7 + 7
Marina Sassu
24
aprile 1945 (572). Ho finito tutti i quaderni. Oggi scrivo
su questi pochi fogli che mi sono rimasti. Li ho trovati in
camera di Luigi. Chissà dov’è ora! 572
ti guardo e ti sommo. E sai che cosa esce? 5+2=7, 7+7=14 Il
risultato è uguale agli anni che compio domani. Ehi,
mondo, domani è il mio compleanno! E chi se ne frega!
Con lo schifo che c’è là fuori, a chi interessa!
Nemmeno a me me ne frega niente. L’unica che fa finta
che gliene importa è quella stronza di mia madre. Stamattina
l’ho sentita sulle scale: - Vado in paese. Voglio vedere
se l’Alberto mi vende un po’ di zucchero e di farina.
E quella lagna di nonna, che ancora non aveva aperto il rubinetto
del suo pianto quotidiano, ha fatto la sua bella uscita: -
Guarda come piove, Giovanna. Non andare! E l’Alberto,
ti farà pagare un mucchio di soldi inutilmente. Che
cosa speri, che ti parli domani, solo perché gli hai
preparato un dolce? Eh! La nonnina non è scema! Invece
quell’ipocrita di mia madre: - No, mamma. Io vado. Non
mi importa quanto mi costa. Domani è il compleanno di
Ale e io voglio che lui sappia che per me è importante.
Lo so. Sicuramente farà come dice lei: non mi dirà nulla.
Come sempre, ormai. Non mi interessa. Lui deve vedere però che
io gli voglio comunque bene e, anche se con poco, qui noi gli
facciamo festa. E brava! Ma a chi vuol darla a bere? Sono mesi
che fa la parte della madre preoccupata. Certe volte la fa
così bene che sembra vera. Le piacerebbe che ci cascassi:
quando parla di papà e le si inumidiscono gli occhi.
Ma ci poteva pensare prima, no? Invece di farlo andare via,
dopo averci litigato come una furia. Nemmeno un abbraccio gli
ha voluto dare quella notte. E oggi sono già 572 giorni
che non vedo mio padre. E 473 che Luigi mi ha lasciato. Ma
guarda un po’? 473 è come 572. Fa 14! Se ci fosse
qui la Marietta mi spiegherebbe questi numeri alla sua maniera.
Ci vedrebbe sicuramente qualche cosa sotto. Io, invece, ci
vedo solo che se ne sono andati tutti e due e mi hanno lasciato
qui senza una spiegazione, in questa casa dove tutti hanno
una faccia lunga fino al pavimento e non solo perché io
non parlo più. Che vado a fare al piano di sotto? Mi
sono chiuso in questa stanza con le mie poche cose. Scendo
quando è pronto da mangiare. Poi mi richiudo dentro.
Solo alla chitarra di nonno non so resistere. Apro un po’ la
porta, ma devo stare attento. Se ne sono accorte tutte e due,
mia madre e mia nonna, e qualche volta hanno provato a scocciarmi.
Ma tanto non mi piego. Non parlo. Loro pensano che io sia malato.
E già, è una bella spiegazione. Comoda! Così,
specialmente mia madre, si preoccupa e si mette la coscienza
a posto. Ma io gliela devo far pagare. Perché è sua
la colpa. Quella notte, non la posso dimenticare. E’ inutile,
mi torna in mente sempre. Continuo a raccontarmela. Forse mi
fa male e magari è peggio, ma è più forte
di me. Erano state le settimane più belle delle ultime
estati. Non vedevo mio padre da più di un anno e quando,
all’improvviso, è tornato una mattina, mi è sembrato
di sognare. Se ci penso, che bello che è stato alzarmi
e trovarlo in cucina. Era lì che parlava con Luigi,
mentre Marietta gli preparava una zuppa di latte. Quando è arrivata
mamma - dove era andata? Forse a fare la spesa presto, per
evitare la fila - la sua faccia sembrava veramente contenta.
Ci abbiamo creduto tutti! In quei giorni è stato sempre
sempre con noi. Non è praticamente uscito mai di casa.
