GRAZIE PER IL FUOCO
(- brano del romanzo – )
Mario Benedetti
«Dimmi un po': cosa penseresti se fossi io a cambiare?»
«In cosa?»
«In tutto.»
«Rispetto a tuo padre?»
«No, in tutto.»
«Non ti capisco, Ramón.»
«È facile capire. Per esempio: se chiudessi l'Agenzia, se restituissi al Vecchio tutto quello che mi ha prestato e qualcosa di più, se cominciassi assolutamente di nuovo e dal basso, senza aiuti, chiaro.»
«Scusa, Ramón. Oggi non sono disposta a sopportare scherzi. Sono due giorni che mi manca la ragazza e tutto il peso della casa ricade su di me. Ti confesso che sono abbastanza stanca. Scusa se non sto allo scherzo.»
«Non è uno scherzo.»
«Ti dico che sono stanca, Ramón. Mi fa male anche un po' la testa.»
«Non preoccuparti. Era uno scherzo, sai.»
«Non penserai che abbia preso sul serio una cosa del genere.»
«Si, avevo voglia di farti questo scherzo. Non chiuderò l'Agenzia. Continuerò a restituire i soldi al Vecchio con lo stesso ritmo di adesso. Tutto andrà avanti come sempre.»
«Ma Ramón, non so cosa ti succeda. Elenchi tutto questo, che è la cosa più logica, col tono di chi sta dicendo uno sproposito.»
«E forse è uno sproposito.»
«Cosa fai adesso?»
«Farò una doccia. Leggerò un po'. Berrò un whisky.»
«Quando la cena è pronta, ti chiamo.»
«Benissimo.»
Si, è quasi certo che il facile buon senso, questo continuare come adesso, è quasi certo che sia questo lo sproposito. Non sono un eroe ne niente di simile. È bastato che Susana non prendesse sul serio le mie parole, perché io stesso le prendessi per uno scherzo. Non ho voglia di scherzi, ha detto, ed è stato sufficiente perché le mie parole mi suonassero a vuoto. La verità è che so che non cambierò, perché non prenderò nessuna decisione risolutiva, drammatica. Finché si tratta solo di pensieri, di un semplice gioco mentale, allora mi sento pieno di coraggio, ho l'impressione che sto per decidermi, che sto per fare il salto, ma quando viene il momento di creare i fatti e accettarne le conseguenze, allora mi prende una paura irrazionale, un panico simile a quello che mi prendeva da piccolo, con le mosche che io trasformavo in mostri, o con la vacca cattiva, o a vent'anni, con il treno col suo occhio di ciclope, o a venticinque, quando l'autobus mi fece volare. Non so esattamente se sia paura della miseria, dell'insicurezza o del disprezzo degli altri. Forse è qualcosa di meno onorevole di tutto questo. Forse è semplicemente paura della scomodità, della mancanza di comfort. Perché quando penso che la mia vita è grigia, noiosa e rutinaria, non dimentico che la routine comprende una serie di cose insignificanti, ma piacevoli. Se fossi un uomo geniale, o potente, o semplicemente innamorato, queste cose non avrebbero importanza, perché l'importante per me sarebbe l'opera d'arte, o l'esercizio del mio potere, o la pienezza del mio amore, ma poiché non è questo il mio caso, le cose insignificanti ma piacevoli passano a essere stimoli di primo grado. Vediamo: la macchina, il mio studio qui a Punta Gorda, con una buona biblioteca e vista sul mare; questa stanza da bagno, verde e nera, con potenti rubinetti e la vasca da bagno opulenta, dalle curve piene e femminili, una vasca da bagno che avrebbe potuto essere dipinta da Matisse; le mie camicie impeccabili, i miei vestiti ben stirati, le mie cravatte di seta pura; i quadri dello studio e del living, Sposilo, Lima, Gamarra, Frasconi, Barcala, Espinola; i due whisky prima di cena; la terrazza sul retro, con quella incredibile pace di qualche notte d'estate; il mio giradischi stereofonico, con buoni tanghi, buoni blues e un buon Mozart; la Rolleiflex e il suo bell'astuccio con filtri e accessori che non uso mai; i libri d'arte di Skira; il servizio svedese di posate. Mi piace essere circondato da cose belle. È un delitto? Non vorrei mai dei soldi per tenerli nascosti in banca, o per diventare un latifondista, o per speculare in borsa. Non mi importa il denaro in sé, mi importano alcune cose che col denaro si possono acquistare. Non mi importa il denaro in sé, il denaro come tale, ma mi importa come intermediario obbligatorio per l'acquisizione della bellezza materiale, di quei sintomi del mio gusto che abbelliscono i migliori momenti del riposo. Quando si parla di giustizia sociale, si pensa innanzitutto, com'è logico, all'abolizione della fame, ad alloggi dignitosi e puliti, all'eliminazione dell'analfabetismo. Ma dopo questi tré obiettivi urgenti, bisognerebbe aggiungere il diritto dell'essere umano a crearsi un ambiente secondo il suo gusto. Non si tratta di cose urgenti come il pane e un tetto, chiaro, ma neppure di qualcosa rimandabile all'infinito.
