GLO'
Vergílio Ferreira
Quando
la mamma, ogni sabato, dopo esser tornata dalla fabbrica, ripartiva
verso la casa del signor Costa, Glória le si appendeva salda alla
gonna, si metteva un ditino in bocca e partiva anche lei. Le andava
dietro come un rimorchio, moltiplicando i piccoli passi, senza
che la mamma le prestasse attenzione con quel suo passo pesante
di sottane fruscianti. Ma non appena da dentro aprivano la porta,
la signora Custódia si girava verso la bambina e diceva in modo
brusco: - A casa! Sempre dietro come un'ombra. Allora la figlia
del sig. Costa, la signorina Guilhermina, diceva lasci stare la
piccola, e subito s'intratteneva con lei, facendo molte domande
a Glória che rispondeva a tutto prontamente e senza arrossire,
con una precisione da innocente. In quel momento la sig. Custódia
poteva permettersi di sorridere senza offendere nessuno, se non
altro per vanità; ad ogni modo, per fare buona figura, non risparmiava
qualche insulto alla bimba: - Ma guarda che mascalzona, eh? Dove
avrà preso questo vizio…?! Ma subito dopo intenerita, fissava
il visino della piccola, un po' sorpresa che l'apprezzassero tanto,
e se ne andava infine a fare le faccende cominciando dalla cucina.
Glória veniva allora verso il centro del salotto per sottomettersi
al solito interrogatorio serrato che tanto divertiva Donna Elisa
e la figlia, senza che lei, tuttavia, trovasse nelle sue risposte
la ragione per tante risate. Altre volte, invece, una domestica
la portava via prima, per darle una sistemata o calmarle lo stomaco,
e l'accompagnava poi verso il centro del salotto, senza che neanche
lei capisse quell'interesse per la piccola, tranne forse quando
si dichiarava stupita del fatto che la bambina mangiasse come
un uomo. Glória rimaneva molto seria, con gli occhi bassi, corrucciata
dalla rabbia per quella cattiva che in quel modo rendeva pubblica
la sua fame e che la trattava sempre senza affetto, tirandola
a strattoni. Tuttavia la curiosità di D. Elisa per la bambina
si esauriva in fretta e così si isolava nel tricot, o dava ordini
alle domestiche o si sedeva al piano, persa nella saudade delle
melodie dei suoi tempi.
Però Guilhermina, sicuramente perché le piacevano molto i bambini,
le accarezzava i capelli, le stringeva la faccia paffuta e aveva
sempre altre cose da chiederle: - Cos'hai mangiato oggi? - Le
patate e il brodo. - E ieri? - Le patate e il brodo. Zé ha baciato
Ludes. - Li hai visti? A volte D. Elisa doveva intervenire per
decoro: - Mina, basta con queste domande! Mina s'interessava sempre
di più alla piccola e siccome i suoi vestiti a righe stonavano
col lusso della casa, cominciò a comprarle stoffe di seta. Ma
la sig. Custódia si prendeva sempre tutto e Glória continuava
a presentarsi mal vestita. Fino a che Mina si impose, e Custódia
non ebbe altro rimedio se non quello di tornare in fretta ogni
giorno dalla fabbrica per agghindare la piccola prima di portarsela
dietro.
Accadde che un sabato Glória si ammalò e per questo la mamma volle
costringerla a rimanere a casa, placando momentaneamente l'invidia
dei fratelli più piccoli, l'umiliazione dei loro sogni. Ma la
piccola pianse, disperata, e Custódia dovette portarla in braccio.
Andò incontro a molte domande delle vicine e persino alla stessa
sorpresa della signora, alla quale dovette spiegare: - Poverina,
sta così male ma non c'è stato verso di farla rimanere in casa.
Quella volta persino il sig. Costa s'interessò chiaramente alla
piccola, sentendole il polso: - Questa bambina ha la febbre altissima.
Custódia, sorpresa, lo prese come un rimprovero e si giustificò
un'altra volta da capo, verificando nello sguardo di tutti se
si stava spiegando bene: - Io volevo davvero ma lei....
E li fissò alla fine, uno a uno, chiedendo comprensione. Mina
allora decise, malgrado l'esitazione dei genitori, che la piccola
sarebbe rimasta lì a letto, e il sig. Costa telefonò al medico.
Fulmineamente, Custódia sentì scorrere nelle vene il doloroso
presentimento che Glória non sarebbe più stata sua. Ma nonostante
questo non ebbe il coraggio di soffrire. Perché solo perdendola
Glória acquistava importanza, persino per la mamma, come si vide
subito quella sera, quando una domestica l'aiutò a pulire la casa.
Mina si lasciò andare in mille tenerezze per l'ammalata, al punto
che D. Elisa dubitò del suo buonsenso, per quanto adorasse anche
lei la bambina. Le metteva il termometro, controllava personalmente
la borsa dell'acqua calda e la prima notte dormì su una sedia.
