Tra Bologna e Managua (
- brano del romanzo Diecimila e cento giorni - )
Claudio Martini
(...) Ho ripreso in mano il mio vecchio diario che pensavo di avere smarrito
da un trasloco all'altro, da un trasferimento a quello successivo. Mi è quasi
scivolato in mano mentre cercavo un libro sul ripiano alto della libreria, me
lo sono ritrovato davanti con le sue pagine un po' espanse dal tempo, il dorso
screpolato, la scrittura a volte quasi indecifrabile, a volte chiara. Rimangono
solo due pagine ancora bianche, tutto il resto è stato riempito in novantotto
settimane, quasi due anni di vita, un periodo ridotto a fronte di quello che è
trascorso da allora. Oggi è il dodici febbraio del 1990 e mi sorprendo a
pensare che dall'ultima pagina scritta a oggi è passato un tempo maggiore a quello
della mia intera permanenza in Perù. Non ho voglia di rievocare quello che è successo,
il diario non è fatto per quello, ma per descrivere scorci, sensazioni del momento,
fotografie di dettagli inessenziali, impressioni repentine che traggono significato
nella loro sequenza, nella loro interezza. Eppure, adesso che lo sfoglio
e decifro le parole, mi pare di risentire le sensazioni di allora, quel ritorno
così privo di senso, atono e lugubre come l'insoddisfazione diffusa che l'aveva
mosso, l'arrivo in una Bologna gelata di dentro e di fuori, i primi passi per
riuscire a sopravvivere in quell'ambiente ostile, molto più spietato della peggiore
bidonville di Lima. L'indifferenza è peggio del tumore, mi dicevo mentre
cercavo di arrivare a primavera con fatica. In questi sei anni che hanno visto
il mondo cambiare di volto, crollare muri e regimi statici da decenni, chiudersi
e iniziare nuove tirannie, ho percorso un sentiero modesto, ma lineare. Non volevo
restare in un paese che non sentivo più mio, ho lavorato per uscirne, costruendo
un progetto che fosse più vicino ai miei desideri di altrove. Sono rimasto
a Bologna per più di due anni, lavorando come barista, facendo traslochi, improvvisandomi
come imbianchino. Occupazioni precarie che sembravo cercare in modo intenzionale
per non avere troppi vincoli che mi legassero qui, un posto fisso che avrei lasciato
con rimpianto o conservato con odio. Vedevo Marco saltuariamente e mi sono abituato
anch'io a considerare gli incontri non finalizzati con le persone, uomini o donne
che fossero, più eccezioni che aspetti quotidiani della vita. Quando l'organizzazione
non governativa mi ha convocato per un colloquio, ero prossimo a diventare un
misantropo che preferiva rinchiudersi in casa con un libro e una buona bottiglia
di vino, piuttosto che esporsi ai rischi di una conoscenza nuova o alla pratica
di quelle già acquisite. Non mi è sembrato nulla di nuovo, in fondo avevo ripreso
la mia solita vita, anche se non vendevo più il fumo e sgobbavo dal mattino alla
sera stuccando, imbiancando o trasportando mobili. Con qualche rimpianto in più,
dopo aver conosciuto una realtà diversa, che stava ormai somigliando a un'isola,
una lunga parentesi di amore ambivalente tra due periodi di insensatezza.
Sono andato al colloquio cercando di contenere le aspettative. Mi hanno proposto
di partecipare a un corso di formazione per diventare cooperante in un progetto
educativo rivolto ai minori "a rischio" dei quartieri popolari di Managua e Matagalpa,
in Nicaragua. "Abbiamo bisogno di persone con la tua esperienza" mi ha detto
Angela, la responsabile del progetto, mentre contenevo una voglia di abbracciarla
sconveniente e poco professionale. Il corso è durato tre mesi, intensi e duri,
siamo stati selezionati in dodici. Ma non ho voluto ripetere l'errore dell'altra
volta, ho continuato ad affittare il mio piccolo appartamento, offrendolo provvisoriamente
a un amico e con clausole chiare. Ne avrei ripreso possesso alla fine del progetto,
dopo due anni di lavoro. Non volevo trovarmi ancora una volta in una città ridiventata
sconosciuta e cercare abitazione e lavoro a trentacinque anni. Quando siamo
partiti avevo messo da parte il mio disincanto abituale e ho caricato i miei bagagli
con la netta impressione che si stesse aprendo un capitolo nuovo. Un capitolo
che mi ha portato, dopo un insieme di contorsioni da acrobata, alla mia residenza
attuale, una casetta di mattoni con giardino che s'affaccia su una piccola piazza
dell'antica capitale del Chiapas, San Cristobal de las Casas.
Claudio Martini nasce a Taranto nel 1954 e vive a Torino dal 1956.
Psicologo, ha lavorato a lungo in America Latina. Ha vissuto in Messico negli
anni '80, lavorando come docente nella facoltà di Psicologia dell'Università di
Guanajuato. Dal 1993 è dirigente psicologo nella ASL N.3 di Torino, presso l'Unità
Operativa Autonoma Tossicodipendenze. Ha pubblicato quattro libri di saggistica
nel campo della ricerca sociale e dei movimenti di alternativa alla psichiatria,
di cui uno in spagnolo, numerosi saggi scientifici e la raccolta di racconti brevi
Sguardi (2004).
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