DOV'ERA ANDATO, CHRIS?
La postfazione del romanzo
"Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta"
Robert M. Pirsig
In
questo libro si parla molto del modo di vedere le cose proprio
degli antichi greci, ma c'è un aspetto di cui non si dice
nulla: la loro visione del tempo. I greci vedevano il futuro come
qualcosa che ci arriva alle spalle, mentre il passato si allontana
davanti a noi.
A pensarci bene, è una metafora più esatta della
nostra: come si può guardare al futuro? Si possono solo
fare proiezioni dal passato, anche quando il passato dimostra
che queste proiezioni sono spesso errate. E come si può
veramente dimenticare il passato? Che cos'altro conosciamo?
Dieci anni dopo la pubblicazione di Lo Zen e l'arte della manutenzione
della motocicletta questa prospettiva greca è molto
calzante. Come sia il futuro che arriva alle mie spalle non lo
so, ma il passato, davanti a me, domina tutto a perdita d'occhio.
Certo nessuno avrebbe potuto prevedere ciò che è
accaduto dal giorno in cui, dopo 121 risposte negative, un editore
solitario mi offrì un anticipo di 3.000 dollari. Era un
libro, disse, che lo aveva costretto a chiedersi perché
faceva l'editore; quei 3.000 dollari, aggiunse, sarebbero stati
quasi sicuramente il primo e l'ultimo pagamento, ma non dovevo
scoraggiarmi. Con un libro simile i soldi erano una faccenda marginale.
Ed era vero. Ma poi venne il giorno della pubblicazione, e arrivarono
le recensioni sbalorditive, il successo, le interviste sui giornali,
alla radio e alla televisione, le proposte cinematografiche, le
edizioni straniere, gli infiniti inviti a dibattiti e conferenze,
le lettere degli ammiratori - e così via, per settimane,
per mesi, Le lettere erano piene di domande: Perché? Come
è successo? Manca qualcosa, che cos'e? Che cosa ti proponeva
di dire veramente? In tutte c'è una nota di insoddisfazione:
chi le ha scritte sapeva che nel libro c'era più di quanto
non sembrasse: volevano sapere anche il resto.
In realtà non c'era un "resto": Nessun proposito
occulto. Mi era sembrato, semplicemente, che ci fosse più
qualità nello scrivere questo libro che nel non scriverlo.
Ma via via che il tempo si ritrae davanti a me e l'orizzonte che
sta intorno a questo libro si allarga, diventa possibile una risposta
più esauriente.
In svedese esiste una parola, Kulturbärer, che si
può rendere con "portatore di cultura", ma anche
così non è molto comprensibile. È un concetto
di cui gli americani non fanno grande uso, ed è peccato.
I libri portatori di cultura portano la cultura come un mulo porta
la sua soma. Non sono libri da scriversi con intenzione. I libri
portatori di cultura appaiono quasi per caso, come le alterazioni
improvvise del mercato azionario. Ci sono libri di grande qualità
che sono parte integrante della cultura, ma non è
la stessa cosa: questi libri sono sì parte della cultura,
ma non la portano in nessun posto. Per esempio, se parlano della
follia lo fanno con umanità e comprensione, perché
questo è l'atteggiamento culturale corrente; ma non portano
in sé nessun dubbio sul fatto che la follia possa essere
altro che una malattia o una degenerazione.
I libri portatori di cultura mettono in discussione i valori culturali
comunemente accettati, e spesso lo fanno in un momento in cui
la cultura si sta movendo in quella direzione. Non sono necessariamente
libri di grande qualità: La capanna dello zio Tom non
è certo un capolavoro, dal punto di vista letterario, ma
fu un libro portatore di cultura. Giunse in un momento in cui
la cultura era vicina al rifiuto della schiavitù. La gente
vi vide un ritratto dei suoi nuovi valori, lo fece suo, ed ecco
il clamoroso successo.
Il successo di Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta
sembra il risultato di un fenomeno analogo. Oggi l'elettroshock
coatto di cui si parla è illegale: è una violazione
della libertà umana. La cultura è cambiata.
Inoltre, il libro uscì proprio quando veniva messo in discussione
un altro valore culturale: il successo materiale: Gli hippy lo
rifiutavano in tronco, e i conservatori non riuscivano a capire
perché. Il successo materiale era il sogno americano: il
sogno di milioni di contadini europei che erano venuti a cercarlo
appunto in America, un mondo in cui loro e i loro discendenti
avrebbero finalmente avuto l'abbondanza. E adesso quegli stessi
discendenti cresciuti negli agi gettavano loro in faccia quei
sogni, dicendo che non valevano nulla. Ma che cosa volevano?
C'era una cosa che gli hippy sognavano e volevano, e la chiamavano
"libertà", ma la "libertà",
in ultima analisi, è una meta puramente negativa, che indica
soltanto che qualcosa non funziona. In realtà le alternative
offerte dagli hippy erano solo pittoresche e temporanee, e alcune
anzi andavano sempre più assomigliando a pure e semplici
degenerazioni. La degenerazione può essere divertente,
ma è difficilmente sostenibile come lodo per impiegare
la propria esistenza.
