CHI SARÒ QUESTA
VOLTA?
Kurt Vonnegut Jr.
La Compagnia della Maschera e della Parrucca di North Crawford,
la filodrammatica di cui faccio parte, decise di fare Un tram
che si chiama desiderio di Tennessee Williams come spettacolo
di primavera. Doris Sawyer, che ha sempre curato le regie, disse
che questa volta non poteva farlo perché sua madre era
troppo malata. E disse che la compagnia avrebbe dovuto in ogni
caso cercare altri registi, perché non poteva vivere per
sempre, anche se ce l'aveva fatta tranquillamente fino a settantaquattro
anni.
Così io rimasi invischiato in questa faccenda della regia,
anche se l'unica cosa che avevo diretto prima di allora era l'installazione
delle finestre doppie con zanzariera di alluminio che vendo. Ecco
chi sono, un venditore di finestre e porte doppie, con l'aggiunta,
qualche volta, di una vasca da bagno. Per quanto riguarda la recitazione,
il livello massimo che avevo raggiunto sul palcoscenico era quello
del maggiordomo e del poliziotto, o poco più.
Posi una quantità di condizioni prima di accettare la regia,
e la prima era che Harry Nash, l'unico vero attore di cui disponeva
la filodrammatica, recitasse nella parte di Marlon Brando. Per
darvi un'idea di quanto sia versatile Harry, in un solo anno fu
Captain Queeg in L'ammutinamento del Caine, poi Abe Lincoln
in Abe Lincoln nell'Illinois e poi il giovane architetto
in La vergine sotto il tetto. L'anno successivo Harry Nash
fu Enrico VIII in Anna dei mille giorni e Doc in Torna
piccola Sheba, e io gli davo la caccia affinché facesse
la parte di Marlon Brando in Un tram che si chiama desiderio.
Harry non si presentò alla riunione per dire se avesse
qualcos'altro da fare. Non era sposato, non usciva con le ragazze
- non aveva nemmeno amici maschi. Stava alla larga da ogni tipo
di raduno perché non era in grado di pensare a nulla da
dire o da fare senza un copione.
Così il giorno dopo dovetti andare alla ferramenta Miller,
dove Harry lavorava come impiegato, a chiedergli se avrebbe accettato
la parte. Feci una sosta alla compagnia dei telefoni per una bolletta
che avevo ricevuto con una chiamata a Honolulu. Non avevo mai
telefonato a Honolulu in tutta la mia vita.
E lì, alla compagnia dei telefoni, dietro il balcone, c'era
questa magnifica ragazza che non avevo mai visto prima. Mi spiegò
che la compagnia aveva installato una macchina automatica per
le bollette e che non avevano ancora eliminato tutte le imperfezioni
di questa macchina. Commetteva degli errori. "Non solo non
ho telefonato a Honolulu," le dissi "ma penso che nessuno
a North Crawford lo abbia mai fatto o lo farà".
Detrasse l'importo dalla bolletta, e io le chiesi se veniva dai
dintorni di North Crawford. Disse di no. Disse di essere venuta
solo per la macchina automatica per le bollette e per insegnare
alle ragazze del posto come usarla. Dopo di ciò, disse,
se ne sarebbe andata con qualche altra macchina da qualche altra
parte. "Bene" dissi "fino a che la gente deve venire
a piazzare le macchine, suppongo che possiamo stare tranquilli".
"Come?"
"Quando le macchine cominceranno a consegnarsi da sole,"
dissi "suppongo che sarà meglio che la gente cominci
a preoccuparsi sul serio".
"Oh" disse. Non sembrava molto interessata all'argomento,
e mi chiesi se fosse interessata a qualche cosa. Sembrava un tipo
insensibile, quasi una macchina lei stessa, una cortese macchina
automatica della compagnia dei telefoni.
"Per quanto tempo si fermerà in città?"
le chiesi.
