Sui concetti di "attentato" e di "rivolta" (2)


Helmut Höge



Subito dopo la guerra il musicista Josef Skvorecky scrisse un romanzo sulla rivolta ceca e sulla liberazione, dal titolo "Vigliacchi". Protagonisti della storia sono gli amici jazzisti dell'autore e le loro ragazze. Ma il libro racconta anche come proprio i peggiori collaborazionisti, affaristi e arianizzatori furono i primi, alla vigilia del cambio di potere che si annunciava, a fare mostra del loro patriottismo, stringendo accordi di sicurezza con i Tedeschi, esponendo il tricolore ceco e ridipingendo le insegne degli occupanti. Anch'essi, al pari dei Tedeschi, si auguravano di venire liberati dagli Americani piuttosto che dai primitivi Russi. I giovani li consideravano vigliacchi, "leccapiedi" e traditori, con i quali non volevano avere niente a che fare, ma in qualche modo la ribellione finí per contagiare tutti. Questa è la cornice del romanzo autobiografico, durante il quale il narratore sogna di compiere gesta eroiche ed effettivamente ne compie pure qualcuna, sebbene solo per stupidità o al fine di impressionare l'amica Irene, che ama imperterrita un altro. Lentamente i nazionalisti vengono soppiantati dai comunisti, con una fascia rossa al braccio. Anche l'emittente locale fa mostra di toni sempre piú aggressivi nei confronti dei Tedeschi, ormai allo sbando. Dapprima la città viene invasa dai prigionieri dei lager di tutte le nazionalità, infine arrivano i Russi: "Sentivo per la prima volta qualcuno pronunciare la parola `compagno´ in tutta serietà... Quella era dunque la rivolta... mi sentivo forte e pericoloso". Piú tardi il narratore avrebbe dovuto ricevere dai Russi perfino un'onorificenza per il suo contributo partigiano, ma dichiara un nome falso solo per non essere trascinato da un festeggiamento all'altro. È il 9 Maggio: "La rivoluzione era finita. E ora comincia la vita, pensavo, cosciente tuttavia che non stava cominciando, bensí finendo. La mia giovane vita a Kostelec". Lo aspettavano infatti gli studi universitari a Praga, che non aveva potuto avviare prima per il lavoro coatto in una fabbrica di armamenti: "Ora è arrivata la pace, e dovunque ci sarebbero stati jazz e bar e tutto il resto... contro il comunismo non avevo niente". Quindi cominciarono i festeggiamenti per la vittoria, anche la sua jazzband vi partecipava, si poteva ballare il swing. Il narratore viene incaricato di prendersi cura di un gruppo di Inglesi, tra i primi prigionieri arrivati in città dai Lager. Al momento del congedo, uno di essi gli domanda: "È contento che siano arrivati i Russi? O avrebbe preferito gli Inglesi?" Il protagonista risponde: "Perché mi fa questa domanda? Ha conosciuto la mia famiglia, sa bene che avremmo preferito qui gli Inglesi". Dopo la fallita ribellione di Praga del 1968, Skvorecky non poteva piú davvero sopportare i Russi - e se ne andò a Toronto. Uno degli Inglesi l'11 Maggio 1945 aveva già risposto al narratore di buona famiglia: "Noi operai abbiamo un'altra opinione: sul comunismo e sui Russi".
