GLI ANNI QUARANTA
John Updike
Quando ero bambino leggevo in un modo pigro e vigliacco, ed è
ancora così. Avevo il timore di incontrare, in un libro,
qualcosa che non volevo conoscere. Forse il mio primo ricordo
letterario è la paura delle illustrazioni oscure, mostruose
e raccapriccianti in una grande edizione di lusso di Alice
nel Paese delle Meraviglie che avevamo in casa. Un po' più
tardi, mi ricordo fui sconvolto, fino alle lacrime, dalla versione
per bambini della leggenda di Peer Gynt in una serie infernale
di volumi che avevamo, chiamata La Casa dei Libri. Mi ricordo
inoltre, dalla stessa serie, una simile sensazione di dolore,
futilità e aspra antichità trasmessa da un racconto
della giovinezza di Shelley. Lessi entrambe queste cose mentre
ero a letto malato, normalmente un periodo allegro per me.
Ancora più tardi, quando ero al quinto o sesto anno della
scuola elementare, fui indotto a leggere per il mio stesso bene,
Le Avventure di Tom Sawyer. L'avventura dentro la grotta
mi ha lasciato una durevole claustrofobia ed il terrore di Twain,
in confronto al quale Poe e Melville sembrano degli allegri ottimisti.
O. Henry era l'unico autore consigliato, abbastanza irreale per
me da poterlo leggere con piacere. Essendo arrivato alla conclusione
che i "buoni" libri dipingono un mondo nel quale l'orrore
può intromettersi, lessi per tutta la durata della mia
adolescenza per evadere. Dall'età di 12 anni avevo la mia
tessera personale presso la Reading (Pa.) Public Library, un bellissimo
e magnifico rifugio; non voglio essere frainteso, io amavo i libri,
le loro rilegature, il loro ordine, il loro odore. Lessi tutti
i libri che la biblioteca aveva di Erle Stanley Gardner, Ellery
Queen, Agatha Christie e John Dickson Carr, in quell'ordine, e
anche gli umoristi: Benchley, Thurber Leacock, Perelman. Consumai
cinquanta libri di P. G. Wodehouse; quando ritorno a Reading,
a volte visito la biblioteca e mi meraviglio di fronte a quello
scaffale. La fantascienza ce l'ha fatta solo per un pelo a non
essere troppo allarmante; ne ho letta in gran quantità
finché le sue implicazioni non cominciarono a far presa
su di me.
Ho dissipato la mia giovinezza con questo tipo di libri e con
fiotti di riviste mentre i miei coetanei si deliziavano con i
classici. Li sentivo mentre si abbuffavano felicemente tutto intorno
a me. Ma io, io avevo una dipendenza per la novità, la
modernità, nei libri; gli autori morti mi deprimevano.
Oh, cercai di correggermi. Una volta, presi in prestito The
Waste Land, dopo averlo visto citato da The New Yorker
come un classico moderno, e trovai la sua ottusità piacevolmente
incisiva, anche se il mio piacere maggiore può esser stato
la sensazione che ho provato, da quattordicenne prepubescente,
mentre lo ritiravo dalla biblioteca.
L'ultima paura giovanile presa dai libri arrivò quando
avevo 15 anni; ero in visita dai miei zii a Greenwich, e, incoraggiato
dal mio successo con The Waste Land, aprì la loro
copia di Ulysses. Fui sopraffatto dalla zaffata di morte
che uscì da quelle pagine fitte e spietate. Perciò:
ritornai ai misteri risolvibili, e alle barzellette che non erano
cosmiche. La mia inabilità di leggere coraggiosamente quando
ero ragazzo aveva questo vantaggio: quando andai al college, ero
una vera tabula rasa, e ricevetti con gratitudine l'impronta
dell'opinione dei miei istruttori, e ottenni dei buoni voti.
Per molti anni lessi i romanzi del mistero per rilassarmi. Ma
i miei gusti erano troppo limitati - e, dopo aver letto tutta
Agatha Christie e tutto John Dickson Carr, scoprì che la
mancanza di plausibilità e di spessore dei personaggi mi
distraeva eccessivamente dalla trama.
Adesso il lusso più grande lo riscontro nel leggere un
libro corto, fra le cento e le duecento pagine, che tratti, in
un linguaggio moderatamente tecnico, una materia della quale non
so ancora nulla, mi ricordo con grande piacere i libri Penguin
di Sir Leonard Woolley sui suoi scavi Sumerici; ed un trattato
nella stessa serie sul tasso inglese. Di recente, ho letto un
eccellente studio sul suicidio in Scandinavia.
Per me, la prosa narrativa è gravata da un senso di dovere.
(Traduzione di Maria Lida Paolinelli)
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