Fortunatamente la malattia di Glória non durò così tanto da far
annoiare le signore. E appena si alzò e sciolse la lingua chiacchierona,
a nessuno venne in mente di restituirla ai genitori, per la ragione
evidente che lei aveva ormai qualcosa della famiglia Costa. Mina
le fece vestiti corti con gonne a pieghe che le mostravano le
gambe cicciotelle e i triangoli bianchi delle calze, le insegnò
come comportarsi a tavola, e pochi giorni dopo non le lasciò nemmeno
il nome com'era, accorciandolo in Gló. Quanto a questo, però,
Custódia trovò che non c'era niente di male a non essere d'accordo
e disse che Gló era brutto: - Ma signorina: Gló! Gló, gló, glu,
glu. Come i tacchini. Gló cresceva, la mamma non ce la faceva
più a pulire la casa del sig. Costa e tutto il resto seguiva il
suo corso. Glória fece l'esame di quinta elementare, prese olio
di fegato di merluzzo e fece bagni al mare, era ora una bambina
perfetta. All'inizio la mamma, quando la vedeva passare con la
signorina o con la domestica, andava a baciarla, o la guardava
solo da lontano per non sporcarla, imponendosi, in qualche modo,
all'attenzione delle vicine.
Ma anche le vicine, segretamente, sentivano che lei ormai non
era più sua figlia, e Custódia soffriva ancora di più, spaventata
dall'odio e da un cattivo presagio. - Dai, almeno ci sono sempre
persone disposte a fare la carità! - Che carità? Ho tirato su
i miei figli senza l'aiuto di nessuno. Il sig. Costa si offese
molto quando venne a sapere di questa risposta, ma neanche in
quell'occasione pensò di restituirle Gló, perché dei genitori
aveva solo la carne e le ossa con le quali era venuta al mondo.
E anche questo era da vedere. La misero anche in collegio, ma
dopo un mese l'andarono a riprendere tutti eccitati, consumati
dalla saudade, e quella stessa notte il sig. Costa, la moglie
e la figlia, esultarono di gioia quando sentirono nuovamente,
sulla guancia, il bacio della buonanotte della piccola: - Buona
notte paparino . Buona notte mammina. Quando Mina, a ventitre
anni, ebbe il suo quinto fidanzato, D. Elisa fece una scenata
violenta, perché non le piaceva il ragazzo, e Gló si trovò tra
due fuochi.
Mina si era fatta prendere completamente dagli occhi e dai discorsi
di un fattorino ma D. Elisa non ne voleva sapere né degli occhi
né dei discorsi, non facendo altro che insistere con accanimento
sul fatto che guadagnasse solo la miseria di 800 scudi al mese.
Frugando più volte tra la biancheria intima di Mina, la madre
lesse tutte le lettere che le capitarono tra le mani e da un certo
punto in poi, decise di insultarla fino ad obbligarla a piangere.
Gló portava le lettere di nascosto, pallida per la paura, fino
a che un giorno D. Elisa la scoprì. Ci fu un gran putiferio in
tutta la casa, e persino il sig. Costa dovette intervenire personalmente
affinché la piccola non fosse rimandata dai genitori. Fortunatamente
un mese dopo, quando arrivò al sesto fidanzato, Mina trovò pace
con lui e siccome era medico poté sposare col piacere di D. Elisa.
Abitavano vicino, si visitavano spesso, e forse perché in tre
anni Mina aveva partorito due volte, Glória cominciò ad essere
in casa una presenza superflua.
E' vero che la sera si sedeva in salotto col suo tricot, ma d'altra
parte toccava a lei lavare i piatti in cucina, e in questa duplicità
viveva la sua illusione. Era nel fior fiore dei suoi sedici anni,
e ora si rendeva conto di come andavano le cose, tanto che notò
che una volta il sig. Costa l'aveva baciata quando le aveva dato
la buonanotte - cosa inoltre molto strana, dato che in quelle
occasioni il sig. Costa era solito porgere solo la guancia. Era
bella col suo cappellino a cencio e il bavero bianco, ma fu solo
quando un'estate accompagnò Mina a Figueira che un ragazzo osò
parlarle, sicuramente perché la credeva soltanto sua domestica.
Perché in città i ragazzi del suo livello non avrebbero osato
pensare a lei; e agli altri, quelli che non lo erano, sarebbe
piaciuta forse, ma per fini meno dignitosi. Mina s'indignò molto
quando sorprese Gló ed il suo ragazzo a parlare vicino alla carrozzina
del bambino, fermi, nel piazzale: - E' incredibile, Gló, che tu
dia tanta confidenza al primo che passa. - Ma so chi è, tata.
E' commesso in un negozio di vestiti alla moda. E' un bravo ragazzo!
- Ma che bravo ragazzo? Che ne sai di come son fatti gli uomini!
