Cosė fa il vento
Amos Oz
1.L'ultimo
giorno di Ghideon Shenhav esordì con un'aurora splendida. Mite, quasi
autunnale era stata l'alba. Incerti fasci di luce sbucavano dalla muraglia di
nuvole che serrava l'orizzonte, a oriente. Quasi con astuzia il nuovo giorno teneva
nascoste le proprie intenzioni, non dava segno della calura che serbava. Un
bagliore violaceo avvampava i monti a est, accarezzato da una brezza mattiniera.
Poi alcuni raggi di luce sfondarono la barriera di nubi. E fu giorno. Neri spiragli
cedettero alle dita della luce. Alla fine il globo incandescente sorse, aggredì
la dorsale delle nubi e le sfondò. L'orizzonte d'oriente divenne accecante.
E il viola gentile s'arrese, sparì dietro la porpora smagliante, tremenda.. Per
alcuni minuti prima del sorgere del sole, il campo fu scosso dai fragori del risveglio.
Ghideon si alzò, si trascinò scalzo e insonnolito fuori dalla sua
baracca e guardò l'addensarsi della luce. Con una mano magra e scura si
strofinò gli occhi ancora desiderosi di sonno. Con l'altra s'abbottonò
distrattamente l'uniforme. Ed ecco già voci e suoni metallici: i più
diligenti, seduti a pulire le armi in previsione dell'ispezione mattutina. Ghideon
invece era lento. La vista dell'aurora destava in lui una specie di sfinimento,
forse una vaga nostalgia. Il sole poi sorse, ma il ragazzo rimase lì fermo,
quasi appisolato, finché qualcuno non lo spinse da dietro e gli disse:
"Dai, muoviti". Entrò nella baracca, rifece il letto da campo,
pulì la mitragliatrice e racimolò le sue cose per radersi. Per strada,
fra gli eucalipti spalmati di calce bianca e una teoria di cartelli di raccomandazione
alla pulizia e all'ubbidienza, d'un tratto Ghideon si ricordò che era il
giorno dell'Indipendenza. E per quel giorno era prevista la dimostrazione dei
paracadutisti, nella valle di Iezreel. Entrò nella baracca dei servizi
e aspettò che si liberasse uno specchio. Intanto si lavò i denti,
pensando alle belle ragazze. Entro un'ora e mezzo i preparativi sarebbero terminati
e l'unità sarebbe salita sugli aerei, diretta alla zona del lancio. Una
folla di civili entusiasti avrebbe atteso i paracadutisti, fra essa anche delle
ragazze. Il lancio sarebbe avvenuto presso il kibbutz di Nof Harish, la casa di
Ghideon: lì era nato ed era vissuto sino al giorno in cui era partito militare.
Nell'istante in cui i suoi piedi avrebbero toccato la terra di quei campi, i bambini
del kibbutz sarebbero stati tutti intorno a lui, saltando: Ghideon, ecco il nostro
Ghideon. Si fece largo fra due soldati molto più grossi di lui e cominciò
a insaponarsi le guance, a radersi con una certa fatica. Poi disse: "Fa caldo
oggi". Uno dei due commentò: "Non ancora. Ma farà caldo".
L'altro, da dietro, brontolò: "E piantala, invece di blaterare così
sin dal mattino". Ghideon non si offese. Anzi: chissà perché
quelle parole lo misero di ottimo umore. Si asciugò la faccia e si diresse
verso lo spiazzo dell'adunata. La luce celeste nel frattempo era diventata grigio
pallido: una luce canicolare, sporca. 2.
Già il giorno
prima Shimshon Sheinbaum aveva previsto con certezza che sarebbe arrivata l'afa.
Per questo, appena sveglio, di prima mattina, corse alla finestra a constatare
con calmo compiacimento che anche questa volta aveva avuto ragione. Chiuse dunque
le persiane per proteggere la stanza dalla calura, poi si lavò la faccia
e le spalle e il petto coperto di una fitta peluria bianca, si fece la barba e
si preparò un caffè con una pagnotta che aveva preso il giorno prima
al refettorio. Shimshon Sheinbaum odiava visceralmente le perdite di tempo, soprattutto
nelle proficue ore del mattino: uscire, andare al refettorio, conversare, leggere
il giornale, scambiarsi opinioni, così metà della mattina sfumava.
Per questo di solito si accontentava di un caffè e una pagnotta e alle
sei e dieci minuti, dopo il primo breve notiziario, il padre di Ghideon era già
seduto alla scrivania. Estate e inverno, senza eccezioni. Seduto alla scrivania,
osservò ora per alcuni istanti la cartina politica del paese appesa sulla
parete di fronte. Stava cercando di ricostruire il brutto sogno che l'aveva colto
verso mattina, appena prima del risveglio. Ma il sogno sfuggiva al ricordo. Shimshon
decise di mettersi subito all'opera, senza perdere un momento di più. A
dire la verità, era festa solenne quel giorno, ma da non celebrarsi con
l'ozio, con il lavoro piuttosto. Prima che arrivasse l'ora di uscire a guardare
i paracadutisti e Ghideon - che sarebbe stato davvero fra loro, sempre che non
rinunciasse all'ultimo minuto - restavano a Shimshon alcune ore di lavoro. E un
uomo di settantacinque anni non può concedersi il lusso di sperperare le
proprie ore, soprattutto se molte, tremendamente molte, sono le cose che ha da
mettere per iscritto. Un'impresa. Il nome di Shimshon Sheinbaum non
ha bisogno di precisazioni. Il movimento laburista ebraico sa rendere onore ai
suoi padri fondatori, e da decenni il nome di Shimshon Sheinbaum porta con sé
un'aureola di fama duratura. Da decenni, egli combatte anima e corpo per gli ideali
della sua giovinezza. Le delusioni e le sconfitte non hanno scalfito la sua fede,
né l'hanno piegata, anzi, hanno arricchito il suo spirito con una vena
di saggia tristezza: man mano che imparava a capire le debolezze del prossimo
e le sue devianze ideologiche, infieriva vieppiù sulle proprie, di debolezze.
