Lisbona: Caffè "A Brasileira"

Michel Braudeau



Il Vecchio Continente, attraverso secoli di guerre e rivalità, si è formato intorno al Mediterraneo, si è cinto di porti e di città ammirabili, da Venezia ad Atene, da Marsiglia a Barcellona, che gli hanno aperto le porte dell'Oriente, facendone la sua potenza, la sua prosperità commerciale e, quasi a sua insaputa, la sua unità politica.
Tramite l'Oceano, i suoi navigatori hanno conquistato il mondo, e, da Capo Nord allo Stretto di Gibilterra, forse non esiste un “finisterre” più bello di quello di Lisbona, con la sua punta rosa e d'acciaio protesa verso il cuore dell'Atlantico.
Quei tempi sono finiti, sicuramente. Il Mare Nostrum è diventato stretto e convulsivo, e se l'inno portoghese canta ancora: “Eroi del mare, nobile popolo, nazione valente e immortale, alzate oggi di nuovo lo splendore del Portogallo!” , è con un'ironia crudele che António Lobo Antunes al suo ritorno dall'Angola, intitolò uno dei suoi romanzi Lo splendore del Portogallo.
Lo splendore e la malinconia, dunque. Il caso non è isolato in Europa, ce ne sono altri luoghi dove spesso si ha l'impressione che la vita sia fuggita, che “ciò succeda altrove”; poco fa in America del Nord, domani in Cina. Al Portogallo, paese esiguo un tempo padrone di un impero smisurato, il sentimento diffuso della perdita confina talvolta con la schizofrenia che Lobo Antunes analizza così bene nella sua opera, ma raramente con amarezza.
Lisbona coltiva la dolce follia dei giganti spodestati senza metodi arroganti; basta prendere una barca sul Tago e girarsi per vedere con quale dolcezza materna la città offre al viaggiatore la grande piazza del Commercio, come una culla posata sull'estuario.
Circumnavigando il capo di Buona Speranza, nel marzo 1498, per raggiungere il porto di Calcutta sulla costa di Kerala, Vasco de Gama non puntava a dominare politicamente la regione immensa dell'Oceano Indiano, ma a sviare su Lisbona il flusso delle merci che transitavano nei porti mussulmani del Mediterraneo orientale.
La flotta Portoghese, tuttavia, non disponeva che di qualche dozzina di imbarcazioni, non resistette molto tempo ai mercanti ottomani, yemeniti e mongoli. Gli inglesi e gli Olandesi riuscirono prima di loro a coltivare il caffè nelle colonie indiane e indonesiane.
Solo nel 1727, col favore di un galante rapporto tra la moglie del governatore della Guyana Francese e un seducente ufficiale portoghese, che delle piante di caffè furono introdotte di nascosto in Brasile. E poiché nel 1755 Lisbona fu devastata da un terremoto e da un maremoto che sbalordirono l'Europa (catastrofe evocata da Voltaire in Candide) prima di essere ridisegnata dal marchese di Pombal, le più vecchie costruzioni, di cui abbiamo una traccia certa, sono datate la fine del XVIII° secolo, 1782 o 1784, secondo gli storici, per quanto riguarda Martinho da Arcada (allora battezzato Casa da Neve), situato sotto i portici della Piazza del Commercio.

A Lisbona i caffè si svilupparono ( il Nicola, il Rossio, il Montana, il Brasileira, il Versailles e molti altri) nella seconda metà del secolo successivo, così velocemente come in Spagna, e divennero il punto di incontro degli studenti, degli artisti e degli spiriti ritenuti “giacobini” dalla Gazzetta di Lisbona.

Nel 1846 un decreto della regina Maria II aveva instaurato un circolo ufficiale delle figure più notevoli della società liberale, il Grémio letterario, l'equivalente dell'Ateneo di Madrid, che raggruppava dei letterati, dei dirigenti politici e delle personalità dell'aristocrazia nel palazzo Loures. Con la sua biblioteca, i suoi saloni opulenti, il suo ristorante e il suo giardino sul Tago, il Grémio è ancora oggi una delle accademie più famose d'Europa. Ma gli scrittori, a Lisbona come altrove, non sono sempre delle persone fortunate né avvantaggiate e la maggior parte di loro si ritrovavano spontaneamente e senza alcun protocollo nei caffè del Chiado1 o della Baixa2, per fare delle conversazioni troppo sediziose per il Grémio, per fare giochi clandestini od ubriacarsi frequentemente.

Gli orari sono flessibili nei caffè, chiunque può sedersi, leggere il giornale, bere ed esprimersi liberamente, senza rivelare la propria identità né portare la cravatta, se non per confondersi nel grigio della folla. All'inizio, almeno. Poiché in una città delle dimensioni di Lisbona, i caffè dove l'opposizione si rifugiò al tempo della dittatura militare, dal 1926 alla “rivoluzione dei garofani” del 1974, furono sia rifugi che trappole per gli intellettuali, allo stesso tempo tollerati e sorvegliati.