Basta! E l'argomento è chiuso.
Gló si meravigliò di come il matrimonio cambiasse tanto una donna,
facendole vedere qualcosa di male dove prima non lo vedeva affatto.
Ma ruppe il suo rapporto con il ragazzo, e in quel pomeriggio
di domenica il commesso si limitò a fare avant'indietro ma senza
mai avvicinarsi all'ombrellone di Mina. Tornarono in città e Gló
si sorprese di trovare tutto molto vecchio e malinconico, particolarmente
D. Elisa, che passava ormai giornate intere a letto. Soprattutto
in quell'inverno cominciò a stare molto male, e il sig. Costa
si vide obbligato ad andare alcune volte al cinema accompagnato
solo da Gló. L'estate seguente Gló non andò al mare, nell'inverno
successivo D. Elisa peggiorò e alla fine di Luglio si decise di
imbiancare di nuovo la casa, e il lavoro fu affidato a Silvino,
un ragazzo perfetto e con futuro, secondo l'opinione di Mina,
di D. Elisa e persino di Gló, quella stessa notte, quando andò
a dormire. Gló aveva diciotto anni e una vita incerta davanti,
cosicché, o per i diciotto anni o per la vita incerta, lasciò
che gli occhi di Silvino indugiassero nei suoi varie volte e per
vari giorni.
Così, quando lui le cominciò a parlare dei soldi che aveva messo
da parte, Gló si convinse ardentemente che sarebbe diventata una
donna. - E quando vuole sposarsi? - Non lo so Silvino. Ancora
non ho detto niente ai miei patrigni. D. Elisa fu molto d'accordo:
Silvino era un bel ragazzo. Ma il sig. Costa esitò, ammettendo
che Gló meritava sicuramente qualcosa di meglio: - Non avere fretta.
Aspetta l'occasione giusta. Gló fu quasi sul punto di dare ragione
al sig. Costa, non perché pensasse di lasciare Silvino ma perché
aveva intuito dalle parole del patrigno che costui aveva intenzione
di darle la dote. A D. Elisa non piacque il riserbo del marito,
e dichiarò subito che lui sarebbe stato il responsabile dell'infelicità
di Gló, se Gló fosse stata infelice. Ma il sig. Costa che era
una persona molto calma non si alterò: - Non avere fretta. Né
tu né io stiamo per morire. Ma quell'inverno D. Elisa morì. Gló
ebbe un daffare enorme, e per due notti non riuscì a dormire per
la paura, anche perché Mina, rovistando per tutta la casa, era
passata varie volte accanto a lei senza rivolgerle parola. Si
capiva che Mina voleva prendere il comando, perché dava ordini
come mai aveva fatto prima, autoritaria e feroce. Un giorno il
sig. Costa disse a Gló che Mina voleva buttarla fuori di casa
ma che lui non l'avrebbe lasciata fare. Disse questo a tavola,
a fine cena, trattenendosi un po' più del normale, e Gló capì
che quello era il momento giusto per parlare ancora una volta
del matrimonio. Ma il sig. Costa, deciso, si oppose nuovamente:
- Non l'hai ancora finita? Abbassò gli occhi, visto che era il
miglior modo di rispondere senza fatica. Allora il sig. Costa
si alzò e andò ad accarezzarla in silenzio, e fu così premuroso
che Gló finì per intenerirsi e piangere. - Non ti preoccupare
- mormorò lui alla fine. - In casa mia comando ancora io. Una
domestica entrò e uscì, scivolando via in un soffio, e in tutto
ciò c'era adesso un'aria terribile di mistero. Quella notte il
sig. Costa rientrò presto dal Club e trovò Glória ancora in piedi,
oppressa dalla paura che ora aveva di dormire da sola, al primo
piano, in fondo del corridoio. I giorni passarono, finché una
sera, alterata dalla rabbia repressa, Mina disse a Gló cose sgradevoli
e inaspettate. Volle sapere perché non si cercava un ragazzo e
se non trovava noioso sposare un vecchio vedovo.
Ma questa domanda, sebbene umiliasse Gló fino alla vergogna, in
fondo la sorprese piacevolmente. Ah, avrebbe ottenuto la rivincita
sul suo passato di povertà, la rivincita della sua gente, la sua
piccola vendetta personale su Mina ed i suoi modi da aristocratica.
Tuttavia, ormai non sarebbe più stato possibile non sentirsi imbarazzata
quando il sig. Costa la fissava a lungo o le affondava lentamente
le dita tra i capelli. Le domestiche andavano a dormire presto
e Gló, poco dopo, saliva al primo piano e andava a letto anche
lei. Ma non riusciva ad addormentarsi, perché l'immagine di D.
