IL
TABU' DEI DOMINATORI
Sigmund Freud
Il comportamento che i popoli primitivi assumono verso i loro
capi, i re ed i sacerdoti, è basato su due principi i quali,
piuttosto che essere in contraddizione, sembrano vicendevolmente
completarsi. Elementi di quella classe occorre non soltanto
guardarli ma guardarsi da loro.
Si può raggiungere questo doppio fine attraverso un’infinità
di prescrizioni tabù. Non sappiamo già perché occorra guardarsi
dai capi: essi sono infatti portatori di una misteriosa e
pericolosa forza magica la quale passa da un individuo all’altro
per contatto come una carica elettrica, e dà morte e rovina a
colui che non ne è protetto. si cerca così in ogni modo di
evitare qualunque contatto, sia diretto sia indiretto, con queste
entità sacre e pericolose, e nel caso in cui il contatto non
possa essere evitato, si escogita un cerimoniale per scansare gli
effetti che si temono. per esempio, i Nubas, nell’Africa
orientale, sono convinto di andare incontro a morte certa entrando
nella casa del loro re-sacerdote, ma di poter schivare il pericolo
denudando la spalla sinistra e facendola toccare dal re con la
mano. Abbiamo così che il contatto del re diventa un rimedio e
una protezione dal pericolo che deriva dal toccarlo. In questo
caso, si tratta, però, del potere in contrapposizione al pericolo
di toccarlo, e cioè della contrapposizione tra la passività e
l’attività nei confronti del re.
Ma
non c’è affatto bisogno di risalire fino ai selvaggi per
dimostrare l’opera di risanamento che svolge il contatto col re.
i re d’Inghilterra si sono avvalsi di questo loro potere, in
tempi relativamente recenti, a proposito della scrofolosi, la
quale ebbe per questa ragione il nome di The
King’s Evil. La regina Elisabetta non volle rinunziare a
questo aspetto delle proprie prerogative di regnante, ed altri
suoi successori seguirono il suo esempio. Nell’anno 1633, Carlo
I avrebbe guarito cento ammalati, in una sola volta, e dopo la
grande rivoluzione inglese, sotto il dissoluto governo di suo
figlio Carlo II, le guarigioni reali della scrofologia godevano di
enorme risonanza.
Questo
re avrebbe, durante il suo regno, toccato quasi centomila
scrofolosi, ed in quelle occasioni era tale la calca delle
persone, che una volta sei o sette morirono schiacciate dalla
folla, piuttosto che trovarvi guarigione. Guglielmo III d’Orange,
il quale salì al trono d’Inghilterra dopo la cacciata degli
Stuart, di temperamento più scettico, si rifiutò do praticare
questa forma di sortilegio. Pare ch’egli vi si prestasse una
sola volta e che pronunciasse le parole: “ Che Dio vi dia
maggior salute e più giudizio.”
Non
possiamo, dai resoconti che seguono, formarci un’idea dell’effettto
terribile che produce il contatto, anche se involontario, con il
re e con le cose che gli appartengono. Un capotribù neozelandese,
di alto rango e notevole sacralità, aveva lasciato per la strada
i resti del suo pasto. Uno schiavo, un pezzo d’uomo sempre
affamato, che passava proprio di là, vide questi resti e li mangiò.
Quando ebbe finito, qualcuno che aveva seguito con orrore la
scena, gli disse che quel cibo ch’egli aveva osato mangiare
apparteneva al pasto del del capo-tribù. Il giovane, per quanto
fosse stato un guerriero forte e coraggioso, ricevuta quella
notizia stramazzò al suolo e morì, dopo atroci convulsioni, al
tramonto del giorno stesso.
Una donna Maori, che aveva mangiato della frutta ed aveva poi
appreso che proveniva da un luogo tabù, si mise a gridare forte
che lo spirito del capo-tribù, offeso in tal modo, l’avrebbe
uccisa. Il pomeriggio era avvenuto il fatto; al mezzogiorno del
giorno successivo era già morta. L’acciarino di un capo-tribù
Maori, una volta, fu fatale a parecchie persone. Esso era stato
smarrito da l capo-tribù, e molte persone, avendolo trovato, lo
avevano usato per accendere le proprie pipe. Quando vennero a
sapere a chi era appartenuto morirono tutti di spavento.