"Mi fermo otto settimane in ogni città, signore"
disse. Aveva dei begli occhi azzurri, ma certo non sembravano
pieni di curiosità né di speranza. Mi disse che
se ne era andata di città in città a quel modo per
due anni, sempre come un'estranea.
E mi venne in mente che avrebbe potuto essere una buona Stella
per lo spettacolo. Stella era la moglie del personaggio di Marlon
Brando, la moglie del personaggio che volevo che interpretasse
Harry Nash. Così le dissi dove e quando facevamo i provini,
e dissi che la compagnia sarebbe stata molto felice se fosse venuta.
Sembrò sorpresa, e si scaldò un poco. "Sa,"
disse "questa è la prima volta che qualcuno mi chiede
di partecipare a qualcosa della comunità".
"Bene," dissi "non c'è un modo più
veloce per conoscere un mucchio di persone piacevoli che quello
di lavorare con loro a uno spettacolo."
Mi disse di chiamarsi Helene Shaw. Disse che avrebbe proprio fatto
una sorpresa, a me - e a lei stessa. Disse che probabilmente sarebbe
venuta.
Voi
penserete che North Crawford doveva averne abbastanza di Harry
Nash attore dopo tutte le parti che aveva interpretato. Ma il
fatto era che probabilmente North Crawford poteva continuare a
godersi Harry per sempre, perché lui non era mai Harry
sul palcoscenico.
Quando si alzava il sipario sul palcoscenico della palestra della
Consolidated Junior-Senior High School, Harry, anima e corpo,
era esattamente quello che il copione e il regista avevano detto
di essere.
Una volta qualcuno disse che Harry avrebbe dovuto andare da uno
psichiatra per poter fare qualcosa di importante ed eccitante
anche nella vita reale - così avrebbe potuto sposarsi,
e forse ottenere un lavoro migliore che fare l'impiegato alla
ferramenta Miller per cinquanta dollari la settimana. Ma non so
cosa uno psichiatra avrebbe potuto tirare fuori da lui che la
città già non sapesse. Il problema di Harry era
l'essere stato abbandonato sui gradini della Chiesa Unitaria da
piccolo, e non aveva mai scoperto chi fossero i suoi genitori.
Quando gli dissi là, alla ferramenta Miller, che ero stato
nominato regista e che lo volevo nel mio spettacolo, disse quello
che aveva sempre detto a chiunque gli avesse chiesto di lavorare
in uno spettacolo - ed era quasi triste, se ci pensate un po'
su.
"Chi sarò questa volta?" disse.
Così feci i provini dove si erano sempre fatti - nella
sala riunione al secondo piano della biblioteca pubblica di North
Crawford. Doris Sawyer, la donna che solitamente fa la regista,
venne per offrirmi i benefici di tutta la sua esperienza. Noi
due ci eravamo piazzati di sopra, mentre la gente che voleva la
parte aspettava di sotto. Li chiamavamo di sopra a uno a uno.
Harry Nash venne al provino, anche se era uno spreco di tempo.
Suppongo che lo facesse solo per poter recitare un po' di più.
Per il piacere di Harry e anche per il nostro, gli facemmo leggere
la scena dove picchia la moglie. Era uno spettacolo di per se
stesso, il modo in cui Harry lo fece, e Tennessee Williams neanche
lo aveva scritto tutto. Tennessee Williams non aveva scritto il
pezzo, per esempio, in cui Harry, che pesa circa 145 libbre, che
è alto circa cinque piedi e otto pollici, aumenta il proprio
peso di quasi cinquanta libbre e la propria statura di quattro
pollici solo prendendo in mano un copione. Aveva un soprabitino
doppiopetto corto, con le pieghe sul dietro, tipo scuola elementare,
e una graziosa piccola cravatta rossa con sopra una testa di cavallo.