Questo libro propone un'alternativa diversa, e più seria,
al successo materiale. Più che un'alternativa, in verità,
è un'estensione del significato di "successo"
a qualcosa di più ampio che l'avere un buon lavoro e il
vivere in pace. Di più ampio, anche, della paura e semplice
libertà: indica un traguardo positivo che non ha nulla
di limitante. È questa, credo, la ragione principale del
suo successo: esso offriva proprio ciò di cui la cultura
era in cerca, e in questo senso è un portatore di cultura.
Il
panorama di questi ultimi dieci anni, sempre più lontano
davanti a me se lo guardo con occhi greci, ha una zona assai buia:
Chris è morto.
È stato assassinato. Fu verso le otto di sera di sabato
17 novembre 1979, a san Francisco: Chris era uscito dal Centro
Zen dove studiava per andare a trovare un amico che abitava lì
vicino, in Haight Street.
Secondo il racconto di alcuni testimoni, un'automobile accostò
al marciapiede e ne saltarono giù due negri: uno gli arrivò
alle spalle per bloccargli la fuga, e lo afferrò per le
braccia; quello davanti gli svuotò le tasche e, non trovando
nulla, si infuriò e prese ad agitare un grosso coltello.
Chris disse qualcosa che i testimoni non sentirono, e il suo aggressore
si infuriò ancora di più; Chris disse qualcos'altro
e l'uomo, fuori di sé, gli piantò il coltello nel
petto. Poi i due saltarono in macchina e scapparono.
Chris rimase per un po' appoggiato a una macchina, sforzandosi
di non svenire. Poi attraversò la strada barcollando e
si aggrappò a un lampione all'angolo tra Haight Street
e Octavia Street; infine, col polmone destro pieno di sangue,
perché la coltellata gli aveva reciso un'arteria polmonare,
si accasciò sul marciapiede e morì.
Io continuo a vivere, più che altro per la forza dell'abitudine.
Al suo funerale scoprimmo che quel mattino aveva comprato un biglietto
per l'Inghilterra dove io e la mia seconda moglie vivevamo su
una barca a vela. Poi arrivò una sua lettera con questa
frase: " Non credevo che sarei mai arrivato a compiere 23
anni". Li avrebbe compiuti di lì a due settimane.
Dopo il funerale caricammo tutte le sue cose su un vecchio furgone,
compresa una motocicletta di seconda mano che aveva appena comprato,
e il viaggio di ritorno ci portò su alcune delle strade
montane e desertiche del West che sono descritte in questo libro.
In quella stagione le foreste e le praterie erano coperte di neve,
solitarie e bellissime. Quando arrivammo a casa di suo nonno,
nel Minnesota, ci sentivamo più in pace. Le sue cose sono
ancora là, nella soffitta del nonno.
Io ho la tendenza a fissarmi su un problema filosofico e a girarci
intorno in cerchi sempre più stretti che, alla fine, o
fanno saltar fuori una risposta oppure diventano così involuti,
così ripetitivi, da essere pericolosi per la mia salute
mentale. Ora la mia domanda stava diventando ossessiva: "Dov'è
andato?".
Dov'era andato, Chris? Quel mattino aveva comprato un biglietto
aereo. Aveva un conto in banca, cassetti pieni di vestiti e scaffali
pieni di libri. Era una persona reale, viva, che occupava un tempo
e uno spazio su questo pianeta: e ora, d'un tratto, dov'era finito?
Era salito su per la ciminiera del crematorio? Era nella piccola
urna piena di ossa che ci avevano restituito? Stava suonando un'arpa
d'oro su una nuvola lassù? Nessuna di queste risposte aveva
senso.
La domanda da fare era: A che cosa ero così attaccato,
io? A qualcosa che si trovava solo nella mia immaginazione? Quando
si è stati in un ospedale psichiatrico questa non è
mai una domanda oziosa. Se Chris non era immaginario, dov'e andato?
Le cose reali scompaiono e basta? Se è così, è
un bel guaio per le leggi fisiche della conservazione. Ma se ci
atteniamo alle leggi della fisica, il Chris che è scomparso
era irreale. Gira, gira, gira
Ogni tanto scappava via, così
di punto in bianco, solo per farmi arrabbiare. Ma prima o poi
ricompariva; adesso però sarebbe potuto ricomparire? Perché
in fin dei conti, dove era andato questa volta?
Quel girare in tondo alla fine si arrestò quando capii
che prima di chiedersi "Dov'è andato?" bisognava
chiedersi: "Che cos'è il "Chris" che se
ne è andato?". È un vecchio vizio culturale
quello di pensare alle persone innanzitutto come a qualcosa di
materiale, qualcosa di carne ed ossa. Finché questa idea
reggeva, il problema era insolubile. Gli ossidi che erano nella
carne e nelle ossa di Chris, naturalmente, sono saliti su per
la ciminiera del crematorio. Ma non erano Chris.