Non
ci meraviglia certamente che si sia sentita la necessità di
isolare alcune persone così pericolose, capi-tribù, sacerdoti, e
di costruire loro intorno un muro di impenetrabilità. Possiamo
supporre che di questo muro, eretto un tempo per le prescrizioni
derivanti da tabù, qualcosa sia rimasto nella forma dei
cerimoniali di corte.
Forse,
però, la maggior parte di questi tabù che riguardano i
dominatori non sono collegati al bisogno di difendersi da essi,
poiché è evidente nella loro creazione( e dunque nella
formazione dell’etichetta di corte) il punto di vista che
considera il particolare trattamento delle persone privilegiate
come il bisogno di difenderle dai pericoli che le minacciano.
La
necessità di proteggere il re da ogni possibile pericolo deriva
dall’enorme importanza che egli ha nella vita dei suoi sudditi.
E’ la sua persona che regola l’intero corso della loro
esistenza nel vero senso della parola.; il suo popolo deve
essergli riconoscente non solo per per la pioggia e la luce del
sole che fa prosperare i frutti della terra, ma anche per il vento
che spinge le navi alla riva e per la terraferma su cui gli uomini
poggiano i piedi.
Questi
re dei popoli selvaggi possiedono una potenza ed una capacità di
dispensare benefici che si riconoscono solo agli dei, e ai quali,
in una più avanzata fase di civilizzazione, solo i più servili
ed ipocriti cortigiani fingeranno ancora di credere.
Vi
è un’apparente contraddizione tra questa onnipotenza della
persona regale e la necessità di do proteggerla dai pericoli che
la minacciano; ma questa non è la sola contraddizione che si può
constatare nell’atteggiamento dei selvaggi verso il loro re.
Questi popoli ritengono anche opportuno sorvegliare i loro re
perché questi facciano buon uso dei loro poteri; sono ben lontani
dall’essere convinti delle loro buone intenzioni o della loro
lealtà. Vi è una certa diffidenza nella motivazione delle
prescrizioni tabù concernenti il re :
“L’idea secondo la quale la regalità primitiva sarebbe una
regalità dispotica “, dice il Frazer,
”non può assolutamente essere applicata alle monarchie
di cui parliamo. Viceversa, in queste monarchie il sovrano
vive solo per i suoi sudditi; la sua vita ha valore solo in quanto
egli adempie agli obblighi della sua carica, regola il corso della
natura per il bene del suo popolo. Dal momento in cui egli
trascura o cessa di assumere questi obblighi, l’attenzione ,
l’adorazione, la venerazione religiosa, di cui godeva in sommo
grado si trasformano in odio e disprezzo. Egli è cacciato
vergognosamente e può ritenersi fortunato se riesce a salvare la
vita. Oggi adorato come un dio, può domani essere ucciso come un
criminale. Ma non dobbiamo vedere in questo cambiamento
d’atteggiamento del popolo una prova d’incostanza o una
contraddizione; anzi, il popolo resta logico fini in fondo. Se il
loro re è il loro dio, essi pensano, deve essere anche il loro
protettore; e dal momento in cui non vuole proteggerli, deve
cedere il posto a un altro che è più disposto a farlo. Ma
fintantoché egli risponde alle loro esigenze, le loro cure nei
suoi confronti non hanno limiti ed essi lo obbligano anche a
curare se stesso con lo stesso zelo. Un tale re vive come
imprigionato in un sistema di cerimoniali e di etichette, avvolto
in una rete di usanze e di divieti che hanno lo scopo non
d’innalzare la sua dignità e, meno ancora, di accrescere il suo
benessere, ma solo d’impedirgli di commettere azioni che possano
turbare l’armonia della natura trarre in rovina lui, il suo
popolo e il mondo intero. Ben lontane dal tornare a suo beneficio,
queste restrizioni lo privano di ogni libertà e fanno della sua
vita, che essi pretendono di proteggere, un peso ed una
tortura”.
Nel
tenore di vita che un tempo conduceva il mikado
del Giappone troviamo uno degli esempi più sorprendenti
dell’inceppamento e dell’immobilizzazione di un sacro sovrano.
