MIO PICCOLO BULGARO
Diogo Mainardi
Hanno
diagnosticato una paralisi cerebrale a mio figlio di sette mesi.
Vista dal fuori una notizia del genere può apparire drammatica.
Da dentro, però, è molto diverso. E' stato come
se mi avessero detto che mio figlio era bulgaro. Ossia, nessuna
disperazione, solo stupore. Se scoprissi che mio figlio è
bulgaro la mia prima attenzione sarebbe quella di consultare un
libro in cerca di informazioni sulla Bulgaria: prodotto interno
lordo, principali fiumi, ricchezze minerarie. Poi cercherei di
imparare i suoi costumi, e la sua lingua per poter comunicare
con lui.
Nel caso della paralisi cerebrale ho fatto la stessa cosa. Ho
passato quattordici ore al giorno di fronte ad un computer approfondendo
l'argomento attraverso Internet. Ho memorizzato nomi, ho immagazzinato
dati, ho controllato statistiche. Da ciò che ho potuto
capire la paralisi cerebrale confonde i segnali che il cervello
invia ai muscoli. Questo fa sì che il bambino abbia difficoltà
a coordinare i movimenti. Mio figlio ha una leggera paralisi cerebrale,
di tipo spastico. I muscoli che dovrebbero allungarsi si contraggono.
Alcuni bambini diventano totalmente paralizzati. Altri riescono
a recuperare la funzionalità. E' incurabile ma ci sono
dei modi per aiutare un bambino a conquistare una certa autonomia
grazie alla chirurgia, alla medicina e alla fisioterapia.
Forse un giorno protesterà contro queste colonne, dicendo
che ho reso pubblico il suo problema. Il fatto è che la
paralisi cerebrale è pubblica. Nel senso che è impossibile
nasconderla.
Nella maggior parte dei casi provoca una qualche deficienza fisica,
e ne deriva che il bambino resti isolato e stigmatizzato.
Io ho sempre fatto parte della maggioranza. Per la prima volta
faccio parte di una minoranza. È un cambiamento notevole.
Come membro di una maggioranza potevo vantarmi del mio supposto
individualismo. Ora il gioco è finito. Non appena ho saputo
della paralisi cerebrale di mio figlio ho cercato l'appoggio della
comunità entrando in tutti i forum di Internet per sentire
ciò che gli altri genitori nella mia condizione avevano
da dire sugli effetti collaterali del Baclofen o sull'efficacia
delle terapie meno ortodosse, come i vestiti elasticizzati degli
astronauti russi usati in una clinica polacca.
La paralisi cerebrale di mio figlio mi ha fatto capire anche il
peso delle parole. Io credevo che le parole fossero inoffensive,
che non avessero bisogno di spiegazioni, di mediazioni. Per me
il "politicamente" corretto era puro folklore americano.
Già non penso più così. Paralisi cerebrale
è un termine che fa paura. E' associata, per esempio, al
ritardo mentale. La mia opinione sull'intelligenza umana è
così bassa che non vedo molte differenze tra una persona
ed un'altra. Il problema è che mio figlio non è
ritardato. E non credo gli piacerebbe essere trattato come tale.
Mi considero uno scrittore comico. Niente è più
comico per me che una speranza frustrata. Speranze frustrate nel
progresso sociale, nella forza dell'amore, nella scoperta della
scienza. Ho sempre lavorato in quest'ottica anti-illuminista.
Ora coltivo la patetica speranza illuminista che nei prossimi
anni la scienza inventi qualche medicina in grado di facilitare
la vita di mio figlio. E, se non la inventerà, pazienza:
ho cominciato a credere nella forza dell'amore.
Amore per un piccolo bulgaro.
Diogo Mainardi, scrittore brasiliano, nato a San Paolo nel 1962,
autore di : "Arcipelago", "Contro il Brasile", recentemente ha firmato
un ritratto della cittā di Venezia per la guida "Venezia č un pesce",
di Tiziano Scarpa.
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