Con polso di ferro le reprimeva, vivendo secondo i propri principi, lungo una
linea dritta come un righello, con una impietosa autodisciplina, e una soddisfazione
nascosta, ma ardente. Adesso, fra le sei e le sette del giorno dell'Indipendenza,
Shimshon Sheinbaum non era ancora un padre orbato. Eppure i suoi tratti sembravano
fatti apposta per reggere questo ruolo. Un'espressione grave, compresa, onniveggente
ma composta, era diffusa sul suo viso solcato di rughe. Gli occhi celesti esprimevano
una malinconia ironica. Si sedette alla scrivania, schiena eretta, testa curva
sulle pagine. Gomiti rilassati. Era un tavolo di legno grezzo, come tutto il resto
della mobilia, essenziale e senza fronzoli: una cella monastica, piuttosto che
l'abitazione di un antico kibbutz. Quella mattina non sarebbe stata particolarmente
feconda. I pensieri continuavano a vagare, avvinti dal sogno che baluginava e
si spegneva alla fine della notte. Bisognava rammentare quel sogno, per poterlo
dimenticare e finalmente concentrarsi sul lavoro. Un tubo, ricordo. E una specie
di pesce rosso, o qualcosa di simile. E una discussione con qualcuno. Nessun nesso.
Adesso al lavoro. Il movimento dei Poalei Zion si fonda sin dall'inizio visibilmente
su una contraddizione ideologica insormontabile, e solo con il supporto di virtuosismi
linguistici è riuscito a coprire questa contraddizione. Ma si tratta di
un'apparente contraddizione, e chi spera di basarsi su di essa per minare o mettere
in discussione non sa quello che dice. Ecco al proposito una dimostrazione irrefutabile.
Shimshon
Sheinbaum è una persona piena di esperienza. La vita gli ha insegnato quanto
arbitrio, quanta insulsaggine sottostiano alla mano che decide il nostro destino,
tanto quello dei singoli individui quanto quello delle masse. La lucidità
non ha privato Shimshon Sheinbaum del candore che lo animava sin da quando era
ragazzo. Il suo tratto più straordinario e mirabile è proprio questa
ingenuità ostinata: come i nostri patriarchi, retti e riverenti, la cui
sagacia non intaccò mai la fede. Sheinbaum non ha mai permesso alle sue
azioni di dissociarsi dalle sue parole. E mentre alcuni leader del nostro movimento
si immergevano nella politica, abbandonando di conseguenza il lavoro materiale,
Sheinbaum non ha mai lasciato il kibbutz. Ha rifiutato tutti i ruoli e le missioni
che lo avrebbero impegnato fuori dal kibbutz, e solo con grande titubanza ha acconsentito
alla nomina nel Comitato generale dei lavoratori. Fino a pochi anni fa le sue
giornate erano ripartite in ugual misura fra il lavoro manuale e quello intellettuale:
tre giorni di giardinaggio, tre giorni di scrittura giornalistica. I magnifici
giardini ornamentali di Nof Harish sono praticamente opera di Shimshon Sheinbaum,
lo ricordiamo ancora mentre pianta, taglia e pota, irriga e zappa, concima, dirada,
diserba, scava. Non permise mai al suo ruolo centrale di anima del movimento di
affrancarlo dai doveri comuni cui è sottoposto ogni membro di questa società:
i turni di guardia, quelli in cucina e nei campi per il raccolto. Mai un'ombra
di ipocrisia ha macchiato la condotta di Shimshon Sheinbaum, che è un uomo
tutto d'un pezzo, fatto di ideale e concretezza, che non ha mai conosciuto un
momento di debolezza, mai una viltà, così scriveva di lui il segretario
del movimento sul giornale, qualche anno prima, in occasione dei settant'anni
di Shimshon. A dire il vero, c'erano stati momenti di profondo sconforto. Momenti
di grande disgusto. Ma quei momenti Shimshon Sheinbaum li aveva trasformati in
fonti segrete di travolgente energia. Per usare le parole della marcia che tanto
amava e gli infondeva sempre un'ebbrezza d'azione: "Sui monti, sui monti
brilla la nostra luce, al monte ci innalziamo, il passato alle nostre spalle -
ma lunga è la via per il domani". Se solo questo sogno insulso facesse
il favore di affiorare fra le ombre e di rivelarsi adesso con pienezza, potrebbe
finalmente scaraventarlo giù dalle scale e concentrarsi una buona volta
sul lavoro. Il tempo passa. Un tubo di gomma, una mossa di scacchi, un pesce rosso,
una grande lite, ma qual è il nesso?
Da molti anni Shimshon Sheinbaum
vive solo. Tutte le sue energie le spende nella creatività ideologica.
L'opera della sua vita ha comportato una dolorosa rinuncia alla creazione di un
nido familiare. In cambio di ciò, Shimshon Sheinbaum ha potuto conservare
sino in tarda età una limpidezza giovanile e una calda cordialità.
Solo a cinquantasei anni d'un tratto ha sposato Raya Greenspan e messo al mondo
Ghideon, per poi separarsi da lei e concentrarsi sul lavoro intellettuale. In
effetti, fuor di infingimenti, anche prima del matrimonio con Raya Greenspan,
Shimshon Sheinbaum non è che abbia condotto un'esistenza monastica. La
sua personalità attirava le donne così come i discepoli. Ancora
giovane, la folta chioma si era incanutita, mentre sul viso screpolato dal sole
si disegnava un affascinante intreccio di linee e rughe. La sua schiena squadrata,
le spalle forti e sagge, il timbro caldo, scettico della sua voce, sempre pensierosa,
e anche la sua solitudine, tutto ciò attirava verso di lui le donne come
uccelli storditi. Le malelingue attribuivano ai suoi lombi almeno un pargolo del
kibbutz, e anche altrove fiorivano le voci. Che noi passeremo sotto silenzio. A
cinquantasei anni Shimshon Sheinbaum decise che era ora di mettere al mondo un
erede, per portare il suo sigillo e il suo nome verso la futura generazione. Perciò
conquistò tempestosamente Raya Greenspan, una ragazza bassa e balbuziente
che aveva trentatré anni meno di lui. Tre mesi dopo le nozze, celebrate
insieme a pochi intimi, nacque Ghideon. E ancora prima che il kibbutz facesse
in tempo a risvegliarsi dallo stupore, Shimshon Sheinbaum rispedì Raya
alla sua stanza di prima e tornò a dedicarsi al lavoro intellettuale. A
questo proposito circolarono voci diverse: quel gesto fu preceduto da un duro
travaglio interiore di Shimshon Sheinbaum stesso. Adesso concentriamo il pensiero
e imponiamo alla memoria una direttiva precisa: ecco, il sogno prende contorni.
Lei arriva nella mia stanza e mi invita a venire presto sul posto e porre fine
allo scandalo in corso, lì. Io non chiedo chi e cosa, la seguo precipitosamente.
