RATZEK
Antonello
Piana
da
Thomas Brasch e Hilde aus der Stargarder
Ero
riuscito a passare la linea del fronte senza cadere tra le
braccia dei russi o della Wehrmacht, che sarebbe stata sventura
peggiore. Ho avuto la buona sorte di incappare in una cascina
abbandonata dalle parti di Müncheberg e mi sono nascosto
nella tinaia, sotto una botola della cucina, con le mie due
fiaschette d'acqua che avevo riempito da una damigiana. Ero
sicuro che si sarebbero presto sentiti i nostri allo sbando
con i russi che li incalzavano, e solo dopo il passaggio
di entrambi i convogli sarei sgusciato fuori per rimettermi
in cammino verso casa. Tre giorni piú tardi ho sentito
l'eco lontana delle batterie e dell'artiglieria, si combattevano
gli ultimi tafferugli, il segno che i russi erano ormai alle
porte e la battaglia decisiva sulle colline dell'Oder, come
c'era da aspettarsi, era stata perduta. Ho aspettato altri
due giorni nascosto dietro mucchi di carbone, ti puoi immaginare
con due libbre di pane secco come mi sentivo, quindi sono
uscito fuori e me ne sono tornato a piedi in città tenendomi
a distanza dalle strade, quasi un miracolo non incontrare
anima viva fino a Strausberg. Ogni tanto vedevo qualche divisa
da lontano ma riuscivo a nascondermi nel bosco o a cambiare
direzione, solo una volta me la sono dovuta dare a gambe
tra gli alberi. Dopo un po‘ impari il gioco, senza
divisa non era cosí rischioso come suona. Da bambino
facevo lo stesso con gli amici nelle campagne e poi i russi
oramai avevano vinto, non avevano piú niente da temere,
men che meno da un uomo solo. Un paio di volte ho perso la
bussola e ho girato a vuoto tra i boschi di Buckow per giorni,
quello era il pericolo piú grande.
Di Berlino era rimasta in piedi, cosí a occhio e croce,
una casa sí e una no, contando pure quelle bruciate o
sforacchiate, una probabilità su due di trovare Margarethe
in vita, mi dicevo stringendo i denti per le piaghe ai piedi.
Non so se mi capisci, tu sei cresciuto in campagna, la fame e
la guerra è uguale dappertutto, però tu eri sicuro
di trovare casa tua al suo posto, forse un po' malandata, se
il fronte era passato vicino, o se hai la disgrazia che le SS
o i russi hanno piantato una guarnigione nel circondario, ma
per quel che ho capito non era il caso tuo. Per me invece era
tutta un'altra faccenda, le notizie dei bombardamenti filtravano
fino in prima linea, girava voce che gli inglesi passavano tutte
le notti senza badare dove cadevano le bombe incendiarie, in
confronto i Ratas sovietici sulla Desna erano giocattoli per
bambini.
Però quando sono arrivato nel quartiere mi è calato
un peso dal cuore, c'era stata sí battaglia casa per casa,
però i bombardamenti alleati, quelli avevano colpito qualche
caseggiato qua e là, ma la maggior parte era ancora in
piedi. Aveva quasi l'aspetto di un miracolo, mi chiedevo com'era
possibile che il quartiere se l’è cavata cosí a
buon mercato, in confronto a quelli vicini, Mitte o Friedrichshain.
Non pensare che faccio i salti di gioia, avevo il cuore pesante
come un obice e affrettavo il passo, ma almeno Margarethe, speravo
piano, almeno Margarethe.
Il babbo era stato ammazzato l'anno avanti sul Dnepr, arruolato
sei mesi prima che non si vedeva piú il naso, e la mamma
di crepacuore poco dopo, aveva sempre avuto qualche noia ai polmoni
ma non era un caso. Margarete aveva sopportato da sola gli ultimi
tempi, la lettera piú recente era vecchia di mesi, ormai
la sapevo a memoria, esco lo stretto necessario, giusto il
tempo di vendere qualche pezzo buono di casa per riempire un
po' la
dispensa, per fortuna che la mamma era morta prima. Anch'io ogni
tanto le scrivevo, cartoline piú che lettere, sono vivo,
punto. Alcuni commilitoni non resistevano alla tentazione di
sfogarsi, di raccontare piú di un particolare sulla vita
al fronte, ma rischiavano il collo inutilmente, la censura selezionava
una quantità di lettere da aprire a caso e se li pescavano,
e poi era meglio che la gente a casa non sapeva un bel nulla.