Elisa non aspettava altro che lei spegnesse la luce e chiudesse
gli occhi per terrorizzarla. Per questo, rimaneva quasi sempre
sveglia, finché non sentiva chiaramente penetrare nel chiavistello
la chiave del sig. Costa. Allora si metteva a seguire i suoi passi
lungo il corridoio, a sentirlo aprire e chiudere porte e con quel
rumore di vita riusciva alla fine ad addormentarsi. Ma una volta
non si rese conto che lui entrò perché nel frattempo si era addormentata.
Di modo che, quando si svegliò, il silenzio di tutta la casa la
sommerse di paura.
Si mise ad ascoltare lo scricchiolio del legno, i cani nella strada,
il cuore che le batteva contro le pareti del petto. Quando un
topo inaspettatamente attraversava il solaio, Gló perdeva il respiro.
Che ore erano? All'improvviso credette di sentire dei passi nel
corridoio. Aspettò. Aspettò ancora. Niente. Di nuovo, però, il
pavimento scricchiolò. Gló non volle sentire più niente e si immerse
nelle coperte. Ma, poco dopo, la porta si aprí d'un tratto, con
un lieve rumore. Gló, per istinto, accese la luce. Allora, stordita,
spalancò gli occhi pieni di paura, sconvolta si tappò la sua bocca
muta, e aspettò. Lentamente, però, lasciò cadere la mano, gli
occhi girarono persi nella stanza e tutta la sua umiliazione si
nascose nel cuscino. Le spalle nude tremavano ad ogni singhiozzo.
E la chioma pesante cadeva sulla sua amarezza come una notte della
fine.
(Traduzione
a cura di Roberta Chiavistelli, Jessica Maghelli e Beatrice Briglia.
Presentazione di António Fournier)
TESTO IN LINGUA ORIGINALE
Quando a mãe, aos sábados, depois de vir da fábrica, partia para
a casa do sr. Costa, Glória dependurava-se-lhe, firme, das saias,
metia um dedinho na boca e partia também. Ia assim a reboque,
multiplicando os passos miúdos, sem que a mãe lhe desse atenção,
no seu passo entroncado de folhos revolvidos. Mas logo que de
dentro abriam a porta, a sr.ª Custódia voltava-se para a garota
e falava duro: - Girou já para casa! Agora aqui sempre este rabo
atrás de mim. Então a filha do sr. Costa, a menina Guilhermina,
dizia deixe lá a pequena, e começava logo a entreter-se, fazendo
muitas perguntas a Glória, que a tudo respondia prontamente e
sem corar, com uma exactidão de inocente. Nessa altura, parecia
à sr.ª Custódia que poderia sem ofensa sorrir até de vaidade;
em todo o caso, por ser coisa evidentemente que ficava sempre
bem, atirava ainda de raspão vergastadas à garota: - O traste,
hem? Habituou-se a isto, e agora? Mas logo enternecida, olhava
a face da filha, um pouco admirada de que a apreciassem tanto
- e partia enfim a esfregar a casa desde a cozinha.
Glória vinha então para o centro da sala de estar submeter-se
ao habitual interrogatório cerrado que tanto divertia D. Elisa
e a filha, sem que ela, no entanto, descobrisse nas suas respostas
razão para tanto riso. Outras vezes, uma criada levava previamente
a garota, para a escarolar ou sossegar-lhe o estômago, e trazia-a
depois para o meio da sala, sem descobrir também grande interesse
na pequena, a não ser talvez, como declarava admirada, por ela
comer como um homem. Glória ficava muito séria, de olhos baixos,
na sua raivazinha àquela má que assim lhe publicava a sua fome
e a tratava sempre sem carinho, puxando-a aos repelões. Depressa,
todavia, D. Elisa esgotava a curiosidade pela garota, alheando-se
no tricot, indo dar ordens às criadas, ou sentando-se ao piano,
dispersa na saudade das músicas do seu tempo. Porém, Guilhermina,
decerto por gostar muito de crianças, corria-lhe o cabelo ainda
de carícia, apertava-lhe a face bochechuda, tendo sempre mais
coisas a perguntar: - Que comeste hoje? - Comi batatas e caldo.
- E ontem? - Comi batatas e caldo. O Zé namora a Ludes. - Tu viste?
Às vezes, D. Elisa tinha de pôr decência naquilo: - Mina, que
modos são esses? Mina foi-se interessando vivamente pela pequena;
e como os vestidos de riscado destoavam do luxo da casa, começou
a comprar sedas à garota. Mas a sr.ª Custódia arrecadava sempre
tudo e Glória continuou a aparecer mal arranjada. Até que Mina
se impôs, não tendo Custódia outro remédio senão vir da fábrica
à pressa todos os dias para enfeitar a pequena antes de a trazer.