Ecco quanto riporta una relazione antica di oltre due secoli:
Il Mikado considera
incompatibile con la sua dignità e col suo carattere sacro toccar
il suolo con i piedi. Così, quando deve recarsi in qualche luogo,
si fa portare a spalla dai suoi servitori. Ma è ancora meno
conveniente che la sua persona sia esposta all’aria libera, e al
sole è rifiutato l’onore di risplendere sul suo capo. A tal
punto si attribuisce un carattere sacro a tutte le parti del suo
corpo che i suoi capelli, la sua barba e le sue unghie non debbono
essere mai tagliati. Ma perché non sia del tutto trascurato,
viene lavato di notte, mentre dorme; quanto viene tolto al suo
corpo, in questo stato si può considerare come gli venisse rubato
,ed un furto di questo genere non arreca pregiudizio alla sua
dignità e santità. In tempi passati egli doveva, ogni mattina,
rimanere seduto per alcune ore sul trono, con la corona imperiale
in testa, senza muovere le braccia, le gambe la testa e gli occhi
: solo così, si pensava, egli poteva mantenere la pace e la
tranquillità nell’impero. Se, disgraziatamente, si fosse
voltato da una parte o dall’altra, o se il suo sguardo fosse
stato per un certo tempo su una qualche regione del suo Impero, ne
sarebbero potuti derivare per quel paese una guerra, una carestia,
la peste, un incendio o un’altra disgrazia che l’avrebbe
portato alla rovina.
Alcuni dei tabù cui sono sottomessi i re barbari ricordano le
limitazioni imposte agli assassini. A Shark Point presso Kapp
Padron nella Guinea Inferiore(Africa occidentale), un re
sacerdote, Kukulu, vive solo in una foresta. Egli non deve aver
rapporti con nessuna donna, né lasciare la sua casa, non deve
nemmeno alzarsi dalla sedia, sulla quale dorme seduto. Se si
coricasse, il vento cesserebbe di soffiare e la navigazione
sarebbe interrotta. E’ la sua funzione placare le tempeste e, in
generale, badare al mantenimento di normali condizioni
atmosferiche.
Quanto più un re di Loango è potente, dice il Bastian, tanto più
sono numerosi i tabù che egli è tenuto ad osservare . Il
successore al trono vi è assoggettato fin dall’infanzia, ma i
tabù aumentano intorno a lui man mano che egli cresce: quando
sale al trono, ne è letteralmente soffocato.
Lo spazio non ci permette, e il nostro scopo non esige, di
proseguire nella descrizione dettagliata dei tabù inerenti alla
dignità di re e di sacerdote. Ci limitiamo a dire che le
restrizioni hanno, tra questi tabù, la massima importanza. Per
dimostrare fino a che punto siano tenaci le usanze che si
collegano a queste persone privilegiate, citeremo due esempi di
cerimoniale del tabù presi da popoli civili di un livello
culturale più elevato.
Il Flamen Dialis, il
grande sacerdote di Giove nella Roma antica, era tenuto a
osservare un incredibile numero di tabù. Non doveva toccare un
cavallo, né montarlo, non doveva vedere eserciti in armi, non
portare anelli che non fossero spezzati, non avere nodi su sugli
abiti, non toccare farina di frumento né pane lievitato, non
toccare né nominare capre, cani, carne cruda, fagioli, edera
ecc.; i suoi capelli potevano essere tagliati solo da un uomo
libero, che si serviva a questo scopo di un coltello di bronzo,
capelli e unghie tagliati dovevano venir sotterrati sotto un
albero sacro; non doveva toccare i morti, e gli era proibito stare
a capo scoperto all’aria libera ecc. Sua moglie, la Flaminica,
doveva osservare più o meno le stesse prescrizioni e altre sue
proprie: su certe scale, dette greche, non doveva salire più di
tre gradini e, in certi giorni di festa, non poteva pettinarsi i
capelli; la pelle delle sue calzature non doveva provenire da un
animale morto di morte naturale, ma da un animale ucciso o
sacrificato; il fato di aver sentito il tuono la rendeva impura, e
la sua impurità durava finché non avesse offerto un sacrificio
espiatorio.
Gli antichi re irlandesi erano sottoposti ad una serie di
singolari restrizioni, dalla cui osservanza dipendeva ogni felicità
e dalla cui trasgressione ogni disgrazia per il paese. Si può
trovare l’elenco completo di questi tabù nel Book
of Rights, i cui esemplari manoscritti più antichi risalgono
al 1390 e al 1418. I divieti sono molto dettagliati, e riguardano
determinate azioni in dati luoghi e in dati momenti: il re non
deve soggiornare in quella città un certo giorno della settimana;
Non deve passare quel fiume ad una certa ora ; non deve restare
accampato per nove giorni in una certa pianura ecc.
