IL
PRIMO, IL SECONDO, IL TERZO MONDO E LA DDR
Hugo
Velarde
Frammenti.
In
quell'estate niente mi costò più fatica che leggere
Althusser; ma l'impresa di gran lunga più difficoltosa
fu sicuramente quella di riuscire a capirlo. Sussurri e grida
di Bergman in un cinema-tendone brasiliano fu invece un vero
e proprio shock. I grandi magazzini tropicali, lussureggianti
e odoranti di muffa, rappresentavano in confronto all'austerità
della vita ritirata del nord una sfida troppo grande per il mio
senso estetico. Una curiosa nostalgia del freddo lasciò
intuire per la prima volta il puzzle della mia emigrazione. Sull'aereo
con cui proseguii il viaggio fu la volta del mio primo pacchetto
di sigarette "Prince" comprato da solo. L'Europa mi
gettava in una profonda angoscia. Durante lo scalo a Zurigo qualcuno
disse che nell'enorme Aeroflot accanto al nostro velivolo si trovava
il dissidente Bukowski, non l'americano, il poeta decadente, ma
il russo religioso. Carvalán atterrò nello stesso
aeroporto alcuni minuti più tardi. Il segretario del Partito
Comunista Cileno è stato liberato grazie alla "solidarietà
internazionale", si disse. Il commentatore marxista-leninista
che sedeva accanto a me sorvolò del tutto sul fatto che
i due individui s'incontrassero sulla "neutrale" pista
svizzera in virtú di uno scambio, come risultato del calcolo
politico nel quadro dell'infuocata guerra fredda. L'Europa era
per uno sprovveduto come me un incredibile scenario di impressioni
ed odori. La prima passeggiata a Copenaghen, per esempio, fu un'avventura:
i primi "pornoshop", quelle pregiate ragazze con quei
fianchi pregiati! Percepivo il desiderio impellente di prenderle
subito tra le braccia, di imprimermi a fuoco sul viso quel profumo
di "belve bionde" con reali sussurri e grida, di inalare
con respiri profondi l'onnipresente profumo del progresso, dell'Illuminismo
europeo, della rivoluzione sessuale - tutte cose che fino ad allora
conoscevo solo dai libri.
In Danimarca conobbi tre turisti. Si trattava di due ricchi cileni
di origine turca e della loro splendida e lussuriosa sorella,
i quali gettavano dollari a destra e a manca, così, senza
fare una piega. "Champán", dicevano i due uomini
all'unisono, "champán rojo" e " ancora champán".
Lo spumante rosso scorreva a fiumi. Feci presente che difficilmente
la compagnia aerea si sarebbe accollata il conto. "Vaffanculo
al conto", disse uno, "Viva Chile mierda!" E dopo
"champán rojo" e "ancora champán"
finii tra le braccia di Lucía, la sorella di "Viva
Chile mierda". Per l'opera di seduzione era bastato richiamare
alla mente il dibattito tra Althusser e l'inglese J. Lewis pubblicato
sul "Siglo XXI". Misi in pratica qualcosa della "Teoria
della rottura epistemologica" di Althusser. Alcuni minuti
dopo ebbe luogo l'unione. Lucía aveva introdotto una strana
pillola, e incominciò a schiumare e a schiumare. Post coitum
lessi sulla confezione: "Para el uso intravaginal - contra
la mobilidad espermatozoica." Come suonava meravigliosamente
scientifico! Che sensazione di sicurezza! Era come la rupture
epistemologique di Althusser. Che concetto di stringente scientificità!
Che immagine di antisettica sapienza! E schiumava e schiumava
tutta la schiuma dei giorni come introduzione alla letteratura
francese del '68 - Boris Vian per principianti! E odorava di lenzuola
antisettiche, di progresso schiumante.
Alcuni anni più tardi interpretai la mia prima "esperienza
olfattiva" come una specie di essenza della lotta di classe
mondiale. Quelli che stanno "sopra" profumano, quelli
"sotto" puzzano. - Ciò sembrava alludere ad un
dato di fatto particolarmente sottile, ma evidente, della lotta
di classe. Io venivo dal terzo mondo, ma in quel terzo mondo appartenevo
al primo e proiettavo quel terzo mondo sul primo e sul secondo!
