BEMOLLE
Valerij Brjusov
Quando Anna Nikolaevna finì il collegio, le trovarono subito
un impiego come commessa nella cartoleria "Bemolle".
Non si sa bene perché il negozio si chiamasse proprio così:
probabilmente in passato si vendevano anche degli spartiti musicali.
La cartoleria si trovava da qualche parte lungo il corso, i clienti
erano pochi e Anna Nikolaevna trascorreva quasi da sola intere
giornate. Il suo unico aiutante era un ragazzo, Fed'ka, che fin
dal mattino, dopo il tè, andava a coricarsi e si svegliava
solo quando era ora di affrettarsi per il pranzo. Poi nuovamente
ritornava a dormire. Verso sera per una mezz'oretta arrivava la
padrona, Karolina Gustavovna, una vecchia predona tedesca che
veniva per ritirare i soldi e per rimproverare Anna Nikolaevna
di non sapere attirare i clienti. La ragazza l'ascoltava oltre
ogni limite spaventata tanto da non osare aprire bocca. Il negozio
veniva chiuso alle nove; arrivando a casa Anna Nikolaevna, che
abitava presso una zia, beveva un po' di tè sgranocchiando
qualche ciambella secca e subito dopo andava a letto.
Nei primi tempi Anna Nikolaevna aveva creduto di trovare uno svago
nella lettura. Si procurava, dove riusciva a trovarli, romanzi
e vecchie riviste che diligentemente leggeva pagina dopo pagina.
Confondeva però i nomi degli eroi dei romanzi, non riusciva
a capire bene perché gli scrittori creavano personaggi
immaginari come le varie Gianna e Blanca e descrivessero bellissime
mattine assolutamente identiche le une alle altre. Quando la lettura
divenne per lei faticosa, abbandonò i libri. Gli uomini
per strada non erano tanto galanti con Anna Nikolaevna perché
non la trovavano molto interessante. Se qualcuno dei clienti si
intratteneva troppo a lungo in negozio per farle dei complimenti
allora lei si muoveva verso lo stanzino accanto e mandava Fed'ka.
Se tornando a casa qualcuno la importunava stordendola di ciarle
lei non diceva una parola, ma affrettava il passo o semplicemente
si precipitava di corsa all'ingresso di casa. Non aveva amici,
con le sue compagne di collegio non era nemmeno in corrispondenza
e anche con la zia stessa non scambiava nemmeno due parole in
tutta la giornata. Così passarono le settimane e i mesi.
Anna Nikolaevna aveva però stretto amicizia con il mondo
che la circondava, quello delle carte, delle buste, delle cartoline,
delle matite, delle penne, delle decalcomanie a rilievo, e dei
ritagli. Questo mondo per lei era molto più comprensibile
di quello dei libri e inoltre lo sentiva più amichevole
di quanto sentisse quello della gente. Imparò a distinguere
rapidamente tutti i vari tipi di carte e di penne, tutte le serie
di cartoline, diede loro dei nomi per non doverli numerare, alcuni
li amò, altri invece li considerò con ostilità.
Per quelli che più amava riservò il posto migliore
nella cartoleria. Aveva messo nella scatola più bella,
quella a cui aveva ricoperto i bordi di un'orlatura dorata, una
certa carta prodotta da una fabbrica di Riga su cui erano impressi
dei pesci di filigrana. Le decalcomanie rappresentanti figure
degli antichi Egizi le pose invece in una particolare cassettina
dove non riponeva altro che delle penne con sulla cima dei piccoli
colombi. Le cartoline dove veniva rappresentato "Il cammino
verso le stelle" le avvolse da un'altra parte con della carta
rosa che fermò con un adesivo raffigurante dei non ti scordar
di me. Odiava invece quei grossi calamai di vetro, panciuti, dall'aria
sazia, le false righe che si piegavano sempre e sembravano farsi
beffa di lei, i rotoli di carta pieghettata per gli abat-joures,
così presuntuosamente sfarzosi: queste cose le nascondeva
invece nell'angolo più remoto del negozio.
Anna Nikolaevna si rallegrava quando poteva vendere gli oggetti
da lei preferiti. Solo quando o l'una o l'altra qualità
di questi oggetti terminava ella iniziava a preoccuparsi e perfino
ad arrischiare di parlarne con Karolina Gustavovna affinché
ne venisse fatta al più presto una nuova scorta. Una volta
vendette inaspettatamente una partita di piccole bilance per lettera,
che avevano di solito poca fortuna e che Anna Nikolaevna amava
proprio per questo motivo; l'ultima bilancia fu venduta di sera
dalla padrona stessa che non volle più farne un'altra ordinazione.
Anna Nikolaevna due giorni per questo pianse. Quando invece si
vendevano le cose che lei non amava allora si irritava. Se si
acquistavano intere dozzine di orrendi quaderni sulla cui copertina
erano stampati dei disegni dai ghirigori blu oppure quelle cartoline
malamente stampate con su i volti degli attori, a lei sembrava
che si facesse gran torto ai suoi preferiti. In questi casi lei
cercava con insistenza di convincere il cliente a non fare quella
spesa tanto che molti uscivano dal negozio senza aver comprato
nulla.
