GUANCETTE ROSSE
Divagazione
sul quadro "Venditrice di gamberetti" di William Hogarth
Consolata Lanza
Se
è novembre, si hanno diciott'anni, i piedi nudi, un vento
gelato spinge il nevischio quasi in orizzontale, non c'è
niente di insolito nel fatto che le guance siano di un bel rosso
acceso. E neanche nell'accettare di passare un'oretta al caldo,
davanti a un fuoco ruggente e a un tipo che maneggia il carboncino
su un foglio bianco, in cambio di una moneta lucida. Se poi ci
scappa anche una coscia di pollo freddo, una fetta di pasticcio
di lepre, un bicchiere di chiaretto, due mele da ficcarsi in tasca,
che sarà mai un bacio su quelle stesse guance, sempre più
rosse per l'effetto delle fiamme e del vino?
Così fu che Mary Stapleton, venditrice di gamberetti, venne
immortalata in un quadro appeso ancora oggi su una parete della
National Gallery di Londra. Ride e tiene un cesto di gamberetti
sulla testa. Non si può restare indifferenti alle sue guance
vermiglie. Ma il suo nome, nessuno lo conosce.
Mary uscì dallo studio del pittore in preda all'euforia.
Giusto quella mattina le sue scarpe avevano rinunciato alla lotta
per la vita, le tomaie si erano staccate del tutto dalla suola,
e il ciabattino aveva dichiarato che ripararle era impossibile.
"Dove potrei far passare il filo, secondo te? Sarebbe più
facile cucire l'aria."
La moneta, calda per essere stata nascosta nel seno di Mary, si
trasformò in un paio di stivaletti scricchiolanti, odorosi
di cuoio fresco, con un rinforzo di ferro sotto ai tacchi e alle
punte, che facevano venir voglia di ballare sul selciato per il
puro piacere di sentire quel ticchettio che voleva dire 'ho guadagnato
una moneta tutta per me, da spendere come volevo, senza che mia
madre ci mettesse le mani sopra'.
Ma siccome Mary aveva una coscienza professionale, prima di tornare
a casa si impegnò a vendere tutto il contenuto della cesta.
Ormai a collegare Mary al suo ritratto, destinato a diventare
così famoso, c'era solo quel paio di stivaletti. Mentre
il quadro veniva completato - dal foglio alla tela, dall'abbozzo
ai colori, alle ombre, allo sfondo, al luccichio dei dentini bianchi
nella risata monella, al perfetto rosso mela autunnale delle guance
- gli stivaletti si consumavano. Molto più lentamente,
perché il cuoio era ben conciato, i legacci robusti come
cime, il passo di Mary leggero e danzante. Eppure, prima o poi
gli stivaletti finirono nella spazzatura, mentre guance denti
capelli occhi neri di Mary sono ancora lì, in una bella
cornice dorata, su una parete di damasco rosso, tutti quelli che
la vedono dicono 'oh! ma che carina!' e magari pensano, 'peccato
che non ci siamo incontrati prima'.
Mary però, ben calzata e allegra, continuò a vendere
gamberetti per le strade di Londra.
"Ehi, ehi" gridava nelle strade fangose, nella nebbia
invernale "sono freschi come rose, profumati come dame, dolci
come ciliege! Rossi come ciliege! Un mangiare da re!"
Le cuoche uscivano dalle case per comprare la sua merce perché
la conoscevano e sapevano che era buona. Aveva diciott'anni, non
si stancava a camminare e gridare. Aveva i piedi ben caldi negli
stivaletti nuovi.
Quando il quadro fu esposto all'Accademia, ebbe un grande successo.
Un paio di volte, una coppia elegante fermò Mary per strada
e le chiese se aveva posato per un ritratto. Un cavaliere impellicciato
le diede persino un'altra moneta e un buffetto sulle guance rosse.
Era una piccola moneta. Lei si comprò una pinta di birra
e pesce fritto.
Poi successe che le guance di Mary cominciarono a sbiadirsi, il
sorriso a farsi tirato. Passò tre mesi a letto con la polmonite.
Guarì, ma era dimagrita, la sua voce non era più
così squillante né il passo tanto lieve. Sua mamma
la sgridava, perché vendeva meno. Mary pensò che
era ora di trovare qualcuno che si prendesse cura di lei.
In autunno si sposò con un barcaiolo di vent'anni, biondo
e robusto, che conosceva da quando era bambina. Le piaceva moltissimo
vederlo impallidire di desiderio quando si toglieva la gonna,
la giacca, e rimaneva in camicia alla luce barcollante del focolare.
Le piaceva essere abbracciata e baciata. Presto tornò ad
avere le guance rosse e paffute. Thomas gliele pizzicava volentieri.
Mary riuscì a mettere un banco al mercato di Billingsgate,
così non doveva più correre per le strade né
consumare troppo i bei stivaletti, ora non più tanto nuovi.
