo
usciva dalla porta del suo ufficio, anch'egli vide ciò
che stava succedendo. Vide che cosa stava facendo Martin lo Strano.
Tutti uscirono di corsa dai negozietti.
Lo sceriffo arrivò e guardò giù nel cataletto
di scolo.
"Andiamo, Martin, andiamo," gridò, dandogli un
colpetto leggero con la punta degli stivali neri lucidati. "Andiamo,
alzati. Non sei morto. Stai bene quanto me. Ti prenderai un bel
raffreddore lì sdraiato in mezzo ai mozziconi e alle cartacce!
Su alzati!"
Arrivò anche il signor Simpson, e guardò a sua volta
Martin sdraiato a terra. "Sembra un cartone del latte."
"Sta occupando un sacco di spazio dove potrebbero parcheggiare,
ed è pure venerdì mattina," si lamentò
lo sceriffo. "C'è molta gente che avrebbe bisogno
di questo posto. Su, Martin
Hmm. Bene, datemi una mano, ragazzi."
Spostarono il corpo sul marciapiede.
"Lasciatelo lì," ordinò lo sceriffo, camminando
avanti e indietro nei suoi stivaloni. "Lasciatelo lì
fino a quando non si sarà stancato. È abituato a
fare queste cose, gli piace la pubblicità. Smammare, ragazzini!"
A queste parole un gruppo di ragazzetti si disperse precipitosamente.
Tornato nel negozio di barbiere, Simpson si guardò in giro.
"Dov'è la signorina Weldon?" Guardò fuori
dalla vetrina. "Ah, eccola lì. È andata a ripulirlo
un'altra volta mentre lui se ne sta sdraiato a terra. Gli sistema
il vestito, glielo abbottona. Eccola che arriva. Che nessuno si
sogni di fare battute, sapete che si arrabbia."
L'orologio batté le dodici, poi l'una, le due e infine
le tre. Il signor Simpson contò i rintocchi. "Scommetto
che Martin se ne starà sdraiato fino alle quattro,"
commentò.
Qualcuno aggiunse:2 Io scommetto che starà lì fino
alle quattro e mezza."
"L'ultima volta" - un clic-clac delle forbici - "ha
resistito quattro ore. Oggi è una bella giornata calda,
e magari si fa una dormita fino alle cinque. Vada per le cinque.
Vediamo i vostri quattrini, signori. Forse anche più tardi."
Il denaro venne raccolto e appoggiato su uno scaffale vicino ai
barattoli di brillantina.
Tra i presenti c'era un ragazzo che si mise a scortecciare un
bastone con il suo coltellino. "È strano come scherziamo
su Martin. Dentro di noi, ci fa paura. Voglio dire che non permetteremmo
mai a noi stessi di credere che sia davvero morto. Non osiamo
crederlo. Non ce la caveremmo più se ci convincessimo di
una cosa del genere, e allora ci scherziamo sopra. Lasciamo che
si sdrai dove gli pare. Non fa del male a nessuno. Si limita a
starsene lì. Però mi sono accorto che il dottor
Hudson non ha mai appoggiato davvero lo stetoscopio sul cuore
di Martin. Scommetto che aveva paura di ciò che avrebbe
potuto scoprire."
Paura
di ciò che avrebbe potuto scoprire!" Risate. Anche
Simpson rise, e fece snik-snik con le forbici. Due uomini con
dei barboni incrostati risero un po' troppo sguaiatamente. La
risata non durò a lungo. "Sei proprio un tipo divertente!"
dissero tutti al ragazzo, scambiandosi grandi pacche sulle ginocchia
magre.
La signorina Weldon continuò a fare la manicure al suo
cliente.
"Si sta alzando!"
Tutti si avvicinarono alla vetrina per vedere Martin lo Strano
tirarsi in piedi. "È su un ginocchio, ora sull'altro,
adesso qualcosa gli dà una mano."