Socialismo, capitalismo, modernità e i dannati di questa
terra! Che gerarchie si dispiegavano nelle sfumature di odori
del mondo! Mi ero trasformato in un furtivo voyeur olfattivo!
Non è che fossi un sinestetico o qualcosa del genere, assolutamente
no. Ma le stesse pareti dell'hotel "Lunik" ad Eisenhüttenstadt
profumavano di compagni e annunciavano contemporaneamente suoni
acuti da Una paloma blanca, da quella melodia "piena di temperamento"
che in tedesco fa pensare ad una strana mistura di Haino e E.
Busch. I compagni che ballavano odoravano di lotta di classe,
di un odore dolciastro, del tutto "non-occidentale",
di un sudore profumato di Florena che inondava tutta la stanza.
La stessa interprete, che parlava spagnolo come mio nonno, univa
sudore e deodorante socialista ad ascelle non lavate.
Ogni volta che ero messo a confronto con gli odori pensavo al
patetico discorso di nonna Emilia secondo cui i Cholos - "i
nostri meticci", diceva sempre con tono sprezzante - avevano
sempre i piedi che puzzavano. Secondo lei avevano cosparso il
puzzo di piedi su tutta la città e su tutto il paese. "Questo
puzzo", diceva, "non si può più lavare
via. Dio solo sa perché egli abbia punito i Cholos con
questa caratteristica quasi perversa. Guai se una nostra donna
sposa un Cholo: i piedi pestilenziali la perseguiterebbero fin
nella tomba. Ogni popolo odora in modo diverso. I popoli superiori
profumano, quelli inferiori puzzano. Una cosa è però
chiara: i Francesi inferiori odorano di camembert, i Tedeschi
inferiori di crauti, gli Yankees di pomodoro concentrato, i Culachi
di vodka e gli Ebrei di aglio, gli Indiani di oppio, i coolie
asiatici di pesce, i Cholos boliviani puzzano appunto di piedi".
Addirittura secondo lei erano gli odori che decidevano chi stesse
"sopra" e chi "sotto". " È la
volontà divina", diceva in modo affettato e senza
alcun giudizio analitico che fondasse il ragionamento, "l'uomo
è l'odore che emana." Quella insulsa teodicea alla
fine si trasformava sempre in una sociodicea degli odori! La mia
stupida e inacidita, la mia patetica nonna Emilia!
Ah, l'Europa. La parte più nordica, più misteriosa
dell'Europa
Avevo solo la cartina in testa e più
un timor panico nei suoi confronti che una razionale collocazione
geografica del suo territorio. Avevo infatti attraversato il Baltico
con la nave senza accorgermene. Qualcosa come una specie di enorme
stazione con molti tubi di gomma, costruzioni a forma di tubo
e idranti, in cui il treno si fermò, ad un primo sguardo
mi sembrò annunciare un semplice ritardo. Nel momento in
cui tutti i passeggeri uscirono dallo scompartimento, la situazione
divenne più che preoccupante. Ma dove stavano andando tutte
quelle persone? Rimasi zitto zitto al mio posto, in uno stato
di panico profondo, fino a che il treno non ripartì. Avevo
trascorso due ore intere in quello stato d'incertezza. Quando
a Berlino descrissi l'accaduto uno di "Chile Antifascista"
mi disse: "Hai solo attraversato il Baltico, scemo! Ma che
sosta e sosta! Hai attraversato il Baltico su una nave, e il treno
stava dentro. Pensi forse che si possano mettere i binari sull'acqua?
Nessuno è scomparso, proprio nessuno!" "Rimane
comunque strana la questione di quelli che sembrano scomparsi",
obbiettai, "ad un certo punto se ne vanno e non si sa piú
se siano davvero scomparsi oppure no." "Non scherzare
sugli scomparsi", replicò il compagno cileno che era
responsabile della mia accoglienza nella DDR. E come se avesse
intuito i miei pensieri più profondi, aggiunse: "Non
ti avventurare sulla falsa strada del deviazionismo ideologico
e scordati quel fascista del cazzo, Borges - ho visto tre suoi
libri nella tua valigia! -; quel lacchè dell'imperialismo.
