A PROPOSITO DEL PREMIO NOBEL PER VS NAIPAUL

Amitav Ghosh


Ero un adolescente quando lessi il saggio di Naipaul su come, nella Trinidad della sua giovinezza, i fiori del Mar dei Caraibi fossero stati resi invisibili dalle giunchiglie inesistenti dei poeti Inglesi dei libri di testo. Il saggio scatenò una così potente reazione di riconoscimento che quel momento è rimasto nella mia memoria da allora. Da bambino, leggendo L'Ammutinamento del Bounty, rimasi affascinato dalla parola 'frangipani' che mi sembrò essere suggestiva di tutto ciò che fosse misterioso, desiderabile e segreto. Poi, un giorno, scoprìi che i vecchi rami nodosi vicino alla mia finestra non erano altro che i rami di un albero frangipani: li avevo fissati per anni. La mia risposta non fu né di shock né di disappunto: fui piuttosto improvvisamente consapevole dell'anomalia del mio posto nel mondo. Non si trattava di una consapevolezza che avessi mai visto riflessa in niente che avevo letto - finché non m'imbattei nel saggio di Naipaul.
Questa era la magia della lettura di Naipaul in quegli anni. Il suo modo di vedere e le sue opinioni mi trovavano quasi sempre in disaccordo: alcune perché erano fondate in verità che erano troppo dolorose da riconoscere; alcune perché erano misantropiche o biasimevoli ed altre perché erano fastidiosamente vicine ad essere razziste o puramente ignoranti (quest'ultimo, in particolare, nei suoi scritti sul mondo islamico). Eppure, scriveva di questioni che nessun'altro reputava degne d'osservazione; aveva trovato parole capaci di scavare nuove dimensioni dell'esperienza.
Oggi, decine d'anni più tardi, quel saggio sul linguaggio è diventato una parte così intima della mia stessa esperienza che non posso essere certo dove termina la mia memoria e dove inizia la narrativa di Naipaul: il frangipani, era mio o suo, oppure stavo pensando ad uno jacaranda? Di tanto in tanto, altri simili momenti di Naipaul affiorano alla mia memoria, come dei denti del giudizio dolenti. Alcuni anni fa, scrivevo un saggio basato su una mia esperienza vissuta durante i disordini di Delhi nel 1984. Richiamai alla mente un brano tratto da un documentario su un viaggio di Naipaul; lo descrissi così: "nella sua incomparabile prosa Naipaul descrive una manifestazione. Egli si trova in una stanza d'albergo da qualche parte in Africa o in Sud America, guarda in basso e vede le persone che gli sfilano davanti. Con sua grande meraviglia, si sente inondato da un desiderio oscuro, una specie di malinconia: s'accorge di voler uscire, unire e fondere le sue preoccupazioni alle loro. Eppure, sa che non lo farà mai: non fa, semplicemente, parte della sua natura di unirsi alle folle. Fu Naipaul che mi rese capace di pensare a me stesso come scrittore per la prima volta, lavorando in Inglese… lo lessi con quell'attenzione intima e sgomenta che teniamo in serbo per i nostri più abili interlocutori. Mi ricordai di quel saggio perché, anch'io, per natura non ero un presenzialista: leggendo quel racconto pensai d'aver visto di nuovo un aspetto di me stesso riflesso nello specchio spietato di Naipaul." La parola 'influenza' sembra inadeguata per una circostanza come questa: è come se l'opera di Naipaul fosse una pietra ad acqua contro la quale affilare la mia consapevolezza del mondo.
Durante gli anni della mia formazione, in India, Naipaul suscitò in me un'intensità ed un coinvolgimento che nessun'altro scrittore poteva evocare. Lessi tutto quello che scriveva, con estrema e, a volte, combattiva attenzione: Miguel Street, The Suffrage of Elvira, The Mystic Masseur, A House for Mr. Biswas, The Mimic Men, Mr. Stone and the Knight's Companion e In a Free State. Amo ancora questi romanzi del primo periodo; a mio avviso Naipaul merita il Nobel anche solo per questi. Fu la sua non-finzione piuttosto che la sua finzione, che per prima, portò V.S. Naipaul all'attenzione del pubblico in Occidente, in particolare, due libri sull'India, An Area of Darkness e India: A Wounded Civilisation.
An Area of Darkness fece colpo a causa del suo tono derisorio e oltraggioso. Nonostante tutto, dopo un'attenta lettura penso che non sia difficile capire che l'oggetto della rabbia di Naipaul non è nessun'altro che lui stesso e i suoi avi sradicati. In effetti, questi libri segnarono una svolta decisiva nel suo lavoro. Dopo di questo non avrebbe mai visto la vita fuori dell'Occidente alle sue condizioni: l'India, i Caraibi e l'Africa sarebbero diventati i fondali sbiaditi sopra i quali proiettare una visione dell'Occidente e dell'Inghilterra in particolare. Dopo di questo, le isole riccamente strutturate dei suoi primi lavori sarebbero scomparse, rimpiazzate da una serie di caricature, ampiamente intercambiabili, di società dipinte come "fatte a metà" rispetto all'Europa. In questo contrasto fantasma, il non-Occidentale non potrebbe mai essere nient'altro che inconsistente - un mondo definito da ciò che gli manca. Prevedibilmente, questa svolta nel lavoro di Naipaul fu molto popolare in Occidente e fu rapidamente canonizzato per il suo formale atto d'accusa contro il "terzo Mondo". La portata della sua influenza è data dal fatto che, oggi in Occidente, gli scrittori di viaggi sono presi sul serio solo secondo la loro capacità di riprodurre il familiare tono di derisione di Naipaul.
E' una domanda discutibile se Naipaul sarà contento del Nobel oppure no: dopo tutto non è passato molto tempo da quando egli accusò questo comitato di insudiciare la letteratura da una grand'altezza. In ogni caso, non stupisce che Naipaul abbia espresso il desiderio di dedicare il suo premio all'Inghilterra, sua casa d'adozione, piuttosto che all'India. Alla maniera tipicamente Naipauliana, questo lascia senza nomina quei luoghi ai quali deve i suoi veri debiti letterari: il Trinidad e le Isole Caraibiche. Fu il Trinidad, con le sue feconde intersecazioni, che diede a Naipaul le sue ambizioni letterarie, la sua voce caratteristica e l'ambientazione per i romanzi per i quali sarà ricordato maggiormente. Il Nobel di Sir Vidia è un tributo non solo alle sue prodigiose,
anche se a volte capricciose, doti, ma anche all'isola della sua nascita.


(Traduzione di Maria Lida Paolinelli)



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