TRE BRANI DEL ROMANZO ROMA
DIVINA
Piero
Ravasenga
1.
In
fondo alla via arrivai al lupanare da antica suburra. Seccante,
ma indispensabile, la voce cadenzata dell'addetta al commercio,
somigliantissima a un piviere. "Flanelloni, in stanza o si
sgombra. Che aspettate? La carrozza!" E l'esortazione si
ripeteva come se fosse stata incisa su di un disco. E a ogni lasso
di tempo si sgombrava per lasciare il posto ad altri avventori:
così tutte quelle sagge prefiche dei postriboli orchestravano
l'andirivieni dei clienti. Se suonavi il campanello fuori orario
il piviere apriva lo sportellino della ferrea porta: "Non
c'è nisciuno nisciuno", diceva in tono seccato e di
rimprovero.
Nella breve anticamera, fra un panestetismo di corpi seminudi,
la scelta anziché diventare facile si faceva difficile.
L'invito di una donna: la strizzatina d'occhi o certi movimenti
di lingua sotto le guance recitati in modo così perentorio,
immediato e commerciale, sono contrari all'invito o alla preghiera
dell'uomo. Capitava di pentirci uscendo o ripensarci; capitava
di trovarci a metà innamorati di qualche meretrice. Capitava
essere passati alla cassa e, salendo le scale preceduti da una
di quelle donne, di pensare con rammarico a un'altra che aveva
le efelidi e altra chioma e altra pelle. Meglio praticare anche
nel postribolo una fedeltà assurda e logica. Insomma, la
scelta meditata di una donna rimaneva difficile: e per il poco
tempo concesso e per la quantità delle meretrici; mentre
negli ambienti dove troneggia una sola femmina costei diviene
l'unica immagine del desiderio: così si spiegano molti
drammi.
Fra quel passeggiare, occhieggiare, sorridere, apostrofare di
tante femmine, soprattutto preoccupate di non perdere tempo perfin
nel salire le scale, la libidine a volte rimaneva incastrata,
ma il trattamento non si poteva dire cattivo. La prostituzione
era organizzata nei suoi schemi millenari, a impedire le turme
deambulanti e le case proibite che appaiono, girano, riappaiono
come fuochi fatui, aumentano a dismisura il meretricio, proprio
perché lo si è voluto sopprimere.
Allora c'era in vigore una visita medica per le donne, un orario,
una tariffa che potevi moltiplicare, ma ne conoscevi la base.
Le meretrici ci tenevano a mettere insieme il maggior numero di
"marchette", ossia coiti pagati, a ben figurare con
la gestione del postribolo, e come buone impiegate non esageravano
mai con i clienti. Se arrivava un ubriaco non lo derubavano di
certo, anzi, non lo facevano entrare in camera. Le donne sono
tutto anche regolamentariste legalitarie in costume e in funzione
di chimere.
Le prostitute dei bordelli non si vestivano come le passeggiatrici
di oggi, se non di rado e nei postriboli di più alto presso,
ma (indossavano) scialli, mutande dorate, costumi degni del teatro
delle marionette, che cambiavano tra una marchetta e l'altra,
ridiscendendo come nuove le scale. Non avevano molti sfruttatori
e i soldi mandavano piuttosto al vecchio padre o al figlio. Si
esibivano, a richiesta del cliente, in scene quasi sempre artificiali
di lesbismo, così come davano appuntamento ad omosessuali,
potendoci condurre nelle loro camere più di un cliente,
e nulla v'era di strano.
Quelle stanze di meretricio nella loro penombra invitavano a confessioni
erotiche. C'era però qualcosa di ridicolo e di raffreddante
quando le improvvisate sacerdotesse cercavano di far dire cose
poco confessabili per trovare il modo di soddisfare poi il cliente,
non foss'altro che a parole. E se si trattava di un tipo eterogeneo
se lo comunicavano l'un l'altra, sia per pettegolezzo sia per
facilitarsi il lavoro.
2.
Qui
al caffè dei bei Pirlini viene una tale che di vista conosco
da tempo immemorabile. Non le sono mai mancati il marito, il facente
funzione, la casa, la villeggiatura, le puntatine alle case da
gioco. Viene a una determinata ora del pomeriggio, un'amica rispettosa
l'accompagna e siede con lei. Parlano non so di che, ma certo
con quella logica realistica che domina le cose di questa terra;
e con quel senso cinico che attinge il candore e fa delle donne
delle povere creature stupide o seccate o impaurite, più
che partecipi o dolenti dinanzi ai rovesci politici, alle cronache
dei crimini, alle sventure altrui, alle sorprese di sfortuna.
