PATRIOTTISMO

Yukio Mishima

 

Il ventotto febbraio 1936 (vale a dire tre giorni dopo l'Incidente del 26 febbraio), il tenente Shinji Takeyama del Gruppo Trapsoprti Konoe, profondamente turbato dall'aver saputo che i suoi più stretti colleghi si erano messi dalla parte degli insorti fin dall'inizio, e indignato dall'imminente prospettiva di vedere truppe imperiali combattere contro truppe imperiali, prese la spada da ufficiale e secondo il cerimoniale si aprì gli intestini nella stanza da otto stuoie della sua residenza privata al Sesto Isolato di Aoba-Chõ, nel rione di Yotsuya. La moglie, Reiko, ne seguì l'esempio, pugnalandosi a morte. Il biglietto d'addio del tenente conteneva una sola frase: "Viva le Forze Imperiali." La moglie, dopo essersi scusata con i genitori per il suo modo d'agire poco improntato ad amor filiale dato che li aveva preceduti nella tomba, così concludeva il suo:" Il giorno che, per la moglie di un ufficiale, doveva venire è venuto…"Gli ultimi attimi di vita di questa coppia eroica e fervida furono tali che avrebbero mosso al pianto anche degli dei. Si deve notare che il tenente aveva trentun'anni, sua moglie ventitré. Non erano passati sei mesi dalla celebrazione delle loro nozze.


2


Chi vide la sposa e lo sposo nella fotografia commemorativa del matrimonio - forse solo i presenti alle nozze del tenente - ebbe esclamazioni di meraviglia per il portamento di questa magnifica coppia. Il tenente imponente nella sua uniforme militare, in piedi di fianco alla moglie in atteggiamento protettivo, teneva la mano destra appoggiata alla spada, e il berretto da ufficiale sul fianco sinistro. L'espressione del viso era severa, le sopracciglia scure e gli occhi dallo sguardo limpido esprimevano bene le integrità della giovinezza. Nessun paragone poteva esprimere la bellezza della sposa nell'abito bianco. Negli occhi, tondi sotto le sopracciglia delicate, nel naso sottile e ben fatto, nella pienezza delle labbra, c'erano tanta raffinatezza quanta sensualità. Dalla manica del vestito emergeva timidamente una mano che teneva un ventaglio. Le punta delle dita, delicatamente curvate, sembravano petali di margherita.
Dopo il suicidio, la gente avrebbe estratto la fotografia e l'avrebbe esaminata, riflettendo tristemente sul fatto che troppo spesso c'era una maledizione su unioni apparentemente perfette come questa. Forse era solo l'immaginazione, ma se dopo la tragedia si guardava la fotografia sembrava quasi che i due giovani che si stagliavano sullo sfondo dorato stessero guardando ciascuno con eguale consapevolezza la morte che stava dinanzi a loro.
Grazie ai buoni uffici del loro intermediario di nozze, il Tenente generale Ozeki, erano stati in grado di sistemarsi in una casa nuova di Aoba-Chõ nel rione di Yotsuya. "Nuova casa" non è la parola giusta. Era una vecchia casa d'affitto di tre stanze con un giardinetto che si apriva sul lato posteriore. Poiché né la stanza da sei stuoie né quella da quattro e mezzo al piano terreno erano soleggiate, usavano della stanza da otto stuoie al piano superiore tanto come camera da letto che come soggiorno. Non avevano una donna di servizio e quindi Reiko durante l'assenza del marito, rimaneva sola a sorvegliare la casa.
Poiché erano tempi di emergenza nazionale, non intrapresero il viaggio di nozze. La prima notte l'avevano passata in questa casa.
Prima di andare a letto, Shinji, seduto eretto sul pavimento, con la spada posata al suo fianco aveva impartito alla moglie una lezione di virtù militare. Una donna che fosse divenuta moglie di un ufficiale doveva sapere, e accettare con risolutezza, che il marito avrebbe potuto morire in qualsiasi momento. Poteva succedere domani. O il giorno dopo. Ma, in qualsiasi momento essa avvenisse - le domandò- era pronta ad accettarlo? Reiko si levò in piedi, aprì il cassetto di un armadietto e ne estrasse l'oggetto di cui andava più orgogliosa, il pugnale che le aveva dato sua madre.
Ritornata al suo posto posò senza dire una parola il pugnale accanto a lei sulla stuoia, proprio come il marito aveva posata la spada. Immediatamente si giunse a uno stato di silenziosa comprensione. Il tenente non cercò più di mettere alla prova la decisione della moglie.
Nei primi mesi del matrimonio la bellezza di Reiko divenne ogni giorno più radiosa, e risplendeva serena come la luna dopo la pioggia.
Ambedue erano dotati di un corpo giovane e robusto e, di conseguenza, la loro relazione era appassionata. E non solo di notte. In più di un'occasione, il tenente, ritornato direttamente a casa dalle manovre, senza nemmeno prendersi il tempo di togliere l'uniforme infangata, aveva spinto la moglie sul pavimento, quasi nel momento stesso in cui era entrato in casa. Anche Reiko manifestava il medesimo ardore. Per poco più, o poco meno, di un mese a partire dalla prima notte di matrimonio Reiko conobbe la felicità. Il tenente, rendendosene conto ne era a sua volta felice.
Il corpo di Reiko era bianco e puro, e i seni eretti davano l'idea di un netto, casto rifiuto; ma nel consenso, questi stessi seni concedevano generosamente il loro intimo, accogliente tepore. Anche a letto, marito e moglie erano spaventosamente e grandiosamente seri. Nel pieno della passione più selvaggia e attossicante, il loro cuore rimaneva freddo e serio.
Di giorno, nei brevi intervalli dell'addestramento, il tenente pensava sempre alla moglie; e per tutto il giorno, a casa, Reiko aveva davanti agli occhi l'immagine del marito. Tuttavia, anche durante i periodi di separazione, bastava che essi dessero uno sguardo alla fotografia del giorno delle nozze per sentir confermata la loro felicità. Reiko non era affatto stupita del fatto che un uomo che era stato per lei un perfetto estraneo fino a pochi mesi prima, potesse essere divenuto il sole attorno al quale girava tutto il suo mondo.
Alla base di tutto ciò c'era un atteggiamento morale in accordo con il Precetto educativo che imponeva che "marito e moglie dovessero vivere in armonia". Non una volta Reiko contraddisse il marito, né il tenente ebbe mai motivo di rimproverare la moglie. Nella nicchia degli dei posta sotto la scala, accanto all'icona del Gran Santuario di Ise, c'erano le fotografie delle Maestà Imperiali, e ogni mattina, regolarmente, prima di uscire per andare a compiere il suo dovere, il tenente e la moglie, in piedi davanti a questo sacro posto si inchinavano profondamente. Vivevano sotto la solenne protezione degli dei ed erano pieni di un'intensa felicità che percorreva ogni fibra del loro corpo.


3


Sebbene la casa del Guardasigilli Saito fosse vicino alla loro, nessuno dei due sentì né rumori né spari la mattina del 26 febbraio. Fu un trombettiere che suonava l'adunata nell'alba cupa e nevosa, quando la tragedia che si era compiuta in dieci minuti era già finita, a svegliare il tenente. Balzato immediatamente dal letto, il tenente indossò l'uniforme senza dire una parola, allacciò la spada che la moglie gli porgeva, e uscì di corsa sulle vie coperte di neve. Non sarebbe ritornato a casa fino alla sera del ventotto.