Quello che bisognava capire era che il Chris di cui sentivo tanto
la mancanza non era un oggetto ma una sorta di ampio disegno,
e anche se la carne e le ossa si Chris facevano parte di questo
disegno, la cosa non finiva lì. Il disegno era più
vasto di Chris e di me, e ci legava con rapporti che noi non capivamo
né padroneggiavamo fino in fondo.
Ora il corpo di Chris, che era parte di quel disegno più
ampio, non c'era più. Ma il disegno restava. Al centro
c'era un grande strappo, un buco, ed era di lì che veniva
tutto il dolore. Il disegno cercava qualcosa a cui attaccarsi
e non lo trovava. È forse per questo che le persone in
lutto sono così attaccate alle lapidi e agli oggetti o
ai ritratti dei morti. È il disegno che cerca di mantener
salda la propria esistenza incentrandosi su questo o quel nuovo
oggetto materiale.
Un po' più tardi, quando tutto fu più chiaro, capii
che questi pensieri erano assai vicini a concetti che si trovano
in molte culture "primitive". Se si prende quella parte
del disegno che non è la carne e le ossa di Chris e lo
si chiama "spirito" o "fantasma" di Chris,
si potrà dire senza ulteriori traduzioni che lo spirito
e il fantasma di Chris sta cercando un nuovo corpo. Quando cose
del genere ci vengono presentate come credenze dei "primitivi"
le consideriamo superstizioni, perché per "fantasma"
o "spirito" intendiamo qualcosa come un ectoplasma materiale,
e non pensiamo invece che il loro significato potrebbe essere
tutt'altro.
Comunque sia, non molti mesi dopo, mia moglie rimase inaspettatamente
incinta. Ne discutemmo a lungo e decidemmo che era meglio non
farne nulla. Io ho passato i cinquanta, e non me la sentivo di
affrontare una nuova paternità. Avevo fatto la mia parte.
Sicché fissammo l'appuntamento con il medico. Poi accadde
una cosa molto strana, che non dimenticherò mai. Mentre
ridiscutevamo tutti gli aspetti della nostra decisione, ci fu
una sorta di dissociazione: come se mia moglie, mentre parlavamo
tranquillamente, avesse cominciato ad allontanarsi. Ci guardavamo,
parlavamo normalmente, ma era come quelle fotografie di un razzo
subito dopo il lancio, quando si vedono i due settori che cominciano
a distaccarsi. Si crede di essere uniti e poi, all'improvviso,
ci si accorge di non esserlo più.
Dissi: "un momento, aspetta; c'è qualcosa che non
va". Non sapevo che cosa fosse, ma era qualcosa di molto
intenso, e non volevo che continuasse. Qualcosa di molto inquietante,
che però in seguito è diventato chiaro. Era il disegno
più vasto di Chris, che finalmente si manifestava. Questo
capovolse la nostra decisione, e adesso ci rendiamo conto di che
catastrofe sarebbe stata per noi se avessimo agito diversamente.
Sicché forse si può dire, stando a questa primitiva
visione delle cose, che Chris, dopotutto, ha usato il suo biglietto
aereo. Stavolta è una bambina di nome Nell, e la nostra
vita ha ritrovato la sua prospettiva di un tempo. Naturalmente
ci saranno sempre mille ricordi di Chris, ma non sarà un
aggrapparsi distruttivo a una qualche entità materiale
che non potrà esserci mai più. Adesso siamo in Svezia,
la terra degli avi di mia madre, e io sto lavorando a un secondo
libro che è il seguito di questo.
Nell ci sta insegnando aspetti dell'essere genitori che prima
non avevamo capito. Se piange o butta all'aria le cose o s'impunta
(ma non lo fa spesso), non è un fastidio. C'è sempre
il confronto con il silenzio di Chris. Ciò che ora vediamo
con molta più chiarezza è che se i nomi e i corpi
sono sempre diversi, il disegno più vasto che ci contiene
tutti continua immutato. E alla luce di questo disegno più
vasto, le ultime righe di questo libro hanno ancora ragione di
essere: ce l'abbiamo fatta. Tutto va davvero meglio. Sono cose
che in qualche modo si sentono.
Ooolo99ikl;i.,
pyknulmmmmmmmmmmmmmmm
(Quest'ultima
riga l'ha scritta Nell: ha allungato una mano e si è messa
a pestare sui tasti, poi ha avuto negli occhi lo stesso lampo
di Chris. Se l'editore la lascia dov'è, sarà il
suo primo lavoro pubblicato).
Göteborg 1984
(Tratto dal libro Lo Zen e l'arte della manutenzione della
motocicletta, edizione Adelphi, Milano, 1996, traduzione di
Anna Giulia Ravorio)
Robert
M. Pirsig
.
Precedente Successivo
Copertina.
|