"È la signorina Eldon. Si è subito precipitata
ad aiutarlo."
"Che ore sono?"
"Le cinque. Fuori i soldi, ragazzi!"
"Quella signorina Weldon è una tipa ben strana anche
lei. Prendersi cura di un uomo come Martin!"
Simpson fece schioccare le forbici. "essendo un'orfana, è
una persona tranquilla, le piacciono gli uomini che non parlano
molto. Lo Strano non parla quasi mai, al contrario di noi zoticoni,
vero amici? Parliamo troppo, e alla signorina Weldon non piace
il nostro modo di esprimersi."
"Ecco che se ne vanno tutti e due, la signorina Weldon e
Martin lo Strano."
"Simp, rifilami ancora un po' intorno alle orecchie, per
favore."
Il
piccolo Charlie Bellows percorreva la strada facendo rimbalzare
una palla di gomma rossa, con la frangia di capelli biondi che
gli sfiorava gli occhi blu. Colpì distrattamente la palla,
tenendo la lingua tra le labbra, e la palla andò a finire
sotto i piedi di Martin lo strano, che nel frattempo era tornato
a sedersi sul barile di catrame. All'interno della drogheria,
la signorina Weldon stava facendo la spesa per la cena, infilando
in un cestino lattine di minestra e di verdura in scatola.
"Posso riavere la mia palla?" chiese il piccolo Charlie
Bellows sollevando lo sguardo verso il metro e novanta di Martin.
Vicino a loro non c'era nessuno che potesse sentirli.
"Puoi riavere la tua palla?" domandò a sua volta
Martin, esitante, dando l'impressione di volerci pensare su un
po' prima di rispondere. I suoi spenti occhi grigi modellarono
Charlie come si potrebbe modellare una pallina di argilla. "Puoi
riavere la tua palla; sì, prendila."
Charlie si piegò lentamente ad afferrare la sfera di gomma
rosso brillante, e si rialzò poi lentamente, con uno sguardo
carico di mistero. Guardò a nord, poi a sud, e infine fu
la volta della faccia pallida e ossuta di Martin lo Strano. "Io
so una cosa."
Martin abbassò lo sguardo. "Sai una cosa?"
Charlie si allungò verso di lui. "Tu sei morto."
Martin lo Strano restò lì seduto.
"Sei morto davvero," sussurrò il piccolo Charlie
Bellows. "Ma io sono l'unico a saperlo. Io ti credo, signor
Strano. Ci ho provato anch'io una volta. A morire, voglio dire.
È difficile, una vera faticaccia. Sono rimasto steso sul
pavimento per un'ora. Però sbattevo gli occhi, e mi prudeva
la pancia, così me la sono grattata. E poi ho lasciato
perdere. E perché?" Si guardò le scarpe. "Perché
dovevo andare al gabinetto."
Nella carne morbida e pallida del viso di Martin, lungo e ossuto,
apparve un lento sorriso di comprensione. "È una gran
fatica, e non è facile per niente."
"Qualche volta penso a te," riprese Charlie. "Ti
vedo mentre cammini vicino a casa mia, di notte. A volte alle
due del mattino, a volte alle quattro. Mi sveglio e so che sei
là fuori a gironzolare. So che dovrei guardare fuori allora
guardo, e cavoli!, eccoti lì, che cammini e cammini, senza
andare da nessuna parte."
"Non c'è nessun posto in cui andare." Martin
se ne stava seduto con le larghe mani squadrate e callose sulle
ginocchia. "Io provo a pensare a un - posto dove - andare
- " rallentò, come un cavallo frenato dal morso"
- ma è difficile pensare. Io ci provo e - provo. Certe
colte quasi so cosa fare, dove andare, poi però me lo dimentico.
Un giorno mi era venuto in mente di andare da un dottore e farmi
dichiarare morto, ma chissà per qual motivo" - la
sua voce era diventata lenta, rauca e bassa - "non ci sono
mai andato."
