VISITARE GLI INFERMI
Patrizia Pieraccini
La mattina è umida e scura.
La luce bianca del reparto e l'acre odore del Betadine ci feriscono.
Ci hanno chiamati e adesso nessuno sa dirci nulla. Nel silenzio
solo il respiro artificiale.
Attesa.
La vetrina asettica ostenta la sua merce: quattro corpi in svendita,
nessun valore, nessun prezzo. Il nostro sguardo percorre lentamente
lo spazio al di là del vetro soffermandosi con curiosità
sui corpi anonimi.
L'ultimo letto è protetto da un paravento di alluminio.
Si intravede appena la massa intrecciata dei tubi e dei fili collegati
alle macchine.
Uno
alla volta. Possiamo entrare solo uno alla volta. L'ultima volta.
Camice verde e mascherina.
Dentro, l'affanno meccanico sovrasta ogni altro segnale.
Non
mi riconosce. Una mano è legata: il braccio livido è
inerme sotto il flusso dei farmaci che ancora si illudono della
loro impresa. L'altra mano si muove inquieta lisciando ritmicamente
il risvolto del lenzuolo.
Un colpo di tosse, poi il fischio prolungato della macchina respiratoria
e una luce rossa sul monitor; ancora tosse secca e graffiante
e il risucchio del catetere in profondità
Volta la testa da una parte, la rivolta verso di me. Mi avvicino
in attesa di un segno.
Un
minuto.
Dal vetro mi fanno cenno: il mio turno è finito.
Dentro un altro.
Sono nata a Viareggio,
tra il mare e la pineta. Ho svolto studi musicali diplomandomi in
pianoforte. Coltivo da anni musica e scrittura ma se della musica
sono riuscita a fare il mio lavoro la scrittura conosce di me solo
i lati più oscuri. Attualmente insegno Educazione musicale
nelle scuole medie ed elementari e mi piace sperimentare percorsi
nuovi e inusuali unendo alla musica il corpo in movimento, il colore
e la scrittura creativa. Amo la musica di Bach, Schumann e Brahms,
la poesia e i gatti, il mare in tutte le stagioni e le persone che
sanno appassionarsi alla vita (e tante altre cose
) Dedico
questa pubblicazione a mio figlio Lorenzo.
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