L'ISLAM E L'OCCIDENTE

Arnold Toynbee




(...) Nel primo capitolo si erano precisati due punti sullo scontro fra Russia e Occidente: il primo è che la Russia ha potuto tener testa all'Occidente adottando armi occidentali, il secondo è che una di queste armi occidentali adottate dalla Russia consisteva in un credo ideologico, e che adottando l'ideologia occidentale del comunismo la Russia ha potuto passare alla controffensiva che tante preoccupazioni desta oggi in noi dell'Occidente. Questa vicenda attuale dei rapporti fra la Russia e la nostra società ripete in alcuni punti una vicenda più antica, in cui la parte dell'odierna civiltà occidentale fu sostenuta dalla civiltà greco-romana che la precedette, e la parte della Russia dall'Islam.
Il comunismo è stato chiamato un'eresia cristiana, e la stessa definizione vale anche per l'Islam. L'Islam, come il comunismo, si fece strada come programma di riforme mirante a eliminare gli abusi insorti nella prassi del cristianesimo di allora. E il successo conseguito dall'Islam nei primissimi tempi dimostra la potenza del richiamo che un'eresia riformatrice può esercitare quando l'ortodossia da essa attaccata esiti a correggere i propri sbagli. Nel secolo settimo dell'era cristiana gli arabi musulmani liberarono dalla dominazione greco-romana una collana di paesi orientali - dalla Siria alla Spagna attraverso il nord Africa - che a tale dominazione era ormai soggetta dai mille anni, cioè da quando Alessandro Magno aveva conquistato l'impero persiano e i romani avevano abbattuto Cartagine. Dopodiché, fra il secolo undicesimo e il sedicesimo, i musulmani passarono a conquistare via via quasi tutta l'India, e la loro religione si diffuse ancor più lontano con mezzi pacifici: in Indonesia e Cina a est, nell''Africa tropicale a sud-ovest. Anche la Russia, come abbiamo visto, conobbe nel basso medioevo una temporanea soggezione ai tartari convertitisi all'Islam, e tutto il resto della cristianità ortodossa orientale, in Asia Minore e nell'Europa sud-orientale, fu conquistato nei secoli quattordicesimo e quindicesimo dai turchi ottomani, di fede musulmana. Vienna fu assediata dai turchi per la seconda volta nel 1682-83, cioè in epoca non molto remota; e sebbene il fallimento di quell'assedio segnasse l'inizio di un cambiamento di fortuna a favore dell'Occidente nel suo scontro con l'aggressivo Impero ottomano, la bandiera della mezzaluna guariva ancora nel 1912 sulla costa orientale dell'Adriatico, dirimpetto al tallone d'Italia.
Quei tremendi successi militari e politici che arrisero l'Islam nei primi capitoli della sua storia spiegano perché i turchi e altri popoli musulmani fossero così restii a seguire la politica di Pietro il Grande: resistere all'occidente adottando armi, arnesi, istituzioni e idee occidentali. L'occidentalizzazione tecnologica della Russia da parte di Pietro il Grande iniziò a meno di cent'anni dall'occupazione occidentale di Mosca, che i russi si erano visti infliggere dagli invasori polacchi nel 1610-12. Invece ci vollero più di cent'anni dopo il disastro turco di Vienna del 1683 perché un sultano turco facesse il primo passo riguardo all'addestramento della fanteria turca su modello occidentale, e ce ne vollero ben 236 perché uno statista turco convincesse i suoi compatrioti ad adottare di tutto cuore e senza riserve il modo di vivere occidentale.