Ma non lo sai che quel poeta da quattro soldi ha stretto la mano
a Pinochet?"
Ogni volta far rotolare il masso per poi riportarlo di nuovo in
cima. L'unico scopo: farlo rotolare! Camus nel cantiere, Madame
"Pipi" come soggetto rivoluzionario, Sartre nella DDR,
ogni giorno solo neve e grigio - non come nel film di Bergmann.
Ogni giorno in cantiere: "Vai a prendere la birra!"
e "solidarietà internazionale"! Dopo sei mesi
nella DDR ecco l'esperienza!
Dapprima avevo annunciato a Jorge: è tempo che cancelli
la mia allure borghese. Non voglio andare in biblioteca, ma lavorare
in un cantiere, fissare negli occhi il proletariato tedesco! La
vendetta si manifestò nelle vesti di uno dei suoi piú
puri rappresentanti, nella figura del muratore Udo di Potsdam.
Diceva: "Io muratore - tu straniero -. Io lavorare - tu all'università.
Io poca grana - tu quattrini occidentali. Io non all'ovest - tu
potere andare di là. Io solo la mia vecchia - tu avere
belle donne. Io lavoro volontario - tu dormire quanto volere.
Io oppresso da russi - tu potere svignartela." Ad ogni "io"
avevo reagito alle progressive deformazioni nel volto di Udo segnato
dall'eccitazione, difficilmente eguagliabili in quanto a odio
contro se stesso e contro gli stranieri, solo scuotendo rassegnatamente
il capo. Alcuni anni più tardi, nel film di Klimow Vai
e vedi, il volto di quel giovane che distrugge con un mitra le
foto del Führer per sancire la fine del Terzo Reich, dopo
che i tedeschi avevano lasciato terra bruciata nella Bielorussia
alla fine della Seconda Guerra Mondiale, mi sembrava curiosamente
simile a quello di Udo mentre pronunciava quegli "io".
Che godimento parlare con la Ansaldi, la socialista cilena che
in realtà era trotzkista. Quella avvocatessa che senza
esitare accusava il partito tedesco di immischiarsi negli affari
interni della "Unidad Popular" e più tardi, dopo
essere stata espulsa dalla "sicurezza socialista", scoprì
in Italia un documento di 400 pagine sulle disposizioni operative
della Stasi per la disgregazione dei rivoluzionari cileni in esilio.
"Tutti riformisti, riformisti del cazzo", affermava
con rabbia. "Sai come era bello il dialetto di quella ragazza
della Germania occidentale che portava sul cappello la stella
rossa del MIR, il Movimento Rivoluzionario di Sinistra, e che
conosceva Parigi, Londra o perfino Barcellona come il proprio
paese nel Baden? Non può essere, non mi entra nella testa
che qui il proletariato debba semplicemente restare rinchiuso."
"La burocrazia stalinista", spiegava pateticamente,
" è la becchina del proletariato."
"Ma studia pure sociologia", aggiungeva. "Qui si
può farlo bene, perché comunque questi tipi alla
fine ti insegneranno a fondo i "classici"! Come introduzione
critica al vero marxismo prendi però La rivoluzione permanente
di Trotzki, ma non lo far vedere a tuo padre". - io però
glielo feci vedere. E mio padre disse poi: "Per l'amor di
Dio, non lo far vedere al tuo brigadiere" - io però
lo feci vedere al mio brigadiere. E il brigadiere della brigata
"Schadow" disse: "È un libro materialista
o idealista?" - Io risposi: "Ma naturalmente materialista!".
"Allora va bene! Lo sai, no, che la forma più pericolosa
di anticomunismo è l'antisovietismo. E l'antisovietismo
è antimaterialismo..." Il brigadiere non aveva guardato
neppure la copertina del libro.
"Studiati bene i classici", ammoniva sempre la Ansaldi,
"fai pure sociologia o economia politica...". E io studiai
invece filosofia e lessi i classici più a fondo di quello
che la Ansaldi avrebbe mai pensato, poiché i sociologi
erano gatte morte e leggevano i manuali come nonna Emilia leggeva
i salmi.