Più tardi Reiko apprese dalla radio l'estensione dell'improvvisa manifestazione di violenza. Trascorse i due giorni successivi in solitudine, perfettamente tranquilla dietro le porte serrate.
Reiko aveva letto nel volto del tenente, mentre usciva silenziosamente nel mattino nevoso, la decisione di morire.
Se il marito non fosse ritornato, la sua decisione era presa: anche lei sarebbe morta. Si occupò tranquillamente di stabilire chi avrebbe ereditato i suoi oggetti personali. Lasciò come ricordo agli amici di scuola la serie dei kimono da visita, e scrisse sull'involucro di carta che li avvolgeva il nome di ciascuno di essi. Ammonita costantemente dal marito a non contare sul domani, Reiko non aveva tenuto un diario, e le fu ora negato il piacere di rileggere il resoconto della felicità degli ultimi mesi e di affidare ogni pagina alle fiamme. Allineati sulla radio c'erano un piccolo pechinese, un coniglio, uno scoiattolo, un orso e una volpe. C'erano anche un vasetto e una brocca. Questa era l'unica collezione di Reiko. Ma non sarebbe stato bello, pensò, lasciare queste cose come ricordo. E non sarebbe stato nemmeno appropriato chiedere specificamente che venissero posti nella bara. A Reiko pareva, mentre le passavano per la mente questi pensieri, che l'espressione degli animaletti divenisse sempre più misera e indecisa.
Reiko prese in mano lo scoiattolo fissandolo e i suoi pensieri si volsero a un regno ben al di là di questi affetti infantili, verso il gran principio del sole che il marito impersonava. Era pronta, e felice di essere scagliata verso la fine nel luminoso carro del sole, ma ora, in questi attimi di solitudine si permise di godere del suo innocente attaccamento per questi oggettini. Il tempo in cui aveva davvero amato sinceramente queste cose, tuttavia, era molto lontano. Ora le piaceva semplicemente ricordare di averli amati, e nel suo cuore il loro posto era stato preso da passioni più intense, da una più delirante felicità.
…Reiko, infatti, non aveva mai, nemmeno con se stessa, pensato che le esaltanti gioie della carne potessero venir ritenute un semplice piacere. Il gelo di febbraio, e il tocco gelido dello scoiattolo, avevano irrigidito le sottili dita di Reiko; ma anche così, nelle sue fibre più intime, sotto il disegno regolare che attraversava la camicia dell'ordinato kimono di meisen, sentiva, al pensiero delle forti braccia del marito che si protendevano verso di lei, una calda, liquida sensazione della carne, capace di sfidare il gelo.
Non aveva la minima paura della morte che la sovrastava. Mentre sola in casa attendeva, Reiko credeva fermamente che qualsiasi cosa il marito pensasse o sentisse in questo momento, la sua angoscia e la preoccupazione, la conducevano - proprio come la forza che era nella sua carne - verso una morte benvenuta. Le pareva che il suo corpo potesse scomporsi facilmente e trasformarsi nella minima frazione del pensiero del marito.
Ascoltando i frequenti annunci della radio, sentì fra i nomi degli insorti quello di diversi colleghi del marito. Era una notizia di morte. Seguì attentamente gli sviluppi della faccenda, domandandosi ansiosamente, mentre la situazione si faceva di giorno in giorno più irrevocabile, perché non fosse stata emessa nessuna ordinanza Imperiale e, osservando che quello che all'inizio era stato indicato come un movimento per ricostruire l'onore nazionale, aveva poi finito col ricevere l'infame etichetta di ammutinamento. Dal reggimento nessuna comunicazione. Sembrava che i combattimenti nelle strade della città ancora coperte di neve potessero cominciare in qualsiasi momento.
Verso il tramonto del ventotto, Reiko trasalì sentendo dei colpi furiosi battuti contro la porta d'ingresso. Scese di corsa al piano di sotto. Mentre apriva nervosamente il chiavistello, la figura che si intravedeva attraverso il pannello della porta incrostato di ghiaccio non disse una parola, ma Reiko sapeva che si trattava del marito. A Reiko non era mai sembrato che il chiavistello della porta fosse tanto duro. Resisteva ancora. La porta proprio non si voleva aprire.
In un attimo, prima che potesse rendersi conto di cosa era successo, il tenente era in piedi dinanzi a lei sul pavimento di cemento della veranda, imbacuccato in un grosso cappotto kaki, gli alti stivali resi pesanti dal fango delle strade. Dopo avere chiuso la porta dietro di sé, il tenente diede una seconda mandata al chiavistello. Reiko non riuscì a capirne il motivo.
Reiko si inchinò profondamente, ma il marito non fece nessun cenno di risposta. Mentre, dopo essersi levato la spada, stava slacciando il cappotto Reiko gli si avvicinò per aiutarlo. Il cappotto, freddo e umido, aveva perso l'odore di sterco di cavallo che di solito emanava quando veniva esposto al sole, e le pesava sul braccio. Lo posò su un attaccapanni e, tenendo la spada e la cintura di pelle posate sulle braccia, attese finché il marito non si fu tolto gli stivali e lo seguì nel soggiorno. Era la stanza da sei stuoie al piano terreno.
Sotto la luce netta della lampada, il viso del marito, coperto di brina, appariva quasi irriconoscibile, esausto e smagrito. Le guance erano incavate, la loro luminosità ed elasticità erano scomparse. Se fosse stato di buon umore come al solito avrebbe indossato immediatamente gli abiti vecchi e le avrebbe chiesto di preparare in fretta la cena. Ora invece sedette a tavola con l'uniforme, il capo tristemente chino. Reiko si astenne dal domandare se doveva preparare la cena.
Dopo un periodo di silenzio il tenente parlò.
"Non ne sapevo nulla. Non mi avevano chiesto di unirmi a loro. Forse perché avevano pensato che ero sposato da poco. Anche Kano, e Homa e Yamaguchi."
Reiko ricordò all'istante il volto animoso dei giovani ufficiali amici del marito, che erano venuti qualche volta a casa come ospiti.
"Domani dovrebbero emettere un'ordinanza Imperiale. Saranno dichiarati ribelli, immagino. Dovrei comandare l'unità che riceverà l'ordine di attaccarli… Non posso farlo. É impossibile fare una cosa del genere."
Parlò ancora.
"Mi hanno esentato dal servizio di guardia e ho avuto il permesso di ritornare a casa per una notte. Domani mattina, senza dubbio, devo andarmene per unirmi agli attaccanti. Non posso farlo, Reiko."
Reiko sedeva eretta, tenendo gli occhi bassi. Aveva capito chiaramente che lui le aveva parlato della sua morte. Il tenente era deciso. Ogni parola era radicata nella morte, ed emergeva netta, con forte espressività contro questo sottofondo scuro, incrollabile. Sebbene il tenente stesse parlando del suo dilemma, nella sua mente non c'era posto per l'incertezza.