Anna Nikolaevna era convinta che tutto questo mondo che la circondava
potesse capirla. Quando scorreva dieci quinterni di carta, i fogli
frusciavano come a salutarla amichevolmente. Quando baciava i
colombi sulle punte delle penne, essi sembrava agitassero le piccole
ali di legno. Nelle silenziose giornate invernali, quando nevicava
ed al di là della finestra coperta di brina si intravedevano
i brutti cerchi della lampada, quando per ore intere nessuno entrava
nel negozio, allora lei faceva lunghi discorsi con tutto ciò
che era sugli scaffali o riposto nei cassetti e nelle scatole.
Ascoltava con attenzione le silenziose risposte scambiando con
loro sguardi e sorrisi. Metteva sul bancone un po' nascoste le
sue decalcomanie preferite - angeli, fiori, figure egiziane, raccontandogli
delle storie, quindi era poi lei ad ascoltare le loro. Qualche
volta intonavano tutti insieme in coro una canzone che si udiva
appena e cantandola come una ninna nanna. Anna Nikolaevna era
così assorta nell'ascoltarla che se qualche cliente fosse
entrato, avrebbe sogghignato ma si sarebbe forse spazientito,
pensando di aver dovuto svegliare una commessa addormentata.
I giorni prima di Natale erano per Anna Nokolaevna particolarmente
pesanti. C'erano allora clienti più frequenti. Il negozio
era ingombro di mucchi di cartone, di orribili petardi di carta
a tinte forti che abbagliavano gli occhi e pesciolini dorati incollati
frettolosamente sulle scatole. Alle pareti erano appesi calendari
con i ritratti di uomini famosi. Il negozio era tanto affollato
da non essere più accogliente. In estate invece Anna Nikolaevna
era perfettamente a suo agio. Non si vendeva quasi nulla ed erano
parecchie le giornate in cui non vi era alcun incasso. La padrona
andava via da Mosca per interi mesi. La cartoleria era afosa,
piena di polvere, ma silenziosa. Anna Nikolaevna metteva liberamente
ovunque le sue amate decalcomanie, esponeva in vetrina ai primi
posti le matite, le penne e le gomme a cui tanto teneva. Tagliava
dei sottili nastri da una fine carta colorata e li avvolgeva tutti
attorno alle consunte colonnine degli armadi. Raccontava ai suoi
amici in profondi sussurri della sua infanzia, di sua madre e
piangeva. A lei pareva che essi la consolassero. Così mesi
e anni passarono.
Anna Nikolaevna non avrebbe mai pensato che qualcosa della sua
vita potesse cambiare. Ma un giorno, in autunno Karolina Gustavovna
tornata a Mosca particolarmente cattiva e litigiosa, volle fare
un inventario della merce. La domenica successiva attaccarono
sulla porta un bigliettino dove c'era scritto: "Il negozio
oggi rimane chiuso". Anna Nikolaevna guardava con ansia la
padrona mentre contava con le sue dita grassocce, spiegazzandone
i margini, quelle care decalcomanie così fini e sottili
oppure mentre buttava negligentemente sul bancone le penne con
i piccoli colombi. Sul registro della merce scritto con la tenue
calligrafia diligente di Anna Nikolaevna la padrona lasciava rozzi
segni di sottolineature e di spruzzi d'inchiostro. Karolina Gustavovna
si accorse che mancavano parecchie cose: interi pacchi di carta,
qualche grossa di matite e diverse altre cose: stereoscopi, lenti
d'ingrandimento, cornici. Anna Nikolaevna era sicura di non averli
mai visti in negozio. Dopo Karolina Gustavovna si accorse anche
che di mese in mese era diminuito il guadagno. Redarguì
di questo Anna Nikolaevna ingiuriandola e chiamandola ladra, le
disse di non aver più bisogno di lei, che l'avrebbe insomma
licenziata.
Anna Nikolaevna andò via piangendo senza aver osato aprir
bocca. Anche a casa dovette naturalmente sentire le imprecazioni
della zia che dapprima l'accusò di essere una parassita
mentre poi minacciò di denunciare la tedesca per aver insultato
la sua nipotina. Ma Anna Nikolaevna era tormentata non tanto dalla
paura di aver perso il posto o dal pensiero di aver subito un
grave torto da parte di Karolina Gustavovna quanto dall'idea insopportabile
di separarsi dalle cose che lei in quel negozio aveva amato. Pensava
ai suoi angeli in rilievo dondolanti sulle nubi, alle testoline
di Maria Stuarda, alla carta coi pesci di filigrana, alle scatole
e ai cassetti che conosceva così bene, non riuscendo a
frenare i singhiozzi. Le veniva in mente l'ora del crepuscolo
quando le lampade erano già accese, si ricordava dei muti
discorsi con i suoi amici, di quel coro appena percettibile che
proveniva dai ripiani, e intanto il suo cuore si straziava dal
dolore. Al pensiero che mai, mai più avrebbe rivisto i
suoi amati, si gettava bocconi sul suo piccolo letto pregando
Dio di farla morire.