Le riforme militari inaugurate dal sultano Selim III, che salì al trono nel 1789, furono una ripercussione della sconfitta che la Russia aveva inflitto alla Turchia nella grande guerra del 1768-74. Fino allora, i turchi avevano considerato i russi come cugini campagnoli dei propri spregiati sudditi cristiano-ortodossi orientali, di nazionalità greca e bulgara; ed ora i Turchi avevano patito una disfatta schiacciante per mano di questi rustici russi perché i russi si erano impossessati della tecnica militare occidentale. In quanto al movimento occidentalizzante integrale, varato da Mustafà Kemal Ataturk nel 1919, è dubbio che, pur con tutta la sua divinazione immaginosa e demoniaca potenza motrice, Atatturk sarebbe riuscito a scuotere o turchi dal loro secolare conservatorismo se, dopo la prima guerra mondiale, essi non si fossero trovati al bivio ineludibile fra l'occidentalizzazione totale e la completa estinzione. Il fatto è che il contrattacco al mondo islamico, che dopo lo scacco turco di Vienna del 1683 doveva venire prima o poi, fu ritardato da antiche memorie occidentali della storica prodezza militare turca e musulmana in genere. La rappresaglia occidentale alla conquista turca della cristianità ortodossa orientale, avvenuta nei secoli XIV e XV, si era concretata non già in un nuovo attacco frontale al mondo islamico, che i disastrosi insuccessi delle Crociate sconsigliavano senz'altro, ma in un accerchiamento dell'Islam mediante la conquista dell'Oceano. La circumnavigazione dell'Africa aveva portato i marinai occidentali di nazionalità portoghese alla costa occidentale dell'India qualche anno prima che i Mughal i quali costituivano l'ultima ondata dell'invasione musulmana in quel paese, vi entrassero per via di terra dall'Asia centrale. Il transito dell'Oceano Atlantico e del Pacifico, attuato dagli spagnoli attraverso il Messico, eresse nelle isole Filippine una nuova frontiera asiatica dell'Est fra una cristianità occidentale e un Islam che finora confinavano soltanto agli antipodi: nella valle del Danubio e nel Mediterraneo occidentale. Anzi, prima della fine del secolo sedicesimo l'Occidente, grazie alla conquista dell'Oceano, era riuscito a gettare un lazo al collo dell'Islam; ma fu soltanto nel secolo diciannovesimo che l'Occidente osò stringere il nodo. Fino allora, durevoli ricordi dell'antica prodezza militare musulmana, da entrambe le parti, tennero gli occidentali in uno stato di cautela e i musulmani di autocompatimento.
L'esperienza che lentamente ruppe l'incanto di questo autocompiacimento musulmano fu il ripetersi delle sconfitte militari che all'impero ottomano e ad altre potenze musulmane inflissero i nemici che disponevano di armi occidentali e della tecnologia e scienza che sono il nerbo della moderna arte bellica occidentale, e la reazione musulmana a quest'eperienza fu identica a quella russa.
In Turchia dal 1789 al 1919, come in Russia dal 1699 al 1825 il tipico occidentalizzatore rivoluzionario fu un giovane ufficiale dell'esercito o della marina; e per la mente di un occidentale ciò è sorprendente, perché nei paesi occidentali il corpo degli ufficiali di carriera tende ad essere non già un focolaio di rivoluzione ma una roccaforte del conservatorismo. Eppure i fatti sono indiscutibili. In Russia, gli agenti più efficaci del programma rivoluzionario attuato dallo zar occidentalizzatore Pietro il Grande furono i giovani ufficiali della sua Guardia; e più di cent'anni dopo Pietro, gli ideatori della rivoluzione fallita del 1825 contro lo zar conservatore Nicola I furono, ancora una volta, ufficiali dell'esercito, infettati dalle idee politiche occidentali dell'epoca nel 1814, quando militavano nell'esercito internazionale di occupazione in Francia. Nel secolo diciannovesimo la carriera tipica del profeta o capo rivoluzionario russo era spesso questa: nascere da un agiato proprietario terriero, entrare nel servizio militare o civile, pubblicare articoli filosofeggianti in una rivista letteraria, ritirarsi in età giovanile dal servizio imperiale, e passare il resto della vita campando di rendita a servire la causa della riforma politica e sociale in Russia sullo stampo occidentalizzante. In Turchia fu sostanzialmente la stessa storia. Il pioniere fallito dall'occidentalizzazione, sultano Selim III, e il suo più fortunato successore Mahmud II, esordirono entrambi costituendo reparti militari addestrati all'occidentale; e nella rivoluzione turca del 1908, che corrispose alla sfortunata rivoluzione russa del 1825 ma fu coronata dal successo, gli spiriti animatori erano giovani ufficiali dell'esercito.