Si tolse il soprabito e la cravatta, si aprì il colletto,
poi voltò le spalle a Doris e a me, raccogliendo le energie
per la parte. Aveva un grande squarcio sul dietro della camicia,
eppure sembrava una camicia abbastanza nuova. L'aveva strappata
di proposito, in modo da poter essere molto di più Marlon
Brando sin dall'inizio.
Quando si voltò di nuovo verso di noi, era immenso e bello
e pieno di sé e crudele. Doris leggeva la parte di Stella,
la moglie, e Harry tiranneggiò quella vecchia signora credendo
che fosse una dolce ragazza incinta sposata a uno scimmione sensuale
che stava per strizzarle fuori il cervello. Convinse anche me.
E io leggevo le battute di Blanche, sua sorella nel testo, e accidenti
se Harry non mi terrorizzò nel farmi sentire una bellezza
meridionale ubriaca e sfiorita.
E poi, mentre Doris e io stavamo riprendendoci dalle nostre esperienze
emozionali, come gente che sta uscendo dall'anestesia, Harry depose
il copione, si rimise soprabito e cravatta, e ridiventò
il pallido impiegato del negozio di ferramenta.
"Andava... andava bene?" disse, e sembrava proprio sicuro
che non avrebbe avuto la parte.
"Be'," dissi "per una prima lettura, non era troppo
male".
"C'è una probabilità che io ottenga la parte?"
disse. Non so perché dovesse sempre fingere che ci fosse
qualche dubbio sulla sua parte, ma lo faceva.
"Penso che possiamo tranquillamente dire che ci stiamo orientando
decisamente verso di te" gli dissi.
Era molto soddisfatto. "Grazie! Grazie mille!" disse,
e mi diede la mano.
"C'è una ragazza nuova carina di sotto?" dissi,
intendendo Helene Shaw.
"Non ci ho fatto caso" disse Harry.
Venne fuori che Helene Shaw era venuta per i provini, e a Doris
e me si fermò il cuore. Pensammo che la Compagnia della
Maschera e della Parrucca di North Crawford era finalmente sul
punto di far salire sul palcoscenico una ragazza veramente giovane
e veramente bella, invece di una di quelle quarantenni ridotte
a mal partito che generalmente eravamo costretti a spacciare per
ragazze.
Ma Helene Shaw non poteva interpretare neppure la parte di una
mela acerba. Qualsiasi cosa le dessimo da leggere, era sempre
la stessa ragazza con lo stesso sorriso per chiunque avesse da
lamentarsi per la bolletta del telefono.
Doris tentò di istruirla un poco, di farle capire che Stella
nel testo era una ragazza veramente appassionata che amava uno
scimmione perché aveva bisogno di uno scimmione. Ma Helene
leggeva di nuovo le battute esattamente allo stesso modo. Non
credo che un vulcano avrebbe potuto eccitarla abbastanza da farle
dire "Oo".
"Cara", disse Doris "vorrei farti una domanda personale".
"Avanti" disse Helene.
"Sei mai stata innamorata?" disse Doris. "Il motivo
per cui ti chiedo" disse " di ricordare qualche vecchio
amore è perché potrebbe aiutarti a mettere più
calore nella tua recitazione".
Helene corrugò la fronte e ci pensò a lungo. "Bene,"
disse "io viaggio parecchio, sapete. E praticamente tutti
gli uomini nelle diverse compagnie che ho visitato sono sposati
e non sto mai in alcun posto abbastanza a lungo per conoscere
molte persone che non lo siano".
"E a scuola?" disse Doris. "Con il primo amore
e tutti quegli altri tipi di amore scolastico?"
Così Helene ci pensò a lungo, poi disse: "Anche
a scuola mi spostavo sempre parecchio. Mio padre era un costruttore
edile, continuamente in giro per lavoro, così io dovevo
sempre dire salve o addio a qualche posto, senza poter mettere
niente in mezzo".
"Um" disse Doris.