Tuttavia nel silenzio che aleggiava tra di loro c'era una specie di chiarore, come quello di un fiume alimentato dalle nevi che si disciolgono. Seduto in casa sua dopo due giorni di dure prove e guardando il bel viso della moglie, il tenente per la prima volta sperimentava una vera pace mentale. Aveva capito immediatamente, sebbene Reiko non gli avesse detto nulla, che la moglie aveva indovinato la risoluzione che si celava dietro le sue parole.
"Bene, allora…" Il tenente spalancò gli occhi. Nonostante la stanchezza l'espressione era chiara e decisa, e ora per la prima volta teneva gli occhi fissi direttamente in quelli della moglie. "Questa notte mi aprirò lo stomaco."
Reiko non disse nulla.
Gli occhi tondi di lei lasciavano indovinare la tensione, tesi come il rintocco di una campana.
"Sono pronta," disse. "Ti chiedo il permesso di accompagnarti."
Il tenente si sentì come ipnotizzato dalla forza che emanavano quegli occhi. Le parole gli vennero rapide e facili, ed era al di là della sua comprensione come fosse possibile dare in modo tanto casuale il permesso per una decisione di tale importanza.
"Bene. Andremo insieme. Ma voglio che tu sia testimone del mio suicidio. D'accordo?"
Una volta pronunciate queste parole un flusso improvviso di calda felicità riempì i loro cuori. Reiko era profondamente commossa dalla grande fiducia che il marito aveva riposto in lei. Per il tenente era di importanza vitale, qualsiasi cosa accadesse, che la sua morte avvenisse secondo le regole. Perciò un testimone era necessario. Il fatto che a questo scopo avesse scelto la moglie era il primo segno della sua fiducia. Il secondo segno, di importanza ancora maggiore, era che, sebbene le avesse garantito che sarebbero morti insieme, non intendeva uccidere prima la moglie ma aveva posticipato la morte di lei quando ormai non gli sarebbe più stato possibile accertarsene. Se il tenente fosse stato un marito sospettoso, avrebbe senza dubbio voluto, come nei soliti patti di suicidio, uccidere prima la moglie.
Quando Reiko disse, "Chiedo il permesso di accompagnarti", il tenente capì che queste parole erano il frutto ultimo dell'educazione che fin dalla prima notte di matrimonio aveva impartito alla moglie, e capì di averle insegnato, quando il momento era giunto, a dire ciò che doveva essere detto senza la minima esitazione. Il tenente ebbe di se stesso un'opinione lusinghiera.
Non era tanto romantico o vanitoso da pensare che le parole fossero venute spontaneamente, indipendentemente dall'amore di Reiko per il marito.
Con il cuore traboccante di gioia, non poterono fare a meno di sorridersi. A Reiko parve di essere ritornata alla prima notte di nozze.
Davanti a sé non vedeva né dolore né morte. Le pareva di vedere solo uno spazio libero e sconfinato che si allungava a perdita d'occhio.
"L'acqua è calda. Vuoi fare il bagno ora?"
"Ah certo, naturalmente."
"E la cena…"
Il discorso si svolgeva su un tono di tale normalità domestica che il tenente quasi pensò, per la frazione di un secondo, che fosse tutta un'allucinazione.
"Non credo che avremo bisogno di cenare. Ma ti dispiacerebbe riscaldare un po' di saké?"
"Come vuoi."
Reiko si alzò e prese dal mobiletto una vestaglia tanzen da usare dopo il bagno. Attirò di proposito l'attenzione del marito sul cassetto aperto. Il tenente si alzò, andò all'armadietto e guardò. Lesse a uno a uno sugli involucri ordinati di carta i nomi dei destinatari. Nessuna tristezza nella reazione del tenente a questa dimostrazione di eroica decisione. Il suo cuore era pieno di tenerezza. Il tenente, come un marito intenerito dalle compere infantili della giovane moglie, abbracciò, sopraffatto dall'affetto, la moglie da dietro le spalle e le posò un bacio sul collo.
Reiko sentì sul collo la ruvida sensazione della pelle non rasata. Quel contatto, più che una cosa di questo mondo, era per Reiko il mondo interno, ma ora - con la consapevolezza che sarebbe stata l'ultima volta - le dava una emozione nuova, che superava ogni sua precedente esperienza. Ciascun momento aveva la sua propria forza, e i sensi, in ciascuna parte del corpo, ne furono stimolati. Nel ricevere la carezza del marito, Reiko si levò sulla punta dei piedi, lasciando che la sensazione di vitalità le invadesse tutto il corpo.
"Prima il bagno, poi, dopo un po' di saké…distendi il letto nella stanza di sopra, vuoi?"
Il tenente parlava, sussurrando, nell'orecchio della moglie. Reiko annuì in silenzio.
Si tolse l'uniforme e si diresse verso il bagno. Per soffocare il rumore dell'acqua che cadeva, Reiko portò il braciere nel soggiorno e cominciò i preparativi per riscaldare il saké.
Dopo avere preso il tanzen, un asciugamano e della biancheria, entrò nel bagno per chiedere se l'acqua andava bene. Il tenente stava lavandosi sul pavimento seduto a gambe incrociate in mezzo a una nuvola di vapore, e Reiko riusciva appena a distinguere, in corrispondenza con i movimenti delle braccia, il movimento dei muscoli sulla robusta schiena madida.
Non c'era nulla che facesse pensare a un'occasione speciale. Reiko stava preparando i piatti di contorno del saké con i rimasugli della dispensa. Le sua mani non tremavano. Anzi, si muovevano con più precisione ed efficienza del solito. Di tanto in tanto, è vero, sentiva uno strano palpito nel profondo del petto. Come un lampo nella distanza, aveva un attimo di luminosa intensità, poi svaniva senza lasciar traccia. A parte questo, nulla di diverso dal solito.
Il tenente, mentre stava radendosi, si sentì finalmente ristorato miracolosamente dalla disperata stanchezza di questi ultimi giorni di indecisione e colmo - nonostante la morte che aveva dinanzi a sé - di una piacevole sensazione di anticipazione. I rumori che faceva la moglie, intenta a sbrigare le sue faccende, gli giungevano smorzati. Un sano desiderio fisico, che aveva dovuto reprimere per due giorni, lo pervase.
Il tenente era convinto che non vi fossero sentimenti impuri nella gioia che avevano provato quando avevano risolto di morire. In quel momento ambedue avevano sentito - anche se, ovviamente, non in maniera chiara e cosciente - che i giusti piaceri che si scambiavano nell'intimità erano una volta ancora sotto la protezione della Giustizia e della Potenza Divina, e di completa e irrefutabile moralità. Mentre si guardavano l'un l'altro negli occhi e vi scoprivano una morte onorevole, una volta di più avevano sentito di essere in salvo dietro la protezione di mura, d'acciaio che nessuno poteva distruggere, rinchiusi in un'armatura impenetrabile fatta di Bellezza e di Verità. Di conseguenza, invece di vedere un'incoerenza, o un conflitto fra gli stimoli della carne e la sincera manifestazione del suo patriottismo, il tenente era in grado di vedere ambedue i concetti come parte di una stessa cosa.