Dopo una mezz'ora e sempre con la stessa puntualità ragionieristica,
arriva un uomo più giovane di me, ossequioso come un segretario,
e si mette al loro tavolino.
Il culo di quella donna anziana costituisce l'epicentro dell'universo,
è una cosa comoda e abitudinaria che non si può
disunire da un'idea di morale, di religione, di buon costume,
di conto in banca. Manca un cagnolino a quella compagnia, ma può
darsi che la donna l'abbia avuto e sia morto.
Alla pensione Verdelli arrivò una danzatrice: una squinzia.
Nulla di straordinario in quella donna, se non fosse stata una
squinzia, ossia il massimo dell'espressione raggiunta con poca
carne e magalda e pepata e stupida e capace di accendere una dolce
ossessione con quel suo fare inquietante. Le squinzie, si sa,
e non le bellezze muliebri, sono da sempre le "donne fatali".
E fu un altro rimpianto per me, perché trovandomi a corto
di quattrini non avrei combinato nulla di buono: quei tipi vanesii,
scioccherelli, sono pure capaci di rifiutare il denaro per un
capriccio, ma questa pacchia non mi sarebbe toccata. Infatti divenne
immediatamente l'amante del guitto.
Se costui diceva alla radio le sue quattro sciocchezze mobilitava
tutta la pensione a sentirlo. Era un onore collettivo. Intanto
la Thea, che colà si venerava come virtuosa a rovescio,
come donna inaccessibile se non entravano i quattrini, e come
tutte le mantenute fisse rifiutava la sporadica marchetta, non
foss'altro per ragioni di decoro, divenne anch'essa l'amante del
guitto.
Tutti lo sapevano, tranne naturalmente Gigino, cui nessuno diceva
mai nulla. Eligio poi passava il suo silenzio, così ovvio
in casi del genere, come un atto di cavalleresca umanità,
poiché, dato che si assumeva funzioni di moralista e di
consigliere, avrebbe potuto avvertire Gigino che stesse più
attento a non rovinarsi.
Quante volte al mondo accade che noi siamo i soli a non saperci
cornuti, o lo sappiamo in ritardo di molti anni. E si sta bene,
e fanno malissimo quelli che vanno a fare la spia e riferire.
Per fortuna la forza dei cornuti è spesso tale che non
credono nemmeno a vedere. E ciò fa bene all'equilibrio
sociale.
3.
Al
quartiere Italia conoscevo gli abitatori del secondo piano d'una
villetta.
In quel reticolo di vie appariva ancora la bottega di un fabbro
con dell'alloro al margine dell'ingresso e il fuoco che illuminava
la sera, vicino si stendeva il muro dell'abitazione del duce:
villa Torlonia.
Mussolini si era comperata la tenuta della Rocca delle Caminate
come una rivincita sulla povertà nella quale nacque. "Pens
al mi' babb", aveva esclamato piangendo, salendo il treno
di lusso per andare a prenderne possesso.
Fu avaro, ma non avido di beni; e anche questo probabilmente veniva
dalle sue letture. Napoleone lasciava arricchire tutti e si accontentava
di annotare le spesucce di biancheria. Molti, prevaricavano ,
alcuni generali gli chiedevano di pagare i loro debiti di gioco;
Napoleone rimaneva illibato.
Le letture di Storia mettevano innanzi a Mussolini anche i Lanza,
i Sella; la nostra proba destra storica, così lui, essendosi
voluto improvvisare il continuatore della storia d'Italia, si
sentiva in dovere di rinunziare agli stipendi dei vari dicasteri
che si era assunti. Imitava una immagine di sé stesso che
si era costruito a suo gusto. D'altra parte Napoleone aveva letto
le vite di Alessandro, Temistocle, Asdrubale, Cesare, Federico
di Svevia, Federico di Prussia. Gli statisti empirici si preoccupano
assai dei precedenti storici, mentre gli statisti di ruolo, come
Metternich, Pitt, Mazzarino, Bismarck, Cavour, rimangono sulle
loro rotaie.
Piero Ravasenga (1907-78), uno scrittore apprezzato da Soldati e
Montale ma rimosso e costretto all'emigrazione da una società
letteraria nemica di un uomo libero che - scrive lui stesso - "tra
gli estremisti di sinistra passava per un reazionario e tra i conservatori
per un rivoluzionario".
Ha lasciato alcuni inediti e, tra questi, Roma divina (Ed.
Stampa Alternativa, Roma, 2001) dal quale sono stati tratti questi
brani.
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