Charlie lo fissò dritto in faccia. "Se vuoi ti porto
io."
Martin lo Strano guardò lentamente il sole che tramontava.
"No. Sono stanco morto, ma - aspetterò. Sono arrivato
fin qui e adesso sono curioso di vedere che cosa succederà.
Dopo l'alluvione che si è portata via la mia fattoria e
tutto il bestiame e mi ha cacciato sott'acqua, come un pulcino
in un secchio, mi sono riempito d'acqua come una borraccia, e
in qualche modo me ne sono venuto via a piedi dall'alluvione.
Però sapevo di essere morto. A notte tarda me ne sto sdraiato
nella mia stanza ad ascoltare, ma non sento il battito del mio
cuore nelle orecchie, nel petto, o nei polsi, anche se rimango
immobile come un pezzo di legno. Dentro di me c'è solo
oscurità, rilassamento e una forma di comprensione. Eppure
dev'esserci un motivo se io cammino ancora. Forse è perché
quando sono morto ero giovane. Avevo solo ventott'anni, ed ero
ancora scapolo. Ho sempre voluto sposarmi, ma non ci sono mai
riuscito. Ed eccomi qui, ridotto a svolgere strani lavoretti in
giro per la città e a risparmiare denaro, perché
io non mangio mai: cavolo, non posso mangiare, e a volte sono
così scoraggiato e fuori dai gangheri che mi sdraio nel
cataletto di scolo sperando che mi prendano e mi infilino in una
cassa di pino, e mi seppelliscano per sempre. E al tempo stesso
non vorrei che accadesse. Voglio qualcosa di più. So che
ogni volta che la signorina Weldon mi passa vicino e il vento
gioca nei suoi capelli come con una piuma castana
"
Martin concluse la frase con un sospiro e sprofondò nel
silenzio.
Charlie Bellows rimase educatamente zitto per un minuto, poi si
schiarì la voce e schizzò via, facendo rimbalzare
la palla. "Ci vediamo!"
Lo Strano continuò a fissare il punto dov'era stato Charlie.
Cinque minuti dopo sussultò. "Eh? C'è qualcuno?
Qualcuno ha parlato?"
La
signorina Weldon uscì dalla drogheria con un cestino pieno
di roba da mangiare.
"Ti va di accompagnarmi a casa, Strano?"
Si incamminarono in un silenzio rilassato, la donna attenta a
non procedere troppo velocemente, perché Martin disponeva
i passi con estrema circospezione. Il vento frusciava tra i cedri,
gli olmi e gli aceri su tutta la strada. Martin socchiuse più
volte le labbra, sbirciando la sua compagna e affrettandosi a
serrare di nuovo la bocca e a fissare davanti a sé, quasi
stesse guardando qualcosa che si trovava a un milione di chilometri
di distanza.
A un tratto Martin disse: "Signorina Weldon?"
"Sì, Strano?"
"Ho continuato a risparmiare quattrini, e ho messo via una
bella sommetta. Non spendo niente e - be', ne sarebbe sorpresa"
aggiunse con sincerità."Possiedo circa mille dollari.
Forse più. A volte li conto, poi mi stanco e non riesco
più a contare. E - " d'un tratto sembrava confuso
e vagamente arrabbiato con lei. "Perché le piaccio,
signorina Weldon?" le chiese.
La donna parve un po' sorpresa, poi gli sorrise. Lo sguardo di
apprezzamento che gli rivolse era quasi infantile. "Perché
sei un tipo tranquillo. Perché non sei rumoroso e cattivo
come gli altri al negozio di barbiere. Perché sono sola,
e tu sei stato gentile. Perché sei il primo a cui sia mai
piaciuta. Gli altri non mi hanno mai nemmeno degnata di un'occhiata,
dicono che non so pensare, e che sono un'idiota, perché
non ho finito le medie. Ma sono così sola, Martin, e parlare
con te significa molto per me."