Il rigore delle prescrizioni tabù imposte ai re sacerdoti ha dato
luogo, presso molti popoli primitivi, ad una conseguenza rilevante
dal punto di vista storico e particolarmente interessante dal
nostro punto di vista. La dignità di re-sacerdote cessò di
essere cosa ambita. Così in Cambogia, dove c’è un re del fuoco
e un re dell’acqua, si è reso necessario imporre con la forza
l’accettazione di questa dignità. A Nitte o Savage Island,
un’isola corallifera dell’Oceano Pacifico, la monarchia
praticamente si estinse perché non si trovava nessuno disposto ad
assumere le funzioni regali, piene di responsabilità e di
pericoli. ”In certe regioni dell’Africa occidentale, dopo la
morte del re si tiene un consiglio segreto in cui si nomina il
successore. Il prescelto viene preso, legato e guardato a vista
nella casa del feticcio, fin quando non si dichiara disposto ad
accettare la corona. Talvolta, il presunto successore trova il
modo di sottrarsi all’onore che gli si vuole imporre. Si
racconta, ad esempio, che un capo-tribù aveva l’abitudine di
tenere sempre addosso, giorno e notte , delle armi, per essere in
grado di resistere con la forza ad un eventuale tentativo di
installarlo sul trono”.
Presso i negri della Sierra Leone, la resistenza
all’accettazione della dignità regale era così forte che, per
la maggior parte, le tribù furono costrette a scegliersi come re
uno straniero.
Il Frazer vede in questi fatti la causa della progressiva
scissione della primitiva regalità sacerdotale in un potere
temporale ed un potere spirituale. Schiacciati dal peso della loro
sacralità, questi re erano divenuti incapaci di esercitare
realmente il potere e furono costretti ad abbandonare le cariche
amministrative a personaggi meno in vista, ma energici e attivi,
pronti a rinunciare agli onori della dignità regale. Appaiono così
i sovrani temporali, mentre la supremazia spirituale, di fatto
divenuta insignificante, fu lasciata ai precedenti re del tabù.
La storia del Giappone è una chiara conferma di questa ipotesi.
Se osserviamo e studiamo il quadro dei rapporti che intercorrono
tra l’uomo
primitivo i suoi
sovrani, si fa strada in noi l’idea che ci sarà facile
interpretarlo dal punto di vista psicoanalitico. Questi rapporti
sono estremamente complessi e non privi di contraddizioni. Si
accordano ai sovrani ampi privilegi, che coincidono con i tabù
imposti agli altri. Sono persone privilegiate; hanno il diritto di
far ciò che agli altri è proibito, di godere di quanto agli
altri è inaccessibile. Ma questa loro libertà è limitata da
altri tabù che non gravano sugli individui comuni. Abbiamo qui un
primi contrasto, quasi una contraddizione, tra una maggiore libertà
e una maggiore limitazione per le stesse persone. Si attribuisce
loro uno straordinario potere magico, e per questo si teme ogni
contatto con la loro persona o con gli oggetti di loro proprietà,
e tuttavia da questo contatto ci si aspettano gli effetti più
benefici. Questa sembra un’altra contraddizione, particolarmente
evidente; ma sappiamo già che, in realtà, essa è solo
apparente. I contatti stabiliti d’iniziativa del re sono
salutari e protettivi; è pericoloso il contatto stabilito da un
uomo comune col re o con oggetti di sua proprietà, probabilmente
perché questo contatto può nascondere un’intenzione
aggressiva. Un’altra contraddizione , meno facile da chiarire,
è nel fatto che, pur attribuendo al sovrano un gran potere sulle
forze della natura , ci si ritiene obbligati a proteggerlo con
particolare cura contro i pericoli che lo minacciano, come se il
suo potere non fosse in grado di proteggerlo. Un’ulteriore
difficoltà consiste nel fatto che non si ha fiducia nel giusto
impiego che il sovrano fa del suo straordinario potere, che deve
servire solo al bene dei suoi sudditi e della sua propria persona,
e anzi ci si ritiene obbligati a sorvegliarlo. Da questa
diffidenza sono sorte le cerimonie tabù cui è sottomessa la vita
del re e che devono proteggere il re stesso dai pericoli che
possono minacciarlo, e i sudditi dai pericoli che egli rappresenta
per loro.
