QUATTRO NASI

Francesca Dello Strologo

A Livorno, in quel porto di mare che si sviluppa come un oriente bastardo, figlio illegittimo di una libecciata incestuosa, c'è un monumento su cui la tradizione in compagnia della leggenda ha inventato per burla una storia.

Si dice che esista un punto da cui si possano vedere tutti insieme i nasi dei "Quattro Mori", incatenati sui vari lati della statua sotto l'eterno peso di Ferdinando de' Medici.

Quel punto non esiste, ma è proprio questo che rende la sua ricerca così interessante. Come per ogni livornese che si rispetti arrivò anche il mio turno di mettermi a naso in sù. I miei tentativi durarono qualche giorno. Ogni volta mi avvicinavo da un diverso angolo esplorando ora la pizzeria del lato nord, ora il baracchino di arselle del lato est, ora il semaforo del lato sud, rischiando di rimanere schiacciata sull'inesistente passaggio pedonale del lato ovest.

Ormai sicura che le leggende sono solo un modo per far compiere ai figli gli stessi errori dei padri, tornai ancora una volta dai miei quattro mori, così, senza impegno, giusto per salutarli prima di abbandonare quella pesca grossa. E fu allora che avvenne il miracolo....

Il primo naso si chiamava Fritz a causa della passione di suo padre per Mascagni. Tutto sommato gli era andata bene se si pensa che a sua sorella era toccato Amica. Che se poi è vero, come dicevano i latini, che nei nomi è contenuto il destino di una persona, non era certo colpa di quella poveretta se era finita a fare la passeggiatrice sul viale Italia.
Fritz era scaricatore di porto di professione e marinaio per vocazione. Lo si capiva dalle bestemmie che usava, prese in prestito dalla rosa dei venti, una per ogni punta con innumerevoli e originali variazioni.
Lo trovai al "barre" dove beveva "ponci" e discuteva di "politi'a" e di varia altra umanità. In mezzo ad un manto di peli cotonati che si sporgevano orgogliosamente dalla camicia sbottonata fin quasi all'ombellico, si imponeva alla vista un'enorme medaglia d'oro con l'immagine della Madonna, Benedetta, destinata a sobbalzare ogni volta che quell'anima un po' rude, ma tanto sincera, la chiamava in causa.
Entrai nel locale, mentre parlavano di Ilenia, la moglie di Fritz che era ormai prossima al parto.
"Deh! Se mi nasce 'na femmina, giuro, quant'è vero Iddio, che 'un la faccio sortì di 'asa fin vando sposa" così Fritz programmava il futuro di sua figlia "e se poi mi porta in casa un disgraziato come su' pa', allora, un sorte nemmanco per il matrimonio! Te lo di'o io: la faccio vedova, prima che sposa!!"
Qualcuno introdusse l'argomento dei nomi e la discussione prese un bel ritmo...
"Io gni darei nome Melania" disse uno inconsapevolmente condizionato da "Via col vento".
"Sì e Perania!" gli fece eco un'altra voce nel locale chiudendo ogni possibilità ad un nome peraltro abbastanza dignitoso.
Le Verena, Katiuscia, Deborah, Samantha, Ursula, Priscilla, Nadia e Naomi rimbalzavano da una bocca all'altra. Nascevano in un settore del bar, ma trovavano opposizioni insuperabili sull'altro lato. L'aria si faceva sempre più pesante. Non erano nomi a caso: c'erano alcuni, lì dentro, che in altre epoche avevano dovuto faticare e non poco per imporre i nomi del "partito". Avevano dovuto superare l'ostilità della moglie e talvolta anche quella del parroco che si rifiutava di battezzare una Vladimira o una Natascia senza l'imposizione almeno di una Maria in seconda posizione.
Poi c'erano i nomi che rappresentavano i sogni di evasione, un tempo quelli dei grandi film, sostituiti poi da quelli del mondo della moda e dello spettacolo: se Grace e Audrey erano troppo complicati, certo con Jennifer o Cindy non erano stati fatti grandi passi in avanti.
Il vecchio Gigi, il postino di Salviano, capace di consegnare regolarmente la posta solo in condizioni di completa ubriachezza, passato di lì, giusto per far rifornimento, disse la sua:
"Penza, penza, povero Fritz, ma qualunque nome tu gni dia, dopo i quindic'anni, la tu' figliola la chiameranno Umberto!"
"O levati, Gigi, o come sarebbe a di' Umberto?" rispose Fritz.
"Scemo che 'un sei antro: Umberto sta per um ber topone!" e se ne andò barcollando, accompagnato da una potente risata generale che coprì l'escalamazione "Potrebbe sempre essere un maschio..." pronunciata da Fritz come sua ultima speranza.