Nel caso turco, la ragione della parte cospicua avuta dai giovani ufficiali nel movimento occidentalizzante è ovvia. Scopo della rivoluzione turca del 1908 era quello di ristabilire l'occidentalizzante costituzione parlamentare turca del 1876, che era stata quasi subito messa in disparte dal sultano reazionario 'Abd-al-Hamid II. La strategia politica seguita da 'Abd-al-Hamid durante i suoi trent'anni di governo assoluto, per accertarsi che il liberismo occidentale non alzasse mai più la testa in Turchia, si era risolta nella repressione di tutte le forme di "pensiero pericoloso". Sotto il suo regime si ebbe una severa censura ai libri e un rigido controllo dell'istruzione; ma l'unica eccezione alla norma sistematicamente oscurantista di 'Abd-al-Hamid fu l'istruzione dei cadetti destinati alla carriera militare. 'Abd-al-Hamid aveva una paura morbosa della rivoluzione, ma al tempo stesso il cuore gli diceva che avrebbe perduto il suo impero in un altro modo - soggiacendo alla conquista di qualche potenza straniera militarmente capace - se avesse reso impossibile ai cadetti militari turchi di seguire il progresso della scienza militare occidentale. Egli naturalmente tentò di mantenere l'istruzione occidentale dei suoi cadetti entro i più ristretti limiti professionale; ma una volta che questi giovani turchi ebbero avuto il permesso di imparare le lingue occidentali per studiare i testi d'Occidente, risultò impossibile precludere alle loro menti il contagio delle idee politiche occidentali. I cadetti militari furono così la sola classe della Turchia hamidiana che potesse tenere aperta una finestra mentale agli influssi d'Occidente; ed ecco perché nel 1908, dopo trent'anni di regime dispotico oscurantista, l'avanguardia era costituita dall'elemento juniore del corpo ufficiali.
La necessità di occidentalizzare l'esercito turco, ammessa così perfino da un reazionario estremo come il sultano 'Abd-al-Hamid II era stata riconosciuta cent'anni prima, come si è detto, dal suo sfortunato predecessore Selim III, di idee liberali. Ma in questo capitolo della vicenda anche gli occidentalizzatori convinti, in Turchia, non nutrivano in cuor loro alcun amore per l'estranea civiltà occidentale che andavano a ragion veduta introducendo. La loro intenzione era solo di prendere quella dose minima di cultura occidentale che bastasse a tenere in vita il "malato d'Europa"; e questo spirito avaro fece abortire l'una dopo l'altra in Turchia varie fasi di riforme occidentalizzanti. Il verdetto della storia su questa vecchia scuola di occidentalizzatori turchi è: "ogni volta troppo poco e troppo tardi". Essi speravano di abilitare la Turchia a tenere degnamente il campo nelle guerre con potenze occidentali come l'Austria, o occidentalizzanti come la Russia, solo vestendo di uniforme occidentale i soldati turchi e armandoli di armi occidentali, e dando agli ufficiali turchi un addestramento professionale occidentale. Volevano mantenere tutto il resto della vita turca sulla tradizionale base islamica. La ragione per cui questa politica di occidentalizzazione in dose minima fallì, e doveva fallire, era che urtava in modo flagrante contro una verità a cui questi primi riformatori turchi militari furono ciechi. benché Pietro il Grande avesse mostrato il suo genio intuendola. Ecco questa verità: che ogni civiltà, ogni modo di vita è un tutto indivisibile in cui tutte le parti coesistono in un rapporto di interdipendenza.