Ora um sábado Glória adoeceu e a mãe quis por isso obrigá-la a
ficar em casa, o que satisfez por momentos a inveja dos irmãos
mais novos, a humilhação dos seus sonhos. Mas a pequena chorou,
perdida, e Custódia teve de levá-la ao colo. Saíram-lhe ao encontro
muitas perguntas das vizinhas e até mesmo a estranheza da senhora,
a quem teve de explicar: - Tão doentinha, como vê, mas não houve
forma de ficar em casa. Dessa vez, até o sr. Costa se interessou
claramente pela pequena, tomando-lhe o pulso: - Ela está mas é
carregada de febre. Custódia, sobressaltada, viu aí uma repreensão
e tornou por isso a justificar-se desde o princípio, verificando
no olhar de todos se estava a explicar-se bem: - Eu bem queria,
mas ela... E fitou-os por fim, de um a um, pedindo compreensão.
Então Mina decidiu, por cima da hesitação dos pais, que a pequena
ficasse ali numa cama, e o sr. Costa telefonou ao médico. Fulminantemente,
raiada de alarme, Custódia sentiu, na dor obscura do sangue, que
nunca mais Glória seria sua. Mas ainda assim não teve coragem
para sofrer. Porque só perdendo-a Glória ganhava importância,
até mesmo para a mãe, como se viu logo nessa noite, quando uma
criada a ajudou a lavar a casa. Mina abria-se de ternura para
a doente, ao ponto de D. Elisa duvidar do seu juízo, conquanto
adorasse também, ela própria, a garota. Punha-lhe o termómetro,
verificava pessoalmente o calor da botija, e durante a primeira
noite dormiu numa cadeira. Felizmente, a doença de Glória não
durou tanto que enfadasse as senhoras. E logo que se ergueu e
destravou a língua palreira, ninguém pensou em devolvê-la aos
pais, pela razão evidente de ela ter já alguma coisa da família
do sr. Costa. Mina fez-lhe vestidos curtos com saias de pregas
que lhe mostravam as pernas gordas e os triângulos brancos das
calças, ensinou-a a tratar com a louça da mesa, e poucos dias
depois nem sequer lhe deixou o nome como estava, encurtando-o
para Gló.
Quanto a isto, porém, Custódia entendeu que não havia mal em discordar,
e disse que Gló era feio: - Ai menina: Gló! Gló, gló, glu, glu.
Como os perus, menina. Gló foi crescendo, e a mãe foi deixando
de poder lavar a casa do sr. Costa e tudo o mais foi seguindo
o seu rumo. Glória fez o exame de instrução primária, tomou óleo
de fígado de bacalhau e banhos de mar, era agora uma criança perfeita.
A princípio, a mãe, quando a via passar com a menina ou com a
criada, vinha beijá-la, ou vê-la apenas de longe para a não sujar,
impondo-se, de qualquer modo, à consideração das vizinhas. Mas
as vizinhas, secretamente, foram sentindo também que ela não era
já sua filha, e Custódia sofreu mais do que nunca, amedrontada
de ódio e mau agoiro. - Ande lá que sempre há caridade. - Que
caridade? Os meus filhos todos se têm criado sem a ajuda de ninguém.
O sr. Costa ofendeu-se muito quando soube desta resposta, mas
nem sequer pensou em devolver Gló, porque Gló só tinha dos pais
a carne e os ossos com que viera ao mundo. Se tivesse. Ainda a
meteram num colégio; mas, passado um mês, foram-na logo buscar
num alvoroço, roídos de saudades, rejubilando nessa noite o sr.
Costa, a mulher e a filha, quando sentiram outra vez, na face,
o beijo da pequena, antes de se ir deitar: - Boa noite, padrinho.
Boa noite, madrinha.
Quando Mina, aos vinte e três anos, teve o seu quinto namoro,
D. Elisa fez uma cena violenta, por não gostar do rapaz, e Gló
viu-se entre dois fogos. Fora o caso que Mina se apaixonara sem
remédio pelas ondas e pelos olhos de um moço, e D. Elisa não havia
modos de querer saber nem dos olhos nem das ondas do rapaz, insistindo
apenas, ferozmente, em que ele ganhava só a pelintrice de 800$00
na Caixa. Revolvendo várias vezes a roupa branca de Mina, a mãe
leu-lhe todas as cartas que pôde haver à mão e de certa altura
em diante, resolveu insultá-la até obrigá-la a chorar. Gló levava
cartas às escondidas, coada de medo, mas um dia D. Elisa descobriu.
Foi uma desordem terrível em toda a casa, tendo até o sr. Costa
de intervir pessoalmente para que a pequena não fosse recambiada
aos pais.