Il tenente si rasò con cura estrema, avvicinandosi il viso allo specchio, scuro e annebbiato. Questo sarebbe stato il viso di quando sarebbe morto. Non doveva avere un aspetto spiacevole. Il volto rasato di fresco riluceva ancora una volta di un aspetto giovanile, e pareva schiarire le ombre dello specchio. C'era una certa eleganza, pensò, nell'associazione della morte e di questo viso giovane, raggiante di salute.
Proprio come ora la vedeva, questa sarebbe stata la sua maschera funebre! In realtà,ormai non faceva quasi più parte degli attributi personali del tenente ed era diventata il busto posto sul monumento funebre di un soldato. Per esperimento, strinse fortemente gli occhi. Tutto era avvolto nell'oscurità, e lui non era più una creatura viva e dotata di vista.
Di ritorno dal bagno, con sulle guance le tracce azzurrine della barba appena rasata, si sedette accanto al braciere di carbone rovente. Nonostante Reiko avesse molto da fare, notò che aveva trovato il tempo di truccarsi leggermente il viso. Le guance erano luminose e le labbra umide. Non si vedeva nessuna ombra di tristezza. Davvero, si disse il tenente, mentre osservava i segni della natura appassionata della moglie, aveva scelto la moglie che avrebbe dovuto scegliere.
Quando il tenente ebbe quasi vuotato la sua tazza di saké, la offrì a Reiko. Reiko non aveva mai assaggiato il saké prima d'ora, ma la accettò senza esitare e ne bevve timidamente un sorso.
"Vieni qui," disse il tenente.
Reiko si spostò a fianco del marito che la abbracciò non appena ella si chinò su di lui. Reiko sentiva una commozione violenta come se tristezza, gioia e il potente saké, tutti si mescolassero e reagissero dentro di lei, Il tenente guardò sua moglie in viso. Era l'ultimo volto che avrebbe visto al mondo, l'ultimo viso che avrebbe visto era quello di sua moglie. Lo esaminò minutamente, con gli occhi di un viaggiatore che dà l'addio a un meraviglioso panorama che non ritornerà mai più a visitare. Era un volto che non si stancava mai di guardare: i lineamenti regolari ma non freddi, le labbra leggermente serrate con tenera forza. Il tenente posò un bacio su quelle labbra, senza pensare. E improvvisamente, nonostante il viso di lei non fosse minimamente contorto dai singhiozzi, si accorse che da sotto le lunghe ciglia che coprivano gli occhi chiusi, sgorgavano lacrime che scendevano lungo le guance in una lunga traccia lucente.
Quando, poco tempo dopo, il tenente propose alla moglie di salire nella camera da letto al piano superiore, Reiko disse che lo avrebbe seguito dopo aver fatto il bagno. Il tenente salì da solo verso la camera da letto, che era già stata riscaldata dalla stufa a gas, e si sdraiò sul letto a braccia e gambe aperte. Anche l'ora in cui si disponeva ad attendere la moglie era la solita.
Incrociò le mani dietro la testa e lanciò una occhiata ai riquadri scuri del soffitto, che rimanevano nell'ombra, fuori dal raggio della lampada. Stava aspettando la morte in questo momento? O una selvaggia estasi dei sensi? Sembrava che le due immagini si sovrapponessero, come se l'oggetto del suo desiderio fisico fosse la morte stessa. Ma, comunque fossero le cose, il tenente mai prima d'ora aveva assaporato una simile sensazione di totale libertà.
Fuori dalla finestra si sentì il rumore di un automobile. Sentiva il fischio degli pneumatici che slittavano sulla neve ammucchiata sul bordo della strada. Il suono del clacson rimbalzò dai muri vicini…Ascoltando questi rumori ebbe la sensazione che la sua casa si ergesse come un' isola solitaria nell'oceano di una società che, come sempre, procedeva senza riposo nelle sue faccende. Tutto intorno, grande e disordinato, si estendeva il Paese che gli provocava tanti dispiaceri. Era sul punto di dare la vita per esso. Ma sarebbe stato capace questo grande Paese, contro cui egli era pronto a protestare fino alla distruzione di se stesso, di mostrare la minima attenzione per la sua morte? Non lo sapeva; e non aveva importanza. Il suo era un campo di battaglia privo di gloria, un campo di battaglia dove nessuno poteva compiere imprese di valore: era la linea del fronte dello spirito.
I passi di Reiko risuonarono sulle scale. Gli scalini della vecchia casa cigolavano malamente. Lo scricchiolio riportava alla mente ricordi appassionati, e molte volte, mentre aspettava a letto, il tenente aveva sentito mai più questo suono gradito. Pensando che non l'avrebbe sentito mai più, lo ascoltò concentrandosi intensamente, sforzandosi di riempire ogni più piccolo angolo di ogni prezioso attimo con il soffice rumore dei passi sulla scala scricchiolante. Gli attimi parvero trasformarsi in gioielli, splendenti di luce interna.
Reiko indossava una fascia di Nagoya attorno alla vita del suo yukata, ma mentre il tenente faceva per afferrarla, il rosso reso più tenue dalla debole luce, la mano di Reiko si mosse per assecondarlo e la fascia scivolò velocemente sul pavimento. Reiko rimase in piedi dinanzi a lui, con lo yukata ancora addosso. Il tenente infilò le mani negli spacchi sotto le maniche con l'intenzione di abbracciarla vestita com'era; ma il tocco della punta delle dita sulla calda carne nuda, e le ascelle che si serravano dolcemente sulle sue mani, gli fecero infiammare immediatamente tutto il corpo.
In pochi istanti marito e moglie erano sdraiati nudi davanti alla stufetta a gas.
Nessuno dei due lo disse, ma il loro cuore, il corpo, il seno palpitante ardevano consapevoli che questa sarebbe stata l'ultima volta. Come se le parole "L'Ultima Volta" venissero scandite in fremiti invisibili per tutto il corpo.
Il tenente avvicinò a sé la moglie e la baciò con passione. Mentre penetravano con la lingua nel liscio interno della bocca, sentivano come il dolore ancora sconosciuto della morte avesse temperato i loro sensi al calor rosso. Il dolore che non potevano ancora sentire, quello lontano della morte, aveva reso più sottile la consapevolezza del piacere.
"E' l'ultima volta che vedrò il tuo corpo," disse il tenente. "Lascia che lo guardi da vicino." Inclinò il paralume e diresse i raggi della lampada sul corpo disteso di Reiko.
Reiko giaceva ferma, a occhi chiusi. La debole luce della lampada rivelava le curve maestose del suo corpo bianco. Il tenente, non senza un pizzico di egocentrismo, pensò con piacere che non avrebbe visto la morte di una creatura di tale bellezza.
Senza fretta, il tenente lasciò che la visione indimenticabile gli si imprimesse nella mente. Passava una mano sui capelli mentre con l'altra accarezzava dolcemente il viso bellissimo, baciandolo ogni tanto dove gli occhi indugiavano. La tranquilla freschezza della fronte alta e curva, gli occhi chiusi dalle lunghe ciglia sotto la curva appena accennata delle sopracciglia, il naso delicatamente formato, i denti luminosi fra le labbra piene, regolari, le piccole guance e il mento perfetto… tutte queste cose evocavano nella mente del tenente l'immagine del gioioso volto della morte, e di nuovo egli premette forte le labbra sulla bianca gola - dove la mano di Reiko fra non molto avrebbe colpito - e la gola arrossì debolmente sotto i baci. Risalì alla bocca e premette leggermente le labbra su quelle si Reiko, movendole aritmicamente con un leggero morbido movimento come quello delle onde. Quando chiudeva gli occhi, il mondo si trasformava in una culla dondolante.