Per esempio, il segreto della superiorità di cui godette l'Occidente rispetto al resto del mondo nell'arte della guerra dal secolo diciassettesimo in poi non va cercato solo nelle sue armi, o nel suo sistema di esercizio e addestramento militare. Non lo si troverà nemmeno nella tecnologia civile che fornisce l'equipaggiamento militare. Non lo si può capire senza tener conto anche di tutta la mente e l'anima della società occidentale dell'epoca; e la verità è che l'arte bellica occidentale è sempre stata una faccia del modo di vita occidentale. Quindi una società straniera che tentasse di acquistare quell'arte senza cercare di vivere quella vita doveva fallire nell'intento di padroneggiare l'arte; mentre per converso l'ufficiale russo, turco o comunque non occidentale che riuscisse nella sua professione fino a raggiungere il livello canonico dell'occidente poteva farlo solo assimilando, della civiltà occidentale, molti più elementi che non si trovassero nel libro di testo o sulla piazza d'armi. Infatti la soluzione minima della sempre più insistente "questione occidentale" della Turchia, per quanto così a lungo cercata, non era affatto una soluzione, e la vicenda poteva concludersi in pratica solo nell'uno o nell'altro di due modi: alla fine, i turchi, avrebbero pagato l'errore di prendere la civiltà occidentale a dosi minime soccombendo, oppure si sarebbero salvati dall'estinzione occidentalizzandosi con tutto il cuore, la mente, l'anima e la forza. Dopo essersi portati sull'orlo della distruzione imboccando la prima delle due strade, si salvarono appena appena buttandosi, prima che fosse troppo tardi, a un'occidentalizzazione illimitata sotto la guida di Mustafà Kemal Atatturk.
Mustafà Kemal era uno di quei giovani ufficiali che si erano imbevuti di idee occidentali attraverso l'istruzione professionale ricevuta negli ultimi giorni del regime hamidiano; e poi aveva preso parte attiva alla rivoluzione del 1908. L'occasione buona venne per Mustafà Kemal quando la Turchia era a terra, accasciata dalla sconfitta che aveva condiviso con l'alleata Germania nella prima guerra mondiale. Kemal ebbe l'intuito di accorgersi che le mezze misure di occidentalizzazione, se finora erano state sempre disastrose per la Turchia, adesso le sarebbero riuscite fatali; ed ebbe anche la forza d'animo di indurre i compatrioti a seguire il suo indirizzo. La politica di Mustafà Kemal puntò sulla conversione integrale della Turchia al modo di vita occidentale; e negli anni fra il 1920 e il 1930 egli attuò in Turchia quello che era forse il programma più rivoluzionario deliberatamente e sistematicamente realizzato in qualsiasi Paese in tempo così breve. Era come se, nel nostro mondo occidentale, Rinascimento, Riforma, rivoluzione mentale scientifica di stampo secolare avvenuta alla fine del Seicento, Rivoluzione francese e Rivoluzione industriale si fossero tutte concentrate nello spazio di una vita umana e rese obbligatorie per legge. In Turchia l'emancipazione delle donne, la rimozione dell'Islamismo dalla sua posizione ufficiale di privilegio, e la sostituzione dell'alfabeto latino all'alfabeto arabo come veicolo grafico della lingua turca si effettuarono fra il 1922 e il 1928.