Qualcuno si è permesso di costruire una piscina sul prato davanti al refettorio,
ribollo di rabbia perché nessuno ha deciso tale rinnovamento, una piscina
davanti al refettorio, come fosse il castello di un principe polacco. Urlavo.
Contro chi? Qui non c'è alcuna immagine chiara. Dentro la piscina nuotavano
dei pesci rossi. E un bambino la stava riempiendo d'acqua con un tubo nero di
gomma. Allora ho deciso di chiudere immediatamente la faccenda, ma il bambino
non voleva ascoltarmi. Ho iniziato a camminare lungo il tubo per trovare il rubinetto
e interrompere il flusso prima che qualcuno riuscisse a trasformare quella piscina
in un fatto compiuto. Camminavo sempre avanti, finché improvvisamente scoprivo
che stavo procedendo in tondo, e che il tubo non era collegato a nessun rubinetto,
che invece tornava alla piscina e attingeva di lì l'acqua. Beffardo nonsense.
Fatto. La piattaforma originaria del movimento Poale Zion va compresa fuor di
dialettica, alla lettera, parola per parola.
3.
Dopo la sua separazione
da Raya Greenspan, Shimshon Sheinbaum non è comunque venuto meno ai suoi
doveri di padre spirituale, non si è sottratto alle responsabilità.
Più o meno da quando il figlio aveva sei, sette anni, gli ha infuso il
carisma della propria personalità. In effetti il bambino era un po' deludente.
Un bambino come Ghideon non aveva la stoffa della dinastia. Per tutta l'infanzia
gli era colato il naso: una specie di raffreddore perenne, o forse di piagnoneria.
Un bambino lento, timido, preda di botte e umiliazioni mai ricambiate. Un bambino
strano, sempre alle prese con gli involucri dorati delle caramelle, con foglie
secche, con i bachi da seta; dai dodici anni in poi ragazze d'ogni sorta presero
a spezzargli il cuore, una dopo l'altra. Aveva sempre un amore disperato, pubblicò
persino poesie e crudeli parodie sul giornaletto dei ragazzi. Un adolescente cupo,
gentile, bello in modo quasi femmineo, che solcava sempre i sentieri del kibbutz
in preda a un ostinato silenzio. Che non brillava nel lavoro. Che non brillava
nella vita comunitaria. Che parlava adagio e certamente pensava anche adagio.
Le poesie che componeva sembravano insulse a Shimshon Sheinbaum, mentre le parodie
le trovava tossiche, prive di ispirazione. Il soprannome "Pinocchio"
gli calzava a pennello. E gli insopportabili, perenni sorrisi che aveva spalmati
sulle labbra e in cui Shimshon riconosceva una copia precisa, fastidiosa, di quelli
di Raya Greenspan. Quand'ecco che, un anno e mezzo prima, Ghideon aveva sbalordito
suo padre. Comparve d'un tratto e gli chiese di firmare l'autorizzazione scritta
al suo arruolamento nel corpo dei paracadutisti; i figli unici, infatti, potevano
entrare nell'arma solo con l'autorizzazione di entrambi i genitori. Solo dopo
ch'ebbe capito che non si trattava di uno dei soliti strani scherzi di suo figlio,
Shimshon Sheinbaum acconsentì a firmare. E con gioia, anche: era un aspetto
incoraggiante dello sviluppo del ragazzo, e kiri kì l'avrebbero trasformato
in un uomo come si deve. Andasse pure, dunque. Perché no. Ma la testarda
opposizione di Raya Greenspan costituì un ostacolo inatteso alle intenzioni
di Ghideon. No, lei non avrebbe mai firmato quel foglio. Assolutamente no. Chiuso. Shimshon
in persona si recò nella stanza di lei una sera, cercò di convincerla,
addusse delle motivazioni, sbraitò. Tutto invano. Lei non firmava. Non
voleva sentire ragioni. Era così e basta. Shimshon Sheinbaum dovette pertanto
agire per vie traverse, affinché il ragazzo potesse essere accolto nei
paracadutisti. Scrisse una lettera riservata a Yolek in persona. Gli chiese un
favore personale. Affinché fosse permesso a suo figlio di arruolarsi volontario.
La madre era psicologicamente instabile. Il ragazzo sarebbe diventato un paracadutista
eccellente. Shimshon se ne assumeva la responsabilità. Fra l'altro, non
aveva mai chiesto a nessuno un favore personale. Non l'avrebbe fatto mai più.
Sarebbe stata la prima e unica volta in tutta la sua vita. Che Yolek facesse,
per favore, tutto il possibile. Alla fine di settembre, quando nei frutteti
arrivavano i primi segni dell'autunno, il giovane Ghideon Shenhav fu arruolato
nel corpo dei paracadutisti. Da quando Ghideon era partito, Shimshon
Sheinbaum s'era immerso ancor di più nella sua attività intellettuale:
è l'unica impronta che l'uomo è capace di lasciare su questo mondo.
Questa impronta non sarebbe mai sparita dagli annali del movimento laburista ebraico.
E poi la vecchiaia era ancora lontana, per lui. A settantacinque anni conservava
la sua folta chioma, il corpo era ancora un fascio di muscoli quieti e forti.
L'occhio vigile. La mente pronta. La voce stentorea e asciutta, appena incrinata,
faceva miracoli sulle donne di ogni età. E i modi composti, il comportamento
discreto. Inutile aggiungere che era radicato a fondo nella terra del kibbutz
di Nof Harish. Lui che odiava le cerimonie e riunioni, al pari di commissioni
e incarichi ufficiali. Solo con un tratto di penna, Shimshon Sheinbaum aveva iscritto
il proprio nome sul muro della nostra rinascita nazionale e del movimento.
4.
L'ultimo
giorno di Ghideon Shenhav cominciò con un'aurora fiammante. I suoi occhi
quasi riconoscevano gli occhielli di rugiada evaporare con il calore. Dei segni
lampeggiavano in lontananza, sulle cime a oriente. E festa quest'oggi, festa nazionale
e festa del paracadutismo a casa. Per tutta la notte si era crogiolato in un sogno
non sogno, un autunno boschivo, nordico e scuro, odore di foglie cadute, alberi
d'alto fusto di cui non conosceva il nome. Per tutta la notte pallide foglie erano
cadute sulle baracche del campo. Anche dopo il risveglio, la mattina, la foresta
nordica aveva continuato a stormirgli nelle orecchie, insieme agli alberi di cui
non conosceva il nome. Ghideon adorava il dolce precipitare che sta fra il
salto dallo sportello dell'aereo e l'aprirsi del paracadute: quando l'abisso sale
a te alla velocità del fulmine, le correnti d'aria travolgono e ti avvolgono
e che delirio di piacere. La velocità è ebbra, sfrenata, fischia
e ruggisce e tutto il corpo ti trema per lei e degli aghi di fuoco ti bruciano
sulla punta dei nervi e il sangue picchia, picchia. Improvvisamente, mentre sei
un lampo nel vento, si apre il telo. Le cinghie frenano la tua caduta come fosse
arrivato un braccio virile, calmo e deciso, a fermare e non farti più vorticare.