In molti paesi dell'Europa Orientale i "Russi" erano alla testa dell'insurrezione. In Slovacchia, dove i combattimenti si concentravano sulla "capitale" Banska Bystrica, a coordinare le forze della rivolta venne paracadutato il comandante partigiano sovietico Asmalov. L'8 Dicembre del 1944 nella sua "Ordinanza n. 30" si può leggere: "Nelle valli ci sono numerosi gruppi isolati, la maggior parte dei quali non ha deposto le armi né sviluppa una qualche attività, bensí si limita ad attendere l'arrivo dell'Armata Rossa. Un'altra minoranza che si definisce partigiana si dà al saccheggio. Invito categoricamente i comandanti ad assumere il controllo dei singoli raggruppamenti... chi si oppone va considerato un disertore, degradato, sostituito, trasferito. L'unificazione con l'Armata Rossa può essere realizzata solo nei distretti da quest'ultima effettivamente liberati." Nell'"Ordinanza n. 32" Asmalov si lamenta di un tale Kusner, comandante di una compagnia del 2° Reggimento partigiano: "Si ubriaca regolarmente, deruba i suoi sottoposti di orologi e altri valori dietro la promessa di una promozione, ha costretto una subordinata ad avere una relazione con lui, ha sottratto denaro in maniera illecita agli abitanti del comune di Jesenie... ordino qui di fucilare Kusner davanti alla sua compagnia messa in riga". Ad un altro comandante, Glider, scrisse: "Gli appartenenti alla Sua brigata che arrivano fino a noi sono di gran lunga meglio informati di Lei e parlano apertamente delle deficienze nella brigata. Come ha potuto tollerare che gli uomini patissero la fame? Una cosa del genere può accadere solo a un comandante che ha perso completamente il senso della responsabilità. Cambi immediatamente stile di lavoro o farà una brutta fine." Il 14 Febbraio 1945 Asmalov avvertiva tutti i reparti attivi in Moravia del fatto che forze partigiane di destra, la cosiddetta Guardia di Hlinka, tentavano di infiltrarsi nel movimento al fine di tradirlo. Ciò accadde in seguito effettivamente, portando tra l'altro all'annientamento completo del villaggio di Plostina e dei suoi abitanti da parte dei kommando da caccia tedeschi guidati da Skorzeny. Alcuni particolari sono stati narrati da Ladislav Mnacko nel suo romanzo "La morte si fa chiamare angioletto". I rivoltosi slovacchi, tra cui anche Asmolov, di fronte alla strapotenza tedesca dovettero in un primo momento ritirarsi sulle montagne - l'insurrezione era fallita. Solo poche settimane dopo riuscirono però a liberare la Slovacchia con l'appoggio dell'Armata Rossa. Nel Giugno del 1945 Asmolov venne premiato nella Fortezza di Praga con la massima onorificenza cecoslovacca - il Leone Bianco.
A Parigi la cacciata degli occupanti tedeschi finí il 26 Agosto 1944 in una grande festa. Gli alleati occidentali avevano concordato con il comandante tedesco della capitale di non danneggiare la città, ma la resistenza comunista il 19 Agosto aveva chiamato a una rivolta generale, in seguito alla quale vennero occupati i municipi ed erette barricate per le strade. Il generale in esilio De Gaulle aveva sollecitato quindi gli alleati a prendere la città, lasciando tuttavia la precedenza alle truppe francesi in esilio del generale Leclerc. Cosí avvenne il 25 Agosto. Tuttavia il capo partigiano comunista Tol-Tanguy li aveva preceduti, prendendo in consegna per primo la capitolazione dei Tedeschi. Anche nel dopoguerra, con la filosofia quasi ufficiale della résistance - l'Esistenzialismo di Sartre -, la rivolta di sinistra restò in buone mani.
Analogamente all'Italia, oggi anche in Francia si è però aperta una discussione sui vecchi eroi, rinfocolata da una serie di nuovi studi sull'argomento. Si va dalle cronache dei testimoni immediati ai grandi miti della rivolta popolare, fino ai dettagli di una guerra civile tipica per tutti i paesi occupati dai Tedeschi - dopo che la battaglia di Stalingrado ne preannuciò la sconfitta -, tra le classi che aspiravano a una restaurazione dei rapporti precedenti alla guerra e quelle che combattevano per una società nuova e piú equa.
I Tedeschi avevano interesse a rappresentare la resistenza francese come la lotta di piccoli gruppi ebreo-comunisti. Nell'autunno del 1941, dopo l'aggressione di Hitler all'URSS, si verificarono tuttavia numerosi attentati contro militari tedeschi. Il comandante della Wehrmacht in Francia Otto von Stülpnagel reagí con la fucilazione di diversi ostaggi. Ancora dopo decenni i suoi sottoposti Carl Schmitt e Ernst Jünger elogiavano l'"umanità" di Stülpnagel e soprattutto l'atmosfera "liberale" nel quartier-generale. Ernst Jünger ricevette l'incarico di rielaborare letterariamente le lettere d'addio degli ostaggi, per il censimento dei quali veniva perfino stampato un formulario. Dall'altra parte la resistenza lentamente cresceva. Dopo la "crisi degli ostaggi" von Stülpnagel si dimise. "Io stesso ho ammonito a lungo sull'opportunità di applicare metodi polacchi in Francia", scrisse. Successivamente il numero di "franchi tiratori" e "spioni" fucilati aumentò ancora.
