CALCE
Nicola Fortuna
Chi non ha mai sentito suonare una sirena? Tutti. Almeno una volta, abbiamo avuto modo di sentirne una. Allarmi, ambulanze, polizia, fabbriche, su dischi, al cinema, alla radio. Ma come oggi agli inizi del nuovo millennio, nel bel mezzo dell’Europa, mai. Suonano quindici venti volte al giorno, in tutta la città... e oltre. Suonano dalle cime dei palazzi sgretolati fin dai tombini giù in strada.
Ho letto tante volte la parola guerra.
Da Fenoglio a Levi, da Céline a Buzzati a Ungaretti, Calvino, Tobino. Mai però mi sarei aspettato di leggerla a caratteri cubitali su tutti i giornali. Incredibile. Indicibile.
Dopo tutti i film e la memoria. Avendo i computer, i cellulari, gli aerei, gli ascensori, gli zampironi, le lampadine. Dopo essere arrivati sulla Luna, su Marte, nell’universo e magari anche un po’ più in là...
Noi, che ascoltiamo il respiro del vento, la terra che vibra...
Avevamo tutto quello che desideravamo porca miseria.
Tutto. Perfino l’inutilità...
Azionisti, banchieri, pay tv, figli rintronati dai video giochi. Robot al posto di operai, manipolazioni genetiche e forni a microonde. Cuori trapiantati, fegati ammezzati, arti riattaccati, pecore clonate, pedofili. Quiz televisivi e nonne attaccate ai telefoni per partecipare. I punti raccolta, il calcio, la moda. Abbiamo avuto anche dei geni, ma non c’è stato niente da fare per evitare sta storia. Lucio Battisti, Rachmaninoff, Carver, Anton Checòv, Da Vinci, De Sica, Tarantino, Giocolieri e fisarmoniche. Far l’amore, le elezioni, il caffè, la marmellata. Conservare e surgelare. Coloranti chimici e additivi per i nostri giovani. Cocaina e succhi di frutta plurivitaminici, aerobica e CD rom, spie, pornografia.
La vulcanizzazione della gomma, i corpi di ballo, la cravatta, i leasing, l’hashish, l’ecografia.
Altre due guerre mondiali grosse quanto questa. Bigodini e macchine per cucire, scaldabagni, passaporti, anfetamine, le tasse, la corruzione, la benzina senza ottani, il vibromassaggio, le otturazioni, le protesi, statue della Santissima che piangono, la Fao, la nutella, lo sfruttamento minorile, l’Onu, la Nato.
Adesso, missili che arrivano quando meno te l’aspetti. Irruzioni di gente in casa venuta a spaccare, razziare e bruciare.
Noi, invece siamo rimasti uniti, organizzati, fuggiaschi e senza troppe patrie da difendere se non la nostra piccola immediata felicità... Siamo un gruppetto di ventotto famiglie, una settantina in tutto; a dividerci da qualche settimana il seminterrato di un liceo. Siamo ancora tutti interi, a pezze e bocconi.
Noi, slavi e romani, bolognesi e zingari, senegalesi e croati, siciliani e polacchi. Non c’è distinzione, solo denti stretti.
Abbiamo turni di guardia che riordiniamo ogni tre giorni. Ci dividiamo latte, uova, carne e poca verdura. Strano, ma oggi come oggi, si riesce a trovare più facilmente carne che verdura, per raccogliere dell’insalata c’è il rischio di perdere una gamba o tutto quanto.
Se da mangiare c’è carne, nessuno domanda se è maiale o gatto o coniglio. Nessuno domanda nulla. Gli unici disposti a rifornirci sono quelli del mercato nero. È gentaglia che ti prende per lo stomaco. Loro non vengono, siamo noi che dobbiamo andare da loro.
Le sirene suonano e nessuno di noi, me compreso, ha voglia di uscire. Gli alleati chiamano la provincia “area a entità di crisi”. Una zona zeppa di rivoltosi che anche se non suonano le sirene, si appioppa sui tetti e spara. Quaggiù piovono proiettili e lacrime.
Le sirene hanno smesso di suonare e qualche signora Rom con feltri ai piedi e coperte sulle spalle si è alzata ad aprire gli scurini alle finestre del seminterrato.
Bora Ljubljianovìc e altri, tengono compagnia ai piccoli. Quadrile, un giocoliere francese, gioca con le uniche tre clavette che gli sono rimaste. Ruba per un po’ di tempo gli occhi dei bambini.
Adesso io, Dejan, e Drogo, andiamo a svuotare le latrine e a disinfettarle con della calce. Rifaremo i sacchi di sabbia alle porte e alle finestre. Ci tocca andare su ai piani, e speriamo bene. A salire c’è il rischio di beccarsi del piombo in qualche punto della faccia. Le sirene suonano di nuovo. Le signore coi feltri richiudono gli scurini. Si riaccende qualche strenua luce. Fuori, non troppo lontano, qualcuno spara.
Non molliamo, uniti e solidali restiamo, resistiamo... e aspettiamo... da quasi dodici anni.
Aspettiamo; parliamo e respiriamo il necessario.
Quando tiri la calce, se non stai attento, può alzarsi una nuvoletta simile a borotalco. Va negli occhi e nei polmoni in un attimo. Se succede, sono cazzi! Drogo, ex-tenente dell’esercito regolare, mi ha tirato indietro appena in tempo.
La nuvoletta tossica si è spolverata a terra. Si è rattrappita e raddensata, su chiazze di pipì e acqua negli angoli della turca. Ha cominciato a friggere. Drogo, m’ha tirato sul viso acqua della sua borraccia, me ne ha fatta bere due lunghi sorsi.
Ha bevuto anche lui. Ha sospirato e sbuffato.
Fuori, il fischio inconfondibile delle sirene riprende, chissà...
Nessuno per ora ha voglia di uscire.
Non appena la calce sarà seccata, la raschieremo e la infileremo nei sacchi alle finestre e alle porte.
Nicola Fortuna (Viareggio, 1972) vive e lavora in Versilia. (In) Calce è la sua prima pubblicazione.
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