E tu sei come stretto in quelle braccia, da sotto le ascelle. Invece di una delizia
sfrenata viene ora un piacere controllato, sicuro. Il tuo corpo conquista lento
le altitudini, galleggia, esita, viene appena sospinto dalla brezza, e non potrai
mai sapere dove esattamente i tuoi piedi toccheranno terra - se sul dorso della
collina o davanti agli agrumeti - e sei come un uccello migratore sfinito, scendi
piano, vedi i tetti, le strade, le mucche nella stalla, piano, come se potessi
scegliere e la decisione fosse tutta tua. E poi la terra è ai tuoi piedi,
tu esegui quella capriola spesso esercitata, il cui scopo è quello di ammorbidire
l'impatto. Nel giro di pochi secondi devi riprenderti. La circolazione sanguigna
rallenta. Le misure tornano alla normalità. E solo una stanca fierezza
continua a starti dentro, finché non incontri il comandante e i compagni,
e sei travolto dal ritmo della rapida ricomposizione. E questa volta
tutto ciò sarebbe avvenuto nei cieli di Nof Harish. Gli anziani del
posto avrebbero levato le teste sudate, tolto i berretti e tentato di riconoscere
Ghideon fra i puntini grigi che ballano nell'aria. I bambini sarebbero corsi per
i campi e anche loro avrebbero atteso trepidanti che il loro eroe calasse dal
cielo. Mamma sarebbe venuta fuori dal refettorio e si sarebbe fermata, scrutando
e mormorando fra sé e sé. Shimshon avrebbe lasciato la scrivania
per un po'. Forse avrebbe messo una sedia sul balconcino e assistito a tutto lo
spettacolo, meditabondo e orgoglioso. Poi il kibbutz avrebbe ospitato l'unità,
nel refettorio avrebbero servito caraffe di limonata ghiacciata, e ci sarebbero
state casse piene di mele, o forse delle torte preparate dalle compagne veterane,
con auguri scritti con la glassa. Alle sei e mezzo del mattino il sole aveva
già superato le sue mattane variopinte e si era levato impietoso sopra
le alture orientali. Un'afa densa calò su tutta la terra. I tetti di lamiera
delle baracche al campo scottavano, rilucevano di un bagliore accecante. Le pareti
cominciarono a emanare, all'interno, un calore spesso. Sulla strada principale,
nei pressi della recinzione già si vedeva movimento di autobus e camion:
gente venuta dalle cittadine e dai villaggi diretta alla grande città,
per assistere alla parata militare. Oltre la cortina di polvere si riconoscevano
chiaramente le camicie bianche dei civili vestiti a festa, e si udiva persino
la canzone allegra, in lontananza. I paracadutisti terminarono l'ispezione
mattutina. Anche l'ordine del giorno del comandante in capo era già stato
letto ad alta voce e appiccicato con delle puntine alla bacheca del campo. Poi
ci fu una colazione da giorno di festa, con anche un uovo sodo ingentilito da
una foglia di lattuga e da una corona di olive. Ghideon, la chioma nera che
gli cascava fin sulla fronte, iniziò sommessamente a cantare. Gli altri
si unirono a lui. Qua e là qualcuno storpiava un verso, rendendolo comico
o spregevole. Ben presto le melodie ebraiche si trasformarono in una litania araba
gutturale, quasi disperata. Il comandante dell'unità, un ufficiale biondo
e bello a proposito del quale si vociferava di falò notturni, si alzò
e disse: "Basta". I paracadutisti smisero di cantare, finirono rapidamente
il resto del loro grasso caffè nei tazzoni di latta, e si diressero
verso le piste di decollo. Lì ci fu un'altra ispezione, il comandante rivolse
ai suoi uomini qualche parola affettuosa e li chiamò persino "il sale
della terra", poi ordinò a tutti di salire sugli aerei che li stavano
aspettando. I comandanti degli squadroni rimasero presso gli sportelli degli
aerei a controllare la cintura e i nodi delle cinghie. Il comandante stesso passava
fra i giovani, dava qualche pacca sulla spalla, faceva una battuta, lanciava previsioni,
incitava: come fosse stata la vigilia di una battaglia e come se ci fosse stato
del pericolo. Ghideon, dal canto suo, reagì alla pacca sulla spalla con
un breve sorriso, passato sulle labbra sottili. Era minuto, quasi ascetico, ma
molto abbronzato. Un occhio attento, l'occhio del leggendario, biondo comandante,
avrebbe potuto notare la vena bluastra che si gonfiava sul collo del ragazzo e
pulsava a ritmo accelerato. E allora la calura invase anche i magazzini bui,
devastando e facendo avvampare senza pietà gli ultimi ripostigli di frescura,
bruciando tutto con un fervore grigio. Il segno arrivò. I motori emisero
un rombo basso. Gli uccelli scapparono via dalla pista. Gli aerei fremettero,
si mossero, rollarono pesantemente, ed eccoli prendere quella rincorsa senza la
quale non è dato decollare.
5.
Bisogna uscire sul campo,
accoglierlo con una stretta di mano. Sheinbaum decise. E chiuse il taccuino.
I mesi di addestramento militare avevano di certo temprato il ragazzo. Per quanto
potesse sembrare incredibile, evidentemente cominciava a maturare. Doveva ancora
imparare come trattare le storie di donne. Doveva liberarsi una volta per tutte
sia della timidezza sia della melensaggine: queste cose andavano lasciate alle
donne, mentre lui doveva essere solido. E quanto era migliorato negli scacchi:
presto sarebbe diventato un pericolo per suo padre, e forse un giorno o l'altro
l'avrebbe persino battuto. Eventualità ancora remota. Sempre che non sposi,
speriamo in bene, la prima che gli si offrirà. Dovrà invece spezzarne
due o tre prima di convolare a nozze. E nel giro di qualche anno dargli dei nipotini.