Con quello che si sentiva in giro dei russi Margarete non avrebbe
avuto scampo, la dovevi vedere, snella e forte come un tiglio,
i capelli folti e i fianchi, non aveva perduto nulla in quegli
anni in cui mancava pure l'acqua. Buongiorno Gretchen, le avevo
detto sulla soglia, eccomi di ritorno. Karl, mi ha risposto,
pensavo ormai che eri morto anche tu.
In casa restava ben poco, anche perché Margarete era riuscita
a portare in cantina gli oggetti di valore, il suo bracciale,
l'orologio, la radio, li aveva nascosti sotto un mucchio di mattoni
che non si sa mai, e aveva fatto bene, perché ci sono
serviti nei primi tempi a tirare avanti. Io andavo per le campagne,
uscivo la mattina presto, perché alle nove passavano i
russi a bussare casa per casa in cerca di "volontari" per
spazzare le strade del quartiere, e dovevi vedere come venivano
pulite, non c’era paragone rispetto a prima, anche merito
di Margarethe, come se non aveva di meglio da fare. Ma ti dicevo,
uscivo presto e tornavo solo la sera, in bicicletta o in treno
da Lehrter Bahnhof era lo stesso, ci mettevi tutta la giornata.
Nelle campagne non ve la passavate mica male, si trovava di tutto,
pane, latte e uova, perfino la carne. Il problema era pagare,
voi contadini vi approfittavate del bisogno. Per primo il braccialetto,
poi il tappeto, l’orologio d’argento del nonno, infine
la radio, quello era il sacrificio piú grosso, era di
compagnia nei primi tempi, anche se i programmi erano quelli
che erano, ma si prendeva la stazione inglese. Infine toccò al
letto, a Margarete dispiaceva, l'ultimo mobilio rimasto, la casa
era vuota, l'armadio lo avevo fatto a pezzi per la stufa, quell'inverno
si moriva di freddo e poi non c'era piú niente da metterci
dentro.
Quando abbiamo finito i pezzi da barattare Grete ha domandato
sconsolata e adesso come si fa?, ma io avevo già visto
in Russia come funzionava col baratto, quando nei territori occupati
si era interrotto l'approvigionamento, e ormai conoscevo qualche
contadino dalle parti di Malchow a cui procuravo le sigarette,
e cosí sapevo già chi aveva bisogno di una mano,
si avvicinava la raccolta dei cavoli verzotti e delle rape, e
quella delle patate era appena cominciata. I campi erano trascurati
da quando l'esercito s'era preso voi contadini, molti non sono
tornati dalla Russia nemmeno ora, e cosí abbiamo tirato
avanti per un po‘. A voi contadini fa difetto un po' di
fiducia nel prossimo, e sorvegliavate sempre i braccianti cittadini
con la coda dell’occhio o con la moglie, cosí non
riuscivo a nascondermi niente nelle brache. L’unica era
mangiare un po' sul momento, pensa la fame, con le carote si
poteva fare, non con i cavoli e le patate, però a raccolta
finita in genere i contadini mi lasciavano tornare sul campo
a scavare qualche asparago o patata dimenticata, non era molto
ma meglio di niente, e dei cavoli rimanevano sul terreno le foglie
esterne, messe insieme un bel mucchio, verdi e coriacee, Margarethe
ci faceva uno sciroppo sulla stufa.