Felizmente, um mês depois, por alturas do sexto namoro, Mina lá
sossegou com um médico, casando ao gosto de D. Elisa. Moravam
perto, visitavam-se amiúde, e talvez porque, ao fim de três anos,
Mina dera já dois filhos, Gló começou a ser em casa uma presença
supérflua. Vinha, é certo, à noite, tricotar para a sala, mas
ia também para a cozinha lavara louça, e nesta duplicidade lá
ia enganando a sorte. Tinha agora dezasseis anos plenos, e de
tal modo reparava já na vida que uma vez notou que o sr. Costa
a beijara ao darem as boas-noites - coisa alías bem estranha,
pois em tal caso o sr. Costa costumava apresentar sempre e só
a face. Era bonita no chapelinho desabado e gola branca, mas só
quando um verão acompanhou Mina à Figueira um rapaz se atreveu
a falar-lhe, decerto por julgá-la apenas sua criada. Porque na
vila os rapazes da sua igualha não se atreviam a pensar nela;
e os outros, os que não eram, gostariam dela, talvez, mas para
fins menos decentes.
Mina indignou-se muito quando surpreendeu Gló e o namorado a conversarem
sobre o carrinho das crianças, parados, na esplanada: - Parece
incrível, Gló, dares assim atenção ao primeiro que aparece. -
Mas eu sei quem ele é, madrinha. É caixeiro numa loja de modas.
E tão bom rapaz! - Que bom rapaz? Sabes lá o que são os homens.
E acabou. Não quero mais conversas. Gló admirou-se de que o casamento
mudasse tanto uma mulher, fazendo-a ver um mal onde antigamente
não via nada disso. Mas rompeu com o namoro, e nessa tarde de
domingo o caixeiro limitou-se a passar umas cinco vezes ao largo
do toldo de Mina. Volataram à vila e Gló surpreendeu-se a achar
tudo muito velho e tristonho, principalmente D. Elisa, que passava
já dias na cama. Sobretudo nesse inverno veio ela a estar bem
mal, tendo-se visto o sr. Costa obrigado a ir algumas vezes ao
cinema acompanhado apenas de Gló. No verão seguinte, Gló não foi
à praia, no outro inverno D. Elisa piorou, e no fim de Julho resolveu-se
caiar de novo a casa, tendo a obra sido entregue ao Silvino, que
era um rapaz perfeito e de futuro, segundo a opinião de Mina,
de D. Elisa e até mesmo de Gló, nessa noite, ao deitar.
Gló tinha dezoito anos e uma vida incerta diante; de modo que,
ou fosse pelos dezoito anos ou fosse pela vida incerta, deixou
que os olhos de Silvino se demorassem nos seus várias vezes em
vários dias. E quando ele lhe começou a falar no dinheiro que
tinha na Caixa, Gló acreditou ardentemente que iria ser mulher.
- E para quando quer o casamento? - Não sei, Silvino. Ainda não
disse nada aos meus padrinhos. D. Elisa achou muito bem - o Silvino
era um belo moço. Mas o sr. Costa hesitou, admitindo que Gló merecia
decerto outra coisa: - Nada de precipitações. Espera a tua vez.
Gló esteve a ponto de concordar provisoriamente com o sr. Costa,
não porque pensasse em deixar o Silvino mas porque vira inexplicavelmente
nas palavras do padrinho um sinal de que ele tencionava dotá-la.
D. Elisa não gostou da reserva do marido, e declarou logo ali
que ele seria o responsável pela infelicidade de Gló, se Gló fosse
infeliz. Porém, o sr. Costa, que era muito calmo, não se alterou.
- Nada de precipitações. Nem tu nem eu vamos morrer já. Mas nesse
inverno, D. Elisa morreu. Gló teve um trabalho enorme, e durante
duas noites não pôde dormir com medo, e ainda porque Mina, revistando
a casa toda, passara por ela várias vezes sem lhe dar palavra.
Percebia-se que Mina vinha tomar posse do mando, porque dava ordens
como nunca fizera, imperiosa e feroz.
Um dia o sr. Costa disse a Gló que Mina queria pô-la fora de casa
mas que ele não deixara. Disse isto à mesa, no fim do jantar,
demorando-se um pouco mais do que o costume, e Gló entendeu que
o melhor seria falar outra vez no casamento. Mas o sr. Costa,
decisivo, opôs-se também outra vez: - Pois não acabaste ainda?
Ela baixou os olhos, que era a melhor forma de responder sem custo.
Então o sr. Costa levantou-se e veio afagá-la em silêncio, e tão
solícito que Gló acabou por se enternecer e chorar. - Não te aflijas
- murmurou ele enfim. - Em minha casa ainda mando eu. Uma criada
entrou e saiu, deslizando num sopro, e em tudo havia agora um
ar terrível de mistério. Nessa noite, o sr. Costa veio cedo do
Clube e encontrou Glória ainda a pé, esmagada pelo medo que agora
tinha de dormir só, no primeiro andar, ao extremo do corredor.
Os dias foram passando, até que uma tarde, alterada de cólera
reprimida, Mina disse a Gló coisas desagradáveis e imprevistas.
Quis saber porque não arranjava um rapaz e se não achava fastidiento
casar com um velho viúvo. Mas esta pergunta, embora magoasse Gló
até ao vexame, não deixava de surpreendê-la agradavelmente.