Ovunque si posavano gli occhi del tenente, le sue labbra fedelmente lo seguivano. I seni alti e pieni, sormontati dai capezzoli simili alla gemma di una ciliegia di bosco, si indurirono quando le labbra del tenente si posarono su di essi. Vicino al seno, le braccia si staccavano dolcemente assottigliandosi verso i polsi, pur senza perdere la loro rotondità e simmetria, e terminavano in quelle dita delicate che al matrimonio reggevano il ventaglio. Mentre il tenente le baciava una ad una, le dita si nascondevano dietro le altre come per vergogna… L'incavo naturale fra lo stomaco e il ventre con la sua morbida curva dava un'impressione non solo di morbidezza ma anche di forza e di elasticità e, mentre lasciava presentire la curva piena che finiva sull'anca, dava di per se stessa un'impressione di ritegno e di disciplina. La bianchezza e lo splendore del ventre e dei fianchi potevano essere paragonati a del latte che riempiva un grande recipiente. Lo stretto incavo dell'ombelico sembrava la traccia di una goccia di pioggia caduta proprio in quel momento. Dove l'ombra si faceva più cupa, cominciava un bosco fragile e sensibile e, non appena nel giovane corpo ora non più passivo crebbe l'eccitazione, ne venne un profumo fragrante come quello dei fiori in boccio che diveniva sempre più intenso e pervasivo.
Infine, con voce tremante, Reiko disse: "Fammi vedere… Fai vedere anche a me per l'ultima volta."
Mai prima d'ora aveva sentito uscire dalle labbra della moglie una richiesta così decisa e inequivocabile. Come se qualcosa, che nella sua modestia Reiko avesse voluto tenere nascosta, alla fine avesse improvvisamente rotto i legami che la trattenevano e si fosse manifestata. Il tenente si sdraiò sulla schiena abbandonandosi alla moglie. Reiko sollevò agilmente il corpo bianco, tremante e ardente dall'innocente desiderio di restituire al marito le carezze che le aveva fatto, posò gentilmente due dita sugli occhi del tenente che la stava fissando e li chiuse.
Improvvisamente, sopraffatta dalla tenerezza, le guance colorite da una vampata di emozione abbracciò il capo dai capelli cortissimi del tenente. La punta dei capelli le graffiò dolorosamente il seno, il naso era freddo contro la sua carne, e il respiro le dava una sensazione di calore. Si sciolse dall'abbraccio e fissò il viso maschio del marito. Le sopracciglia severe, gli occhi chiusi, la splendida curva del naso, le labbra dal bel disegno tenute serrate… le guance azzurrine rasate di fresco, morbidamente luminose. Reiko baciò uno ad uno tutti questi particolari. Baciò la nuca, le spalle forti ed erette, il torace possente dai pettorali oblunghi a forma di scudo e i capezzoli bruni. Dall'incavo delle ascelle, nascoste dalla forte muscolatura delle spalle e del torace, emanava un dolce malinconico odore. Nella sua dolcezza pareva essere contenuta in un certo qual modo l'essenza della morte giovane. La pelle nuda del tenente aveva il colore di un campo di avena; i muscoli si mostravano in rilievo su tutto il corpo e convergevano verso l'addome, intorno al minuscolo ombelico. Mentre guardava lo stomaco giovane e sodo, appena coperto da una fitta striscia di pelo, Reiko lo immaginò come sarebbe stato fra non molto: crudelmente lacerato dalla spada. Appoggiò il capo su di esso, singhiozzando, e coprendolo di umidi baci.
Alla sensazione delle lacrime della moglie sul suo ventre il tenente si sentì pronto a sopportare coraggiosamente i crudeli tormenti del suicidio.
Si può ben immaginare il piacere che essi provavano dopo questi scambi d'affetto. Il tenente si sollevò e prese fra le forti braccia la moglie. Il corpo di Reiko era debole ed esausto, dopo l'angoscia e le lacrime, Si strinsero appassionatamente l'uno all'altro, guancia a guancia. Reiko tremava. I loro petti, madidi di sudore, erano uniti strettamente e ogni centimetro dei corpi giovani e ben fatti era così strettamente unito all'altro che pareva impossibile potessero separarsi nuovamente. Reiko lanciò un grido. Dalla cima precipitarono nell'abisso, e dall'abisso con un colpo d'ala si librarono nuovamente ad altezze vertiginose. Il tenente ansimava come il portabandiera del reggimento durante la marcia… Quando il ciclo finiva, quasi immediatamente sorgeva una nuova onda di passione, salivano nuovamente in un singolo movimento senza respiro alle più alte sommità.


4


Quando, alla fine il tenente si staccò, non fu perché era esausto. Per prima cosa, era ansioso di non esaurire la considerevole energia necessaria per condurre a termine il suicidio. Inoltre gli sarebbe dispiaciuto guastare la dolcezza di questi ultimi ricordi abusandone.
Poiché il tenente chiaramente aveva desistito, anche Reiko con la sua solita acquiescenza ne seguì l'esempio. Marito e moglie giacevano sulla schiena tenendosi per mano e fissavano il soffitto scuro. La stanza era calda e anche quando dai loro corpi smise di stillare il sudore non avvertirono nessuna sensazione di freddo. Fuori, nella notte silenziosa, erano cessati i rumori del traffico. Persino i rumori dei tram e dei treni alla stazione di Yotsuya, non arrivavano fin lì. Dopo essere rimbalzati nella zona circondata dal fossato, si perdevano tra i fitti alberi del parco che fronteggiava il largo viale di fronte al Palazzo Akasaka. Era difficile credere, nella tensione che attanagliava l'intero quartiere, che le due frazioni dell'Esercito Imperiale fossero una di fronte all'altra, pronte a combattere.
Erano sdraiati immobili, assaporando il calore che emanava dai loro corpi e ripensando al piacere di cui avevano appena goduto. Rivissero ogni attimo dell'esperienza. Ricordarono il sapore dei baci che non si era mai esaurito, la carne nuda, un episodio di felicità dopo l'altro. Ma dalle scure assi del soffitto già si affacciava il volto della morte. Queste gioie erano definitive, non ne avrebbero più provate altre. Non che fosse possibile - e a tutti e due venne lo stesso pensiero - sperimentare nuovamente simili gioie, anche se avessero vissuto fino a tarda età.
La sensazione delle dita allacciate… anche questa si sarebbe perduta. Anche le venature del legno sul soffitto sarebbero scomparse. Sentivano la morte che faceva capolino, sempre più vicina. Ora, non si poteva più esitare. Dovevano avere il coraggio di rincorrere da soli la morte e di afferrarla..
"Bene, prepariamoci," disse il tenente. Nella sua voce l'espressione decisa era inequivocabile ma, contemporaneamente, Reiko non aveva sentito un tono tanto tenero e dolce.
Dopo che si furono alzati li attendeva una quantità di compiti.
