LA
MANIF
Kossi Komla-Ebri
"Eravamo in tanti, diecimila, forse trentamila, forse centomila"
raccontava Yao con voce monocorde, gli occhi fissi nel vuoto, come se stesse rivivendo ancora l'incubo di quel pomeriggio - Comunque eravamo in tanti, tanti giovani, ragazze e ragazzi, uomini e donne, tutti vestiti di bianco, chi con la camicia bianca, corsage o vestiti bianchi, chi con il
pagne1 bianco come i wodussi2 , chi con il
boubou3 bianco.
L'ordine era: vestirsi in bianco.
C'erano anche dei bambini, che correvano felici intralciando le gambe, e donne con bimbi piccoli addormentati, allacciati, alla schiena.
Ero appena arrivato al parco, pensando che fosse già tutto iniziato. Dovevo andarci col mio cugino Koffi. Lo aspettai invano al solito bar. Feci in tempo ad inghiottire due birre gelate, ma Koffi non si
vedeva.
Mi guardai intorno alla ricerca di visi conosciuti. Il mio sguardo incontrò quello di una fanciulla a quattro passi davanti a me che si era girata indietro. Doveva avere non più di sedici, diciassette anni. I suoi occhi neri e ridenti brillavano, tinti da una dolcezza meravigliosa. Era alta, con gli zigomi lievemente sporgenti e i capelli tirati indietro sulla nuca, una pelle d'ebano che brillava sotto i raggi del sole. Portava una gonna kaki come le scolarette, con una camicina bianca di dentelle, stretta dove sporgevano invitanti e provocanti i suoi capezzoli. Notai mentalmente che non indossava il reggiseno. Prima che voltasse la testa verso il podio, le lanciai uno sguardo insistente, abbozzando un sorriso invitante.
L'atmosfera della manifestazione era davvero gaia. Ci sentivamo uniti nella protesta, ridevamo. Doveva essere una dimostrazione pacifica. Volevamo, profittando della visita di una delegazione francese, fare capire che anelavamo ardentemente al cambiamento. Eravamo fiduciosi, tranquilli, ma determinati. Gli organizzatori avevano scelto la piazza, il giardino, invece dello stadio per evitare di farci intrappolare dalle forze dell'esercito in un luogo chiuso. Continuavo a guardare la nuca della ragazza, quattro file davanti a me, chiamandola mentalmente. Le sussurravo "girati bella!" convinto di poterla
far voltare con la forza del pensiero. Intanto, cercavo di avvicinarmi a lei, aprendomi un varco fra la calca.
Tante mani agitavano festosamente fazzoletti bianchi.
Eravamo alla vigilia della stagione delle piogge. Accalcati nel caldo afoso del pomeriggio, le nostre fronti, labbra e ascelle grondavano di sudore. Si udirono dei rulli di tam tam: la festa stava per iniziare.
D'improvviso, non so come, non so quando, non ricordo se udimmo prima gli spari o le grida, o forse fu tutto insieme, o forse fu il movimento d'onda, di pressa della gente, attorno, che mi spingeva di colpo in avanti, fino ad arrivare a fianco
della bella sconosciuta. In un attimo scoppiò l'inferno, la confusione più totale. Sentii urlare: "Scappate, scappate ci stanno ammazzando!"
Mi girai allarmato. Vidi incredulo come in un film al rallentatore, la ragazza dagli occhi dolci accasciarsi a terra, con un gemito, e notai una macchia rossa nascere ed allargarsi sul suo fianco. Rimasi come paralizzato. Qualcuno si buttò per terra. Tutti gridavano, urlavano, correndo, chi a destra, chi a sinistra, calpestandosi. Un uomo pelato urlava cercando la figlia o la moglie: "Afi, Afiii!", dando delle gomitate ovunque per aprirsi un varco.