Ah, tinha ali afinal a desforra da miséria velha, a desforra da
sua gente, a vingançazinha própria sobre Mina e toda a sua fidalguia.No
entanto, já não seria agora possível deixar de sentir-se embaraçada
quando o sr. Costa a fitasse demoradamente ou lhe enterrasse devagar
os dedos no cabelo. As criadas deitavam-se cedo, e Gló, pouco
depois, subia ao primeiro andar e deitava-se também. Mas custava-lhe
dormir, porque a imagem de D. Elisa estava só à espera que ela
apagasse a luz e fechasse os olhos para vir cobri-la de terror.
Ficava assim, por isso, quase sempre acordada, até que ouvia nitidamente
penetrar no ferrolho a chave do sr. Costa. Punha-se então a segui-lo
pelo corredor, a ouvi-lo abrir e fechar portas e com esse rumor
de vida conseguia dormir por fim. Mas uma vez não deu conta de
ele entrar, porque dormira entretanto.
De modo que, ao acordar, o silêncio de toda a casa submergiu-a
de medo. Pôs-se a ouvir os estalidos da madeira, os cães da rua,
o coração a embater-lhe contra as paredes do peito. Quando um
rato rolava inesperadamente no forro, Gló perdia a respiração.
Que horas seriam? Súbito, julgou ouvir passos no corredor. Esperou.
Esperou ainda. Nada. Novamente, porém, o soalho rangeu. Gló não
quis ouvir mais e mergulhou nos cobertores. Mas, pouco depois,
a porta abria-se rapidamente, num ruído breve. Gló, por instinto,
apertou o botão da luz. Então, aturdida, encarou uns olhos medonhos,
tapou aflita a sua boca muda, e esperou. Lentamente, porém, a
mão foi tombando, os olhos rolaram desamparados pelo quarto, toda
a sua humilhação se escondeu no travesseiro. Os ombros nus estremeciam
a cada golpe de choro. E a cabeleira pesada descia-lhe pela amargura
como uma noite do fim.
(In
Vergílio Ferreira, contos (6ª ed.), Bertrand Editora,
Venda Nova, 1995)
Vergílio Ferreira (1916-1996):"Una malinconia grave
come l'orizzonte lontano".
A giudicare dalle sue fotografie pubbliche che lo ritraggono
serio, con le occhiaie e dall'aria grigia e sofferente, non si
direbbe che Vergílio Ferreira potesse avere il senso dell'humor.
Educato in un seminario austero, freddo e umido della Beira Baixa,
come si può vedere nel film "Manhã submersa"
(candidato all'Oscar nel 1980 come miglior film straniero), vi
é, di fatto, in lui un chiaro atteggiamento riflessivo
segnato dalla forte umanità e da una serietà granitica,
caratteristica comune, d'altronde, ad altri scrittori della sua
generazione e provenienti della stessa area geografica, l'interno
del Portogallo, profondo, povero, retrogrado e provinciale, di
cui essi si fanno portavoce, conferendogli dignità. Si
pensi ad esempio a Miguel Torga.
E tuttavia in questo stesso film, adattamento del libro omonimo
e autobiografico, il ruolo del rettore severo che personifica
il sistema educativo basato sulla nozione di dovere e rispetto
per il potere religioso o un altro qualsiasi, fortemente repressivo
e dittatoriale del Portogallo salazarista, fu recitato proprio
da lui, Vergílio Ferreira in persona. Questo é humor.
Humor é accettare che lui, uno scrittore con più
di 30 anni sulle spalle, sia riconosciuto per strada come un qualsiase
calciatore, per il ruolo secondario in questo film, e non per
la sua lunga carriera, come confesserà divertito nel suo
Diario. Ed è anche auto-ironia accettare, paradossalmente
in un tempo ormai di democrazia, che la figura per la quale lui
viene riconosciuto, sia la personificazione di quel sistema di
valori a cui lui così negativamente alludeva nel romanzo:
l'esperienza nel seminario come tempo di prigionia che insegnava
la separazione del mondo, metafora anche dell'isolamento del Portogallo
stesso.
Questo scrittore dall'attività febbrile e intensa, particolarmente
propenso alla meditazione, che suonava il violino come hobby durante
le pause nella reflessione, proprio come Sherlock Holmes cercando
anche lui la risposta per un mistero, il più grande degli
interrogativi: il tempo e la morte. Dal 1938, anno del suo primo
esperimento letterario fino al 1996, quando scriveva il romanzo
Uma flor (Un fiore) rimasto tuttora inedito, Vergílio
Ferreira ha accompagnato la sua produzione letteraria da un diario,
vero e proprio zibaldone, segnato da un pensiero filosofante che
si potrebbe definire leopardiano, pieno di riflessioni su i più
vari argomenti e che la critica filologica si è incaricata
di pubblicare in vari volumi (in questo momento ce ne sono 10)
sotto il nome di Conta corrente.
