GINO BRAZZODURO
Concetta
Lorenza Lo Iacono
L'incontro
con Gino Brazzoduro è stato amore a prima vista: amore per
una parola lucida, incisiva, sapientemente dosata, per la profonda
ricerca di bellezza e verità.
Passione e stupore la sua conoscenza: egli, illustre ignoto,
tecnologo, senza legittima cittadinanza entro i sacri
perimetri della repubblica delle belle lettere, ci ha lasciato
in dono frammenti di poesia oggi più che mai, attuale, guida
discreta e conforto per i sopravvissuti alle sconfitte e ai fallimenti
di ogni tempo, per tutti gli uomini, modernamente considerati come
punti per cui passano fasci di linee confinarie, frontiere reali
o immaginarie che spesso dividono, ma possono anche determinare
incontri e interfecondazioni.
Cenni
biografici
Luigi Brazzoduro nasce a Fiume il 23 marzo del 1925, da madre
di origine slovena, Teresa Vitez e padre di origine veneziana,
- Ernesto Brazzoduro - ufficiale dell'esercito italiano di stanza
a Spalato, durante la II Guerra Mondiale.
Proprio a Spalato, Gino ebbe modo di conoscere quell'Illiricum
che determinerà "l'indelebile imprinting" del
confinario, posto fra due mondi - quello italiano e quello slavo
- completamente alienati, estranei l'uno all'altro.
Durante il periodo bellico l'autore s'iscrive al corso di fisica
presso la Normale di Pisa e tale allontanamento, interrotto dai
viaggi sempre più difficili a Fiume, gli consentirà,
dopo la guerra, di adottare un punto di vista più obiettivo
rispetto a quello della media degli esuli istro-fiumani.
Nel 1947, conseguita la laurea in fisica pura, s'impiega presso
l'acciaieria Italsider di Piombino: sono i tempi magri della ricostruzione,
dove non c'è spazio per la poesia.
La Toscana, dunque, diviene la sua seconda patria e qui, incontra
Anna, discreta e intelligente compagna di tutta la sua vita, alla
quale egli dedicherà una sezione della prima raccolta,
Confine, del 1980, una nella seconda, Oltre le linee,
del 1985, l'intera A Itaca non c'è approdo del 1987
e due componimenti nell'ultima, Tra Scilla e Cariddi, del
1989.
A lungo il "tecnologo" Brazzoduro viaggerà per
il suo lavoro lasciando traccia delle proprie mete in molte sue
poesie: fra le città toccate, Piombino, Genova, Venezia,
Napoli e anche Trieste; quest'ultima, in particolare, determina
l'avvicinamento alle proprie radici, inducendolo al ritorno a
Fiume dove finalmente "metabolizzerà", assumendola
criticamente, l'esperienza biografica del "confine"
ritenuta sì un' "anomalia" ma anche
un caso emblematico, quasi la metafora di una condizione
più generale dell'uomo, sempre in bilico precario fra innumerevoli
frontiere che lo attraversano.
Proprio nella trasformazione del limite in valore catartico e
simbolo di ogni realtà esistenziale si compie il salto
qualitativo del Nostro, che diviene un esponente esemplare del
disagio e della contraddizione, a volte come in questo caso creativa,
di cui l'intero '900 è espressione.
Il mezzo prediletto dalla sua sensibilità, affinata da
sempre attraverso la musica e l'esercizio del pianoforte, non
può che essere la poesia
corda tesa che ancora
vivo trattiene il sogno
d'un suono,
figura specchiata una volta
nell'onda rapita dalla corrente
fatta chiara immagine per sempre.
Ma il poeta non è l'unico ruolo che Brazzoduro ama incarnare:
a questo si accompagnano quello del saggista letterato - molteplici
gli interventi su varie riviste di estrazione italo-slovena o
italo-croata in ambito triestino, di cui la collaborazione con
Most segna l'esperienza più significativa - e del
traduttore - emblematica la sua traduzione in antologia dell'opera
di Srecko Kosovel, poeta sloveno degli '20, intitolata Fra
il nulla e l'infinito -, quasi che attraverso l'uso della
parola, da sempre amata e coltivata, il fisico, innamorato della
materia di cui l'uomo è parte, abbia voluto restituire
ordine e sintesi alla vita, forma conquistata controcorrente
a partire dalle profondità insondabili del caos entropico
del cosmo.