"Andrebbe bene un divo del cinema?" disse Helene. "Non
voglio dire nella vita reale. Non ne ho conosciuto nessuno. Intendo
solo sullo schermo".
Doris mi guardò strabuzzando gli occhi. "Immagino
che sia anche quella una specie di amore" disse.
E allora Helene si entusiasmò un poco. "Me ne stavo
seduta al cinema per ore e ore," disse "e fingevo di
essere sposata a qualunque uomo fosse il protagonista del film.
Erano le uniche persone che venivano con noi. Non importa dove
traslocassimo, le stelle del cinema erano già là".
"Uh huh" disse Doris.
"Bene, grazie, miss Shaw" dissi. "Vada sotto e
aspetti con gli altri. Le faremo sapere".
Così tentammo di trovare un'altra Stella. Ma non ce n'era
neanche una, non una donna della compagnia con una goccia di rugiada
ancora su di sé. "Tutto quello che abbiamo sono delle
Blanche" dissi, intendendo che tutto quello che avevamo erano
donne sfiorite che potevano recitare la parte di Blanche, la sorella
sfiorita di Stella. "Così è la vita, credo
- venti Blanche per una Stella".
"E quando trovi una Stella," disse Doris "viene
fuori che non sa cosa sia l'amore".
Doris e io decidemmo che c'era ancora una cosa che potevamo tentare.
Potevamo chiedere a Harry Nash di recitare una scena con Helene.
"Potrebbe farla ribollire almeno un pochino" dissi.
"Quella ragazza non ha bolle dentro" disse Doris.
Così attraverso le scale chiedemmo a Helene di tornare
di sopra e dicemmo a qualcuno di andare a prendere Harry. Harry
non stava mai con gli altri ai provini --e nemmeno alle prove.
Nell'attimo in cui non aveva una battuta da dire, spariva in qualche
nascondiglio dove poteva sentire se lo chiamavano, ma dove non
poteva essere visto. Ai provini in biblioteca di solito si nascondeva
nella stanza per la consultazione, passando il tempo a studiare
le bandiere dei diversi Paesi sulla prima pagina del dizionario.
Helene venne di sopra, e fummo molto dispiaciuti e sorpresi nel
vedere che aveva pianto.
"Oh, cara" disse Doris. "Oh, mia... qual è
mai dunque il tuo problema, cara?"
"Sono stata tremenda, vero?" disse Helene, ciondolando
la testa.
Doris disse l'unica cosa che si può dire in una filodrammatica
quando c'è qualcuno che piange. Disse: "Perché,
no cara - sei stata meravigliosa".
"No, non è vero" disse Helene. "Sono un
cubetto di ghiaccio che cammina, e lo so".
"Nessuno potrebbe guardarti e pensare una cosa del genere"
disse Doris.
"Ma possono dirlo dopo che mi hanno conosciuta" disse
Helene. "Ed è esattamente quello che dicono,
dopo che mi hanno conosciuta". Le lacrime aumentarono. "Non
voglio essere come sono" disse. "È solo che non
posso farci nulla, visto il modo in cui ho trascorso la mia vita.
Le uniche esperienze che ho avuto sono state quei sogni strampalati
con le stelle del cinema. Quando incontro qualcuno carino nella
vita reale, mi sento come se fossi in una specie di grande bottiglia,
come se non potessi toccare quella persona, per quanto seriamente
ci provi". E Helene spinse nell'aria come se ci fosse una
grande bottiglia tutto intorno a lei.
"Lei mi ha chiesto se sono mai stata innamorata" disse
a Doris. "No... ma lo vorrei tanto. So di che cosa parla
questo dramma. So quello che si crede che Stella dovrebbe sentire
e perché. Io... io... io..." disse, e le lacrime non
le permisero di continuare.
"Tu cosa, mia cara?" disse Doris con gentilezza.
"Io..." disse Helene, e spinse di nuovo la bottiglia
immaginaria. "È solo che non so come cominciare"
disse.