Lo scrittore Júlio Moreira ricorda: “In certi caffè dove andava la gente di sinistra, dei poliziotti ben vestiti si confondevano tra il pubblico.Ogni tanto portavano un intellettuale nella strada accanto, per torturarlo. Come all'epoca di Salazar…”

Difficile, dunque, passare inosservati per quarantotto anni. Un poeta, che apparentemente non era neppure il più pericoloso di tutti, tuttavia ci riuscì, grazie solo al suo nome, Fernando Pessoa.

La leggenda è troppo bella per essere messa in discussione. I Greci, fondando la città di Lisbona, le avevano dato il nome di Olissipo, derivato da Ulisse (che si sarebbe trasformato in Olissipona, poi in Lisapona prima di diventare Lisbona), e si conosce l'episodio dell'Odissea dove Ulisse e i suoi compagni, prigionieri dei Ciclopi cannibali, sono rinchiusi in una caverna dal più forte, Polifemo, che inizia a divorare due marinai ogni giorno. Al terzo marinaio inghiottito, Ulisse decise di offrire del vino a Polifemo, che lo ringraziò promettendogli di mangiarlo per ultimo e gli domandò il suo nome. “Oudéis”, rispose Ulisse, ossia “Nessuno”. Quando Polifemo fu nell'ebbrezza dell'ubriacatura, Ulisse bucò l'unico occhio del gigante con una pedata. Polifemo si svegliò urlando, gli altri Ciclopi accorsero subito e gli domandarono: “Chi ti ha ferito?” Polifemo rispose: “Nessuno” . I suoi compagni, lo giudicarono pazzo, e lo abbandonarono. Al mattino, il cieco Polifemo spinse l'enorme pietra che tappava la caverna per far pascere il suo gregge. I Greci si attaccarono sotto il ventre degli arieti e raggiunsero così i loro vascelli.

In portoghese pessoa significa “persona” 3 ma fu anche il vero nome di Fernando António Nogueira Pessoa, nato sotto il segno dei gemelli, il 13 giugno 1888 a Lisbona, nella città di Ulisse. Un caso, certo, ma che non fu senza conseguenze sul percorso di vita di quest'ultimo. Dopo la morte di suo padre, Fernando seguì sua madre e il suo patrigno a Durban, in Natal, nell'Africa del Sud, dove fece i suoi studi e nel 1905 ritornò a Lisbona, per non abbandonarla mai più.

Molto giovane, si inventò dei doppi, degli interlocutori con i quali interagiva. “Da ragazzo, avevo già la tendenza a crearmi intorno un mondo fittizio, a contornarmi di amici e di conoscenze che non sono mai esistite.”

L'utilizzo di maschere si amplificò in un sistema infinito l'8 marzo del 1914, momento di una crisi di esaltazione in cui si sentì veramente sommerso da “altri sè” , incaricato di esprimere la voce di altri scrittori che abitavano in lui di maniera autonoma ( se ne sono contati settantadue), che pubblicò sotto diversi “eteronomi” , i più noti Alberto Caeiro, Alvaro de Campos, Ricardo Reis, Bernardo Soares, António Mora.

Durante la sua vita, Pessoa firmò con il suo vero nome solo un opuscoletto e dei testi per riviste. Visse un breve amore sfortunato, trascorse una vita da modesto impiegato in una agenzia di import-export, andando al Chiado a fine giornata per bere al caffè A Brasileira un bicchiere di liquore di ciliegie (uno o più di uno dal momento che una crisi epatica ne causò la morte nel 1935). Alla sua morte, si scoprì un baule che conteneva 27543 testi inediti, manoscritti o fogli sparsi, un puzzle di cui l'autore aveva portato via la chiave.

Ci asterremo qui di evocare la possibile eredità psichica della nonna Dionisia, morta in un manicomio. I legami supposti tra la follia, l'infanzia e il genio sono in generale delle stupide sciocchezze per rassicurare persone così pateticamente normali che dovremmo isolare. Si lascerà dunque che ogni lettore affronti l'opera a suo piacimento, non è di nostro dominio. Ma è evidente che il caso di ossessione plurale e semi lucida di Pessoa è fortemente lontana dall'astuzia di Ulisse. L'astuzia della Storia è che questo campione dell'anonimato regna tutt'oggi sulla letteratura moderna fuori dalle frontiere del Portogallo, ovunque dove le nozioni di opera e d'autore sono messe in discussione. Antonio Tabucchi gli ha reso omaggio numerose volte, con ammirazione e tenerezza, dialogando con lui alla fine di Requiem , fantasticando ne Gli ultimi giorni di Fernando Pessoa , e pubblicando le sue opere complete in italiano.