Molti. I rampolli di Ghideon avranno due padri: mio figlio li crescerà
e io aprirò la loro mente. La seconda generazione è fiorita all'ombra
delle nostre opere, per questo si è impantanata. Dialettica. Ma la terza
costituirà una meravigliosa sintesi, una messe benedetta: i loro padri
trasmetteranno loro la spontaneità e gli avi, lo spirito. Si tratterà
di un retaggio sontuoso, depurato dalle conseguenze di una trasmissione tortuosa.
Questa frase bisogna annotarla sul taccuino, prima o poi tornerà utile
per qualche discorso. Ho davanti agli occhi Ghideon e i suoi coetanei, e che dispiacere:
trasudano una disperazione superficiale, indifferenza, e che cinismo sarcastico.
Non sanno amare fino in fondo e sono incapaci anche di odiare, fino in fondo.
Nessun entusiasmo, nessun disgusto. La disperazione di per sé non la biasimo.
Eterna sorella della fede, è la disperazione. Ma quale disperazione intendo?
Quella virile e furiosa, non una malinconia sentimentale, crepuscolare. Siediti
tranquillo, Ghideon, piantala di grattarti, piantala di mangiarti le unghie, ti
leggerò una bella pagina di Brenner. Adesso fai una smorfia. D'accordo.
Non la leggerò. Vattene allora, a venir su come un beduino, se questo è
quello che vuoi. Ma se non conoscerai Brenner non avrai la minima idea di che
cosa sia la disperazione, o la fede. In lui non troverai versetti piagnucolosi
su sciacalli finiti in trappola o fiori d'autunno. In Brenner tutto infuoca. Tanto
l'amore quanto l'odio. Forse, dunque, non voi ma i vostri figli vedranno in faccia
la luce e la tenebra. Un retaggio sontuoso depurato dalle conseguenze di una trasmissione
tortuosa. E la terza generazione non si lascerà corrompere da mollezze
e dai versi di sterili, altezzose eroine. Ecco che arrivano gli aerei. Adesso
rimettiamo Brenner al suo posto nello scaffale e vediamo di essere per una volta
fieri di te, Ghideon Sheinbaum. 6.
Sheinbaum attraversò
a larghe falcate il prato, salì per il sentiero di cemento e si diresse
verso il campo a sud-ovest, un campo arato che era stato scelto come luogo d'atterraggio
per i paracadutisti. Per strada si fermò qualche volta presso le aiuole
per strappare quelle erbacce che stavano nascoste all'ombra delle piante da fiori.
I piccoli occhi celesti di Sheinbaum erano da sempre bravissimi a cogliere le
malerbe. In realtà data l'età da qualche anno si era ritirato dal
suo lavoro di giardiniere, eppure finché fosse stato in vita non avrebbe
mai smesso di scrutare impietosamente qualsiasi aiuola gli fosse capitata sott'occhio,
pronto a sradicare ogni stelo di gramigna. In momenti come quelli pensava al suo
erede, che aveva cinquant'anni meno di lui, era il ragazzo nelle cui mani aveva
affidato il giardino ornamentale, l'aquarellista locale: aveva ricevuto in eredità
un paradiso fiorito, e ora di mese in mese languiva e moriva a vista d'occhio. Un
gruppo di bambini scatenati passò di corsa davanti a Shimshon Sheinbaum.
Stavano discutendo con fiero impegno dei tipi di aerei che stavano sorvolando
la valle. Data la corsa, la discussione si svolgeva a suon di grida e ansimi.
Shimshon ne prese uno per il lembo della camicia, lo fermò con la forza,
avvicinò la faccia a quella del bambino e disse: "Tu sei Zaki". Il
bambino disse: "Lasciami". Sheinbaum: "Perché tutte queste
urla? Avete solo aeroplani in testa? E correre così tra i fiori dove è
scritto vietato calpestare - come vi permettete? È tutto permesso? Guardami
mentre ti parlo. E rispondi civilmente oppure...". Ma Zaki approfittò
di quello sfogo di parole sputate addosso a lui e con uno slancio astuto si liberò
dalla presa della mano, saltò fra le siepi, fece una brutta smorfia scimmiesca
e mostrò la lingua. Sheinbaum si morse le labbra. Pensò per un
istante alla vecchiaia, ma subito dopo respinse quel pensiero e disse fra sé
e sé: Va bene. Ci occuperemo anche di questo, Zaki, cioè Azariah.
Secondo un rapido calcolo, dovrebbe avere almeno undici anni, fors'anche dodici.
Selvaggio. Teppista. I ragazzi del tirocinio premilitare intanto s'erano arrampicati
sulla postazione di guardia, in cima alla torre dell'acqua, da dove si vedeva
tutta la valle. Questo panorama rammentava a Sheinbaum un paesaggio russo. Per
un attimo fu tentato anche lui di salire in cima alla torre, per assistere al
lancio di lontano, comodamente. Ma il pensiero della virile stretta di mano che
l'aspettava lo spinse ad allungare il passo per arrivare in fondo al campo. Qui
si fermò, le gambe divaricate, le mani incrociate sul petto, la chioma
canuta che cadeva meravigliosamente sulla fronte. Levò gli occhi e cominciò
ad accompagnare i due aerei da trasporto con lo sguardo grigio, fermo. Le rughe
sul viso di Shimshon Sheinbaum gli arricchivano i tratti. Il mosaico di solchi
regalava una rara mistura di fierezza, pensierosità e un velo di ironia
ben mascherata. Le bianche e folte sopracciglia ricordavano vagamente il ritratto
di un monaco russo ortodosso. Quanto agli aeroplani, nel frattempo avevano finito
un giro e il primo di loro si avvicinava al campo. Le labbra di Shimshon Sheinbaum
si schiusero appena, lasciando passare un suono vago, basso: un'antica melodia
russa iniziò a tenergli il tempo in petto. Una prima scarica di paracadutisti
uscì dallo sportello aperto sul dorso del velivolo. Figure minuscole, scure
si sparpagliarono nello spazio, come semi sparsi dalla mano del contadino di una
vecchia foto di pionieri. Fu allora che Raya Greenspan mise la testa fuori
dalla finestra della cucina, sventolando con forza il mestolo che aveva in mano,
come per ammonire le fronde degli alberi. Aveva il viso rosso e sudato, per via
della calura. Il sudore le incollava la gonna grezza alle gambe, robuste e anche
molto pelose. Ansimò, si grattò con la mano libera i capelli scomposti,
poi improvvisamente si girò verso l'interno e cominciò a urlare
alle altre lavoranti: "Presto! Alla finestra, compagne! C'è Ghidi!