Si udirono dei passi pesanti sulle scale della biblioteca. Sembravano
quelli di un palombaro degli abissi marini che risale con le sue
scarpe di piombo. Era Harry Nash, che si stava trasformando in
Marlon Brando. Entrò, quasi strisciando le nocche sul pavimento.
Ed era entrato così tanto nella parte che la vista di una
donna in lacrime lo fece sghignazzare.
"Harry," dissi "vorrei presentarti Helene Shaw.
Helene... questo è Harry Nash. Se ottieni la parte di Stella,
sarà tuo marito nello spettacolo". Harry non si offrì
di stringerle la mano. Si mise le mani in tasca e, curvo su di
lei, la squadrò dall'alto in basso, con delle occhiate
che la lasciarono nuda. Smise di piangere in quel preciso istante.
"Mi chiedevo se voi due volevate recitare la scena della
lite," dissi "e poi la scena della riappacificazione
subito dopo".
"Certo" disse Harry, con gli occhi sempre fissi su di
lei. Quegli occhi le bruciavano i vestiti più in fretta
di quanto lei ci impiegasse a rimetterseli. "Certo,"
disse "se Stella è pronta".
"Come?" disse Helene. Era diventata del colore del succo
di mirtillo.
"Stell... Stella" disse Harry. "Sei tu. Stella
è mia moglie".
Porsi a entrambi il copione. Harry me lo strappò di mano
senza una parola di ringraziamento. Le mani di Helene erano incerte,
e io dovetti richiuderli con gentilezza intorno alle pagine.
"Voglio qualcosa da poter lanciare" disse Harry.
"Come?" dissi.
"C'è un punto in cui getto la radio fuori dalla finestra"
disse Harry. "Che cosa posso lanciare?".
Così gli dissi che un fermacarte di ferro era la radio,
e spalancai la finestra. Helene Shaw sembrava spaventata a morte.
"Da dove vuoi che partiamo?" disse Harry, e ruotò
le spalle come un pugile professionista che si sta scaldando.
"Inizia alcune battute prima di quando getti la radio fuori
della finestra" dissi.
"O.K., O.K." disse Harry, continuando a scaldarsi e
misurando lo spazio a grandi passi. "Vediamo," disse
"dopo che ho gettato la radio, lei corre fuori del palcoscenico
e io le corro dietro, e gliene mollo uno".
"Esatto" dissi io.
"O.K., piccola" disse Harry a Helene, le palpebre abbassate.
Quello che stava per accadere era più selvaggio della corsa
delle bighe in Ben Hur. "In posizione di partenza"
disse Harry. "Sta' pronta, piccola. Via!".
Quando la scena fu finita, Helene Shaw era accaldata come un facchino
e molle come un'anguilla. Sedette con la bocca aperta e la testa
piegata da un lato. Non era più rinchiusa in nessuna bottiglia.
Non c'era più nessuna bottiglia che la tratteneva e la
conservava sicura e pulita. La bottiglia se n'era andata.
"Ho la parte o no?" mi ringhiò Harry.
"Sicuro" dissi.
"Hai proprio detto la parola giusta!" disse. "Adesso
me ne vado... Ci vediamo Stella" disse a Helene, e se ne
andò sbattendo la porta dietro di sé.
"Helene?" dissi. "Miss Shaw?".
"Mf?" disse lei.
"La parte di Stella è sua" dissi. "È
stata grande!".
"Davvero?" disse.
"Non avevo idea che avessi tutto quel fuoco dentro, cara"
le disse Doris.
"Fuoco?" disse Helene. Non sapeva se stava andando a
piedi o a cavallo.
"Fuochi artificiali! Girandole! Candele romane!" disse
Doris.
"Mf" disse Helene. E fu tutto ciò che disse.
Sembrava che avesse intenzione di stare seduta su quella sedia
con la bocca aperta per sempre.
"Stella" dissi.