Di colpo realizzai che erano in mezzo a noi. Il nemico si era infiltrato fra di noi, vestito di bianco, come noi e poteva essere chiunque, con la differenza che lui era armato e ci stava falciando come messe.
Mi misi a correre. Vidi un bambino in pianto, con grida di terrore, con le braccia allargate accanto al corpo esanime di una donna. Invaso dal panico, lo sorpassai senza fermarmi. Ancora oggi, ho dentro di me il suo sguardo smarrito, incredulo, quegli occhi enormi, spalancati dal terrore, i suoi lacrimoni che scorrevano a dirotto sulle guance tonde, il suo naso che incominciava a colare e la sua voce che chiamava "Dada…Dada…Dada nyé!"4
Registrai quest'immagine in una frazione di secondo. Eppure, forse per un certo senso di colpa per non averlo aiutato, quella visione mi è rimasta così nitida nella mente e sarebbe venuta poi a tormentarmi per tante notti, togliendomi il sonno.
Corsi a perdifiato, calpestando, dando gomitate. Urtai contro un corpo disteso e caddi per terra. Sentii dolorosamente la durezza del suolo contro le mie ginocchia e la polvere bruciare le mie mani scorticate. Mi alzai subito e, curiosamente mentre riprendevo a correre annaspando nell'aria satura di polvere, pensai in quel tragico momento che avevo sporcato la mia bella camicia nuova.
È strano com'è fatta la mente umana: quell'agganciarsi o ricordarsi d'eventi futili come l'aprirsi all'improvviso di una valvola di sicurezza, un rigagnolo di pensiero che aiuta ad allontanare l'angoscia opprimente di un dramma, dell'insopportabile. Fui come scosso in quel tragico momento da un ridere spasmodico, isterico, per ridarmi un certo equilibrio o meglio per cercare di mantenerlo.
Sbucai nella strada di fronte alla posta centrale. Continuai a correre verso il gran mercato. Intorno a me un fiume di gente spaventata correva urlando: "...i carri armati, arrivano i carri armati".
Attorno a me, come in un formicaio, motorini e automobili sfrecciavano ad alta velocità con i claxon che strombazzavano all'unisono. Attraversai la strada di fronte alla discoteca "Le rêve"5 per raggiungere la stazione di benzina della Shell, e per poco non mancai di farmi investire da una stupida Vespa.
Continuai a correre, anche se le gambe mi dolevano e sentivo una fitta insopportabile al fianco sinistro. Rallentai solo quando il mio cuore minacciò di scoppiare, nei dintorni del piccolo mercato vicino al cimitero.
Tutto il mio corpo grondava di sudore. La mia camicia era madida e mi s'incollava fastidiosamente alla pelle. Solo allora sentii qualche cosa d'appiccicoso alla radice del collo, sulla destra. Portai macchinalmente la mano per asciugarmi e le mie dita riportarono un materiale vischioso: un misto di materia cerebrale e grumi di sangue. "Oh Dio! Mio Dio!" urlai inorridito. Come punto sul vivo da una tarantola, ripresi a correre senza più fermarmi, fino a casa, ignaro degli sguardi curiosi e stupiti dei passanti, che ancora non sapevano niente.
Tutto il mio corpo emanava un odore forte e strano: i miei calzoni erano bagnati, intrisi non solo d'urina.
Spingendo con forza la porticina del cortile, davanti agli sguardi attoniti di mia madre, mi precipitai nel bagno. Strappandomi quasi i vestiti, mi buttai sotto la doccia e mi strofinai fino a sbucciarmi la pelle per lavarmi di dosso l'orrore.
Sotto l'acqua gelida riordinai i miei pensieri.
Per prima cosa constatai "sono vivo, sono vivo!". Mi toccai come per accertarmene. Poi, come una vampata di calore, mi tornò in mente tutto. Mi misi a piangere, prima sommessamente, poi a squarciagola come un bimbo orfano.