Tuttavia, è nelle sue quattro collezioni che Brazzoduro
consegna a noi posteri, troppo indaffarati e distratti eppure
bisognosi e assetati di insegnamenti sicuri, il proprio testamento,
vademecum di un "galileiano", addestrato alla ricerca
e alla lettura oltre i segni/in cielo, in terra/e nell'uomo/
poiché
il
visibile nasconde l'invisibile
e nulla è già scritto
di ciò che cercate
La prima raccolta: CONFINE
È
del 1980 la prima raccolta - Confine -, 58 componimenti
raggruppati in 6 sezioni, i cui titoli - Dall'età del
ferro, Sentimento del Carso, Per Venezia, Confine, Fiori per Anna
e Miscellanea -, già enucleano i temi cari di questa
prima esperienza poetica.
Sullo
sfondo della guerra, infatti, connotata attraverso l'urlo dei
tamburi, gli ululati di mitraglia, il giro del reticolato
\sulla neve\ la rosa del sangue \ rappreso sulle pietre, s'innestano
gradualmente i ricordi, in cui campeggiano:
-
il Carso che ben si assimila alla patria natia nella pietra che
lo sostanzia, - calcare\ mia patria\ mia memoria \ e silenzio
-;
- la propria terra, evocata ormai solo dal grumo della
luce\
da una scheggia dura\ dell'
azzurro\ la voce antica del vento;
- Venezia, fino agli anni '50, residenza dell'autore impegnato
presso gli stabilimenti di Marghera;
- il sentimento del confine, che andrà precisandosi sempre
più dettagliatamente nelle raccolte successive;
- l'amore per Anna;
- le riflessioni poetiche su viaggi compiuti (Chartres, Lubecca,
la Liguria), persone conosciute (l'amico e scopritore Biagio Marin)
e l'intima essenza della vita, continua giustapposizione di contraddizioni
solo apparenti.
Proprio
da quest'ultima sezione, emblematica del rigore e della sensibilità
del poeta, ci piace iniziare il viaggio alla scoperta di Gino
Brazzoduro
Prima virtù teologale
Alla
fatica
soltanto credo
ferma certezza:
non cresce spontaneo
il raccolto.
Da sempre
la forza dissodante dell'ingegno
da sempre
il maturante dolore dell'uomo
cresce il raccolto
dell'uomo.
Da
questo testo, penultimo componimento di Confine, ma qui
significativamente richiamato all'inizio della nostra esplorazione,
emerge un atteggiamento d'impegno e di onestà che connota
tutto l'itinerario poetico dell'autore, probabile retaggio, a
nostro avviso, delle origini istro-fiumane
Essenza e apparenza
In
mezzo al campo di spighe
s'accendono al vento
effimeri papaveri.
Nell'ora del raccolto
ricordate come è maturato
giorno dopo giorno fedele
con fatica il pane.
In accordo con il precedente, prosegue la sottolineatura della
fatica come tema esistenziale fondante; la vita dei campi e della
natura in genere si offrono agli occhi del poeta come strumento
di paragone utile alla comprensione della vita dell'uomo e dell'universo
Essere e divenire
In
una dura luce d'alba
pura contemplo
la trama dell'albero
orlato di gelo.
Alto sovrasta il silenzio
nel cerchio boreale
delle costellazioni.
Bellezza essenziale
in sé conclusa
perfetta .
Ma l'altra pure conosco
ragione della vita
brulicante magma
brusio inquieto d'arnie nascoste
incessante fermento
d'oscure radici.
Presto
un vento di primavera
scioglierà il gelo.
Fiorirà i rami del sogno
il tenue velo del mattino.
Di nuovo il fluire della natura, con i suoi ritmi e il suo "incessante
fermento" - che nelle raccolte successive andrà polarizzandosi
sempre più nel sentimento degli opposti, inducono alla
similitudine finale: il fiorire del sogno come un mattino di primavera.
Dalla
sezione che reca il titolo omonimo della raccolta riportiamo proprio
Confine; questo componimento esprime il tema più
caro dell'esperienza poetica di Brazzoduro, significativamente
inteso, sin dall'inizio, in senso interiore e personale: il confine,
infatti, non è soltanto la demarcazione politica o geografica
entro la quale un territorio si definisce, ma soprattutto una
linea impercettibile che discrimina, significandola, ogni
esperienza della vita umana (buio e luce, morte e vita, bene e
male).
