Avanti, moltitudine (Toni
Negri al Teatro Oficina)
Ana
Paula Souza
Nell'invito per l'incontro con Antonio Negri nel Teatro Oficina, a San Paolo,
una frase suggeriva che quella notte si sarebbe spinta più in là
della semplice filosofia: "Portate del vino!", esortavano, con tanto
di punto di esclamazione, gli organizzatori dell'evento. Poca gente ha accolto
la richiesta. Ma il filosofo italiano e l'anfitrione Zé Celso Martinez
Corrêa non si sono nemmeno resi conto della mancanza del vino. I loro bicchieri,
di plastica, sono rimasti pieni per tutta la notte. Da buon italiano, Negri deve
essere esigente con i vini. Ma sembra aver gradito il cileno Morandé e
persino il brasiliano Miolo. Quello che lo ha davvero perplesso però
è stata l'apertura dell'incontro. Nel teatro al buio, il filosofo ha visto,
in un primo momento, immagini di folle proiettate sul maxischermo. In seguito,
ha preso parte all' "esercizio collettivo": "chiudete gli occhi
e concentratevi sulla parola moltitudine", ha chiesto il professore Giuseppe
Cocco, che ha collaborato con Negri al libro Glob(al), lì presentato
con Multidão, l'opera più recente di Negri e Michael Hardt.
Erano
già passate le 8 di sera di mercoledì 26 ottobre. Terminati i
due minuti di esercizio, gli occhi si aprono. Ciò che si vede è
un tratto di folla interessata ad ascoltare l'uomo che qualche anno fa ha decretato
la morte dello Stato-nazione e dell'imperialismo. Si sente allora un sonaglio.
Alla fine, emergono dal pavimento gli attori dell'Oficina, un'altra parte della
folla (l'intenzione era quella di rimandare ad una catacomba o ad un sotterraneo).
Conclusa la performance, era arrivato il momento di passare il microfono al
filosofo. Il suo saluto è stato interrotto dalla voce di Zé Celso:
- Ho avuto la sensazione che gli attori fossero deconcentrati. Malaugurato
o meno dagli attori, il fatto è che, in quel momento, gli sono caduti i
pantaloni. Mentre qualcuno lo aiutava a rivestirsi, Zè Celso ha chiesto: -
Elisete, piove ancora? Elisete (che si è scoperto solamente dopo essere
la direttrice di scena dello spettacolo "Os Sertões"), ha aperto
il portone e ha detto di no. Allora, non si capisce bene perché, Zé
Celso si sia calmato. Negri, uno dei più rispettati intellettuali di
sinistra del mondo, ha cominciato a sviluppare il concetto di moltitudine, tema
centrale del nuovo libro. Ha parlato di moltitudine, singolarità, cooperazione1.
Tutto questo così intricato ha creato scompiglio nella mente dell'attrice
dell'Oficina che si è improvvisata varie volte traduttrice. Lei ci provava: -
Ciò che caratterizza la moltitudine non è una parte della società,
ma un insieme. La parola "insieme" ha suonato male all'orecchio di
Negri. Ha detto che non è un "insieme", ma alla traduttrice non
veniva la parola appropriata. L'incontro prosegue. Quando lei dice "triste",
Negri la corregge: "No, drammatico". E risuonava il gong. Una
traduttrice professionista prende il posto dell'attrice. Ma la parlata di Negri
è veloce. Lui agita le braccia con una destrezza da far invidia ad un vigile
urbano. Anche la seconda traduttrice si impappina: - Lui dice che il problema
del mondo è che non si parla d'amore. Povero Negri: - No2!
Il problema è che si parla troppo di amore. Troppo, capito? Il filosofo
dice che si parla troppo di amore sulle copertine delle riviste patinate e nelle
chiese. Ogni chiesa che esiste al mondo, afferma lui, dice che il suo dio ama
di più del dio degli altri. Non sarà questo amore l'antidoto
contro le organizzazioni transnazionali che cercano di dominare il mondo. Sarà
la moltitudine a reagire: - Se gli altri non esistono, neanche io esisto perché
sono moltitudine. Fare moltitudine significa capire questo processo. Da soli
non si vive, non si produce, non si fa niente. La solitudine è una malattia. Alla
fine, la traduttrice è entrata in sintonia con il pensiero di Negri. Sintonizzate
le lingue, il microfono è stato dato al pubblico. Ma chi ha detto che serviva
un microfono? Un signore vestito in modo semplice, dai gesti teatrali e dai
discorsi pieni di iperboli, mostra il contrario: - Sono nato il 01 Gennaio
del 1933, quando Hitler è diventato cancelliere. Non voglio nessun microfono!