Lacrime, pianti di dolore, di rabbia e d'impotenza che richiamarono mia madre, la quale, come sempre, per sua fortuna, era in ritardo e si stava ancora preparando per raggiungerci alla manifestazione.
- Figlio, che succede?
- I militari - riuscii a rispondere chiudendo il rubinetto e riprendendo fiato, senza pensare neppure a coprire la mia nudità.
- I militari? Alla manifestazione?
- Volevano ammazzarci, ci stavano uccidendo, hanno sparato a tanta gente. Mamma, è orribile, ci vogliono ammazzare…ci vogliono ammazzare!
A questo punto del suo racconto, Yao si fermò. Prese a dondolarsi avanti e indietro con lo sguardo fisso nel vuoto, pulendosi con la mano tozza e forte, con gesti automatici e ripetitivi, la parte destra del collo.
Il capo della commissione d'inchiesta, che portava avanti le indagini sulla "presunta strage" ai giardini, sbadigliò, si grattò la barba poi si passò il dito nel colletto della camicia, guardando sconsolato al soffitto, il pigro movimento delle pale del ventilatore e chiese indolentemente con distacco:
- Giovanotto, hai visto chi sparava?
- No, signore, ma ho visto cadere quella ragazza e tutti quei morti per terra, tutto quel sangue, sangue innocente sui vestiti bianchi, corpi e sangue, quel bambino che piangeva…
- Hai visto i carri armati, i militari?
- No, non li ho visti, correvo, correvamo tutti. C'era una tale confusione… ma ho sentito urlare: "Arrivano i carri armati!"
- Ma tu, li hai visti?
- No signore.
- Va bene! - concluse ad alta voce il presidente della commissione - Ora puoi andare.
Poi girandosi verso gli altri membri concluse:
- Testimone poco attendibile.
Uscendo, Yao sentì il militare davanti alla porta, urlare:
- Avanti un altro!
Kossi Amékowoyoa KOMLA-EBRI
è nato in Togo nel 1954. È In Italia dal 1974
- E' vincitore della sezione narrativa del III° concorso
letterario Eks&Tra di Rimini nel 1997 con il suo racconto
"Quando attraverserò il fiume"1 ed ottiene il 5°
premio nella edizione 1998 con il racconto "Mal di…"2.
Altri suoi racconti sono stati selezionati e pubblicati dal
concorso Eks&Tra3-4 .
- Un suo saggio è stato pubblicato sul numero di ottobre '99
della rivista Lettere5.
- In corso di stampa due sue opere ( "Imbarazzismi" e
una testimonianza raccolta "Albanese? Non è passaporto vero,
è falso questo") nell'Antologia "La lingua
strappata" con la casa editrice del Leoncavallo.
- E' uno dei premiati con la statuina "Angelo dal cuore
d'oro" di Thun, messa in palio da "Famiglia
cristiana" in occasione del concorso "Le mamme si
raccontano" del 1998 con il suo racconto "Ninna
nanna".
- Autore di diversi articoli sul giornale di strada
"L'incrocio" e sulla rivista "Progetto Africa"
dell'Opera Don Guanella.
- Medico-Chirurgo è sposato e padre di due figli.
- E' coautore con il Dott. Aldo Lo Curto del libro AFRIQUE la
Santé en Images pubblicata e distribuita (anche in versione
inglese) in Africa con il contributo del Rotary Club Lugano-Lago .
- Ha un romanzo e diversi racconti nel cassetto.
- Sta lavorando ad un secondo romanzo.
1 Antologia "Memorie in Valigia" Fara Editore
2 Antologia "Destini sospesi di volti in cammino" Fara Editore
3 "Sognando una favola", Antologia "Destini sospesi di volti in cammino" Fara Editore 1998
4 "Vado a casa", Antologia "Parole oltre i confini" Fara Editore 1999
5 "Differenze", Lettere il mensile dell'Italia che scrive; Anno II Numero7-ottobre 1999
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