In modo ancor piú brutale si accesero gli scontri a Belgrado, dove pure si arrivò ad attentati e massacri di ostaggi. Il 14 Ottobre 1944 alle porte della città si congiunsero il Terzo Fronte Ucraino dell'Armata Rossa - proveniente dalla Bulgaria - e una frazione dei partigiani di Tito, nel frattempo ribattezzatasi Primo Gruppo Armato dell'Esercito di Liberazione Nazionale Iugoslavo, a cui poco dopo fece seguito il comando supremo del movimento di liberazione popolare. Non si giunse a un'insurrezione, bensí alla presa militare della capitale, già piú volte bombardata dai Tedeschi, che nel 1943 ne avevano fatto la sede del Comando Supremo Sud-Est, il qual fatto l'anno successivo motivò un ulteriore bombardamento alleato. Sui partigiani tedeschi che contribuirono all'"assalto alla fortezza Belgrado", evasi dai battaglioni punitivi in Grecia o arrivati come agitatori al fronte insieme all'Armata Rossa per conto del Comitato Nazionale Germania Libera, è uscito di recente il libro "Tedeschi tra i partigiani di Tito (1941-1945 )", ad opera dell'esperto di partigiani Heinz Kühnrich e dell'ex-ambasciatore della DDR in Iugoslavia Franz-Karl Hitze.
Accanto a quello iugoslavo, il movimento partigiano piú forte era quello della Bielorussia - dai Tedeschi ribattezzata Rutenia Bianca. Qui regnavano ben altri costumi anche rispetto alla Polonia. All'ordine del giorno non vi era infatti tanto la guerra contro il movimento di resistenza e il suo terreno di proliferazione, quanto l'annientamento sistematico dei "mangiatori a ufo", ovvero il genocidio. Come lo storico berlinese Christian Gerlach ha recentemente dimostrato nel suo ampio studio sulla politica economica e distruttrice tedesca in Bielorussia, dal titolo "Omicidi calcolati", perfino i partigiani catturati venivano lasciati in vita se erano in grado di lavorare. Al contrario degli abitanti di intere regioni, considerate "zone morte" o "ripulite". Non piú del 10 o 15 per cento delle vittime tedesche erano partigiani.
Nella deportazione e persecuzione dei disoccupati, ebrei, zingari e bambini bielorussi si distinsero curiosamente molti dei futuri attentatori di Hitler, oggi considerati alla stregua di eroi in Germania: von Stauffenberg, von Weizsäcker, von Gersdorff, von Treschkow, von Boeselager, von Schulenburg, Arthur Nebes, Otto Bräutigam, Adolf Heusinger, etc. La campagna di annientamento perseguita dal punto di vista economico esigeva la partecipazione collegiale di molti enti ed esperti. Christian Gerlach mette in risalto come dopo la guerra i vincitori alleati occidentali analizzarono a fondo quella strategia quasi scientifica di repressione della resistenza, per applicarla poi nuovamente in Algeria, Malaysia, Grecia, Vietnam, Cipro e nelle Filippine. Durante il processo di Norimberga, il pubblico ministero americano Klempner domandò stizzito a von Schlabrendorff, chiamato a testimoniare come "esperto della resistenza" per la difesa di Arthur Nebes: "Quanti ebrei si possono ammazzare con l'obiettivo finale di sbarazzarsi di Hitler - quanti milioni?"
Era stato progettato di ridurre la popolazione sovietica di circa trenta milioni di persone - in prima linea tramite un "piano della fame". Una giornalista americana definí nel 1946 la Bielorussia "il paese piú devastato della terra". A partire dal 1942 esistevano però anche 1108 unità e reparti partigiani, nonché immense "regioni liberate". Il 3 Luglio del 1944 venne conquistata dall'Armata Rossa anche la capitale Minsk. Celebri divennero però soprattutto le immagini delle brigate partigiane in parata, alla testa delle quali sfilavano le donne in armi - dai Tedeschi ribattezzate "donne-carabina". Ancora oggi esiste a Minsk una vivace ricerca sul fenomeno partigiano. In Bielorussia la comunità di partigiani che organizzava la rivolta si identificava perlopiú con la popolazione rurale e paesana, mentre le città erano state quasi interamente spopolate dai Tedeschi. Tuttavia anche nella capitale bombardata Minsk esisteva una cellula della resistenza, a cui il 22 Settembre del 1943 riuscí un attentato esplosivo che costò la vita al Commissario Generale della Rutenia Bianca Wilhelm Kube. L'attentatrice risultò essere la sua cameriera Jelena Masanik, a cui riuscí di guadagnare la fuga verso i partigiani fuori città. I Tedeschi non erano quasi piú in grado di inasprire la rappresaglia sui civili, anche perché il movimento partigiano coinvolgeva In quel momento già gran parte degli uomini in età di leva.