Lui le prese la mano, piccola e pallida, stringendola forte. La
signorina Weldon si inumidì le labbra. "Mi piacerebbe
che potessimo cambiare il modo in cui la gente parla di te.. Non
voglio sembrare cattiva, Strano, ma se solo smettessi di dir loro
che sei morto
"
L'uomo si arrestò. "Allora non mi credi nemmeno tu,"
commentò con tono distaccato.
"Tu sei 'morto' perché desideri intensamente la cucina
di una brava donna, l'amore, il vivere come si deve. Ecco cosa
intendi per 'morto'; nient'altro!"
Gli occhi grigi di Martin erano profondi e smarriti. "È
quello che ho sempre voluto dire."
I loro passi marciarono uniti, alla deriva nel vento come foglie
svolazzanti, mentre la sera diventava più tenera e buia,
e cominciavano a uscire le stelle.
Quella sera, verso le nove, due ragazzi e due ragazze erano fermi
sotto un lampione. Videro in lontananza qualcuno che camminava
tutto solo, lento e in silenzio.
"Eccolo là," esclamò uno dei ragazzi.
"Chiediglielo tu, Tom."
Tom si accigliò, a disagio. Le ragazze risero di lui, e
allora decise di accettare: "Va bene, però venite
anche voi."
Il vento scuoteva gli alberi, facendo cadere manciate di foglie
vicino alla testa di Martin lo Strano, che si stava avvicinando.
" Signor Strano? Senta, signor Strano."
"Eh? Salve."
" Noi
ehm
cioè" Tom deglutì,
guardandosi intorno in cerca di aiuto. "Vorremmo chiedere
se
be'
ci piacerebbe che venisse alla nostra festa!"
Un minuto più tardi, dopo aver guardato la faccia pulita
e profumata di sapone di Tom e aver notato la bella giacca blu
che indossava la sua amica sedicenne, Martin rispose. "Grazie,
ma non saprei, può darsi che mi dimentichi di venire."
"No, non lo farà," insisté Tom. "se
ne ricorderà per forza: è Halloween!"
Una delle ragazze l'afferrò per un braccio e sibilò.
"Lascia perdere, Tom. Lascia perdere, per favore. Non va
bene, non fa abbastanza paura."
Tom si liberò dalla presa. "Lascia che sia io a occuparmene."
La ragazza lo supplicò. "No, per favore. È
solo un vecchio zozzone. Bill può mettersi della cera sulle
dita e quegli orribili denti di porcellana in bocca, farsi le
occhiaie verdi, e metterci addosso una paura da farsela sotto.
Non abbiamo bisogno di lui!" Con un cenno imperioso
indicò Martin.
L'uomo rimase fermo. Ascoltò per dieci minuti il vento
che scuoteva la cima degli alberi prima di accorgersi che i quattro
ragazzi non c'erano più. Una risatina secca gli salì
nella gola come un sassolino. Bambini. Halloween. Non fa abbastanza
paura. Bill andrà meglio. Solo un vecchio. La sua risata
gli sembrò strana e amara al tempo stesso.
Il mattino dopo, il piccolo Charlie Bellows lanciava la palla
contro la facciata dell'emporio, la riprendeva, la gettava di
nuovo. Dietro di sé udì qualcuno canticchiare a
bocca chiusa, si voltò. "Oh, ciao, signor Strano!"
Martin camminava, intento a contare alcuni dollari che aveva in
mano. D'un tratto si fermò, con lo sguardo vuoto.
"Charlie!" chiamò. "Charlie!" Cercò
con le mani a tentoni.
"Sì, signor Strano!"
"Charlie, dove stavo andando? Dove stavo andando? Andavo
da qualche parte a comperare qualcosa per la signora Weldon! Charlie,
aiutami!"
"Sì, signor Strano." Charlie gli corse vicino
e si fermò nella sua ombra.
Dall'alto scese una mano con dei soldi, almeno settanta dollari.