Abbiamo giocato a scacchi tutti i pomeriggi. Che bello! Gli
ho fatto vedere quanto sono diventato bravo da quando lui è andato
in guerra. Poi, invece, alla fine del mese, quella notte, mi
sono svegliato all’improvviso per le voci che sentivo.
Cerca di capire, no, tu non ci vuoi bene, tu pensi solo a te,
che significa che non puoi fare a meno, ma io lo faccio per
noi, per noi tutti, non posso vivere così, se lo fai
vuol dire che non mi ami, ma no, ma no, ascolta, no, vattene
via, allora, vattene via subito, non rimanere neanche un minuto
di più. Dallo spiraglio della porta che avevo aperto
li vedevo tutti e due nell’anticamera; e anche Luigi,
dalla stanza di fronte alla mia, stava assistendo come me alla
scena, senza mostrarsi a loro. Poi papà ha cercato di
abbracciarla, ma lei si è scostata. Anzi, lo ha lasciato
lì, davanti la porta di ingresso, andando a chiudersi
in camera da letto. Lui l’ha seguita, le ha detto ancora
qualcosa, ma non so che cosa. Avevo chiuso, perché non
mi vedesse passando davanti alla mia stanza. Prima di tornare
all’ingresso si è fermato davanti alle nostre
porte: ho visto la sua figura dal vetro. Ma non è entrato.
Io ho esitato troppo. Sono stato proprio un bambino. Quando
ho messo la mano sulla maniglia, ho sentito la porta di casa
che si chiudeva. Ogni volta che ci penso sto male. Non devo.
Non devo farlo. E stasera non c’è neppure la musica
di nonno a consolarmi. E’ tardi. E lui è a letto
da un pezzo. Non ha nemmeno cenato stasera. Dicono che ha un
po’ di febbre. Lui non parla molto e è sempre
triste, ma almeno non scoccia, come fa nonna che piagnucola,
come se papà fosse morto.
25 aprile 1945 (573). E’ l’alba. L’alba del
giorno del tuo compleanno, Alessandro! Auguri! Ma che ci faccio
degli auguri? Non è più come quando ero bambino,
che i nonni venivano a Milano e a pranzo mangiavamo tutti insieme,
poi mamma e nonna si chiudevano in cucina con Marietta per terminare
di preparare la torta per i cugini e gli zii, che venivano nel
pomeriggio. Quella torta! Con la crema al cioccolato! Che poi,
quando loro avevano finito di decorarla, chiamavano Luigi e me
e ci facevano ripulire la terrina, e noi ci disegnavamo i baffi
marroni davanti allo specchio dell’ingresso! Che risate
con Luigi. Luigi, chissà dove se ne è andato pure
lui. Quando papà è partito potevo almeno contare
su di lui. Poi, invece … ma ha fatto bene. Se fossi più grande,
anch’io me ne andrei. E chissà, forse ce l’ha
con me perché non ho più parlato neanche con lui.
Ma non potevo. Chissà se lo ha capito che non potevo.
Mi guardava da sopra i suoi libri. Mi osservava e a lui, io,
volevo dire qualcosa, ma poi mi sono sempre detto che era meglio
che pure con lui facessi la stessa scena. E poi ormai ci credevano
tutti. Mi è venuta bene fin dall’inizio. La mattina
dopo che papà se ne è andato a me è venuta
la febbre, ma questo non è bastato a fermare mia madre.
Mi ha avvolto in una coperta e siamo saliti sull’auto di
zio, con tutte le valige, per venire qui. E io zitto, stavo troppo
male, non per la febbre, ma per tutto il resto. Poi è andata
a parlare con il direttore della scuola e, quando sono guarito,
mi sono ritrovato nella classe di Gino e dei suoi amici. E lì ho
deciso di iniziare la mia vera guerra, alzando il muro. Neanche
con lui parlavo più. Poveretto, quanto c’è rimasto
male! Mi ha chiesto se facevo così perché lui mi
aveva fatto qualcosa. Mi ha pure detto che, se volevo, mi restituiva
i soldatini che gli avevo regalato alla fine dell’estate.