Questa rivoluzione fu compiuta da un dittatore che operava mediante un singolo partito investito di un monopolio del potere, e probabilmente non si sarebbe potuto fare tanto in tempo così breve con metodi meno drastici. Nel decennio posteriore al 1920 la Turchia doveva cambiare la propria vita radicalmente dall'interno o perire, e il popolo turco prescelse di sopravvivere a tutti i costi. Fra questi costi vi fu un periodo di sottomissione a un regime di tipo fascista-nazista-comunista, sebbene in Turchia l'istituzione dittatoriale del governo monoparititico non giungesse mai ad estremi totalitari. Però il seguito è cospicuo e promettente. Nelle elezioni generali del 1950 la Turchia passò dal regime monopartitico a un regime bipartitico per consenso, senza violenza o spargimento di sangue. Il partito che così a lungo aveva detenuto il monopolio del potere accettò adesso la volontà degli elettori, prima lasciandoli votare liberamente, e poi prendendo il voto contrario come segno e spunto per un ritiro del partito dominante dai seggi del Governo e un rientro dell'opposizione; e l'opposizione, da parte sua, mostrò lo stesso spirito costituzionale. Quando si trovò al potere, non ne abusò prendendo misure vendicative contro avversai che avevano rispettato i risultati di una libera elezione cedendo volontariamente il campo ai vincitori proclamati dalle urne.
Pare che in Turchia, dopo tanti infruttuosi tentativi di statisti che di generazione in generazione volevano "far bastare" l'arte occidentale della guerra, l'istituzione occidentale del governo parlamentare costituzionale, tanto più vicina dell'arte bellica al cuore della nostra civiltà, abbia ora messo salde radici. Se così è, registriamo qui un notevole trionfo di quel senso di equità e moderazione in politica che secondo noi occidentali è uno dei doni benefici che l'occidente può fare al mondo. A partire dal 1917 abbiamo visto molti popoli parzialmente o nominalmente democratici cadere in varie forme di governo tirannico e alcuni di questi popoli- per esempio l'italiano e il tedesco- erano non già proseliti recenti della nostra civiltà occidentale, ma membri di nascita della nostra famiglia. La vittoria dello spirito costituzionale d'Occidente nelle elezioni turche del 1950 è dunque una pietra militare che potrebbe finanche indicare una svolta nell'andamento politico della storia mondiale.
Manco a dirlo, ci sono altre idee e istituzioni occidentali che costituiscono dubbi regali; e tra essi vi è il nostro nazionalismo. I turchi, e con loro molti altri popoli islamici, si sono fortemente infettati di nazionalismo oltreché di altre idee occidentali, salutari o perniciose che fossero. E noi dobbiamo domandarci quale sarà la conseguenza dell'intrusione di questo gretto ideale politico occidentale in un mondo di islamici che ha per tradizione avita la fratellanza di tutti i musulmani in virtù della religione comune, ad onta delle differenze di razza, lingua e dimora. Adesso, in un mondo in cui la distanza è stata "annientata" dal progresso della tecnologia occidentale, e in cui il modo di vivere occidentale deve contendere a quello russo l'adesione dell'umanità intera, la tradizione islamica della fratellanza umana parrebbe un ideale migliore, per sopperire alle esigenze sociali dei tempi, che non la tradizione occidentale dell'indipendenza sovrana per dozzine di azioni separate. Nella nuova situazione in cui si trova la comunità occidentale dopo la seconda guerra mondiale, la sua partizione interna in una quarantina di stati nazionali sovrani e indipendenti minaccia di provocare la caduta di una casa scissa contro se stessa. Eppure il prestigio dell'Occidente nel mondo è ancora tanto alto da rendere pur sempre contagioso il virus occidentale del nazionalismo. C'è da sperare che, almeno nel mondo islamico, la diffusione di questo morbo politico occidentale possa essere arrestata dalla forza di un tradizionale senso islamico di unità. Una unità politica e sociale di portata mondiale è necessaria a noi uomini e alla nostra salvzza nell'era atomica in cui siamo oggi entrati, con urgenza ben maggiore che non in passato.
Il popolo turco, sotto l'ispirazione di Ataturk, ha reso certo un servigio a tutto il mondo islamico tentando i risolvere una comune "questione occidentale" in l'adozione del moderno sistema di vita occidentale senza riserve, nazionalismo compreso e tutto il resto. Ma non è detto che gli altri paesi islamici debbano seguire necessariamente la pista tracciata da questi pionieri turchi.