Tale posizione condurrà il poeta a concludere nella seconda
raccolta pubblicata che ogni essere umano è un confinario,
cioè un punto in cui passa un fascio di linee confinarie,
più che mai chi come lui proviene da una realtà
etnica fatta di commistioni secolari
Confine
In
ognuno è il confine
nitido contorno
che nell'aria incide
l'orizzonte
linea impercettibile
come l'ora sfuggente che divide
il giorno dall'ombra
silenzio
e suono
memoria e annunciazione
morte
e vita
unico fiore
La
seconda raccolta: OLTRE LE LINEE
La seconda raccolta di 65 poesie - contenute in sei sezioni, La
città inesistente, La talpa di Hegel, Per Anna, Dialogo
sulla speranza, Paesi e stagioni, Diario '43-'45 - viene pubblicata
da Gino Brazzoduro nel 1985 presso l'editore Lischi di Pisa.
Elemento
innovativo di estremo interesse, poi ricorrente nelle raccolte
successive, è l'introduzione autobiografica compiuta dall'autore,
utile per comprendere i legami profondi tra poesia e biografia
e per questo di seguito in parte citata:
L'autore
di questi versi essendo un "illustre ignoto", sente
il dovere di una pur minima presentazione. Informa innanzitutto
di non essere del mestiere, avendo speso tutta la vita attiva
a fare il tecnologo[
] è, insomma, una specie di apolide,
un "abusivo". O, se si preferisce, un contrabbandiere[
]
I contrabbandieri, si sa, sono gente che traffica poco chiaramente
a cavallo dei confini. E si dà il caso, per l'appunto,
che il nostro sia un confinario per nascita (Fiume, classe 1925)
[
].
I confini, è risaputo, separano e dividono, con l'inesorabilità
di ogni spartiacque; propongono - e alle volte impongono - scelte
ineludibili, secondo la dura logica del dilemma secco: aut - aut.
Ma possono anche diventare linee di sutura e di giunzione di lembi
eterogenei ed insinuare un'altra logica, più aperta: quella
del et - et. Attraverso i confini avvengono contatti, scambi,
interazioni... Per questo anche le frontiere sono un "topos"
straordinario di contraddizioni, in cui si manifestano interesse
e curiosità per ciò che accade sull'altro versante.
Sui limiti confinari nascono anche nuovi bisogni di complementarietà,
stimoli inediti per l'intuizione e si annunciano possibilità
singolari di interfecondazione e di pluridimensionalità
per l'immaginazione creativa. Può maturare, insomma, una
nuova moralità confinaria capace di superare la rigidità
schematica delle alternative precostituite e bloccate[
].
Queste pagine sono perciò dedicate a chi vive su un qualche
confine (e magari non lo sa...)
Ritorna, dunque, il tema del confine inteso come esperienza geo-biografica
in grado di generare stimoli e arricchimento, ma si fa strada
anche il motivo de "la città inesistente", -
titolo della sezione omonima -, nel quale gli autori fiumani,
negli anni '80, esprimono il dolore dell'esilio e dello sradicamento.
Fiume, infatti, la propria città-patria, è irrimediabilmente
perduta e di essa non rimane che il ricordo quale ombra e sogno
di un passato destinato ad essere rimosso
La città inesistente
Oltre
il fiume
il nostro silenzio.
(parlano un'altra lingua
di là dal fiume)
Uccelli
passano
dall'una all'altra riva
Sugli
spalti deserti di calcare
parole straniere.
Solo silenzio
di vinti ostaggi
insensato orgoglio
cieca memoria
Oltre
il fiume
ogni giorno ripete
l'acre lezione della storia
alle spalle ancora
l'eco martellante
dai selciati della città
inesistente
- ombre soltanto
scrivono nell'aria
Sui rami del viale
i sogni
sognano ancora
di noi
di qua dal fiume
I versi seguenti, invece, appartengono in ordine ai primi quattro
componimenti della seconda sezione dal titolo simbolico La
talpa di Hegel, simbolicamente riconducibile all'intimo scavo,
al lavorio permanente e nascosto di una mente sistematica, attenta
al relativismo e alla polarità dell'esistenza.