Ghidi in cielo!". E tacque spaventata. Mentre la prima scarica di paracadutisti
volteggiava lentamente come una manciata di piume fra terra e cielo, il secondo
aereo si abbassò e sputò il gruppo di Ghideon Shenhav. I paracadutisti
si assieparono presso lo sportello aperto, spinsero, pancia contro schiena, i
loro corpi raggomitolati in una massa unica, sudata e fremente. Quando toccò
a Ghideon il ragazzo strinse i denti, raccolse le ginocchia e uscendo alla luce
torrida, saltò e cadde. Un urlo di piacere, selvaggio, lungo, gli si strappò
dalla gola. Cadendo, vide il luogo della sua infanzia salire verso di lui, vide
i tetti e le fronde e sorrise loro con uno spasmo, salutando tutti cadeva sulle
vigne e i sentieri di cemento e le tettoie e i tubi luccicanti, cadeva con gioia.
Mai in vita sua aveva gustato un amore così intenso e fervido. Tutti i
suoi muscoli si tesero, e una fonte di delizie sgorgò nel suo ventre e
lungo la schiena, fino alla radice dei capelli. Come un pazzo, Ghideon urlava
per amore, le unghie conficcate nelle mani a pugno, fin quasi al sangue. Poi si
tesero le cinghie del paracadute, colpendolo sotto le ascelle. Gli agguantarono
forte i fianchi. Di colpo sentì una mano invisibile tirarlo su, verso l'alto,
l'aereo, nel cuore del cielo. La dolce caduta divenne un morbido dondolio, lento,
come in culla o galleggiando in una piscina d'acqua calda. D'un tratto lo prese
uno spavento terribile: Come mi riconosceranno, da sotto? Come potranno capire
chi è lui, nel bosco di funghi bianchi? Come potranno abbracciare me e
solo me, fra tutti, con sguardi ansiosi e amorevoli? Mamma e papà, le belle
ragazze e i bambini e tutti gli altri. Non posso sparire così nella massa
di paracadutisti. Sono io, è a me che vogliono bene. In quel momento
a Ghideon balenò un'idea. Allungò la mano alla spalla e tirando
il capo di una corda aprì il paracadute di riserva, destinato ai casi d'emergenza.
Quando si aprì su di lui il secondo ombrello, la discesa rallentò
ancora e la forza di gravità perse quasi ogni potere su di lui. Il ragazzo
sembrava navigare da solo nel vuoto, come un gabbiano, come una nuvola solinga.
Gli ultimi suoi compagni erano già caduti sulla terra arata e cominciavano
a piegare i paracadute. Ghideon Shenhav, solo lui, continuava invece a fluttuare
come per un incantesimo, i due immensi paracadute sopra la testa. Ebbro, felice,
assorbiva le centinaia di sguardi puntati su di lui. Su lui solo, nella sua splendida
solitudine. Come per aumentare l'incanto della scena, da occidente arrivò
una folata di vento forte, quasi freddo, che tagliò in due la calura, volò
fra i capelli degli spettatori e spostò un poco verso est il corpo dell'ultimo
paracadutista.
7.
Lontano di lì, nella grande città,
masse di gente in attesa della parata militare accolsero con un sospiro di sollievo
l'improvvisa brezza di mare: chissà che non segnasse la fine della calura.
Un odore fresco e salmastro carezzò le vie infuocate. Il vento rafforzò,
aggredì con un lamento le fronde degli alberi, storse i fusti dei cipressi,
scompose le chiome dei pini, alzò mulinelli di polvere e sfocò l'immagine
della manifestazione di paracadutisti. Come un immenso uccello solitario, Ghideon
Shenhav avanzava regalmente verso la strada principale, verso oriente. Le urla
impaurite uscite d'un tratto da cento gole non arrivarono alle orecchie del ragazzo.
Tutto eccitato cantava trasognato, continuando a dondolare lentamente verso il
cavo centrale dell'elettricità, teso fra pali giganteschi. Gli occhi della
folla fissavano con orrore il paracadutista e il cavo portante che attraversava
la valle da occidente a oriente, in linea retta. Cinque cavi paralleli, tesi fra
un palo e l'altro dal proprio stesso peso, che diffondevano un ronzio testardo,
sommesso, nel vento in corsa. I due paracaduti di Ghideon si impigliarono in
quello di sopra. Dopo un istante le sue gambe si posarono su quello inferiore.
Il corpo s'intrappolò obliquamente. Le cinghie dei paracadute trattenevano
i fianchi e le spalle, impedendogli di cadere sulla terra arata. Se non fosse
stato per le suole delle scarpe, fatte di un materiale isolante, il ragazzo avrebbe
preso la scossa al primo contatto. Ma il cavo si stava già ribellando contro
quel peso estraneo, cominciando a bruciare le suole. Delle minuscole scintille
scoppiavano già sotto i piedi di Ghideon. Prese con le due mani le fibbie
del paracadute. Aveva gli occhi sbarrati e la bocca spalancata. Un ufficiale,
un tizio basso e tutto sudato, saltò fuori dalla folla impietrita e urlò:
"Non toccare i cavi, Ghidi, tendi il corpo indietro e allontanati più
che puoi! ". Tutto il pubblico, una massa compatta e atterrita, cominciò
a muoversi adagio verso oriente. Urla. Un pianto. Sheinbaum azzittì le
strilla con la sua voce metallica, impose a tutti il sangue freddo. Poi prese
a correre come un pazzo, schiacciando con le suole la terra, segnando un solco
dritto e deciso, e arrivò fin sotto il cavo, respinse ufficiali e curiosi
che l'avevano preceduto e ordinò a suo figlio: "Liberati dalle cinghie,
Ghideon, liberati subito e casca giù. I solchi sono freschi e non ti succederà
niente. Liberati e salta giù". "Non posso." "Non
discutere adesso. Liberati e salta, ubbidisci." "Non ci riesco,
papà, non posso, non posso." "Non è possibile. Liberati
e salta giù prima di prendere la scossa." "Non è possibile,
le cinghie sono impigliate, non ci riesco, fate staccare la corrente presto, papà,
le scarpe stanno già bruciando." Alcuni paracadutisti erano riusciti
a ristabilire l'ordine, allontanando la folla e i dispensatori di consigli, facendo
spazio sotto i cavi. E ripetevano, come fosse una litania o una parola magica,
ripetevano continuamente: "Niente panico, niente panico per favore". Tutt'intorno
i bambini del kibbutz correvano facendo una gran confusione. Rimproveri e urla
non servirono. Due paracadutisti furibondi riuscirono con una certa fatica ad
acchiappare Zaki mentre cominciava ad arrampicarsi come un idiota sul palo della
luce vicino, facendo smorfie e fischi per attirare a sé l'attenzione della
folla. L'ufficiale basso urlò all'improvviso: "Il tuo pugnale!