Il tenente, che mai prima d'ora aveva aiutato a rimettere in ordine la stanza, ora aprì la porta dell'armadio, sollevò da solo il materasso e lo sistemò all'interno.
Reiko spense la stufetta e rimise al suo posto la lampada. Mentre il tenente era lontano da casa, aveva sistemato con cura la camera, scopando e spolverando. Ora, se si trascurava il tavolo di legno di rosa spostato in un angolo, la stanza da otto stoie aveva tutta l'apparenza di un locale di soggiorno pronto per ricevere un ospite importante.
"Abbiamo fatto delle belle bevute qui, vero? Con Kano e Homma e Noghuchi…"
"Sì, erano dei grandi bevitori. Tutti."
"Li incontreremo presto, nell'altro mondo. Ci stuzzicheranno, penso, quando si accorgeranno che ti ho portato con me."
Mentre scendeva le scale il tenente si voltò per dare un'occhiata nella stanza serena, pulita, illuminata dalla lampada del soffitto. Davanti alla sua mente passarono i volti dei giovani ufficiali che qui avevano bevuto, riso, che si erano vantati ingenuamente. Non avrebbe mai immaginato che un giorno, in questa stanza, si sarebbe aperto il ventre.
Nelle due stanze al piano di sotto marito e moglie si dedicarono pienamente e serenamente ai loro rispettivi compiti. Il tenente andò alla toeletta e quindi in bagno a lavarsi. Nel frattempo Reiko ripose, dopo averlo ripiegato, il mantello imbottito del marito, sistemò in bagno la giacca dell'uniforme, i calzoni e una fascia ventriera nuova, posò sul tavolo del soggiorno dei fogli di carta per i biglietti di addio. Quindi tolse il coperchio della scatola da scrittura e cominciò a pulire l'inchiostro dalla tavoletta. Aveva già deciso cosa scrivere sul suo biglietto.
Reiko premette forte con le dita sulle lettere dorate della tavoletta e l'acqua nella bassa vaschetta cominciò presto ad annerirsi, come se in essa si fosse diffusa una nuvola nera. Smise di pensare che questa azione ripetuta, la pressione delle dita, l'aumentare e il diminuire del debole rumore, fossero fatti dolo ed esclusivamente per la morte. Era un lavoro domestico di routine, un semplice modo di impiegare il tempo finché la morte finalmente non sarebbe stata dinanzi a lei. Ma, in qualche modo, nel movimento sempre più liscio della tavoletta sulla pietra, e l'odore dell'inchiostro, c'era una indicibile oscurità.
Il tenente uscì dal bagno, indossando l'uniforme che ora portava direttamente sulla pelle. Senza pronunciar parola, sedette al tavolo, si raddrizzò, prese un pennello, e fissò il foglio dinanzi a sé con espressione incerta.
Reiko prese un kimono di seta bianca e lo portò in bagno con sé. Quando fu ritornata nella stanza di soggiorno, avvolta nel kimono bianco e con il viso leggermente truccato, il biglietto di addio era già completato ed era posto sul tavolo accanto alla lampada. A spessi caratteri neri era scritto semplicemente:
"Viva le Forze Imperiali - Tenente dell'Esercito Takeyama Shinji."
Mentre Reiko era seduta di fronte a lui per scrivere il suo biglietto d'addio, il tenente fissava silenziosamente, con un'espressione seria dipinta in viso, i movimenti precisi delle pallide dita della moglie che maneggiavano il pennello.
Con i rispettivi biglietti in mano - il tenente aveva la spada al fianco, Reiko teneva il pugnale nella manica del kimono - marito e moglie si fermarono in piedi dinanzi alla nicchia degli dei e pregarono in silenzio. Poi spensero tutte le luci al piano inferiore. Mentre salivano le scale, il tenente si voltò per guardare la bella figura della moglie che a occhi bassi, si stagliava nell'oscurità dietro di lui.
I biglietti di addio vennero sistemati fianco a fianco nell'alcova al piano di sopra. Si domandarono se non fosse il caso di togliere il rotolo appeso, ma poiché l'aveva scritto il loro intermediario di matrimonio, il Tenente Generale Ozeki, e consisteva di due caratteri cinesi che significavano "Sincerità" lo lasciarono al suo posto. Anche se si fosse sporcato di sangue sapevano che il tenente generale avrebbe capito.
Il tenente sedendo eretto con la schiena rivolta verso l'alcova, posò la spada sul pavimento accanto a lui.
Reiko sedette davanti a lui a distanza di una stuoia. Il tocco di rosso sulle sue labbra spiccava seducente nel sereno bianco della sua persona.
Si fissarono intensamente da una parte all'altra della stuoia. La spada del tenente era posta davanti alle sue ginocchia. Vedendola, Reiko ricordò la sua prima notte di nozze e fu sopraffatta dalla tristezza. Il tenente parlò con voce rauca.
"Poiché non ho un secondo che mi aiuti dovrò farmi una ferita profonda. Può apparire spiacevole, ma ti prego di non lasciarti prendere dal panico. La morte in qualsiasi modo avvenga è paurosa da vedere. Non devi perdere il coraggio a causa di ciò che vedrai. Va bene?"
"Sì."
Reiko annuì profondamente.
Nel fissare la bianca sottile figura della giovane moglie il tenente provò un bizzarro senso di eccitazione. Ciò che stava per fare era una pubblica dimostrazione delle sue qualità di soldato, una cosa che mai prima d'ora aveva avuto la possibilità di manifestare. Era necessaria una risolutezza uguale al coraggio per iniziare una battaglia; era una morte di grado e qualità non minori della morte in battaglia. Ora avrebbe dimostrato la sua condotta sul campo di battaglia.
Per il momento il pensiero indusse nel tenente una strana fantasia. Una morte solitaria sul campo di battaglia, una morte davanti agli occhi della sua bella moglie… la sensazione di morire in queste due dimensioni, la realizzazione di questa impossibile unione, aveva in sé un'indicibile dolcezza. Era la punta estrema della buona fortuna, pensò. Ogni istante della sua agonia sarebbe stato osservato dai suoi begli occhi: era come venire trasportato verso la morte da una brezza leggera e fragrante. In questo c'era un qualche favore speciale. Non capiva con precisione quale fosse, ma era un campo agli altri sconosciuto: un favore di cui nessun altro poteva godere, a lui era concesso. Nella radiosa bianca figura da sposa della moglie, al tenente pareva di vedere la personificazione di tutte le cose che aveva amato e per le quali donava la vita: la Famiglia Reale, la Nazione, la Bandiera. Tutte queste cose, non meno della moglie che sedeva dinanzi a lui, erano presenti e lo osservavano con occhi limpidi e sicuri.
Anche Reiko fissava intensamente il marito, prossimo alla morte, e pensava che al mondo non aveva mai visto nulla di altrettanto bello. Il tenente aveva sempre un bello aspetto quando indossava l'uniforme, ma ora, mentre contemplava la morte con sopracciglia severe e con labbra serrate, mostrava quale fosse la bellezza virile nella sua forma più superba.
" É il momento di andare, " disse infine il tenente.
