TRASFORMARE
L’INDIGNAZIONE IN ATTI GLOBALI
Emir
Sader
“Questo
nostro movimento ha bisogno di una grande vittoria, di una
vittoria globale”. La frase, della scrittrice indiana
Arundhati Roy, pronunciata nel discorso di apertura del IV
Forum Sociale Mondiale, che si è recentemente svolto
a Mombay, evidenzia un sentimento crescente e ormai largamente
condiviso: quello che i Forum Sociali Mondiali sono fini a
se stessi, sono straordinari spazi di riunione di tutti quelli
che si oppongono alla globalizzazione neoliberale e ottime
occasioni di scambio di esperienze, ma sono incapaci di formulare
alternative globali e avviare la costruzione dell’ “altro
mondo possibile”.
Non basta essere quella che il New York Times ha chiamato “l’altra
superpotenza” durante le grandi manifestazioni contro la
guerra in Iraq, che comunque non sono riuscite ad impedirla. “Non
basta aver ragione”, dice Arundhati, “è importante
ottenere anche qualche vittoria”. E’ necessario dimostrare
che la ragione e la forza morale possono trasformarsi in capacità reale
di cambiare le cose nel mondo.
Perché ciò avvenga non è fondamentale che
ci sia unanimità, bastano alcuni consensi, avere un programma
base. Un programma comune a tutti quelli che si riuniscono nei
Forum Sociali Mondiali, regionali, nazionali e tematici: la lotta
contro il neoliberalismo e contro l’egemonia imperiale
nel mondo. Arundhati propone che l’occupazione dell’Iraq,
che sarebbe il culmine di questi due temi, sia l’ispiratrice
di questo programma. Dunque cominciare con qualcosa di piccolo.
La questione non sarebbe appoggiare la resistenza irachena contro
l’occupazione o discutere da chi è realmente composta
questa resistenza, se da vecchi agenti del Baath o da fondamentalisti
islamici.
Arundhati propone la realizzazione di una resistenza globale
all’occupazione, che cominci col non legittimare l’occupazione
statunitense dell’Iraq, e quindi col rendere impossibile
materialmente, all’impero, la realizzazione dei suoi obiettivi.
Significa che i soldati dovrebbero rifiutare di combattere, i
riservisti dovrebbero rifiutare di servire l’esercito,
i lavoratori dovrebbero rifiutare di caricare di armi, navi
e aerei.
Arundhati propone anche che si identifichino due delle maggiori
corporazioni che stanno lucrando sulla distruzione dell’Iraq,
e che si faccia una lista dei progetti nei quali sono coinvolte,
localizzando le loro installazioni in tutte le città e
in tutti i paesi. Si dovrebbero chiudere queste installazioni,
impedirgli di funzionare, avvalendosi delle conoscenze e dell’esperienza
collettivamente accumulate.
Altre iniziative simili, anche queste discusse in India, indicano
le oltre 150 basi militari statunitensi nel mondo come obiettivi
possibili di azioni di protesta.
La scrittrice indiana tenta di rispondere a una necessità reale,
del movimento, di una globalizzazione altra. A prescindere dalla
straordinaria ripercussione nel mondo, infatti, il Forum Sociale
Mondiale non è riuscito a formulare un’alternativa
globale che definisca come dovrebbe essere il mondo post-neoliberale.
Allo stesso tempo non è riuscito ad effettuare cambiamenti
significativi nel mondo, secondo le proprie idee, se non indirettamente
e solo in alcuni casi.
Il Forum Sociale Mondiale, nel 2005 torna a Porto Alegre, sua
sede permanente, con l’obbligo di approfondire formulazioni
politiche, strategiche e di aver realizzato capacità concreta
di mobilizzazione, ma anche di ottenere risultati concreti. A
questo scopo deve liberarsi di definizioni strette ed escludenti,
come quella delle ONG, che pretendono che il movimento riunisca
solo membri della “società civile”- un concetto
liberale che ha in comune con il neoliberalismo il rifiuto di
Stati, governi e partiti. Il Forum deve lavorare per la costruzione
della resistenza globale alla quale si riferisce Arundhati, in
caso contrario, se non assumerà carattere politico mondiale,
anche alleandosi con governi e movimenti di governo come la creazione
del G-20 e del nuovo Mercosul, rimarrà uno spazio di manifestazione
del malcontento in relazione al mondo così com’è,
ma incapace di avanzare verso l’“altro mondo possibile”.
(Traduzione
di Julio Monteiro Martins insieme ai suoi studenti dell’Università di
Pisa: Lorenzo Tamburini, Marco Merlini, Chiara Zucconi, Alessandra
Pescaglini, Francesca Renda, Leonora Milani, Annalisa Carbonella
e Simona Giannaca)
Emir
Sader è Professore di Scienza Politica all’Università di
Rio de Janeiro e scrive regolarmente sul Jornal do Brasil,
da dove è stato tratto questo articolo.
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