Essi in particolare paiono rappresentare quattro momenti della
biografia esemplare dell'uomo-esule:
-
la scoperta dell'eterno fluire delle cose in un alternarsi di
sviluppo e decadenza, nascita e morte che rende impossibile la
fissità e certezza di ogni forma;
- la prova dell'esilio espressa attraverso la similitudine dell'esodo
biblico, ma più amara per la mancanza di una terra promessa;
- l'autointerrogatorio del profugo - emigrante - fuoriuscito,
orgogliosamente e caparbiamente contraddistinto dalla non accettazione
di un ordine imposto al quale è preferibile la condizione
del confinario permanente;
- "la sete" delle proprie origini, impossibile da estinguere
in altre patrie, eterna ricerca di chi è sopravvissuto.
La
talpa di Hegel
Contemplo
sereno
uccelli ebbri d'azzurro
in libero volo,
e il nuovo verde terrestre
Pochi sono scampati.
Il ramo appena destato
tutto in fiore
un tiepido vento accarezza
Ma
sotto
già avverto la talpa che rode
inflessibile il suolo
su cui poso
e fondo ogni presunta certezza.
Resoconto dalle Sacre Scritture
Abbiamo
attraversato il Mar Rosso
al colmo della tempesta e poi l'arido
deserto.
La manna, in verità, era grandine
e piombo.
Ci siamo nutriti d'indignazione:
da voi, sazi,
nemmeno l'acqua abbiamo accettato
per calmare la sete.
Solo in pochi - ricordo -
non hanno danzato ignudi
davanti al vitello d'oro.
Dov'era il vostro orgoglio?
Nessuno degli antichi profeti
fu creduto.
Stremati, dopo lunga marcia
non abbiamo trovato la terra promessa:
ci attendeva solo il salmastro
Mar Morto
Interrogatorio sulla frontiera
Profugo?
Invisibile per voi
la mia casa.
Forse emigrante?
- Vado dovunque
sia impossibile incontrarvi.
Apolide?
- con voi
non posso dividere
cittadinanza.
Allora espatriato...
- Da tutte le vostre patrie
coronate di filo spinato,
macchiate di sangue.
Fuoriuscito, dunque!
- I vostri confini
non li riconosco.
E dove credi di andare?
- Altrove.
Ma non hai lasciapassare!
- Allora resterò
fra le barre confinarie
per sempre.
I sopravvissuti
Scampati
appena al rogo,
una chiara sorgente apparve.
Tendemmo mani ferite
e labbra riarse.
Invano.
Subito quell'acqua
si fece lama di gelo
più del fuoco bruciante
sulle nostre piaghe.
Sola fedeltà ci resta
ancora quella sete.
Da sempre.
La
terza raccolta: A ITACA NON C'È APPRODO
Proseguiamo la conoscenza di Gino Brazzoduro con l'introduzione
alla sua terza raccolta, - costituita da 51 componimenti, divisi
in 5 sezioni, - A Itaca non c'è approdo, Una città,
Momenti poetici, Gli Altri pubblicata dalla Giardini Editori
di Pisa nel 1987- citando quale miglior presentazione ciò
che l'autore scrisse in testa ai propri versi:
L'acquisizione
del valore liberante e catartico del simbolo - confine era stata
assecondata nell'autore dalle riflessioni sull'esperienza direttamente
vissuta in un punto nevralgico dell'Illyricum, dove aveva fatto
giusto in tempo a nascere (Fiume 1925) [...]: la propria "educazione
sentimentale" era stata coltivata, infatti, proprio in quegli
spietati anni di ferro 1940 - 45, che in quella regione forse
più che altrove furono segnati dalla violenza e da divisioni
traumatiche e profonde in ogni campo [...] Questa[...] raccolta
prosegue un viaggio che ha origini remote[...] contiene cioè
le registrazioni in tempo reale di una ricerca sul "da -
sein", sola nostra verità sperimenta(bi)le in mezzo
ai labirinti e alle contrastanti apparenze in cui rischiamo di
smarrirci ad ogni passo[...] Si scopre allora che nell'avventura
di vivere non esistono ritorni, perché in realtà
qualsiasi ritorno è impossibile [...] Altra cosa può
essere l'onesta ricerca di radici, una ricerca accorata della
propria identità - legittimazione o anche solo di ricovero
ideale che assicuri certezze. Qualcosa, insomma, cui appigliarsi
per (illudersi di) sottrarsi alla corrente impetuosa del divenire
[...] Ma se viviamo immersi nella corrente irreversibile del tempo
- quello nostro individuale e biologico, non meno di quello universale,
geologico e cosmico - allora c'è da chiedersi quale senso
possa avere il "ritorno ad Itaca"[...] non sta forse
la legittimazione della pianta nell'avventura del suo crescere,
nel mettere sempre nuovi germogli e gemme piuttosto che nel buio
cieco di immutabili radici? [...] Certo il passato si accompagna
sempre con la forza evocatrice della memoria - l'angelo silenzioso
della poesia che insieme a noi condivide il viaggio nel tempo.