Hai un pugnale nella cintura, tiralo fuori e taglia le cinghie! ". Ma
Ghideon non sentì o non volle sentire. Cominciò a piagnucolare forte:
"Fatemi scendere, prendo la scossa, papà, fatemi scendere di qui,
non ci riesco da solo". "Piantala di lagnarti," sbraitò
Shimshon. "Ti hanno detto di usare il pugnale e tagliare le cinghie, fa'
come ti dicono. Senza lagnarti." Il ragazzo ubbidì. Ancora singhiozzava,
e ad alta voce, ma a tentoni trovò il pugnale e cominciò a tagliare
le cinghie del paracadute, una dopo l'altra. Calò il silenzio. Solo il
pianto di Ghideon, strano e penetrante, si sentiva a tratti. Alla fine restava
un'ultima cinghia, Ghideon era attaccato a quella e non osò tagliarla. "Taglia,"
strillavano i bambini. "Taglia e salta, vedremo." Shimshon continuò,
con tono pacato: "Che cosa aspetti adesso?". "Non ce la faccio,"
rispose Ghideon con voce implorante. "Ce la fai eccome," disse suo padre. "La
corrente," disse piangendo il ragazzo, "comincio a sentire la corrente,
fatemi scendere presto." Gli occhi del padre s'iniettarono di sangue,
ruggì: "Vigliacco che non sei altro, vergognati, fifone! ". "Ma
non ce la faccio, mi romperò tutte le ossa, è alto." "Ce
la fai sì, devi. Solo che sei pazzo, ecco quello che sei. Pazzo e fifone." Uno
stormo di aerei diretti alla manifestazione in città passò sopra
le teste. Erano schierati in perfetta formazione. Come una muta di cani selvaggi
sfrecciarono verso oriente, rombando. Quando furono lontani tornò, come
raddoppiato, il silenzio. Il ragazzo smise di piangere. Fece scivolare a terra
il pugnale. La lama si conficcò nella polvere, ai piedi di Shimshon Sheinbaum. "Che
hai fatto?" urlò l'ufficiale basso. "Non l'ho fatto apposta,"
rispose, "mi è sfuggito di mano." Shimshon Sheinbaum si chinò
a terra, raccolse un piccolo sasso, si drizzò e lo scagliò furiosamente
verso la nuca del figlio appeso: "Pinocchio, straccio, misero codardo!". E
allora cessò anche la brezza di mare. L'afa tornò pesante sulle
persone e gli oggetti inanimati. Un paracadutista rossiccio e lentigginoso mormorò:
"Ha paura di saltare, quel cretino, e così si ucciderà".
Una ragazza magra e brutta sentì quella frase, si buttò in mezzo
alla folla e allargò le braccia: "Salta da me, Ghidi, non ti succederà
niente". "Interessante," commentò un vecchio pioniere
in tuta da lavoro, "sarebbe interessante sapere se qualcuno ha avuto l'intelligenza
di telefonare alla compagnia elettrica badando a che staccassero la corrente."
Ciò detto si diresse verso gli edifici del kibbutz in cima alla piatta
collina. Camminava lesto, rabbioso, quando d'un tratto fu impietrito tutto da
un frastuono vicino, prolungato, di colpi. Per un istante il vecchio pioniere
s'immaginò che qualcuno gli stesse sparando alle spalle. Subito dopo s'accorse
di quel che stava succedendo: il comandante dell'unità, il mitico eroe
biondo, tentava di spezzare i cavi della corrente con degli spari. Invano. Nel
frattempo dal cortile del kibbutz arrivò un vecchio furgone, da cui scesero
alcune scale e anche l'anziano medico. Dopo il medico calarono anche una barella. In
quel momento Ghideon prese una decisione repentina. Con un forte calcio si lanciò
via dal cavo, schizzando scintille bluastre, si capovolse nell'aria e rimase appeso
per l'unica cinghia a circa mezzo metro sotto il cavo. La testa verso il basso
e le suole bruciacchiate che palpitavano nell'aria, vicinissime al cavo inferiore. Difficile
per gli spettatori appurarlo con certezza, ma sembrava che non fosse ancora gravemente
ferito. Dondolava molle nel vuoto, capovolto, sembrava un agnello sgozzato, appeso
all'uncino. La scena infuse nei bambini una specie di allegria isterica. Iniziarono
a ridere, abbaiavano. Zaki si batteva le ginocchia con le mani, tutto storto,
mezzo soffocato. Iniziò a saltellare da fermo, a strillare come una brutta
scimmietta. Cosa mai vide Ghideon Shenhav per tendere improvvisamente il collo
e unirsi alla risata dei bambini? Forse quella strana tensione gli aveva fatto
dare di volta il cervello: la testa piena di sangue, la lingua di fuori, la chioma
verso terra, solo i piedi che scalciavano in cielo. 8.
Un secondo
stormo di aerei solcò il cielo. Una dozzina di uccelli di metallo foggiati
per la bellezza e la crudeltà, che riflettevano i raggi del sole con un
bagliore accecante. Erano disposti a forma di lama. La loro furia fece tremare
la terra. Passarono oltre, a occidente, poi seguì un silenzio profondo. Intanto
l'anziano dottore si era seduto sulla barella, s'era acceso una sigaretta, osservava
gli astanti, i soldati, i bambini che correvano. Poi disse fra sé e sé:
Sia quel che sia. Sia quel che comunque dovrà essere. Che caldo fa oggi. Di
tanto in tanto Ghideon liberava un'altra risata idiota. Le gambe palpitavano nell'aria,
disegnando cerchi incerti. Il sangue delle sue membra capovolte si concentrava
nella testa. Gli occhi iniziavano a sporgere. E il mondo si faceva scuro. Invece
di sprazzi di porpora, davanti ai suoi occhi danzavano delle macchie viola. Tirò
fuori la lingua. I bambini lo presero come un gesto derisorio. "Pinocchio
all'incontrario," strillò Zaki, "Pinocchio all'incontrario, perché
non la smetti di guardarci con l'occhio storto? Perché non cammini a gambe
insù?" Sheinbaum alzò il braccio per picchiare l'impertinente,
ma colpì l'aria perché il bambino si fece da parte. Il vecchio fece
cenno al comandante biondo e i due si consultarono per qualche momento. Il
ragazzo non correva un rischio immediato, perché non era più a contatto
con la corrente. Ma bisognava liberarlo, non era ammissibile che quella commedia
andasse avanti così all'infinito. Una scala non sarebbe servita a molto:
era troppo alto. Forse si poteva tentare di fornirgli di nuovo il coltello, e
convincerlo a tagliare l'ultima cinghia, per saltare sul telo di copertone. Era
un esercizio normale, negli allenamenti dei paracadutisti. L'importante era agire
in fretta, perché la situazione era umiliante. Per non parlare dei bambini.