Ho venduto la mia macchina! Ho ricominciato ad andare in autobus e così
sto in contatto con la gente. Invento una storia sull'autobus e tutti mi ascoltano. Anche
lì tutti lo ascoltavano. Alla parabola dell'uomo nato nel 1933 è
seguita la voce della filosofia, incorniciata come un cliché, dagli occhiali
da intellettuale, dalla barba folta e il dito indice sulla tempia. Lo studente
ha citato Deleuze e ha smontato il concetto di moltitudine. Ma non è servito.
L'urlo secco di un ragazzo che disegnava cerchi nell'aria mentre parlava ha avuto
molto più successo: - Perché la moltitudine ha paura di finire
nel caos? Perché la moltitudine resta paralizzata, stupita, quando si incontra? Orgoglioso
delle sue parole, ha ripetuto: - Perché la moltitudine ha paura di finire
nel caos? Negri, tra sé e sé, sembrava divertito. Ma siccome
la frase-verso ha dato vita ad altre osservazioni che tacciavano di utopico il
concetto del pensatore, è giunta la sua serena reazione: - Io credo
che la moltitudine sia la realtà costruitasi attorno ad una nuova configurazione
del lavoro. Ricordatevi delle manifestazioni WTO di Seattle e delle proteste contro
la guerra in Iraq. Ma c'è differenza tra l'essere moltitudine, tema su
cui lavoro, e fare moltitudine, che invece è un'altra questione di organizzazione. L'autore
della frase-verso torna alla ribalta: - In Brasile, questo discorso non ha
più senso. Solo il corpo ha un senso. Questa teoria è fredda. L'intellettuale
è un attore represso. Io mi ci perdo! Quella particolare fetta di moltitudine,
che era incantata dalle parole di Negri, allo stesso tempo si perdeva in esse.
Filosofia, anarchia e poesia creano un tale groviglio che persino l'uomo nato
nel 1933, nel cercare di raccontare un'altra parabola, ha provocato cortocircuiti.
Una donna, rivolgendosi alla ragazza al suo fianco, le domanda: "cosa
ha detto 'io sono leninista'?" l'altra corruga la fronte: "no, credo
che abbia detto 'sono al limite' ". Confusione, c'è sempre nelle
moltitudini. Il livello di concentrazione, a questo punto, era già calato
parecchio. Al posto di Deleuze e delle urla di protesta, un flirt con la psicanalisi.
"Mi sono emozionata, tu hai espresso un concetto estremamente metafisico",
ha cominciato, "cioè", una ragazza tutta impostata. Lei parlava,
parlava, parlava e, alla fine, ha concluso: - Quando parli, mi emozioni, lo
sai? Beh, ma quello che ti volevo chiedere
..Guarda, in verità, non
era nemmeno una domanda. Era un turbamento! Zé Celso ha notato che era
il momento di intervenire. Disse che il gruppo Oficina e il libro Multidão
erano il frutto di una stessa singolarità, ha lodato Oswald de Andrade
e il movimento antropofagico e, chiaramente, ha brasilianizzato la moltitudine: -
Adesso sei nel paese del carnevale, che è il luogo in cui godi della moltitudine. Ma
non sarà stato proprio questo quello che volevi dire? Siccome probabilmente
nemmeno Zé Celso lo sapeva e l'ora tarda aveva stancato molta gente, il
direttore ha citato la canzone di Haroldo Lobo e Niltinho: "Tristeza,
por favor vá embora / Minha alma que chora / Está vendo o meu fim.3"
La notte non era finita. Ma avrebbe potuto. Dopo la musica e la poesia, la
filosofia si è persa. Un giovane si gira vero una sconosciuta del pubblico
e ci prova: - Andiamo a prendere una birra? Negri aveva lasciato il suo
messaggio. Era il momento per la moltitudine di disperdersi.
Note
1-2
Dall'originale in italiano.
3 Traduzione in italiano: "Tristezza,
per favore vai via / La mia anima piange / Vede già la mia fine."
(Titolo originale: "Avanti, Multidão!".
Traduzione di Julio Monteiro Martins insieme ai suoi allievi dei corsi di Lingue
e di Lettere dell'Università di Pisa Gaia Bertoneri, Simona Bruno, Alessandro
Giometti, Laura Locatori, Maria Teresa Maré, Laura Marletti, Eva Iori Ori, Gianluca
Piana, Maria Serena Serra, Claudia Sgadò e Nunzia Vincenza de Palma.)
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