Non dimenticherò mai la "via Lumumba" all'Istituto
Herder. Mi assegnarono una stanza prima che il compagno Just mi
domandasse come iniziava il "Manifesto Comunista" -
e soprattutto come finiva. Io lo sapevo e così fui accettato
nell'inquietante Istituto per la Preparazione alla Carriera Universitaria.
Il mio modo di esprimermi fu accolto con favore, ma il compagno
Just era dell'idea che dovessi piuttosto imparare una professione
tecnica per espletare futuri compiti rivoluzionari nella mia patria
- secondo lui la filosofia marxista-leninista si sarebbe infatti
potuta imparare anche nel tempo libero. Si sbagliava, obbiettai.
"Si può imparare una professione tecnica en passant
- la teoria rivoluzionaria proprio no!". Il motto anche lì
era ancora "solidarietà internazionale", ma non
più "Vai a prendere la birra" - grazie a Dio!
E così fui immatricolato nella sezione "Filosofia
marxista-leninista" dell'Università Karl Marx di Lipsia.
"Un compagno particolarmente leale, questo Velarde",
sembra che abbia detto il compagno Just; "un compagno fedele
che deve assolutamente far parte della federazione comunista giovanile
del suo paese". Non fui mai accettato in quell'associazione
di gentaglia analfabeta! Ma la parola "fedeltà"
mi fece pensare a mio nonno. Era alla fine forse riuscito a farmi
ingoiare con l'imbuto l'etica tedesca della fedeltà, quella
del tipo più ferreo? Oggi l'occasione era la questione
"comunista", rivoluzionaria, allora solo il mio cane,
il mio amato "Wotan".
Si chiamava Wotan, ma tutti dicevano "Bootan" perché
nessun Boliviano riusciva a pronunciare la "W". Un giorno
scomparve. "Sarà corso dietro a qualche cagna in calore",
osservò Ady e fece sedere tutti a tavola. C'era di nuovo
cavolo rosso, e la tovaglia bianca, che copriva di sacrale purezza
il tavolo di legno apparecchiato alla maniera bavarese, offriva
di nuovo pietanze della Germania meridionale. Era domenica e tutti
sapevano che alla fine del pranzo sarebbe stata indetta la gara
di vomito: il cibo ci faceva sempre più schifo. Quella
volta la ciotola di Wotan restò in un angolo senza essere
stata leccata.
I meravigliosi alberi di limoni fiorivano di un nuovo splendore.
E gli scarabei verdi, e persino quelli porpora, ronzavano intorno
agli alberi con un frastuono insolente. Il giorno dopo c'era di
nuovo la scuola. Ero appena ritornato a casa dalla lezione di
armonia e fischiavo tra e me e me il falso tritono, appena imparato.
Ad un tratto vidi Wotan, legato e impiccato al ramo più
grosso dell'albero. Non dimenticherò mai gli scarabei in
volo attorno al mio Wotan, attorno al cadavere del mio amato Wotan
che catturava il profumo dei limoni. Il colpevole: mio nonno fece
solo la seguente considerazione: "Senti, ragazzo, non è
così terribile, il cane era scappato e questo era un brutto
segno. L'ho fatto per te, l'ho fatto anestetizzare e poi l'ho
impiccato. L'ho fatto perché ti volevo mostrare che il
cane non ci era stato fedele. E tu devi imparare, questo lo devi
imparare davvero, che nessuno nella vita, neppure il cane, ha
il diritto di essere infedele!"
La segreta missione "Nibelunghi" del popolo tedesco
- che orrore, che metamorfosi! Che cosa c'entravo io? Che curiose
proiezioni mi accompagnavano dal "Terzo Reich" attraverso
il "Terzo Mondo" nell'"esilio socialista"?
(Traduzione dal tedesco di Luca Acuti)
Hugo Velarde è nato a La
Paz, in Bolivia, nel 1958. Nel 1979 è costretto all'esilio
nella DDR. Conseguito il dottorato in filosofia, lavora oggi a Berlino
come scrittore e giornalista indipendente. È uno dei redattori
della rivista GEGNER.
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