Sulla brulla Itaca sono rimasti solo sterili simulacri. Ma quell'angelo,
il suo sorriso amico e un poco enigmatico ci è compagno
verso Atlantide, la sola degna degli umani. [...] Ma per intanto
sarà buona cosa mai desistere dal coltivare il sano esercizio
di uscire dal proprio microcosmo per imparare ad essere liberi
e disponibili ai giochi della differenza e alle combinazioni della
diversità, per acquisire dimestichezza con tutto quanto
ci fronteggia e ci sfida "oltre"...
Dopo aver letto queste righe non rimane molto da dire che Brazzoduro
non abbia già lucidamente e intelligentemente espresso,
se non sottolineare la titanica e impietosa ricerca sul senso
del viaggio e sulla libertà, sulla sfida che "la differenza"
pone, sul valore della memoria; tratte dalla prima sezione- dal
titolo omonimo della raccolta - si riportano due poesie esemplari
per la comprensione della ricerca compiuta dal Nostro alla metà
degli anni '80
Itinerari
Non
illudetevi:
a Itaca
non c'è approdo.
Nutre il futuro
antiche radici.
Atlantide:
sola nostra destinazione.
La collana
Nella
lunga giornata
chiare perle ho raccolto
stupende.
Cingere vorrei
di collana splendente
la nuda gola bianca
della sera.
E
invano,
invano cerco il filo
capace di legare
in un sol cerchio
il senso congruente
di ogni grano.
Quest'ultimo componimento mostra la difficoltà di cogliere
"il senso congruente" del vivere attraverso una metafora
sensuale inconsueta. Con i versi successivi, infatti, si torna
allo stile epico della similitudine biblica già incontrata
precedentemente, ma con una novità: l'impegno individuale
L'esodo
Scampati
ai Faraoni
davanti a noi il Mar Rosso
non divise le sue onde.
Nulla ci fu promesso
oltre.
Era in noi la Promessa,
sola giustificazione dell'Esodo.
Certo soltanto
ogni passo attraverso il deserto
e l'inciampo del dubbio ad ogni
sasso.
Vero per noi quel miraggio
liberato dalla sete,
più del tormento
di aride pietre.
Inclusa nella seconda sezione la poesia Lontananze prefigura
un nuovo atteggiamento di dialogo e comprensione reciproca fra
i due lembi dell'Adriatico, sviluppatosi in modo pieno solo a
partire dalla fine degli anni '90
Lontananze
Là
ancora una luce di sguardi
prigioniera fra le cose.
Dentro occhi vuoti
ancora il volo dei sogni.
Mani lontane si cercano
oltremare, sfiorano
invisibili costellazioni.
Qua
una neve d'albe
s'è fatta cenere,
più che ombra
silenziosa memoria.
Attraverso l'immagine del fiume una volta familiare, si manifesta
l'esperienza amara e dolorosa del confine, rappresentata nel componimento
seguente come una "ferita esangue"
La ferita
Ricordo
la gola strapiombante
fra i contrafforti di calcare:
in fondo
l'esile vena del fiume
aperta ferita esangue.
Fu questo il confine
nostra esperienza certa
del male che divide.
Qui
un mattino
disperata stramazzò la rondine
sulla siepe del reticolato:
segno della storia nemica
che ci ha generato.
Pugno
di cenere siamo
sparsa nel vento.
solo patria
per noi
il silenzio.
Fondamentale per il percorso poetico di Brazzoduro è l'approdo
alla parola alla quale egli associa la leggerezza e l'immortalità,
il conforto nella memoria
La parola ancora
Insensata
follia del mondo
- diciamo.
Eppure
la parola ancora
sfiora l'incanto dei ghiacciai
e le verdi pianure del sogno -
sfida leggera
il ciglio stellato
sopra antiche architetture
di città straniere.
Ancora
un seme d'oscura memoria
resiste nella terra gelata
del cuore.