Ci sono per esempio i Paesi musulmani di lingua araba, dove si parla una lingua comune in dialetti diversi ma la si scrive in una sola forma letteraria canonica, dalla costa atlantica del Marocco ai confini occidentali della Persia, e da Aleppo a Mossul nel nord fino a Khartum, Aden, Masksat e Zanzibar nel sud. Libri e giornali pubblicati al Cairo, a Damasco e Beirut, circolano per tutta questa vasta area linguisticamente araba e anche oltre - perché l'arabo la lingua della religione anche in Paesi islamici dove non è la lingua della vita quotidiana. E' proprio necessario che il mondo di lingua araba si frantumi- come purtroppo si è frantumato l'ex impero spagnolo d'America- in una ventina di stati nazionali indipendenti e rassegnati a vivere in altrettanti compartimenti stagni sul modello occidentale? E' questo un lato manchevole della nostra civiltà occidentale, e sarebbe cero un peccato per i popoli di lingua araba copiarlo a puntino.
E poi, su tutti i confini del mondo islamico- Africa tropicale, India, Cina e Unione Sovietica- ci sono minoranze musulmane, sparpagliate tra maggioranze non musulmane, che non potranno mai raccogliere tutti i loro membri in blocchi geograficamente compatti suscettibili di formare altrettanti stati sovrani indipendenti. Queste disperse comunità musulmane- che in tutto ammontano a molti milioni di persone- non sono, come vedremo, le sole del loro genere; e per comunità sparse come queste, il vangelo del nazionalismo occidentale non è una chiamata a nuova vita, come vedremo, ma una condanna a morte. Prendiamo per esempio il caso della grande comunità musulmana sparsa sulla faccia del sottocontinente indiano. Nel 1947, quando la Gran Bretagna si ritirò dall'India, lo spirito occidentale del nazionalismo purtroppo non seguì il buon esempio dato dai rappresentanti della nazione occidentale che aveva introdotto in India tale ideologia d'Occidente. Il nostro nazionalismo occidentale perdurò in India dopo la partenza degli ex-amministratori e governatori britannici, a scindere un sottocontinente dianzi unito in due litigiosi stati successori - l'Unione Indiana Indù e il musulmano Pakistan - e per entrambi questa scissione è stata certo una disgrazia. L'Unione Indiana è un po' meno di un India unita; il Pakistan è un paese composto di due frammenti fra loro divisi dall'Unione Indiana in tutta la sua larghezza; e anche dopo questo lavoro di intarsio, milioni di Indù e musulmani indiani si sono trovati a vivere dalla parte sbagliata delle nuove frontiere, con l'alternativa crudele di lasciare le proprie dimore o cadere sotto il dominio di un governo che non li ama.
I Pakistani possiedono ora un loro stato nazionale, ed è vasto e popoloso. Ma questi musulmani indiani han dovuto pagarlo a prezzo più alto che non i turchi, e molto più alto che non gli egiziani. Hanno scoperto a proprie spese costo e svantaggi del nostro nazionalismo occidentale. Quindi i pakistani, al pari dei turchi, hanno appreso lezioni politiche che saranno preziose non solo per altri popoli islamici, ma anche per tutto il mondo.

(Questo brano, tratto dal volume "Il mondo e l'Occidente", è stato scritto da Toynbee nei primi anni '50).



Arnold Toynbee (1889 / 1975), storico inglese, ha concepito una rinomata Filosofia della Storia, basata sull'analisi dello sviluppo ciclico e del declino delle civiltà. Il suo libro Il mondo e l'Occidente, dal quale è stato tratto questo brano, è stato pubblicato da Sellerio editore, Palermo, 1992, in traduzione di Glauco Cambon.




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