Ebbe un figlio, due, tre, quattro, praticamente partoriti dietro
al banco, tra l'odore del pesce e il fango viscido di lische e
scaglie. A ogni bambino la sua vita si allargava e le guance diventavano
più tonde. Quando sua madre morì dovette rinunciare
al banco per stare dietro ai figli.
Riprese i giri con il canestro sulla testa. Gridava ancora più
di quando era ragazza.
"Ehi, ehi, i bei pesci freschi! Son freschi come rose, croccanti
come il croccante, profumano di mare, sono argento vivo, sono
oro fuso, sono corallo del sud! Son uova di giornata!"
Gli stivaletti erano passati alla figlia maggiore, i rinforzi
di ferro erano stati cambiati più volte. Thomas gliene
regalò un paio ancora più belli.
Una volta, facendo una consegna in una casa di clienti abituali,
dovette passare dall'entrata principale perché quella di
servizio - nel seminterrato - era allagata. Attraversò
un atrio grandioso senza osare alzare il capo. Ma uscendo, con
il canestro vuoto sotto il braccio, si guardò intorno e
lì, sul camino, le sorrise il suo ritratto, guance rosse
e denti di perla. Si fermò di botto. La compassata cameriera,
veste di seta grigia e grembiulino di pizzo, che l'accompagnava
all'uscita, si fermò anche lei, seccata.
"Adesso che c'è? I soldi non sono giusti?"
"Guardi, guardi! Quella sono io!"
"Ma cosa dice! Quello è un quadro."
"Sì, ma nel quadro ci sono io. Guardi un po'."
Si mise davanti al camino, nella stessa posizione del ritratto,
il viso voltato verso destra, la bocca spalancata a ridere di
essere viva. Le mancavano quattro denti davanti. Le guance, a
onor del vero, erano rubizze, coperte di piccole vene a fior di
pelle. La cameriera le diede uno spintone.
"Vada via, per favore. Non sta bene se qualcuno la vede qui."
Mary guardò il quadro, guardò la cameriera, guardò
la propria immagine riflessa in un grande specchio dorato su un
tavolino carico di fiori di serra.
"Eppure, le assicuro, sono io" disse uscendo.
"Si ricordi i granchi per domani" le gridò la
cuoca, facendo capolino da una finestra.
Il giorno dopo Mary portò con sé la figlia, nella
speranza che l'entrata di servizio fosse ancora allagata. Ma tutto
era normale, solo un po' di fanghiglia sui gradini rischiò
di farla scivolare.
Tornando a casa, Mary ripeté la storia che Louise conosceva
a memoria.
"E così, mi sono comprata gli stivaletti che hai portato
anche tu."
Louise si toccò le guance rosse, evitò una pozzanghera,
storse il naso all'odore di mare che emanava dalle gonne della
madre. Saprò usare meglio la freschezza delle mie guance,
pensò. Se un pittore mi chiede di posare per lui, non mi
accontenterò di una moneta. Se il ritratto di mia madre
sta sul caminetto di una casa di signori, io voglio stare seduta
davanti a quel caminetto, mangiare pane e burro con i piedi sugli
alari, bere sherry vecchio in un bicchiere di cristallo che riflette
le fiamme. Altro che stivaletti con rinforzi di ferro. Avrò
scarpine di raso. Avrò una pelliccia di volpe e cento vestiti
di velluto. Avrò carrozze e cavalli, piatti di porcellana,
una cameriera che mi pettina. Avrò un materasso di piume...
Sorrise a un gentiluomo che si scostava per lasciarle il passo
sul marciapiede. Quando si volse a guardarlo, si accorse che anche
lui si era voltato.
Se è novembre, si hanno diciott'anni, le guance splendenti,
un cesto di gamberi sulla testa, scarpe vecchie ai piedi, il vento
gelato spinge il nevischio quasi in orizzontale, non c'è
niente di strano ad accettare di prendere un bicchiere di vino
davanti al fuoco. Non si avrà il proprio ritratto appeso
sulle pareti di damasco della National Gallery, duecentosessant'anni
dopo. Ma il vino scalda, le fiamme infiammano, le carezze consolano
e tengono lontano il freddo e il buio. Le guance si arrossano
anche per questi motivi, non solo per il gelo. Louise scelse il
caldo, inconsapevole come sua madre quando aveva scelto l'anonimato
dell'immortalità.
Consolata Lanza, torinese, ha
pubblicato D'amore e no (Ed. Tracce, 1996, Premio Letterario
Nazionale Nuove Scrittrici), Il gioco della masca (Filema,
1997), Est di Cipango (Filema, 1998), Ragazza brutta,
ragazza bella (Filema, 2000), Irene a mosaico (Avagliano,
2000), oltre a numerosi racconti in riviste e antologie. Dal 31/8
al 5/9 1998 ha frequentato un corso di scrittura creativa tenuto
da Julio Monteiro Martins a Lucca, nell'ambito della manifestazione
'Oltre le mura'.
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