"Huh?" disse.
"Può andarsene".
Così cominciammo a provare quattro sere la settimana sul
palcoscenico della Consolidated School. E Harry e Helene imposero
un tale ritmo che tutti nella produzione erano mezzi matti per
l'eccitazione e la stanchezza prima che avessimo provato quattro
volte. Di solito un regista deve supplicare gli attori affinché
imparino la parte, ma non ebbi questo problema. Harry e Helene
lavoravano così bene insieme che chiunque facesse parte
del cast considerava un dovere e un onore e un piacere sostenerli.
Ero proprio fortunato - o almeno pensavo di esserlo. Le cose stavano
andando così bene, così lisce, così veloci
che, dopo una scena d'amore, dovetti dire a Harry e Helene: "Tenetevi
un pochino più sottotono per la rappresentazione autentica,
vi dispiace? Vi brucerete".
Lo disse alla quarta o quinta prova, e Lydia Miller, che interpretava
Blanche, la sorella sfiorita, stava seduta vicino a me, in platea.
Nella vita reale è la moglie di Verne Miller. Verne è
il proprietario del negozio di ferramenta. Verne era il padrone
di Harry.
"Lydia" le dissi "abbiamo o non abbiamo uno spettacolo?"
"Sì" disse "abbiamo uno spettacolo, d'accordo".
Lo disse come se io avessi commesso un qualche misfatto, fatto
qualcosa di veramente terribile. "Dovresti essere molto orgoglioso
di te stesso".
"Cosa vuoi dire?" chiesi.
Prima che Lydia potesse rispondere, Harry mi lanciò un
urlo dal palcoscenico, chiedendomi se avevo finito con lui e se
poteva andare a casa. Gli dissi di sì e, ancora Marlon
Brando, se ne andò, prendendo a pugni i mobili che si trovavano
sul suo cammino e sbattendo tutte le porte. Abbandonò Helene
tutta sola sul palcoscenico, seduta su un divano, con la stessa
aria rintronata che aveva dopo il provino. Quella ragazza era
prosciugata.
Mi rivolsi nuovamente a Lydia e dissi: "Bene... finora credevo
di avere tutte le ragioni per essere felice e orgoglioso. Sta
succedendo qualcosa di cui non sono a conoscenza?"
"Lo sai che quella ragazza è innamorata di Harry?"
disse Lydia.
"Nel testo?" dissi.
"Quale testo?" disse Lydia. "Non si sta recitando
alcun testo adesso, e guardala un po' là." Scoppiò
in una risata triste. "Tu non stai dirigendo questo spettacolo".
"E chi lo sta facendo?" dissi.
"Madre natura al suo peggio" disse Lydia. "E pensa
a cosa accadrà a quella ragazza quando scoprirà
com'è Harry realmente". Si corresse. "Come Harry
realmente non è" disse.
Non feci nulla al riguardo, perché non pensavo che fosse
affar mio. Udii Lydia cercare di fare qualcosa al riguardo, ma
non andò molto lontano.
"Sai," disse una sera Lydia e Helene "una volta
ho interpretato Ann Rutledge, e Harry era Abraham Lincoln".
Helene batté le mani. "Deve essere stato divino!"
disse.
"In un certo senso lo fu" disse Lydia. "A volte
ero così coinvolta che amavo Harry come avrei amato Abraham
Lincoln. Dovevo ritornare con i piedi per terra e ricordarmi che
non aveva mai liberato gli schiavi, che era un semplice impiegato
nel negozio di ferramenta di mio marito.
"È l'uomo più meraviglioso che io abbia mai
incontrato" disse Helene.
"Naturalmente, una cosa a cui devi esser preparata, quando
lavori con Harry in uno spettacolo," disse Lydia "è
quanto accade dopo l'ultima replica".
"Di che cosa stai parlando?" disse Helene.