Com'è riposante questa doccia tiepida. Ho fatto bene ad allargare i buchi, così esce una pioggia piena, calmante. Non è trascurabile questo piacere di stendermi con la testa in su e ricevere per cinque minuti, senza la preoccupazione di insaponarmi, questa liquida vacanza che sembra lavarmi da vari problemi, falsi scrupoli, reali inibizioni.
(Brano del romanzo Grazie per il fuoco, Il Saggiatore editrice, 1972, Milano, [titolo originale: Gracias por el fuego, 1965], traduzione di Gianni Guadalupi e Marcello Ravoni)
Mario Benedetti è nato a Paso de los Toros, Uruguay, nel 1920. E’ considerato uno dei massimi poeti e narratori viventi. Educato in un collegio tedesco, cominciò a guadagnarsi la vita come commerciante, contabile, impiegato pubblico, giornalista e traduttore. L’ambiente impiegatizio, nel suo grigiore, lungi dal scoraggiarlo, gli fornì argomento di poesia (Poemas de la oficina, 1956). Dal 1945 al 1975 collaborò al settimanale “Marcha” di cui fu anche direttore, la rivista più influente della vita politica e culturale dell’Uruguay e uno dei più importanti dell’America Latina, poi chuso dalla dittatura militare. Ha scritto racconti, romanzi, poesie, drammi, saggi, testi di critica letteraria, copioni cinematografici, testi di canzoni. Con il romanzo La Tregua (1960), Benedetti acquisì notorietà internazionale: il libro ebbe più di cento edizioni, è stato tradotto in diciannove lingue e adattata per il teatro, la radio, la televisione e il cinema. Da allora, lo scrittore uruguagio ha pubblicato più di 40 libri, tradotti in 18 lingue. E’ stato direttore del Centro di Ricerche Letterarie della “Casa de las Américas”, all’Avana, e del Dipartimento di Letteratura Latinoamericana, dell’Università di Montevideo. Dopo il golpe militare del 1973, rinunció all’incarico all’Università e fu costretto all’esilio, durato 12 anni, prima in Argentina e poi in Perù, a Cuba e in Spagna. Nella sua vasta produzione spiccano le sue raccolte poetiche Inventario e Inventario Dos, i canti La muerte y otras sorpresas (1968), Con y sin nostalgia (1977) e Geografías (1984), le novelle Gracias por el fuego (1965) e Primavera con una esquina rota.
Il suo ultimo libro è 'Memoria y esperanza. Un mensaje a los jóvenes' (Ed. Destino). A 84 anni, compiuti lo scorso 14 settembre, Benedetti rivolge un messaggio chiaro ai giovani perchè non si abbandonino al consumismo, al conformismo e al capitalismo dell'"american way of death" che vuole impossessarsi globalmente, di tutto il pianeta.
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