La maestra si è dannata per un mese, cercando di tirarmi
fuori almeno un sì o un no e poi si è arresa. Ha
fatto chiamare mia madre dal direttore e, insieme, le hanno detto
che era inutile che io continuassi ad andare a scuola, perché era
come se non ci fossi. Lei per poco non sveniva e, alla fine,
mi ha portato qui a casa. Ci ha provato in tutti i modi con me,
mi ha portato dai dottori e ha assillato talmente tanto Luigi,
tutti i giorni, a forza di dirgli stai con tuo fratello, cerca
di capire che cos’ha, possibile che non parla neppure con
te, forse tu me lo nascondi, ma con te parla e vi siete promessi
di non dirmelo, ma tu me lo devi dire, io poi faccio finta di
niente, gliel’ho sentito dire più di una volta,
basta che lo so, che so che non è malato e tante altre
balle, che quello alla fine se ne è andato pure lui. M’ha
fatto proprio una bella sorpresa! La mattina dell’Epifania,
vicino al letto, ho trovato il pacchetto con tre quaderni con
le copertine illustrate che piacciono a me, la sua penna stilografica,
tre arance e il biglietto: Torno, non ti preoccupare, poi ti
spiego tutto. Accidenti, non bastava che finissi i quaderni,
adesso anche l’inchiostro è finito. E se non parlo,
non posso chiederlo. Userò la matita. Cara matita, hai
fatto proprio bene a non tornare nel taschino di nonno e a rimanere
sul tavolo della cucina l’altro ieri! Che stupido, volevo
andare a gabinetto e, invece, per farmi gli auguri, mi sono messo
a scrivere e ora si stanno alzando tutti. Devo aspettare. Farò finta
che dormo a lungo, proprio non mi va di sentirli: buon compleanno,
come stai? Buon compleanno, buon compleanno, buon compleanno!
Anzi, non scendo proprio. Me ne sto qui fino a ‘stasera,
così mia madre si preoccupa di più. Fuori piove,
perché alzarmi!
Ho
dormito tutto il pomeriggio. Fino alle sei e mezzo. Ho sognato.
O forse era già vero. Mi è sembrato di sentire
le voci di papà e di Luigi. Mi sono tirato su dal letto:
c’erano passi sulle scale. E’ stato ancora più bello
di quando è tornato a casa, a Milano, due anni fa. La
porta della stanza si è aperta mentre mettevo la mano
sulla maniglia e me li sono trovati davanti: prima papà e
poi il mio fratellino. Stavolta non dovevo fingere. Sono rimasto
per un po’ veramente senza parole. Mi hanno abbracciato,
tutti e due, e dopo mi hanno chiesto: - Ma lo sai che giorno è oggi?
E io, lì non ce l’ho fatta più: - Certo
che lo so, è il 25 aprile! E’ venuta pure mia
madre, che piangeva, e tutti insieme hanno ripetuto: - Sì, è il
25 aprile ed è festa. Oh sì – gli ho detto – è il
mio compleanno! Si sono guardati negli occhi, ora ridevano,
tutti, e hanno aggiunto: - E’ festa grande, Alessandro.
Finalmente è finita la guerra. Siamo liberi! Da oggi
in poi sarà sempre 25 aprile! Io questo non l’ho
tanto capito. Domani glielo chiedo. Ora è tardi e sono
tutti andati a dormire. Mia madre è venuta a darmi un
bacio. Io vorrei ancora avercela con lei, ma ho l’impressione
di non aver capito un po’ di cose. Verrà il tempo
anche per queste domande. Intanto sono contento di aver scritto
i miei quaderni e questi ultimi fogli. Queste sono le ultime
righe. A me non serve più. Domani, quando riuscirò a
stare da solo con te, papà, dopo che mi avrai spiegato
meglio dove sei stato, te li regalerò.
Marina
Sassu, 1957, è nata e lavora a Roma. Ama
inventarsi storie e scrivere racconti, che sottopone, prima di
tutto, al giudizio di figlia e compagno. Dopo qualche corso di
narrativa ha iniziato a dedicare sempre più tempo a questa
attività. Ha pubblicato qualche intervento su Omero e brevi
racconti su Sagarana. Altre passioni: lettura, cinema, viaggi.
E cucina, che considera molto simile alla scrittura.
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