LA SCOPERTA DELL'AMERICA
(1)
Paulo Freyre
Nel tentativo di
rispondere alle domande che mi sono state fatte sul V Centenario
della cosiddetta "Scoperta dell'America", la mia prima
riflessione o, più precisamente, la mia prima affermazione
è che il passato non si cambia. Lo si può comprendere,
lo si può rifiutare, lo si può accettare, ma non
lo si può cambiare.
È a partire dalla consapevolezza, in fondo ovvia, dell'arrivo
del colonizzatore, che in verità non ha "scoperto",
ma conquistato l'America, che proverò a dare le mie risposte.
La prima questione si trova già in parte chiarita in questa
specie d'introduzione sommaria: non penso nulla sulla "scoperta"
perché ciò che avvenne fu una conquista. E sulla
conquista il mio atteggiamento è, in definitiva, quello
del rifiuto. La presenza predatoria del colonizzatore, il suo
incontenibile piacere di sovrapporsi, non soltanto allo spazio
fisico ma anche a quello storico e culturale degli invasi, il
suo spadroneggiare, il suo potere assoggettatore sulle terre e
sulle genti, la sua incontenibile ambizione di distruggere l'identità
culturale dei nativi ritenuti inferiori, quasi animali, nulla
di ciò può essere dimenticato quando, lontani nel
tempo, corriamo il rischio di "ammorbidire" l'invasione
per vederla come una specie di regalo "civilizzatore"
del cosiddetto Vecchio Mondo.
La mia posizione oggi, a 500 anni dalla conquista, non è
quella di chi si lascia dominare dall'odio verso gli europei,
è quella, invece, di chi non si adatta a subire la malvagità
intrinseca in qualsiasi forma di colonialismo, d'invasione, di
spoliazione. Quella di chi si rifiuta di trovare aspetti positivi
in un processo per natura perverso.
Non saranno poi i 500 anni che ci dividono dall'arrivo invasore
che mi faranno benedire la mutilazione del corpo e dell'anima
dell'America, le cui ferite portiamo ancora oggi.
Il corpo e l'anima dell'America, il corpo e l'anima dei suoi popoli
originari, così come il corpo e l'anima degli uomini e
delle donne che sono nati nel suolo americano, figli e figlie
di non importa quali combinazioni etniche, il corpo e l'anima
di uomini e donne che dicono no alla dominazione di uno Stato
sull'altro, di un sesso sull'altro, di una classe sociale sull'altra.
Sanno, il corpo e l'anima dei progressisti e delle progressiste,
ciò che ha rappresentato il processo d'espansione europea
che portava con sé le limitazioni che ci erano imposte.
E poiché sanno non possono benedire gli invasori né
tantomeno l'invasione. Proprio per questa ragione il miglior modo
di ricordare, non festeggiando i 500 anni d'invasione né
incrociando le braccia dinanzi ai festeggiamenti, sarebbe rendere
omaggio al coraggio, alla bravura, alla resistenza, alla capacità
di lotta contro l'invasore; la passione per la libertà
degli indigeni e delle indigene, dei negri e negre, dei bianchi
e bianche, dei meticci che hanno avuto i loro corpi lacerati,
i loro sogni spezzati, le loro vite rubate.
I gesti di ribellione si ripetono oggi nella lotta dei "senza
terra", dei "senza scuola", dei "senza casa",
dei favelados; nella lotta contro la discriminazione razziale,
contro la discriminazione di classe, di sesso.
Io commemoro non l'invasione ma la resistenza contro l'invasione.
E se dovessi parlare sui principali insegnamenti che la tragica
esperienza ci offre, affermerei che il primo e più fondamentale
fra loro è propri quello che deve alimentare la nostra
decisione di rifiutare la spoliazione, la dominazione di classe
tanto come dominanti quanto come dominati. Si tratta dell'apprendistato
ribelle alle ingiustizie, la consapevolezza della capacità
di decidere, di cambiare il mondo, di renderlo migliore. La coscienza
che quelli che hanno in mano il potere non possono tutto, che
i deboli sono in grado di trasformare, nella lotta per la propria
liberazione, la loro debolezza nella forza con la quale vincono
la forza dei forti.
Questo è l'apprendistato che commemoro. Certamente il passato
non passa mai nel significato con cui il senso comune intende
il passare. La questione fondamentale non va cercata nel passare
o nel non passare del passato, ma nella maniera critica, attenta,
con cui capiamo la presenza del passato nelle vicende del presente.
In questo senso lo studio del passato porta alla memoria del nostro
corpo cosciente la ragione d'essere di molte delle procedure del
presente e può aiutarci, a partire della comprensione del
passato, a superare i suoi segni. A comprendere, per quanto riguarda
il passato della conquista, come questa si ripeta oggi, anche
se in modo diverso. E' proprio perché il passato si fa
presente, sia il passato del conquistatore sia quello del conquistato
che i 'quilombos'(2) , momento esemplare della lotta dei conquistati,
si ripetono oggi nelle lotte popolari sul suolo americano. La
conquista attuale, che prescinde dalla presenza fisica del conquistatore,
si compie con la dominazione economica, l'invasione culturale,
il predominio di classe e tramite un numero indefinito di risorse
e strumenti di cui gli uomini del potere, i neo-imperialisti,
fanno uso. Tra questi, gli strumenti assistenzialisti e i prestiti,
che generano l'indebitamento crescente dei sottomessi. Per mantenere
questo regime chi detiene il potere oggi, come chi lo possedeva
ieri, conta su qualcosa di fondamentale importanza: la connivenza
degli sfruttati, in quanto esseri duali. Per questo debbono anche
affrontare il desiderio di libertà degli oppressi, degli
invasi, dei diseredati che pronti, in piedi, a volte nell'ombra,
"importunano" la sicurezza dei potenti. E' proprio la
volontà di essere noi stessi e questo forte desiderio,
ispirato dal sogno possibile, dall'UTOPIA tanto necessaria quanto
percorribile, che marciamo, progressisti e progressiste di queste
Terre dell'America, verso la realizzazione dei sogni dei Vasco,
dei Quiroga y Tupac, dei Bolívar, dei Martí, dei
Sandino, dei Tiradentes, dei Che, dei Romero.
Il futuro è dei Popoli e non degli Imperi.
São Paulo,
aprile 1992
Note
1
Da Pedagogia da indignação, Editora UNSP, S. Paulo, 2000. Testo
redatto come risposta alla "Encuesta" realizzata dalla Fondazione
di Investigazioni Sociali e Politiche del Centro Ecumenico di
Educazione Popolare, Buenos Aires, sul V Centenario della così
detta "Scoperta dell'America". Dall' Agenda del Professore Paulo
Freire (24.4.1992). Traduzione italiana di Marta Gomes.
2 Raggruppamenti, nelle foreste, di negri schiavi fuggiaschi
in Brasile durante tutto il periodo della schiavitù; uno dei più
conosciuti è quello di Palmares, fondato nel 1600 nel 'Nordeste',
Pernambuco. (Nota del traduttore)
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