Ancora nel 1994 il giornalista berlinese Paul Kohl intervistò l'attentatrice Masanik per la televisione. Inoltre l'autore ha appena pubblicato un romanzo dal titolo "Da Minsk con amore", nel quale Jelena Masanik riceve l'esplosivo da un giornalista tedesco della "Minsker Zeitung". Questo intreccio fittizio consente all'autore di inserire il monologo interiore di un "tedesco diverso". Questo genere di espediente è già stato utilizzato nel film di Spielberg "Schindler's list" e in quello di Roman Polanski "Il pianista", la trasposizione delle memorie di Wladyslav Szpilman girata negli studi tedeschi di Babelsberg. Il musicista sopravvisse sia allo stroncamento della rivolta del ghetto, e alla relativa distruzione del quartiere, che alla rivolta di Varsavia, conclusasi con la distruzione della città da parte dei Tedeschi. Le memorie di Szpilman furono pubblicate a suo tempo sotto il titolo "La stupefacente sopravvivenza". Esse tuttavia non rendono affatto l'idea di questi due eventi: durante la rivolta del ghetto Szpilman aveva trovato rifugio nella "zona ariana", mentre sopravvisse a quella di Varsavia in diverse cantine e soffitte. Da ultimo Szpilman venne aiutato da un ufficiale della Wehrmacht di nome Wilm Hosenfeld, che lo riforní di viveri nel suo nascondiglio. Questo fatto venne incontro al finanziamento del film: lo Studio Babelsberg fece da co-produttore del progetto da 40 milioni di euro - in cambio la trama avrebbe dovuto contemplare almeno un "tedesco buono". Il 68enne regista Roman Polanski era stato deportato nel ghetto di Cracovia all'età di 7 anni, ma anche lui sopravvisse dalla "parte ariana": i genitori lo avevano sistemato presso una famiglia non-ebrea prima di essere deportati e poi trucidati a Treblinka. Si potrebbe pensare che queste premesse siano sufficienti a garantire un serio approccio cinematografico alla tragedia ebraica durante l'occupazione tedesca della Polonia: "It is like revisiting my childhood... I have a knowledge of that period", assicurava il regista durante una conferenza-stampa a Babelsberg. Nonostante ciò è lecito dubitare che la "guerra ebraica" - ovvero la resistenza contro la campagna di sterminio dei Tedeschi -, capeggiata dai comunisti in tutta Europa dopo Stalingrado, possa essere "rappresentata" da un film in cui un tedesco buono recita la spalla del protagonista sopravvissuto. Inoltre il libro di Szpilman è senza dubbio uno dei piú "leggeri" tra le "memorie di Varsavia". "The hero was safed by the music", afferma Polanski, "the book leaves you in a good spirit". Il bene ha vinto su tutta la linea. Lo storico tedesco-occidentale Bernd Bonwetsch scrive nella sintesi di un suo saggio sulla rivolta: "In via generale si può affermare che tutte le forme e i motivi del comportamento nei confronti dell'invasore come dell'Armata Rossa, rappresentata dai partigiani, sono ricorrenti e dimostrabili, e che il sostegno verso i partigiani si rivelava tanto piú debole, quanto relativamente forti erano le tendenze collaborazioniste". La ricerca scientifica sull'attentato e sulla rivolta si avvicina alla totale indifferenza verso il bene e il male - resistenza e collaborazione. Uno stadio intermedio è rappresentato in questo processo dal dualismo vittima-carnefice. Nel frattempo gli avversari sono diventati partner nella nuova economia, come ha rilevato con amarezza Jean-François Lyotard. Apparentemente occorre quindi tenerne conto anche al cinema e nella ricerca. Ancora piú in là (in senso radical-tedesco) si spinge il politologo Ahlrich Meyer: "Una descrizione della resistenza ebreo-comunista contro l'occupazione nazista non può essere affare nostro, poiché ci resta precluso l'aspetto soggettivo della resistenza".

(2000)



Traduzione di Antonello Piana (comprese le citazioni).



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