"Una volta che lo spettacolo è finito" disse
Lydia "qualunque cosa tu pensavi che Harry fosse, sparisce
nel nulla".
"Non ci credo" disse Helene.
"Riconosco che è difficile crederlo" disse Lydia.
Allora Helene si irritò un po'. "In ogni caso, perché
me lo dici?" disse. "Se anche fosse vero, perché
dovrei preoccuparmene?".
"Io... io non lo so, disse Lydia, ritraendosi. "Io...
io ho solo pensato che l'avresti trovato interessante".
"Ebbene, non è così" disse Helene.
E Lydia sgattaiolò via, sentendosi sciatta e non amata
come si immaginava che dovesse sentirsi nel testo. Dopodiché
nessuno disse più niente a Helene per metterla in guardia
sul conto di Harry, nemmeno quando si sparse la voce che aveva
detto alla compagnia dei telefoni che non voleva più essere
trasferita, che voleva fermarsi a North Crawford.
E venne finalmente il momento del debutto. Andammo avanti tre
sere - giovedì, venerdì e sabato - e facemmo fuori
il pubblico. Credevano a ogni parola che veniva detta sul palcoscenico,
e quando il sipario marrone scendeva, erano pronti ad andare in
manicomio con Blanche, la sorella sfiorita.
Giovedì sera le altre ragazze della compagnia dei telefoni
mandarono a Helene una dozzina di rose rosse. Quando Helene e
Harry vennero insieme alla ribalta, le passai le rose sopra le
luci del proscenio. Si fece avanti, prese una rosa dal mazzo per
darla a Harry. Ma quando si girò per dare a Harry la rosa
davanti a tutti, Harry se ne era andato. Il sipario scese su quella
scena extra - quella ragazza che offriva una rosa a nulla e nessuno.
Andai dietro le quinte, e la trovai che reggeva ancora quella
rosa. Aveva lasciato da parte il mazzo. Aveva gli occhi pieni
di lacrime. "Cos'ho fatto di male?" mi disse. "L'ho
offeso in qualche modo?".
"No" dissi. "Fa sempre così dopo uno spettacolo.
Un attimo dopo che è finito, sparisce più in fretta
che può".
"E domani sparirà di nuovo?"
"Senza neanche togliersi il trucco".
"E sabato?" disse. "Si fermerà per la festa
della compagnia, vero?"
"Harry non va mai alle feste" dissi. "Quando sabato
calerà il sipario, nessuno lo vedrà più fino
a lunedì, quando tornerà al lavoro".
"Che tristezza" disse.
Helene venerdì non recitò bene come giovedì.
Sembrava che stesse pensando ad altro. Guardò Harry squagliarsela
dopo gli applausi. Non disse una parola.
Sabato recitò nuovamente al meglio. Di solito era Harry
che dava il ritmo. Ma sabato Harry dovette darsi da fare per mantenere
quello di Helene.
Quando scese il sipario sull'ultima chiamata, Harry voleva andarsene
via, ma non gli riuscì. Helene non voleva lasciarli andare
la mano. Il resto del cast e dei tecnici di scena e un mucchio
di sostenitori del pubblico erano intorno a Harry ed Helene, e
Harry cercava di recuperare la mano.
"Bene" disse. "Devo andare".
"Dove?" disse lei.
"Oh," disse lui "a casa".
"Non hai voglia di venire con me alla festa della compagnia?
disse.
Diventò tutto rosso. "Temo di non essere molto portato
per le feste" disse. Tutto il Marlon Brando che era in lui
se ne era andato. Aveva la lingua impastata, era spaventato e
intimidito - era tutto ciò per cui Harry era diventato
famoso tra uno spettacolo e l'altro.
"D'accordo" disse lei. "Ti lascio andare... se
mi prometti una cosa".
"Che storia è questa?" disse Harry, e credo che
sarebbe saltato dalla finestra se lo avesse lasciato andare.