"Charlie, corri a comperare un vestito per - la signorina
Weldon
" La mente di Martin lottava, cercava, afferrava,
persa in una ragnatela di oblio. Sul suo viso si leggevano terrore
puro, desiderio e paura. "Non riesco a ricordami il posto,
mio dio, aiutami a ricordare. Un vestito e un soprabito, per la
signorina Weldon - al - al
"
"Ai grandi magazzini Krausmeyer?" suggerì Charlie.
"No."
"Da Fieldman?"
"No!"
"Dal signor Leiberman?"
"Da Leiberman! Eccolo! Leiberman, Leiberman! Ecco, ecco,
Charlie, prendi e corri da
"
"Leiberman."
"E compra un vestito nuovo per - la signorina Weldon, e un
soprabito. Un vestito verde nuovo, con dipinte delle rose gialle.
Comprali e portameli qui. Oh, Charlie, aspetta."
"Sissignore."
"Charlie, credi che potrei darmi una ripulita a casa tua?"
chiese Martin con una certa umiltà. "Ho bisogno di
farmi un - un bagno."
"Caspita, non saprei, signor Strano. I miei sono gente buffa.
Non saprei."
"Non fa niente, Charlie. Capisco. Corri, adesso!"
Charlie afferrò il denaro e schizzò via. Arrivò
dal barbiere e cacciò dentro la testa. Il signor Simpson
smise di sforbiciare i capelli del signor Trumbull e lo guardò
fisso. "Ehi!" gridò Charlie. "Martin lo
Strano sta canticchiando una canzone!"
"Quale canzone!"volle sapere il signor Simpson.
"Fa così," rispose Charlie, e la intonò.
"Gran Dio onnipotente!" gridò Simpson. "È
per quello che la signorina Weldon non è qui a fare le
mani stamattina! Quella canzone è la Marcia nuziale!"
Charlie corse di nuovo via. Che pandemonio!
Urla,
risa, il suono di acqua scrosciante e gocciolante. Il retro del
negozio di barbiere era invaso dal vapore. Facevano a turno. Per
prima cosa, il signor Simpson prese un secchio di acqua bollente
e lo versò addosso a Martin, che se ne stava seduto nella
vasca senza dir nulla, poi il signor Trumbull gli strofinò
la schiena pallida con una grossa spazzola e un sacco di sapone
per il bestiame, mentre di tanto in tanto Tappo Phillips gli spruzzava
addosso alcune gocce di acqua di Colonia. Tutti ridevano e correvano
in mezzo al vapore. "Stai per sposarti, eh, Strano? Congratulazioni,
ragazzo!" Altra acqua. "L'ho sempre detto che era quello
che ti serviva," rideva il signor Simpson, colpendo Martin
in pieno petto con una sferzata di acqua, questa volta fredda.
Martin fece finta di nulla. "Adesso avrai un profumo migliore!"
Martin se ne stava seduto. "Grazie, grazie tante per quello
che state facendo. Grazie per l'aiuto che mi date. Grazie per
questo bagno, ne avevo proprio bisogno."
Simpson rise sotto i baffi. "Ma figurati: qualsiasi cosa
per te, Strano."
"Ve li immaginate quei due sposati? Una scema sposata a un
idiota!" sussurrò qualcuno alle loro spalle, nascosto
dal vapore.
Simpson si rabbuiò in viso. Chiudete la bocca, lì
dietro."
Charlie irruppe nella stanza. "Ecco il vestito verde, signor
strano!"
Un'ora più tardi sistemarono Martin sulla poltrona da barbiere.
Qualcuno gli aveva prestato un paio di scarpe, che il signor Trumbull
stava lucidando vigorosamente, facendo l'occhiolino a tutti. Il
signor Simpson gli tagliò i capelli, e non volle essere
pagato. "No, no, Strano, consideralo come il mio regalo di
matrimonio. Sissignore. "Sputò, poi spruzzò
un po' di acqua di rose sui capelli scuri di Martin. "Ecco
fatto: chiaro di luna e rose!"