Infine c‘era rimasta una stuoia, quella che la mamma aveva
comprato prima della guerra come scendiletto, ora era diventata
il nostro letto vero e proprio ai piedi della stufa. La legna
era merce rara e quando non era umida bruciava a vista d'occhio,
altro che carbone, in poche ore tutta cenere, senza contare gli
scoppiettii della corteccia. Non c'era mica da fare i preziosi
ma ti giuro, non si prendeva sonno finché non si era spento
l’ultimo tizzone, perciò tutte le chiacchiere abbracciati
l'uno all'altra per il freddo. Avevo l'impressione che non eravamo
solo noi, non tutto era da buttar via in quei primi tempi, la
gente unita e solidale come non s'era mai vista. Per strada ti
fermavano tutti a chiederti come ti va, gente che conoscevi di
vista e prima della guerra nemmeno ti salutava. Nessuno che regalava
niente, c'era troppo bisogno per fare i signori, ma lo sai che
le informazioni essenziali sul mercato nero si venivano a sapere
solo cosí, per giro di voce, non si trovavano mica sul
giornale, chi aveva qualcosa da barattare o chi aveva macellato
un porco, potevi andare a chiedere se ti lasciavano le interiora
a poco. Per mesi non abbiamo visto l'ombra di carne rossa o di
una salsiccia, se ti andava bene le trippe o i reni, le ossa
per insaporire il brodo erano già per la domenica. A me
mi interessava molto anche sentire come la gente aveva passato
la guerra, quanti morti hai avuto al fronte e quanti in cantina,
bastava aprir bocca per sentirsi raccontare i destini piú diversi,
storie anche comiche, non c'erano solo le tragedie familiari,
uno scambio di consolazioni che aiutava a tirare avanti. Sempre
cosí, nel momento del bisogno la gente si stringe insieme,
come ci stringevamo con Grete sulla stuoia al freddo, quasi inevitabile,
si battevano i denti e io le raccontavo qualche storia di soldati,
anche se non me ne venivano in mente tante. Avevo sí la
sensazione di averne viste parecchie, Belgio e Francia fino al ’41,
poi sul fronte orientale Masuria, Ucraina e Russia bianca, la
Rutenia bianca delle SS che era diventata un unico cimitero enorme
di compagni abbandonati sul terreno. E alla fine la difesa disperata
e senza senso di Varsavia, e poi la ritirata fulminante e disordinata,
centinaia di chiacchiere e impressioni durante gli spostamenti
in treno e la notte al freddo, quando ti dovevi scavare la fossa
da solo se volevi chiudere occhio per qualche minuto. La terra
nuda era spesso l'unica per scaldarsi, oltre allo schnaps, quello
non mancava mai, si combatteva tutti ubriachi fradici e morti
di sonno. Nessuno riusciva a chiudere occhio per un'ora di fila,
nemmeno i sottufficiali, che spesso dovevano scavarsi una fossa
pure loro, vecchia usanza prussiana per tenere su il morale della
truppa. Ma poi bastava vedere il casermaggio degli ufficialetti
per farti salire su una rabbia, studenti della buona borghesia
che discutevano di guerra come di un'attività sportiva,
e si preoccupavano soprattutto di arredare una baracca per portarci
le ragazze del posto o di trovare tra i soldati quattro musicisti
per una piccola fanfara, e dormivano al calduccio anche al fronte
senza la paura dei partigiani bielorussi. Al fronte per modo
di dire, la maggior parte non riusciva a vederlo nemmeno col
cannocchiale e non gli pareva vero.
Ho dimenticato molto di quel periodo, cosa che uno non si spiega,
eppure anche quando le vedi con i tuoi occhi o raccontare dai
commilitoni. Ho dimenticato le facce da latte delle giovani reclute
che arrivavano fresche fresche al fronte, ventenni entusiasti
e patriottici che realizzavano il loro sogno di guerra, il sogno
del fronte orientale. Noi coscritti del '38 tremavamo dalla paura
dei partigiani nei boschi russi, ma ringraziavamo il cielo di
essere al fronte dalla prima ora. Non avevamo nemmeno il tempo
di commiserarle, le reclute deliranti e fanatiche che si gettavano
in avanti con il Führer in bocca, non duravano in media
piú di due settimane e non erano di nessun aiuto, carne
da macello per i partigiani e l'armata rossa. E ho dimenticato
anche le facce di quelli che all'improvviso si rifiutavano perfino
di andare avanti, quelli che ti costringevano a fucilare sul
posto, e miravi al petto cercando di non guardare le facce imploranti
che il giorno prima ti avevano passato lo schnaps grazie al quale
riuscivi a premere il grilletto. Sul momento pensi che non te
le dimentichi piú e invece poi sulla stuoia mi veniva
un vuoto nel cervello, una specie di mal di testa, tutti gli
scoppi nelle orecchie, che per farlo passare chiedevo a Grete
di raccontarmi qualche storia lei. Lei sì che le sapeva
raccontare, non come me, a volte parlava per ore e cosí ti
addormentavi. Non che erano noiose, ma mi facevano dimenticare
anche il freddo e il rumorino nello stomaco, troppa minestra
e poca sostanza, e si vedeva che era contenta, che ne aveva bisogno
pure lei.