Come in Lontananze anche nella penultima sezione torna
il tema della divisione prodottasi fra gli abitanti di lingua
e cultura italiana dell'Istria con l'esodo del secondo dopoguerra,
"Uno stesso popolo/solo per poco ancora/diviso"; tuttavia,
tale riflessione assurge a paradigma di un nuovo spirito di fratellanza
universale dove il termine generico "altri", può
trovare un'unica coniugazione in "noi"
Gli
altri
Se
ne va.
Di là lo attendono.
S'avvia calmo
verso l'altra riva
dove vivono
gli Altri.
- Gli Altri?
E non siamo
noi ancora di qua
già Altri?
Uno stesso popolo
solo per poco ancora
diviso.
La quarta raccolta: TRA SCILLA E CARIDDI
Giungiamo, quindi alla quarta raccolta - Tra Scilla e Cariddi,
52 componimenti suddivisi in quattro sezioni - Verso la terra
promessa, Il frammento e l'intarsio (Dialogo sulle forme), Nel
segno della luce (Fra annunciazione e memoria) Confine orientale
- pubblicata sempre dalla Giardini Editori di Pisa nel 1989, l'anno
della morte del poeta.
Anche per questa collezione ci pare illuminante la prefazione
dell'autore, che cito in parte:
L'autore
aveva scelto la poesia per dar conto - a se stesso prima che ad
altri - della propria esperienza di confine. Un confine non astratto,
ma storicamente ben determinato, quello orientale.[
]
[
] Da ultimo testimoniò la sua presa di coscienza
del viaggio senza fine che ci conduce sempre "più
in là": vana appare la speranza di un ritorno alle
radici, di un approdo finale alla mitica spiaggia di Itaca. Le
radici, in verità, stanno dentro di noi in nessun luogo
e ci seguono dovunque, di naufragio in naufragio. [
]
[
] Siamo consapevoli di essere parte della diaspora universale
[
] Eppure fra incertezze e precarietà, l'esperienza
ci mostra che qualche cosa resiste e dura: la parola, il principio
stesso di ordine e struttura che modella la vita[
]
Il cristallo della parola ha la facoltà di far convergere
la molteplicità confusa e incomponibile dell'esistenza
in immagine sensata
In quest'ultima raccolta si precisa, dunque, il concetto di "diaspora
universale", in cui "vana speranza [è] il ritorno
alle radici
[che] in verità stanno dentro di noi [
]
e ci seguono dovunque, di naufragio in naufragio".
Il tema dell'esodo si arricchisce di una nuova lettura in chiave
personale: - "Solo nel passo ostinato/ si compie il riscatto"
-, a fronte de - "l'inciampo del dubbio/ad ogni sasso"
della raccolta precedente; - "Né arresi/ né
rassegnati/ ad uno ad uno cadremo [
] /volti nella giusta
direzione"
Verso
la terra promessa
Già
troppe volte
esuli
abbiamo dovuto abbandonare
l'Egitto.
ora sappiamo:
oltre il deserto
nessuna terra
ci è promessa.
Solo
nel passo ostinato
si compie il riscatto,
nella polvere dell'esodo
la sola redenzione.
Né arresi
né rassegnati
ad uno ad uno cadremo
inutile sasso fra i sassi,
volti nella giusta direzione.
Alle soglie "del viaggio senza fine che ci conduce sempre
più in là", Brazzoduro riafferma il valore
cardinale della parola, già scoperta nella raccolta precedente,
ma qui connotata dagli attributi di saldezza e bellezza razionalmente
espressa, la sola capace di ricomporre la molteplicità
confusa
Sopravvissuti
Quante
case
ci sono crollate addosso -
atterriti superstiti
osserviamo in silenzio
templi e palazzi
rovinati in polvere.
ma
il sottile
arco della parola
più della pietra saldo
non ha ceduto.
Solo
per questo
ancora
esistiamo.
Finalmente, alla vigilia della propria morte, il poeta ha raggiunto
il senso e l'ordine della vita nella sua "dicibilità":
egli che da tecnologo conoscitore delle leggi fisiche, non aveva
compreso, ora, riguardando indietro al suo viaggio, scopre nella
parola e nella poesia, "angelo silenzioso [
] che insieme
a noi condivide il viaggio nel tempo", l'approdo (a Itaca?).
Certo, l'esperienza esistenziale è ormai trasfigurata alla
luce di una fede intesa come onesta ricerca di verità
Preghiera del mattino
Signore,
fa' che oggi possa incontrare
il mio antagonista
estremo
perché
sulla dura pietra della contraddizione
possa affilare l'impari lama
della mia verità.