L'ufficiale basso si tolse dunque la camicia e vi avvolse dentro un pugnale. Ghideon
tese la mano verso il basso e tentò di afferrare l'involto. Ma la camicia
e il pugnale dentro scivolarono fra le mani tese e cascarono a terra. I bambini
ridevano. Solo dopo altri due tentativi falliti, Ghideon riuscì a prendere
la camicia e a estrarne il pugnale. Lo prese fra le mani gonfie, pesanti di sangue.
Improvvisamente il ragazzo avvicinò il pugnale alla guancia ardente. Il
metallo gli diede frescura. Un dolce momento. Aprì gli occhi e vide il
mondo capovolto. Tutto era buffo: il furgone, il campo, la gente, papà,
e l'esercito, i bambini e anche il pugnale che teneva in mano. Storse il viso
verso il gruppo dei piccoli, rise dal profondo del cuore e agitò verso
di loro il pugnale. Tentò di dire qualcosa. Se si fossero visti di lì,
capovolti, a correre, formiche spaventate, avrebbero riso anche loro. Ma la risata
divenne una tosse cattiva, Ghideon soffocava e gli occhi si riempivano. 9.
La
pagliacciata di Ghideon all'incontrario risvegliò in Zaki un gusto demoniaco. "Piange,"
gridò crudelmente, "Ghideon piange, gli si vedono le lacrime, piange,
il paracadutista Pinocchio che piange come un marmocchio, guardate, guardate." Anche
questa volta il pugno di Shimshon Sheinbaum colpì il vuoto. "Zaki,"
Ghideon riuscì a urlare con una voce sorda, deformata, "Zaki, ti uccido,
ti strozzo, bastardo." Poi rise e tacque. Che cosa restava mai da fare?
Non avrebbe tagliato da solo l'ultima cinghia, e il medico temeva che se fosse
rimasto così ancora per un po' di tempo avrebbe probabilmente perso conoscenza.
Bisognava trovare un altro modo. Non si poteva permettere che tutto questo andasse
avanti per l'intera giornata. Il camion del kibbutz attraversò dunque
con fatica la terra arata, e si fermò nel punto in cui Shimshon Sheinbaum
gli indicava. Misero sul retro del camion due scale, frettolosamente legate una
all'altra per arrivare all'altezza richiesta. Dieci forti braccia tenevano la
scala da ogni parte. Il mitico ufficiale biondo fece per arrampicarsi. Ma quando
giunse al punto di congiunzione delle due scale, si udì un cigolio minaccioso,
il legno si piegò sotto il peso e l'altezza. L'ufficiale, che era un uomo
pieno e abbondante, esitò un momento. Poi decise di scendere e assicurare
la giunzione delle scale. Scese sul camion, si asciugò il sudore della
fronte e disse: "Un momento. Pensiamoci". Ed ecco, in un batter d'occhio,
prima che fosse possibile fermarlo, prima che fosse possibile anche solo accorgersi
di lui, Zaki in cima alla scala, già oltre la giunzione delle scale, che
saltava, scimmia sconcertata, lungo i gradini più alti, ed ecco in mano
il coltello, chissà come se l'era procurato. Iniziò a lottare con
la cinghia tesa, gli spettatori trattennero il fiato: pareva che il bambino sfidasse
la legge di gravità, non poggiava, nessuna prudenza, in bilico lassù,
lesto, agile, terribilmente bravo. 10.
Con tutto il suo peso,
la calura aggrediva il giovane appeso. Gli occhi si andavano spegnendo. Il respiro
era quasi fermo. In un ultimo barlume di lucidità, vide il suo brutto fratello
e sentì il suo fiato sulle guance. Sentì il suo odore. Vide i denti
aguzzi spuntare dalla bocca di Zaki. Un terrore immenso si chiuse su di lui, come
se si stesse guardando allo specchio, trovando un mostro. L'incubo risvegliò
in Ghideon le ultime forze. Scalciò nell'aria, si dimenò, riuscì
a capovolgersi, afferrò la cinghia e si tirò verso l'alto. Con le
braccia aperte si buttò sul cavo e vide una luce. L'afa continuò
a infierire su tutta la valle. E un terzo stormo di aerei stravolse tutto con
il suo boato. 11.
Lo stato di padre orbato conferì all'uomo
un'aura di santi tormenti. Ma Sheinbaum non pensava adesso a quell'aura. Un corteo
inebetito e muto lo accompagnò al refettorio. Sapeva per certo che adesso
doveva stare accanto a Raya. Andando, passò davanti a Zaki. Un eroe,
un idolo ansimante. Gli altri bambini gli stavano intorno. L'aveva quasi salvato.
Shimshon mise una mano tremante sulla testa del bambino e tentò di parlare.
La voce lo tradì, le labbra tremarono mute. Accarezzò gravemente
la chioma scomposta, piena di polvere. Non l'aveva mai fatto con lui, prima di
allora. Dopo qualche passo tutto divenne buio e il vecchio crollò su un'aiuola. Alla
fine della festa dell'Indipendenza l'afa si placò. Una brezza marina rinfrescò
le pareti incandescenti. Una pioviggine pesante scese per tutta la notte sui prati. Che
cosa annunciava il cerchio pallido intorno alla luna? Normalmente precede l'afa.
Domani sarebbe dunque tornata. Mese di maggio, e dopo sarà giugno. Una
folata passava fra i cipressi la notte, tentando di rinfrancarli. Così
fa il vento, va e viene. Niente di nuovo.
(Tratto da Storie, antologia a cura di Nadine Gordimer, Feltrinelli editori,
Milano, 2005.)
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