a
Pedro Pietri
Tu sei un newyorker,
comunque. Ne rifai
esperienza
ad ogni passo, è il tuo mito
oggi non ho uno specchio
l'Hudson
è stato riassorbito
dalla terra, Manhattan è una zolla
sul
vuoto sondato e percorso.Assorto in una bellezza giovane
di un'età
che non possiede
anche se marcia, in attesa
di un diluvio, sparsa tutt'intorno
la
paura di tante mancate congiunzioni,
di arie di nubi e un ponte teso
come
una seconda aurora, o tramonto.
È un poema epico infinito
recitato
male, forse,
ma di cui s'apprezza il testo.
Rimangono anche errori filologici
dove
c'è la terra che non c'era,
è un ridarsi spazio in ogni tempo
istante
dopo istante nuove vite nuova terra.
Enclave diversa ad ogni passo
con dettagli
che non sfuggono alla vista danno il senso
di un magnifico
presente e progressivo
di un ascensore che ti porta
all'ultimo tuo piano
immaginario
per questo farsi notte troppo in fretta
questa cerca di una
casa, monolocale che non crolli.
Poco oltre un'altra ora e un aspro
odore
di presente, lo sai
debbo riperderti e non posso
e ritrovarti a pochi passi
indietro
o avanti, tu riparti
un angolo, un incrocio e ti rincontri,
cosa può
mancarti adesso, ora?
È vero, forse, solo ciò che viene
lasciato
un passo indietro, c'è poco
da studiare, l'occhio s'accorge
d'essere
privato del possesso,
l'idillio trova la sua fine ad ogni incrocio
forse
c'è un dio dietro quei vetri, o forse
solo le macchine si specchiano
e le nuvole.
Straniero qui per un infanzia trascorsa altrove
ma bisogna
arrivare prima o poi ad ogni punto
mai attraversato, perché la città
è nata
poco prima di noi e muore poco dopo,
non c'è alcuna
distanza:
le luci, le macchine, le strade
una geometria di mancanza ordinata.
Non
fa doni e non si arrende anche se
si avvicina come un filo tremante,
l'amore
per il prossimo ha qualcosa
d'assurdo sull'asfalto, la vocazione
è
per ogni probabile contatto nelle strade,
atteso con fiducia e ricambiato
senza aprire la bocca o le dita.
Schegge di vetro si muovono tutt'attorno
e non si sa se ci capiscano o restino in attesa
che una lingua nuova ci
avvicini
senza nulla che ci sopravviva,
senza nulla che evada un presente
progressivo
occasionale, forse, ma concreto
come questo tardo pomeriggio.
East
6th Street in schegge Pedro
è nell'aria, schegge ironiche di voce
rimbalzano
da una cabina all'altra
per una conversazione ormai in absentia.
Lucida
la voce che non rimbomba
ma scalfisce rapida la superficie
penetra la carne
che è di acciaio e vetro.
Impossibile da immaginare
senza la
macchina da scrivere
della lingua e dei denti. Non ti sento
venire e so
che è di nuovo primavera
e un cordone ombelicale ci divide
il cordone
ombelicale di un bambino
nato nonostante tutto vivo.
Corro giù
lungo la Broadway,
sono tutti là, se pazzi o saggi
lo deciderà
qualcuno non appena
le ceneri si saranno posate
e le parole smetteranno
di vivere
tra vicoli e casitas e risuoneranno
dove c'è un fragore
di vuoti,
dove la città è il nemico di ogni giorno
tra
due ali di folla organizzata
e i sensi unici alternati, pubblici
quanto
basta a respirare,
bella quanto basta a non fuggire
gli angoli di strada
ed il cafè
che ancora ti respira.
Non mi rimane niente nelle tasche
di
mappe, di cartine, percorsi e labirinti
e non distendo le pieghe del terreno
che altri hanno disteso, le cabine
qui possono avere numeri a undici cifre
o
frazionari, Boriquen è lì dietro l'angolo
e lontana, dentro
la tua machina da scrivere.
Una domenica mattina due o tre mesi fa
ti
incontro in questa rete elettrica
d'incontri: Como estas? Si può chiedere.
E
rispondere: All right !
Perché si può parlare più di me,
perché
si può parlare tra due mondi
ed anche tre, perchè si può
vivere a New York.