La
spiegazione più semplice per questi rapporti, così complessi e
contraddittori, tra i primitivi e i loro sovrani, sembra essere
questa: per ragioni di natura superstiziosa, o di diversa natura,
i primitivi sono portati a esprimere, nel loro atteggiamento nei
confronti del re, diverse tendenze, ciascuna delle quali è spinta
all’estremo, indipendentemente dalle altre. Derivano da ciò le
contraddizioni di cui, d’altronde, la mente dei primitivi, come
anche quella dei popoli civili, si preoccupa ben poco, quando si
tratta di questioni religiose o di obblighi di fedeltà.
L’argomento sarebbe esaurito; ma la tecnica psicoanalitica ci
consentirà di penetrare più profondamente questi rapporti e ci
insegnerà ancora molte cose sulla natura di questa tendenze così
disparate. Sottoponendo la situazione che abbiamo descritto
all’analisi come se si trattasse del quadro sintomatico di una
nevrosi, prenderemo l’avvio dalle preoccupazioni angosciose che
troviamo al fondo del cerimoniale del tabù. Un simile eccesso
affettivo è un fenomeno comunissimo nella nevrosi, soprattutto in
quella ossessiva, che esaminiamo particolarmente per poter fare un
confronto. Conosciamo a fondo la sua origine. Essa insorge nei
casi in cui, accanto all’affettuosità predominante, sussiste un
sentimento di inconscia ostilità, cioè quando si verifica il
tipico caso di un atteggiamento affettivo ambivalente. L’ostilità
viene allora soffocata da una smisurata tenerezza che si manifesta
in forma angosciosa, che diventa ossessiva perché altrimenti non
basterebbe al suo compito, che consiste nel tenere rimosso il
sentimento opposto. Non c’è psicoanalista che non abbia
constatato con quanta certezza, nelle situazioni più
inverosimili, (per esempio, tra madre e figlio o tra coniugi molto
uniti), questa spaventosa iperaffettuosità possa essere spiegata
in questo modo. Per quanto riguarda il trattamento di individui
privilegiati, possiamo nello stesso modo riconoscere che
all’adorazione di cui essi sono oggetto, alla loro divinazione,
si contrappone nell’inconscio un sentimento potentemente ostile,
cioè anche qui si ritrova la situazione dell’ambivalenza
affettiva. La diffidenza che appare come un incontestabile motivo
dei tabù imposti ai re, d’altra parte sarebbe, e più
direttamente, una manifestazione della stessa ostilità inconscia.
E dati i diversi risultati di questo conflitto tra i differenti
popoli, non ci sarebbe difficile trovare esempi in cui appaia con
particolare evidenza la prova di questa ostilità. Il Frazer
ci racconta che i selvaggi Times della Sierra Leone si sono
riservati il diritto di bastonare il re ala vigilia della sua
incoronazione; e si valgono tanto coscienziosamente di questo
diritto costituzionale che spesso il disgraziato sovrano non
sopravvive a lungo al proprio avvento al trono: così i personaggi
altolocati delle tribù si sono fatti una regola di eleggere come
re l’uomo che odiano; ma anche in casi evidenti come questo
l’ostilità non si confessa mai, ma si dissimula sotto
l’apparenza dl cerimoniale.
