CROCIATA COME DESTINO

Antônio Celso Alves Pereira


Discutendo sulla natura e sui fondamenti della politica estera americana, fino dalla fondazione del paese, Henry Kissinger, nel suo libro Diplomazia, spiega: "Le particolarità che gli Stati Uniti si sono attribuiti lungo la storia risultano in due posizioni, contraddittorie nell'ambito della politica estera. La prima, con la quale si afferma che gli Stati Uniti soddisfano meglio i propri valori perfezionando la democrazia a casa loro e servendo in questo modo da faro per il resto dell'umanità; la seconda con la quale si afferma che i valori americani impongono agli USA l'obbligo di promuoverli in tutto il mondo.[...] Entrambe le scuole di pensiero - quella degli USA come faro e quella degli USA come crociato - partono dal presupposto che la normalità delle cose consisterebbe in un ordine internazionale globale basato sulla democrazia, sul libero commercio e sull'obbedienza internazionale delle leggi."
Gli USA, dai primordi della loro formazione nazionale, spinti dalla mistica del destino manifesto, hanno cercato di costruire un mondo sicuro per l'espansione del loro impero. "La mano della stessa divinità modella la storia americana", diceva Alexander Hamilton. "E' necessario che molte centinaia di anni passino - affermava John Adams, secondo presidente degli USA - prima che diventiamo corrotti. La nostra repubblica federale pura, virtuosa, e orientata verso lo spirito pubblico, esisterà eternamente, governerà il globo terrestre e introdurrà la perfezione nell'uomo" . Come sappiamo, i fondatori della grande nazione nord-americana erano uomini profondamente religiosi. Tuttavia, erano saggi e realisti. Avevano consapevolezza del fatto che l'America dovesse fare la sua parte. Costruirono solide istituzioni politiche e lanciarono le basi dell'impero. Più tardi, il presidente McKinley affermava, in occasione della conquista delle Filippine, che era "dovere degli americani civilizzare e convertire tutti al cristianesimo". A sua volta, il presidente Wilson, dopo essere intervenuto in Nicaragua e ad Haiti, ordinò che i suoi bombardassero il porto di Vera Cruz e che il generale John Pershing invadesse il Messico e cacciasse il leader rivoluzionario Pancho Villa. Nel prendere tali iniziative dichiarò: "Insegnerò alle repubbliche sud-americane ad eleggere buoni uomini". Questa stessa pretesa di erigersi a salvatore, espressa stavolta nel principio "a world safe for democracy" è stata l'impronta della Guerra Fredda, la base della guerra della Corea, dell'intervento in Vietnam, infine della crociata anticomunista.
Secondo Kissinger, nel XX secolo, "nessun paese ha influenzato in modo più forte - e allo stesso tempo più ambivalente - il rapporto internazionale di quanto abbiano fatto gli USA. Nessuna società è stata così ferma nel non ammettere interventi negli affari interni di altri Stati, sostenendo tuttavia, con tanto fervore, l'idea che i propri valori avessero una applicazione universale. Nessuna nazione è stata più pragmatica nella condotta diplomatica del quotidiano, né più ideologica nelle condizioni morali. Nessun paese ha esitato di più nell'impegnarsi all'estero, stringendo al tempo stesso alleanze e assumendo impegni di ampiezza senza precedenti."
Se, molte volte, nel corso della storia, la pretesa di farsi salvatori, tipica degli Stati Uniti, è stata soltanto retorica di politica estera, volta a nascondere gli interessi imperialisti del paese o a sostenere dittature e governi marcatamente antidemocratici in diverse parti del mondo, non possiamo dimenticarci che, nei due momenti più gravi della storia del XX secolo, ossia le due guerre mondiali, gli USA hanno messo in gioco tutto il loro potere, e hanno deciso i conflitti sanguinosi della storia dell'umanità. Per due volte hanno salvato l'Europa.
Come è facile immaginare dinanzi ai tragici avvenimenti dell'undici Settembre, la natura stessa della politica estera del governo Bush è segnalata come uno dei fattori che, alla fine, avrebbero aggravato la situazione internazionale, e così contribuito ad aumentare i risentimenti dei radicali e l'ira dei fanatici assassini, che in nome della fede islamica si proclamano nemici degli USA. Questa realtà, in parte veritiera, è tuttavia lontana dal risolvere la complessità del problema. Credo che un'analisi di politica estera praticata dal governo Bush fino al fatidico undici Settembre dovrà prendere in considerazione la già menzionata ambivalenza che segna l'azione estera del paese in tutti i tempi. Fermi nella convinzione, come tutti i governi precedenti statunitensi, che la fortezza nord-americana, protetta dal suo indiscutibile potere militare, fosse al riparo da qualunque attacco devastatore di un altro paese, sicuri della superiorità morale degli Usa, gli attuali formulatori della politica estera del presidente Bush incrementavano una politica estera unilaterale, estremamente autofiduciosa, arrogante, per non dire addirittura irresponsabile. George W. Bush, fino al giorno degli attentati, viveva il dilemma della gestione di stato di Thomas Jefferson, terzo Presidente degli USA, che, secondo il professore Robert Tucker e David Hendrickson, citati da Kissinger, voleva che gli USA potessero assaporare i frutti del potere senza le normali conseguenze del proprio esercizio.
Come potenza egemonica assoluta, gli USA hanno l'obbligo politico di agire come potenza riequilibrante del sistema internazionale. Ma, come dice lo stesso Kissinger, "gli imperi non hanno il benché minimo interesse ad operare in un sistema internazionale: vogliono essere loro stessi il sistema internazionale".
I vili attentati dell'undici Settembre hanno portato il presidente George W. Bush a riformulare totalmente la propria linea d'azione estera. In un primo momento, sotto l'impatto della violenza, ha adottato la retorica della crociata. Dinanzi all'ampiezza del problema, si è visto obbligato ad abbandonare l'unilateralità della sua politica estera e spinto a stabilire, attraverso intense negoziazioni, un'ampia coalizione internazionale per combattere il terrore e proteggere la popolazione stessa degli USA. Questa nuova forma di terrorismo, quella del gruppo Al Qaeda, di Osama Bin Laden, che si organizzò internazionalmente nel mondo islamico, inizialmente, come reazione ritardata alla Guerra del Golfo, agisce in rete in tutto il mondo, dispone di grandi risorse economiche e di sofisticati supporti tecnologici, costituisce, oggi, insieme al traffico di droghe, del crimine organizzato e soprattutto della miseria e della fame che ricade su milioni di diseredati che abitano nelle aree povere del mondo, una delle maggiori disgrazie che devono essere definitivamente sradicate.



Antônio Celso Alves Pereira è professore all'Università Federale di Rio de Janeiro.


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