Preghiera della sera
Signore,
a te sia lode
per la nostra sconfitta
quotidiana.
Fa'
che in nulla mai dobbiamo
somigliare
al nostro vincitore.
Nella sconfitta
il segno certo
della nostra verità,
la benevolenza manifesta
della tua grazia.
Ma l'altro riferimento sempre presente è quello del sogno,
in cui, ad esempio, la città abbandonata si smaterializza
per divenire fragile e minuta come carta, oppure il confine, considerato
come varco all'aldilà sorvegliato da arcangeli doganieri,
non si sa neppure dove sia:
Sogni
Sempre
più radi
i sogni.
Logori arazzi strappati,
affreschi scrostati
ormai
indecifrabili.
Voci
senza più suono
traversano i sogni
come
uccelli morti
l'aria grigia
d'inverno.
Sfilano
paesaggi incolti
disabitati
che solo il cuore
per una segreta passione
a stento ancora
ritrova.
Città di carta
Città
di carta
senza più amore,
città morta
e pure non so dove
da qualche parte
ancora viva
e come nessun'altra
vera.
Città perduta
città lontana
come sconosciuta
parola straniera.
Ognuno
è solo
nella sua minima storia
e l'aria questa sera
è ancora quel vetro di gelo,
chiaro di luna rappreso:
ultima
e la tua prima
notte di primavera.
Ultimo sconfinamento
(per Enrico Morovich)
Davanti
a noi
il confine,
limite incerto
inconoscibile.
Forse là
in cima alla collina
inebriata di sole,
o sull'alto
crinale della montagna
azzurra di neve;
forse nell'ombra oscura
che scava il fondo della valle,
o fra le brume della pianura
sull'onda inquieta del fiume -
non sappiamo
dove sia il confine.
Ignari lo attraverseremo
con noncuranza
e solo dalle vaghe voci
degli arcangeli doganieri
capiremo di essere già passati
dall'altra parte.
Notevole Il Guado, nel quale, con un linguaggio epico,
si narra l'esodo immaginario di un popolo minacciato dalla carestia,
che si trasforma nella cieca violenza della sopraffazione e nell'illusorietà
del sogno
Il Guado
Le
messi s'erano fatte
sempre più scarse,
sempre più magri i raccolti.
Correva voce
che di là dal fiume
ci fossero campi fecondi
e vivessero genti
governate da saggi ordinamenti
in armonia con le potenze celesti
e tra di loro in pace.
Così, dopo l'ultima carestia
fu deciso di passare il fiume
con i carri, le tende
e quanto restava delle sementi.
Ma, giunti a metà del guado
- le ruote fino ai mozzi nel fango -
i cavalli ormai stremati
non ressero all'impeto dell'onda
e tutti i migranti furono dispersi.
A sera da nessuna parte si videro accesi i fuochi.
Alcuni più ostinati
non desistettero dall'impresa:
raggiunta a nuoto l'altra sponda
trovarono solo infide paludi,
e tribù incolte
li fecero schiavi.
Altri cercarono l'impossibile salvezza
osarono sfidare la corrente,
ma al passaggio delle rapide
furono travolti.
Pochi superstiti
ormai isolati
s'interrogavano a lungo
in silenzio.
L'alba sembrava
sempre più
lontana.
Rimane l'esperienza dell'estraneità che coinvolge tutti
nella "diaspora universale", ancor più chi è
"espatriato da mondi lontani/ mai visti,/ forse appena immaginati,
/da sempre perduti"
Straniero
Da
lontano
viene lo straniero.
Ha solo occhi pieni di silenzio
per parlare:
la sua lingua non ha parole
che tu intendi.
Nessuno
lo ascolta -
inaffidabile testimone
espatriato da mondi lontani
mai visti,
forse appena immaginati,
da sempre perduti.
Chi mai ascolterà
le sue storie incredibili
in una lingua che per voi
non ha parole - .
Concetta Lorenza Lo Iacono è
nata a Roma il 12.02.1969. Ha conseguito la laurea in Letterature
Comparate presso l'Università La Sapienza di Roma, discutendo
una tesi sulla "Letteratura italiana dell'esodo in Istria". Si
interessa di letteratura in genere e degli esiti letterari nelle
zone di confine.
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