Un carattere dell’atteggiamento dell’uomo primitivo nei
confronti del re ricorda un
processo in genere molto frequente nelle nevrosi, ed in particolar
modo nel cosiddetto delirio di persecuzione. Viene enormemente
esagerata l’importanza di una certa persona, le viene attribuita
una potenza illimitata, per poterle più fondatamente addossare la
responsabilità di ogni evento sgradevole o doloroso che capita al
malato. E in realtà nello stesso modo si comportano i primitivi
nei confronti del loro re, quando, dopo avergli attribuito il
potere di scatenare o di far cessare la pioggia, di regolare la
luce del sole, la direzione del vento ecc., lo depongono o lo
uccidono perché la natura perché la natura li ha delusi nelle
loro aspettative di una caccia fruttuosa o di un raccolto
abbondante. Il quadro che il paranoico riproduce nel delirio di
persecuzione è quello dei rapporti tra padre e figlio. Il bambino
regolarmente attribuisce al padre una simile onnipotenza, e si può
constatare che la diffidenza nei confronti del padre è in diretto
rapporto col grado di potenza che gli era stato attribuito. Quando
il paranoico ha identificato in una persona il suo
“persecutore”, lo innalza al rango di padre, cioè lo pone in
condizioni che gli consentano di vederlo come responsabile di
tutte le disgrazie immaginarie di cui è vittima. Questa seconda
analogia tra il primitivo e il nevrotico ci dimostra fini a che
punto l’atteggiamento del primitivo nei confronti del suo re
rifletta l’atteggiamento infantile del figlio nei confronti del
padre. Ma i più convincenti argomenti in favore dei nostri sforzi
volti a stabilire un parallelo fra le prescrizioni tabù e i
sintomi nevrotici ci vengono forniti dal cerimoniale del tabù,
del quale abbiamo già discusso l’effetto sulla regalità . Il
duplice significato di questo cerimoniale e le sue origini da
tendenze ambivalenti ci appaiono certi e incontestabili se
ammettiamo che fin dall’inizio esso si propone gli effetti che
produce. Questo cerimoniale non serve solo a distinguere il re e
ad elevarlo al di sopra di tutti gli altri mortali, ma anche a
trasformare la sua vita in un inferno, in un peso insopportabile,
e ad imporgli una schiavitù assai più penosa di quella dei suoi
sudditi. Questo cerimoniale ci appare dunque come l’esatto
corrispondente della pratica ossessiva della nevrosi, in cui
l’impulso represso e l’impulso che reprime ottengono una
soddisfazione simultanea e comune. L’azione ossessiva è
apparentemente un atto di difesa contro ciò che è proibito, ma
in realtà ne è una riproduzione. L’apparenza si riferisce alla
vita psichica conscia, la realtà alla vita inconscia. Così il
cerimoniale del tabù è in apparenza un’espressione del più
profondo rispetto ed un mezzo per procurare al re la più completa
sicurezza; ma in realtà è una punizione per questa elevazione,
una vendetta che i sudditi esercitano sul re per gli onori che gli
tributano. Quand’era governatore della sua isola, il Sancho
Panza di Cervantes ebbe modo di sperimentare su di sé fino a che
punto questa concezione del cerimoniale fosse esatta. E’
possibile che, se i re e i capi di oggi fossero disposti a farci
qualche confessione, ci fornirebbero nuove prove in favore di
questo modo di vedere.
Perché l’atteggiamento affettivo nei confronti del sovrano
comporterebbe un elemento così potente di ostilità inconscia?
Il problema è molto interessante, ma sorpassa i limiti del nostro
lavoro. Abbiamo già fatto cenno al complesso paterno infantile
che riteniamo in rapporto con esso; aggiungiamo ancor che
l’indagine sulla storia della regalità primitiva potrebbe
fornire una soluzione decisiva a questo problema. In base alle
spiegazioni molto impressionanti del Frazer, che però egli stesso
non ritiene conclusive, i primi re erano stranieri che, dopo un
breve periodo di regno, venivano sacrificati come rappresentanti
della divinità, con l’accompagnamento di feste solenni. Un’eco di questa
primitiva storia della regalità si ritrova ancora nei miti del
cristianesimo.
Note
1 Frazer , Taboo ecc., p.132:”He must
not only be guarded, he must also be guarded
against” [“Non si deve solo guardarlo, ma anche guardarsi
da lui”].
2 Frazer, The
Magic Art, I, p.368.
3 Old New Zeland, by
a Pakeha Maori (London 1884), da Frazer, Taboo
ecc., p.135.
4 Frazer, Taboo
ecc., p.7.
5 Ibidem.
6 Kampfer, History of Japan, da Frazer, cit.,p.3.
7 A.Bastian, Die deutsche Expedition an der Loangokuste, Jena, 1874, da Frazer,
cit.,
8 Frazer, cit., p.13.
9 Frazer, cit., p.11.
10 A.Bastian, Die deutsche Expedition an der Laongokuste, da Frazer, cit., p. 17.
11 Frazer, cit.,
p.18, secondo ZWEIFEL e MOUSTIER, Voyage
aux sources du Niger,
1880.
12 Frazer, The magic and the evolution of Kings, vol. II, 1911 (The
Golden Bough).
(Tratto
da Totem
e tabù, e altri saggi di antropologia, Newton Saggi, Roma, 1990)
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Copertina.
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