Reiko si inchinò profondamente sulla stuoia. Non riuscì a risollevare il viso. Non voleva rovinare il trucco con le lacrime,. Ma non le riusciva di trattenerle.
Quando finalmente fu in grado di sollevare nuovamente lo sguardo vide confusamente, tra le lacrime, che il marito aveva avvolto una benda bianca sulla lama della spada sguainata, lasciando scoperti solo una ventina di centimetri di lama, verso la punta.
Il tenente posò la spada sulla guaina di tessuto davanti a lui, si rialzò, sedette a ginocchia incrociate e slacciò il colletto dell'uniforme. I suoi occhi non vedevano più la moglie. Lentamente, uno a uno, slacciò i piatti bottoni dorati. Apparve il torace abbronzato, poi lo stomaco. Slacciò la cintura e i bottoni dei calzoni. Apparve la fascia bianca strettamente avvolta. Il tenente la spinse in basso con ambedue le mani, per liberare ancor più lo stomaco, poi afferrò la lama della spada, avvolta dalla benda bianca. Con la mano sinistra si massaggiò l'addome, guardando verso il basso.
Per controllare che la lama fosse tagliente, il tenente aprì leggermente i calzoni a sinistra, esponendo una piccola parte di coscia e passò leggermente la spada sulla pelle. Il sangue scaturì immediatamente dalla ferita scendendo in rivoletti brillanti lungo la coscia.
Era la prima volta che Reiko vedeva il sangue del marito. Il tenente stava guardando il sangue, come se lo valutasse. Per un attimo - pur pensando che si trattava di una falsa sensazione di confronto - Reiko provò un senso di sollievo.
Il tenente fissò la moglie con uno sguardo intenso. Mosse la spada davanti a sé e si sollevò leggermente, appoggiando la parte superiore del corpo sulla punta della spada. La tensione rabbiosa dell'uniforme all'altezza delle spalle mostrava chiaramente che il tenente stava raccogliendo tutte le sue energie. Infilò profondamente la spada nello stomaco, a sinistra. Il suo grido strozzato ruppe il silenzio della stanza.
Nonostante la forza che aveva messo nel colpirsi, il tenente ebbe l'impressione che qualcun altro gli avesse inferto un colpo tremendo allo stomaco con una grossa barra di ferro. Per un secondo circa la testa gli vacillò e perse il senso di ciò che era successo. Tutta la parte scoperta della lama era scomparsa nella carne, e la benda bianca tenuta saldamente in pugno premeva direttamente contro lo stomaco.
Riprese coscienza. Pensò che la lama certamente aveva perforato la parete dello stomaco. Respirava con difficoltà, il cuore gli batteva violentemente e in qualche regione profonda, che difficilmente gli sembrava potesse far parte di se stesso, sgorgava un dolore pauroso e lacerante, come se la terra si fosse aperta per far uscire un flusso bollente di roccia fusa. Il dolore si avvicinò con velocità terribile. Il tenente si morse il labbro inferiore e represse un gemito istintivo.
Questo dunque era il seppuku?, pensava. Era una sensazione di caos totale, come se il cielo gli fosse caduto in testa e la terra girasse vorticosamente, come nell'ebbrezza. Il coraggio e la forza di volontà che prima di colpirsi erano parsi inattaccabili, si erano ridotti alle dimensioni di un sottile filo di acciaio. Fu assalito dalla sensazione sgradevole di dover avanzare lungo questo filo, aggrappandosi ad esso disperatamente. Sentì di avere il pugno bagnato. Guardò in basso e vide che tanto la mano quanto la benda erano coperte di sangue. Anche la fascia aveva preso un colore rosso vivo. Lo colpì per la sua incredibilità il fatto che, in questo terribile dolore, si potesse vedere ancora le cose che potevano essere viste, che le cose esistenti esistessero ancora.
Nel momento in cui il tenente aveva piantato la spada nel fianco sinistro, quando vide il pallore mortale attraversargli il viso, Reiko dovette lottare con se stessa per impedirsi di correre al suo fianco. Qualunque cosa dovesse succedere, avrebbe dovuto osservare. Doveva essere la testimone. Era il compito che suo marito le aveva assegnato. Di fronte a lei, dalla parte opposta della stuoia vedeva chiaramente il marito che si mordeva il labbro per soffocare il dolore. Davanti ai suoi occhi con certezza assoluta, vedeva il dolore. E Reiko non aveva nessuna possibilità di liberare il marito da questo dolore.
Sulla fronte del marito apparvero delle goccioline di sudore. Il tenente chiuse gli occhi poi li riaprì come se stesse facendo un esperimento. Gli occhi avevano perduto la loro luminosità, e sembravano innocenti e vacui come gli occhi di un piccolo animale.
Davanti agli occhi di Reiko il dolore ardeva come il sole estivo, lontanissimo da quello che, dentro si sé, pareva lacerarla. Il dolore aumentò nettamente, come se si fosse rizzato in piedi. Reiko comprese che ormai il marito abitava in un mondo separato, era un uomo la cui intera essenza era fatta di dolore, un prigioniero di una gabbia di dolore dove nessuna mano poteva raggiungerlo. Mentre pensava queste cose, Reiko cominciò a sentire come se fra lei e il marito si fosse crudelmente interposta un'alta parete di vetro.
Fin dal matrimonio l'esistenza del marito era stata la sua esistenza, ogni respiro di lui era come se fosse stato un suo respiro. Ma ora, mentre il marito esisteva in una vivida realtà di dolore, non le riuscì di trovare nel dolore che sentiva dentro di sé una prova certa della sua esistenza.
Tenendo la spada con la sola mano destra il tenente cominciò ad allargare lateralmente il taglio attraverso lo stomaco. Ma quando la lama giunse a contatto con i viveri, venne spinta verso l'esterno dalla loro morbida resistenza. Il tenente si rese conto che era necessario usare ambedue le mani per mantenere la punta della spada in profondità. Spinse la lama verso destra. Non tagliava facilmente come si aspettava. Concentrò tutta la sua forza nella mano e spinse nuovamente. Il taglio aveva una lunghezza di una decina di centimetri circa.
Il dolore salì lentamente dal profondo fino a concentrarsi interamente nella regione dello stomaco, come il suono selvaggio di una campana. Oppure come mille campane che suonassero contemporaneamente a ogni suo respiro a ogni suo battito, avvolgendo tutto il suo essere. Il tenente non riuscì più a trattenere i gemiti. Ma a questo punto la spada si era aperta il cammino fino sotto l'ombelico. Quando se ne accorse provò un senso di soddisfazione e sentì che il coraggio gli ritornava.
Il sangue aumentava continuamente; ora sgorgava dalla ferita come fosse spinto dal battito del cuore. La stuoia davanti a lui era intrisa di sangue, e altro sangue la bagnava, cadendo dalle pozze che si erano formate nelle pieghe dei calzoni kaki. Una goccia giunse in volo come un uccello addosso a Reiko e cadde sul grembo del kimono bianco. Quando finalmente il tenente riuscì a portare la spada sulla destra dello stomaco, la lama ormai tagliava in superficie e mostrava la punta scoperta, sporca di sangue e di grasso. Il tenente, scosso da un improvviso urto di vomito, lanciò un grido strozzato. Il conato rese l'insopportabile dolore ancor più insopportabile, e lo stomaco che fino a quel momento era rimasto fermo e compatto si aprì improvvisamente, allargando la ferita. Ne uscirono i visceri, come se anche la ferita stesse vomitando. I visceri, come inconsapevoli della sofferenza del loro padrone, davano una impressione di perfetta salute e di sgradevole vitalità mentre scivolavano dolcemente fuori dalla ferita raccogliendosi nel grembo. Il capo del tenente ricadde, le spalle si curvarono, gli occhi si aprirono leggermente divenendo due sottili fessure, dalle labbra scivolò un sottile rivoletto di saliva. Le insegne d'oro sulle spalline brillarono, riflettendo la luce.