Sono pagine e pagine piene zeppe di caratteri piccolissimi scritte
ad inchiostro permanente, quasi sempre illegibili. Vergílio
Ferreira non ha mai utilizzato la macchina da scrivere o il computer
per redigere i suoi romanzi ed i suoi saggi. Curiosamente non
ci sono quasi mai delle parole cancellate, semmai esitazioni nei
titoli come per il bellissimo Manhã submersa (Mattino
sommerso), forse il suo libro più conosciuto, che inizialmente
doveva chiamarsi Fúria nocturna (Furia notturna)
ou Cavalo Degolado (Cavallo sgozzato). Ha pubblicato tantissimo,
tra romanzi, racconti (riuniti nel 1979 sotto il titolo generico
di Contos, da cui "Gló"), novelle, saggi
(raccolti sotto il titolo di Espaço do Invisível)
e ha anche scritto poesie che però non ha mai voluto pubblicare.
Ha tradotto Sartre, Malraux e scritto su Camus e Saint-Exupery,
essendo stato molto influenzato dalla cultura francese e in particolare
dall'esistenzialismo.
Si è laureato a Coimbra nel 1940 in Filologia Classica,
ed è stato professore di liceo dal 1942 al 1981, percorrendo
tutto il Portogallo, da Bragança (Trás-os-montes)
a Faro (Algarve), non dimenticando la sua importante esperienza
lunga 14 anni a Évora che tra l'altro ha influenzato il
romanzo Aparição (Apparizione). Già
nel suo primo romanzo (O caminho fica mais longe) pubblicato
nel 1943 si possono trovare tutti gli elementi della tematica
che privilegierà lungo la sua intensa e longeva vita letteraria:
il silenzio della creazione e la natura assoluta della morte.
Confesserà un giorno che è stato attratto dalla
letteratura per la lettura de Il cugino Basilio di Eça
de Queirós e dagli scrittori brasiliani: Jorge Amado con
Capitães da Areia e Erico Veríssimo con Um
lugar ao sol.
Vergílio Ferreira percorrerà una strada originale
nella letteratura portoghese, al punto di essere considerato il
più eterodosso degli scrittori suoi contemporanei e una voce
autorevole ma allo stesso tempo scomoda nell'ambito della cultura
portoghese. Questo scrittore-filosofo, spesso indicato come possibile
candidato al Nobel della letteratura, è stato spesso criticato
dai colleghi filo neo-realisti per il suo atteggiamento introspettivo
e il suo disinteresse per la situazione sociale contingente in Portogallo.
E tuttavia, guardando i suoi manoscritti, si capisce che è
stato uno degli scrittori portoghesi più colpiti dalla censura
salazarista.
Il suo universo letterario nel quale la temporalità svolge
il ruolo del personaggio principale che l'autore dialogicamente
interroga, può grossomodo essere definito come un percorso
che parte da una matrice neo-realista fino ad arrivare ad una
tematica esistenzialista sui generis segnata anche dalla influenza
di Sant' Agostino, Dostoievsky, Jaspers e Heidegger. Si possono
così considerare due momenti importanti nella sua produzione:
il suo quarto romanzo intitolato significativamente Mudança
(Cambiamento) segna la svolta nel suo orientamento, rompendo con
la tematica neo-realista che divideva in modo troppo manicheista
i personaggi, classificati in buoni e cattivi, e segna l'introduzione
in Portogallo del romanzo esistenzialista (1949). D'ora in poi
svilluperà la strada della introspezione filosofica che
conduce a un senso di inquietudine e disagio tra l'estetica e
la morale, il dilemma tra la presenza e assenza della divinità,
in una continua ricerca di una risposta soddisfaciente per l'esistenza.
A partire da Alegria Breve (1965) si nota un progressivo
cambiamento dai toni grigi e malinconici agli spazi aperti e solari
come la spiaggia, segno di una più tranquilla consapevolezza
del concetto di Ordine universale.
Malgrado sia stato tradotto nelle principali lingue di cultura (spagnolo,
francese, russo, greco, tedesco e polacco), la prima traduzione
italiana (una selezione dei suoi racconti) è solo del 1998
(Addio e altri racconti, Besa Editrice, Lecce, traduzione a cura
di Agnese Purgatorio). Il racconto Gló (inedito in lingua
italiana) è particolarmente interessante anche perché
può essere esemplificativo del modo originale in cui Vergílio
Ferreira riesce, con l'ambiguità che caratterizza il suo
universo finzionale, a superare una caratterizzazione dei personaggi
troppo rigida e stereotipata come ci sarebbe d'aspettarsi da una
atmosfera e una tematica chiaramente d'ispirazione neo-realista.
António Fournier
(traduzione
della Presentazione a cura di Paola Pallini)
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