Martin
si guardò attorno. "Non dirà a nessuno di questo
matrimonio, fino a domani?" domandò. "Io e la
signorina Weldon desideriamo sposarci senza che tutta la città
ci prenda in giro. Capisce?"
"Ma certo, Strano," si affrettò a rispondere
Simpson, terminando il lavoro. "Acqua in bocca. Dove andrete
a vivere? Comprerai un'altra fattoria?"
"Fattoria?" Martin scese dalla poltrona. Qualcuno gli
aveva prestato un bel cappotto nuovo, e qualcuno altro gli aveva
stirato i pantaloni. Aveva un ottimo aspetto. "Sì,
sto proprio andando a concludere l'acquisto. Dovrò pagare
qualcosa di più, ma ne vale la pena. Splendido. Andiamo,
ora, Charlie Bellow." Si avviò verso la porta. "Ho
comperato una casa alla periferia della città e devo andare
a pagarla. Andiamo, Charlie."
Simpson lo fermò. "Com'è possibile? Non hai
molti soldi, non puoi certo permetterti granché."
"No," rispose lo Strano, "ha ragione. È
una casa piccola. Chi l'ha costruita tempo fa, ha dovuto trasferirsi
da qualche parte, a est; era in vendita a soli cinquecento dollari,
così l'ho comperata. Io e la signorina Weldon ci trasferiamo
stanotte, dopo la cerimonia. Per favore non lo dica a nessuno,
almeno fino a domani."
"Certo, Strano, certo."
Martin se ne andò nella luce delle quattro del pomeriggio,
con Charlie al suo fianco, e gli uomini nel negozio del barbiere
si misero a sedere, ridendo e parlando.
Il
mattino successivo, a colazione, il piccolo Charlie mangiava pensieroso
i suoi cereali. Suo padre abbassò il giornale e guardò
la moglie. "Tutti in città parlano della fuga d'amore
di Martin lo Strano e della signorina Weldon," esclamò.
"Li stanno cercando, ma non riescono a trovarli."
"Be'", dicono che Martin abbia comperato una casa per
lei," osservò la madre.
"Anch'io l'ho sentito dire," aggiunse il padre. "Questa
mattina ho telefonato a Carl Rogers: dice che non ha venduto nessuna
casa allo Strano. E Carl è l'unico agente immobiliare
in città."
Charlie Bellow inghiottì un po' di cereali e guardò
il padre. "Oh, no, lui non è l'unico agente immobiliare
in città."
"Che cosa vuoi dire?" chiese lui.
"Niente, solo che ho guardato dalla finestra a mezzanotte,
e ho visto qualcosa."
"Che cosa hai visto?"
"Era tutto illuminato dalla luna, e sai che cosa ho visto?
Be', ho visto due persone che camminavano lungo la via Elm Glade.
Un uomo e una donna. Lui indossava un cappotto scuro, lei un vestito
verde. Camminavano lentissimi, tenendosi per mano." Charlie
riprese fiato. "Erano Martin lo Strano e la signorina Weldon.
Oltre la via Elm Glade, e in quella direzione non ci sono case,
solo il cimitero di trinità Park. E il signor Gustavsson,
in città, vende tombe nel cimitero di Trinità Park.
Per questo ho detto che il signor Carl Rogers non è l'unico
agente immobiliare in città. Quindi
"
"Stavi sognando!" lo interruppe il padre con tono irritato.
Charlie chinò il capo sui cereali, sbirciando appena con
la coda dell'occhio.
"Sissignore," mormorò infine, sospirando. "Stavo
solo sognando."
(Tratto
dal libro Danza di morte, - I maestri dell'orrore - , Edizione
Bompiani, Milano, 1995, a cura di Dennis Etchison, traduzione
di Stefano Gardinale)
Ray Bradbury
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