"Voglio che tu mi prometta di stare qui fino a che ti ho
dato il tuo regalo".
"Regalo?" disse, ancora più spaventato.
"Promesso?" disse lei.
Promise. Era l'unico modo per riavere la mano. E rimase lì,
tristemente, mentre Helene andava di sotto nello spogliatoio delle
donne a prendere il regalo. Mentre aspettava, un mucchio di gente
si congratulò con lui per la sua bravura. Ma i complimenti
non lo avevano mai reso felice. L'unica cosa che voleva era andarsene.
Helene ritornò con il regalo. Venne fuori che si trattava
di un piccolo libro blu con un grosso nastro rosso come segnalibro.
Era una copia di Romeo e Giulietta. Harry era molto imbarazzato.
Tutto quello che riuscì a dire fu "Grazie".
"Ho messo il segnalibro alla mia scena preferita" disse
Helene.
"Um" disse Harry.
"Non vuoi sapere qual è la mia scena preferita?"
- disse.
Così Harry dovette aprire il libro al nastro rosso.
Helene gli si fece vicino, e lesse una battuta di Giulietta: "
'Come, dimmi, e perché sei entrato qui dentro?" lesse.
"Sono erti e ardui da scalare i muri dell'orto: e qui per
te, considerando chi sei, è luogo di morte se ti scopre
qualcuno di casa mia' ". Indicò il verso successivo.
"Ora, guarda cosa dice Romeo" disse.
"Um" disse Harry.
"Leggi cosa dice Romeo" disse Helene.
Harry si schiarì la voce. Non voleva leggere il verso,
ma dovette farlo. " 'Ho scavalcato questi muri sulle ali
leggere dell'Amore' " lesse con la sua voce normale. Ma poi
subentrò in lui un cambiamento. " 'Amore non teme
ostacolo di pietra' " lesse, e si raddrizzò, e otto
anni scivolarono via da lui, ed era coraggioso e lieto. "
'Amore, quando a una cosa intende, è ardimentoso e pronto,'
" lesse " 'e io non temo i tuoi parenti' ".
" 'Ti uccideranno, se ti scoprono qui' " disse Helene,
e lo fece iniziare a muoversi con le ali.
" 'Ahimè!' " disse Harry " 'c'è nei
tuoi occhi più pericolo che in venti loro spade' ".
Helene lo condusse verso l'uscita dietro le quinte. " 'Se
mi guardi tu con dolcezza io sarò a tutta prova contro
l'odio dei tuoi' ".
" 'Ma io non voglio per nulla al mondo che ti trovino qui'
" disse Helene, e fu l'ultima cosa che udimmo. Erano usciti
entrambi e se n'erano andati.
Non si fecero vedere alla festa della compagnia. Una settimana
dopo erano sposati.
Sembravano molto felici, anche se erano un po' strani di tanto
in tanto, a seconda del testo che stavano leggendosi l'un l'altro
in quel momento.
L'altro giorno sono capitato alla compagnia dei telefoni, perché
la macchina delle bollette fa di nuovo strani errori. Le chiesi
quale testo stesse leggendo ultimamente con Harry.
"La settimana scorsa" disse "sono stata sposata
a Otello, amata da Faust e rapita da Paride. Mi sai dire chi è
la ragazza più fortunata della città?"
Le disse che credevo di saperlo, e che anche la maggior parte
delle donne della città la pensavano allo stesso modo.
"Hanno avuto la loro occasione" disse.
"La maggior parte di loro non potrebbe reggere alla tensione"
dissi. E le dissi che mi era stato chiesto di dirigere un altro
testo. Le chiesi se lei e Harry sarebbero stati disponibili. Mi
fece un radioso sorriso e disse: "Chi saremmo questa volta?"
(Tratto
dal libro Benvenuta nella gabbia delle scimmie, SE Editrice,
Milano, 1991, a cura di Franco Garnero)
L'autore, Kurt Vonnegut Jr
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