Il secondo naso mi venne incontro, presentandosi: "Sono il naso, non avrei bisogno di dirlo, di un ebreo. La curva inconfondibile del mio profilo che fa scivolare la fronte direttamente verso la bocca mi è costata moltissimi soprannomi, spesso volgari, ma non a Livorno. Vengo dalla Spagna, cacciato come indesiderabile insieme a molti altri nasi con le mie stesse caratteristiche. Non so bene perché, ma i recinti in cui siamo stati confinati altrove qui non sono mai stati costruiti. Forse era inutile tirare su palizzate in una città in cui ad ogni angolo soffia un vento diverso. Ogni vento parla una sua lingua e porta con sé genti, profumi e aromi di posti lontani. Ci sono greci, persiani, armeni, arabi, uomini dei monti del Libano, levantini della Barberia e di altre parti dell'Africa, ma ci sono anche i meno esotici francesi, inglesi, tedeschi ed olandesi.
Tutte le nazionalità si mescolano ad ogni libecciata e le origini ed i nomi si confondono sempre di più come in un grande cacciucco. Forse è per questo che nella mia biblioteca ci sono varie edizioni del Nuovo Testamento o forse è solo perché non riesco a stare lontano dai bei libri.
Mi piace infilarmi tra le pagine di preziosi manoscritti e curare con la fantasia la nostalgia della mia vecchia terra.
Di cure me ne intendo, perché sono medico e speziale. Ho sviluppato un senso in più. Spesso quando vado a visitare i miei malati, mi capita di capire subito quello di cui hanno bisogno, ma non sempre è possibile offrirglielo.
La signora Attias soffre di stomaco. Le prime volte non riuscivo a capire: è così severa con sé stessa, non si concede mai un intingolo, un dolce, solo magro bollito e spinaci lessi, conditi con olio, sale e limone.
Poi, ho iniziato ad annusare il profumo delle sue parole. Quelle conversazioni avevano lo stesso sapore di un salame di cioccolato, farcito con grosse mandorle tritate grossolanamente e con cedro candito. I suoi occhi sognavano Purim, la festa di Carnevale, quando tutto è permesso e si va in maschera per le strade, si preparano e si mangiano dolci di ogni tipo. La sua fantasia rincorreva golosamente il salame che non poteva mangiare.
In questo e in tanti altri casi non posso far altro che rifugiarmi nei miei libri e cercare i brani più indicati per i miei pazienti e prescriverli loro come veri e propri medicamenti.
Quell'invidioso del naso del rabbino dice che non sono un medico serio e che gli rubo il mestiere, ma so che lui viene a trovarmi a casa per dirmi queste cose solo allo scopo di prendere in prestito di nascosto qualcuno dei miei libri, i più peccaminosi, s'intende.

Il terzo naso è di Zaira. Un grosso naso mascolino incastrato in un viso robusto, brunito dal sole e levigato dal sale del mare, circondato da una treccia di capelli arrotolata su sé stessa come unico riconoscimento ad una femminilità selvaggia.
La gonna di cotone povero, resa morbida dai grandi fianchi nascosti a malapena dalla sequenza di pieghe sta sotto una camicetta di un bianco lino grezzo dallo scollo increspato su un petto generoso, frequentato da molte passioni.
Sulle spalle nude un nero scialle a fiori lascia intravedere molto più di quanto copra.
Alle orecchie un paio di "buccole" d'oro, di quelle che accompagnano tutte le stagioni, dalla nascita alla morte.
Il destino di Zaira è nel bracciale che incatena il suo polso: è il torciglione d'argento delle corallaie lavorato in un complesso intreccio come il rapporto di intimità che annoda insieme gioia e infelicità, amore e miserie umane, fatica e sicurezza, mare e tempesta.
Dalla luce dell'alba al chiarore della luna non si ferma mai. In casa, alla fabbrica, il corredo per Maria, la sorella maggiore che presto si sposerà, i fratellini da badare. Anche il suo cuore è sempre in movimento. Da quando il suo morino si è imbarcato, i suoi occhi cercano la linea di un orizzonte indefinito. Aspettano il momento in cui lui tornerà e le farà fare la vita da signora che le ha promesso.
Zaira piange di nascosto e raccomanda il suo bel morino alla Madonna di Montenero. Piange perché sa che su quella barca carica di reti il suo morino mangia solo gallette ammuffite e pesce salato. Le sue lacrime piangono paure semplici, grandi come il mare che si uniscono a quelle di sua madre, di sua nonna e di tutte le altre donne che hanno conosciuto un altro morino come lei.
Sogna che torni presto. Sogna che quelle braccia pesanti, quelle mani ruvide come la fatica la stringano in un abbraccio che duri quanto la sua paziente attesa.

L'ultimo naso spunta fuori da un confessionale. E' il posto dove don Enrico passa la maggior parte del suo tempo ad ascoltare i suoi fedeli che, come ama dire spesso, lo "fanno confondere e di' morto".
Ingabbiato tra assi di legno scuro, don Enrico sfiora il mondo attraverso quella piccola lastra metallica su cui nel tempo le parole hanno disegnato una croce. Da un lato quel mosaico fatto di piccoli e precisi fori ha la forma del perdono, dall'altro ha la consistenza del dolore e della sofferenza di intere generazioni. E' inutile tentare di contare quante persone, la fronte schiacciata su quella flebile parete tra il bene e il male, hanno lasciato filtrare da quella ferrea rete i loro pensieri e sentimenti più profondi.
Su quell'inginocchiatoio c'è chi ha abbandonato pianti, chi ha dimenticato distrattamente i propri adulteri, chi ha conservato meschinamente le proprie invidie e le proprie gelosie.
Ma il naso di don Enrico sa come mantenere la rotta, non si lascia ingannare da quei sommessi mormorii che fingono risacche o simulano tempeste. Nell'oscurità egli tiene accesa una fiaccola che riporta ogni nave al suo porto sicuro.
Attratto da quella luce, anche il mio naso si siede e racconta la sua storia ad un povero prete di mare che si concede il lusso di un peccato d'orgoglio quando si rifiuta di ammettere che non sa nuotare.

 

Francesca Dello Strologo è nata a Livorno dove ha imparato ad apprezzare
l'amore per il mare, i viaggi, le genti "diverse" ed i loro racconti.
Attualmente vive a Firenze in un appartamento "barzelletta" con un ragazzo
inglese, un francese ed un tedesco.
Laureata in giurisprudenza, è avvocato, ma non esercita la professione,
lavorando in Comune nel settore dei servizi sociali.




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