La monumentale Fotobiografia di Pessoa pubblicata da Maria José de Lancastre presso Christian Bourgois, mostra del poeta adulto un'immagine poco eroica del piccolo funzionario stretto nel suo inseparabile impermeabile, con il suo cappello floscio, i suoi occhiali, i suoi baffi. Infine, di una banalità ossessiva. Si potrebbe cancellare il suo viso poiché i suoi attributi immutabili basterebbero ad identificarlo; come il bastone e la bombetta di Charlot. A forza di cancellarsi, di impegnarsi a non essere nessuno, Pessoa è diventato tutti e il suo profilo è il più famoso di Lisbona.

Malgrado l'incendio che devastò una parte del quartiere Chiado nel 1988 e la proliferazione di discoteche, molti antichi caffè sopravvivono, che non sono riservati né alla terza età né ai turisti, come il Bérnard o il Nicola, il cui interno è stato rinnovato con gusto. Se il Versailles, pomposo e antiquato, sonnecchia nella sua pasticceria, si alza sempre troppo il gomito nel British Bar, contemplando la curiosità locale, come un orologio danese le cui lancette girano al contrario, contro tempo. Gli appassionati di Pessoa, dopo aver visitato la sua casa natale e la sua tomba, non mancheranno di vedere il venerabile Martinho da Arcada, dove usava recarsi abitualmente. 4Non si vede che lui, l'invisibile, in azzurro sugli azulejos 5, in bianco e nero nelle foto in gradite tratte da vecchi giornali: la sua penna, la sua pipa, persino la sua carta d'identità, degli articoli che lo riguardano, dove il padrone discute con un confratello, che scrive in questo tempio che gli è interamente consacrato.

Il Martinho, ahimè, non è che un ristorante mediocre e deserto, che è bene evitare. Il decoro del caffè A Brasileira è un po' cambiato ed è molto frequentato, senza nessuna nostalgia. Ma se per miracolo il timido Pessoa ritornasse fra noi, è probabile che un dettaglio di poco peso gli impedirebbe di entrarci e l'obbligherebbe a fare una lunga deviazione rasentando i muri. Si è creduto bene, infatti, di onorarlo istallando sulla terrazza una statua di bronzo, a grandezza naturale, rappresentante il poeta appoggiato ad un tavolo davanti un bicchiere vuoto come il suo sguardo pensoso. Alla sua sinistra, una sedia di bronzo permette a tutti coloro che non lo hanno mai letto e ignorano addirittura il suo nome di posare in sua compagnia, il tempo di uno scatto.

I Portoghesi dicono che il solo che potrebbe sedersi senza essere ridicolo su questa sedia è Antonio Tabucchi. È difficile immaginare la scena. E Tabucchi sa già a memoria il numero di telefono segreto del suo amico nell'al di là.

 

Note

1 Chiado: Ricco quartiere occidentale di Lisbona, con negozi di lusso e caffè famosi tra i quali A Brasileira , dove si ritrovavano grandi scrittori quali Pessoa, Queiroz e altri. Il nome deriva dal grande scrittore rinascimentale Ribeiro (di cui vi è una statua nella piazza principale) che veniva chiamato proprio Chiado.

2 Baixa: Quartiere in stile neoclassico con strade ad angolo retto che formano una perfetta scacchiera urbanistica. L'intero quartiere è un susseguirsi di negozi, banche e uffici di pregio. La strada principale (Rua Augusta) finisce nella grande Piazza del Commercio.

3 Pessoa: Tale parola in portoghese significa “persona” ma in questo caso l'autore ha sicuramente pensato alla doppia valenza di “persona” e “nessuno” nella propria lingua madre; in quanto personne in francese significa “nessuno” se collocata in una frase negativa mentre ha valenza di “qualcuno” in contesti affermativi.

4 Martinho da Arcada: Antico caffè- ristorante situato sotto le arcate della grande Piazza del Commercio, con antichi e affascinanti arredamenti di gusto semplice e lineare. Fondato nel 1782 con il nome “casa das Neves” , solo nel 1845 si trasforma in Martinho da Arcada diventando l'amato studio del poeta e scrittore Fernando Pessoa .Importante tappa dei turisti in quanto segnalato in ogni guida di Lisbona.

5 Azulejos: Mattonelle bianche dipinte principalmente di azzurro. Tecnica nata nel 1500 e divulgatasi soprattutto in Portogallo. Lisbona è piena di queste bellissime mattonelle che adornano palazzi (sia nelle facciate esterne che nelle sale interne), caffè, chiese.



(Articolo apparso nell'edizione del 21/07/06 del Le Monde. Traduzione di Samanta Catastini.)

 

         Precedente    Successivo         Copertina.