Fortunatamente dopo un mese e mezzo la zia riuscì a trovare
per Anna Nikolaevna un altro posto, anche questa una cartoleria
ma in una via animata e piena di gente. Anna Nikolaevna si recò
al suo nuovo impiego con un'angoscia struggente. A parte lei nel
negozio lavoravano anche una ragazza e un giovanotto. Il padrone
passava la maggior parte della giornata in negozio. I clienti
erano molti poiché nelle vicinanze vi erano delle scuole.
Tutto il giorno lo trascorreva sotto gli sguardi degli altri che
si prendevano gioco di lei disdegnandola. Quegli oggetti che amava
tanto qui non c'erano più. Tutto veniva mandato da altre
cancellerie e da altri fabbricanti. La carta, le matite, le penne,
tutto qui sembrava morto. E anche se alcuni oggetti erano gli
stessi che si vendevano nella cartoleria "Bemolle",
questi non davano segno di riconoscere Anna Nikolaevna, ed ella
inutilmente, appena aveva un attimo di libertà, sussurrava
loro delle parole dolcissime.
L'unica gioia per Anna Nikolaevna era alla sera quando tornando
a casa passava vicino alla finestra del suo vecchio negozio. Guardava
attentamente attraverso i vetri colorati la stanza familiare.
Dietro il bancone c'era una commessa nuova, una tedeschina con
un bel visino e con dei riccioli sulla fronte. A posto di Fed'ka
c'era un robusto giovane di quindici anni. I clienti uscivano
dal negozio soddisfatti e sorridenti. Ma Anna Nikolaevna sapeva
che le sue decalcomanie, le sue penne e i suoi quaderni la ricordavano
e la amavano come prima. Credere questo la consolava. Anna Nikolaevna
sognava spesso di poter ancora entrare per una volta nel negozio
e guardare di nuovo sui vecchi armadi e nelle vetrine i suoi cari
amici per dimostrare quanto ancora ella li ricordasse. Qualche
volta si riprometteva di farlo proprio quel giorno ma poi non
si decideva solo perché aveva paura di incontrare la padrona.
Una sera però vide Karolina Gustavovna uscire dal negozio,
salire su una vettura e andar via. Questo le diede il coraggio
di entrare. Aprì la porta e andò dentro con il cuore
che le palpitava. La tedeschina con riccioli sulla fronte si preparò
ad accoglierla con un magnifico sorriso, ma dopo aver visto la
cliente, si limitò a salutare con un semplice cenno del
capo.
- Che cosa desiderate, signorina?
- Datemi... datemi della carta da scrivere... dieci quinterni...
quella coi pesciolini.
La tedeschina sorrise con indulgenza, indovinò ciò
che le aveva chiesto e andò verso l'armadio di sinistra.
Anna Nikolaevna stupita e ansiosa la seguiva con lo sguardo. Una
volta quella carta era riposta nella scatola dal bordo dorato.
Ma non c'erano più le scatole di prima; al loro posto vi
erano delle orrende cassettine nere con scritto sopra: "N.
4 20 c.", "Giudiziaria 40 c.". Sui primi posti
dei ripiani erano stati messi i calamai di vetro. I mucchi di
carta pieghettata occupavano tutto il ripiano inferiore. Le cartoline
con i ritratti degli attori erano disposte a forma di ventaglio
qua e là sulle pareti. Tutto era stato modificato, era
stato rimosso e cambiato.
La tedeschina, posata davanti ad Anna Nikolaevna la carta, le
domandò se era quella che desiderava. Ella avidamente prese
nelle mani quei bei fogli che in passato erano stati capaci di
rispondere alle sue carezze ma che adesso sembravano ruvidi, morti,
bianchi come cadaveri.
Si guardò attorno con tristezza: tutto era finito, tutto
era sordo e muto.
- Sono trentacinque copeche.
Era stato cambiato addirittura il prezzo! Anna Nikolaevna pagò
e uscì al freddo, stringendo fra le mani la carta arrotolata.
Il vento di ottobre si infilava attraverso il suo corto cappotto
consumato. Le luci dei fanali come grandi macchie si allargavano
nella nebbia. Faceva disperatamente freddo.
(Tratto
da "Racconti dell'Io", Tranchida Editori Inchiostro,
Milano, 1993, a cura di Giovanna Spendel)
Valerij
Brjusov, originale e brillante autore dell'inizio del Ventesimo
secolo, nato a Mosca nel 1873 e conosciuto come "Edgar Allan
Poe russo", ha composto un'opera letteraria polemica a causa
della cruenta e inusitata rappresentazione di eccessi e perversioni
umane. Spesso sovrapponendo i piani del sogno e della realtà,
ha più volte anticipato, in un certo senso, la psicanalisi.
I lettori che lo conoscevano personalmente erano propensi a riconoscervi
esperienze e drammi di vita privata: Brjusov, iniziato alla droga
dalla sua amica Nina Petrovskaja, era morfinomane già dal
1908, prolungando questa sua condizione fino alla morte, nel 1924.
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