Il sangue era dappertutto. Il tenente, che ora sedeva curvo e come indifferente, appoggiandosi con una mano al pavimento, vi immergeva le ginocchia. Un forte odore riempiva la stanza. Il tenente, sempre a testa china, fu scosso ripetutamente da conati di vomito. Il movimento delle spalle lo mostrava chiaramente. La lama della spada spinta via dalle viscere e scoperta fino alla punta, era ancora nella sua destra.
Sarebbe difficile figurarsi un'immagine più eroica di quella del tenente in questo momento, mentre raccoglieva tutte le sue forze e rialzava il capo. Il movimento, compiuto con improvvisa violenza, lo portò ad urtare la colonna dell'alcova. Reiko che fino a quel momento era rimasta seduta a testa china, fissando affascinata il sangue che avanzava verso le sue ginocchia, fu sorpresa dall'improvviso rumore e sollevò lo sguardo.
Il volto del tenente non era più quello di un vivo. Gli occhi erano vuoti, la pelle tesa, le guance e le labbra un tempo così luminose avevano il colore del fango dissecato. Solo la mano destra si muoveva. Tenendo laboriosamente la spada nella mano tremante, sollevò il braccio in aria con un movimento da marionetta e diresse la punta alla base della gola. Reiko guardò il marito mentre faceva questo ultimo atroce tentativo. Il tenente cercò di colpire la gola con la spada, lucida di grasso e di sangue. Ma ad ogni tentativo falliva il bersaglio. La punta deviava e colpiva il colletto e le mostrine. Sebbene lo avesse slacciato, il rigido colletto militare si era richiuso e proteggeva la gola. Reiko non riuscì a sopportare oltre questa vista. Cercò di andare in aiuto del marito, ma non riuscì a mettersi in piedi. Si spostò sulle ginocchia, nel sangue. La sottana bianca si tinse di rosso cupo. Si spostò dietro il marito e riuscì solamente ad allargargli un po' il colletto. La lama tremante finalmente incontrò la gola scoperta. In quel momento, Reiko ebbe l'impressione di essere stata lei stessa a spingere in avanti il marito; ma non era vero. Era un movimento che il tenente aveva già previsto, la sua ultima manifestazione di forza.. Gettò improvvisamente il corpo contro la lama, e la lama penetrò nella gola uscendo dalla nuca. Un tremendo schizzo di sangue e il tenente giacque immobile, mentre la lama d'acciaio azzurrino usciva dalla parte posteriore del collo.


5


Reiko discese lentamente le scale, le calze rese scivolose dal sangue. Ora la stanza al piano di sopra era completamente silenziosa. Accese la luce al piano inferiore, controllò il bruciatore del gas e la valvola principale. Versò dell'acqua sul carbone semispento nel braciere. Si mise davanti allo specchio nella stanza da quattro stuoie e mezzo e sollevò la gonna. Le macchie di sangue davano l'impressione che sulla parte inferiore del kimono fosse dipinto un disegno che risaltava vividamente. Quando sedette davanti allo specchio, rabbrividì alla sensazione di freddo che le provocava il sangue del marito nella zona delle cosce. Poi, per un certo tempo, si dedicò al trucco. Applicò un pesante strato di belletto sulle guance, e dipinse pesantemente anche le labbra. Ormai non lo faceva più per fare piacere al marito. Lo faceva per il mondo che avrebbe lasciato dietro di sé, e c'era nel suo modo di truccarsi un che di splendido e di spettacolare. Quando si alzò, la stuoia davanti allo specchio era bagnata di sangue. Reiko non se ne curò.
Dopo essersi allontanata dallo specchio, Reiko si arrestò sul pavimento di cemento della veranda. Quando il marito la sera prima aveva chiuso la porta era stato in previsione della propria morte. Rimase per un po' ferma a meditare un semplice problema. Doveva lasciar chiusa la porta? Se avesse fatto così, forse i vicini non si sarebbero accorti della loro morte per alcuni giorni. A Reiko non piaceva l'idea dei loro corpi che si andavano putrefacendo prima della scoperta… Aprì il chiavistello e scostò leggermente la porta di vetro incrostata di ghiaccio. Immediatamente entrò un vento gelato. Era mezzanotte e nella strada non si sentiva passare nessuno. Le stelle palpitavano gelide attraverso gli alberi del giardino della grande casa di fronte.
Reiko lasciò la porta aperta e salì le scale. Era andata avanti e indietro per un po' e le calze non erano più scivolose. Mentre era a metà strada della salita giunse alle sue narici un odore particolare.
Il tenente giaceva a faccia in giù in un mare di sangue. La punta che gli usciva dal collo sembrava ancora più sporgente di prima. Reiko camminò nel sangue senza prestarvi attenzione. Sedette accanto al cadavere del tenente e ne guardò attentamente il viso che era appoggiato di fianco sulla stuoia. Gli occhi erano spalancati, come se qualcosa avesse attratto la sua attenzione. Reiko sollevò la testa, avvolta nella manica del kimono, pulì il sangue dalle labbra, e gli diede un ultimo bacio.
Si alzò, prese dall'armadio un asciugamano bianco e una cintura. Per non rovinare ulteriormente la gonna drappeggiò l'asciugamano attorno alla vita e lo legò con la cintura.
Sedette a una trentina di centimetri dal corpo del marito. Ripensando al dolore che aveva aperto un varco tra lei e il marito morente, e pensando che ora avrebbe fatto parte della sua stessa esperienza, vide dinanzi a sé solo la gioia di entrare essa stessa nel regno che già il marito si era conquistato. Nel volto agonizzante del marito c'era stato un che di inesplicabile che Reiko aveva visto per la prima volta. Ora avrebbe sciolto l'enigma. Reiko sentiva che finalmente avrebbe potuto assaporare la dolcezza e l'amarezza del grande principio morale in cui il marito credeva. Ciò che finora aveva sentito debolmente attraverso il suo esempio, lo avrebbe sentito direttamente.
Puntò la lama alla base della gola e spinse con forza. La ferita fu solo superficiale. Il capo le avvampava e le mani le tremavano irrefrenabilmente. Diede alla lama una forte spinta laterale. Sentì la bocca riempirsi di un liquido caldo. Davanti agli occhi tutto divenne rosso, in una visione di sangue zampillante. Raccolse le forze e spinse la punta della lama in profondità, nella gola.


(Tratto dal libro Morte di mezza estate e altri racconti, traduzione di Marco Amante, edizione Teadue, Milano, 1999i)




Yukio Mishima




         Precedente    Successivo          Copertina