Dí la verità che non riesci nemmeno a immaginarti
i combattimenti casa per casa e i bombardieri inglesi, erano
stati terribili per Margarete, aveva dovuto chiudere a chiave
l'appartamento e si era rifugiata in cantina insieme a tutti
gli inquilini del palazzo e pure qualche altro disgraziato: ci
siamo trovati fra due fuochi, le SS nella scuola sulla Pappelallee
passavano a reclutare vecchi e ragazzi per i carri armati, mentre
i russi avevano appostato i tiratori sulla chiesa cattolica della
Wichertstrasse. Le SS dicevano che i russi erano stati respinti
fino a Bernau o addirittura a Francoforte sull‘Oder, in
verità due giorni dopo erano sul campanile e tiravano
anche ai gatti, se si provavano ad attraversare la strada. Margarethe è rimasta
più di quattro settimane rinchiusa in cantina, anche se
uscivano a turno, il tempo di mettere insieme qualcosa da masticare,
chi cercava l'acqua, chi il pane, la carne, piselli o un
quarto di cavolo, poi si metteva al centro e si mangiava tutti. A breve
distanza c'era una stalla, ogni giorno un quarto di litro
per il bambino di Hannelore, tutto gratis, soldi non ne aveva
piú nessuno,
oggi te lo sogni la notte. Di giorno il problema piú grosso
era l'acqua, il bambino di Hannelore è rimasto vestito
otto giorni di fila. Le fasce nere come pece. Acqua non ce n'era.
Ma non ha aperto bocca per reclamare una volta, e non poteva
nemmeno sedersi, poverino, e invece noi sì. Letti non
ce n'era, a parte per il bambino, e si dormiva seduti e tutti
vestiti. Una porcilaia. Otto giorni senza lavarsi, otto giorni
senza cambiarsi, qui pure fa schifo ma almeno ti puoi lavare,
ti devi se no le tocchi, però in quella cantina ammuffita
avevi dovuto starci. In marcia con l’esercito è una
cosa, all’aria aperta e in movimento, con tutti gli strapazzi,
ma ti voglio vedere quattro settimane nella cantina in cui
il vecchio Erich non poteva nemmeno stare dritto, e non era due
metri di sicuro.
Una volta Gretchen era uscita a ordinare del pane, c’era
ancora qualche fornaio che lavorava a buon ritmo, il piú vicino
la Brotfabrik sulla Greifenhagener - e sai cosa dovevi portarti
dietro se volevi una pagnotta? Un secchio d’acqua e tre
brichetti, altrimenti niente, e dopo c'era anche da pagare, ma
tant’è, i fornai non avevano piú acqua né carbone,
e neppure a guerra finita è cambiato molto, almeno nei
primi tempi. Ma dicevo, al ritorno dal fornaio, quasi a casa,
viene spinta a terra dall’esplosione di una granata, sembra
quasi che le scoppia sopra la testa, e il primo pensiero alla
cantina a due passi, sul momento ho visto solo il fumo e
la polvere, e ho pensato che ci sono rimasti tutti, e ho preso
a gridare
a piú non posso e a dare di matto, e la gente è uscita
in strada dalle urla e l’ha stesa a terra per calmarla,
non c’era altro verso, e tutto per niente, la granata era
caduta all’incrocio e aveva ridotto male l’inferriata
della chiesa, per quello che serviva, a proteggere l’erbaccia
che cresceva da anni nel cortile.
Hannelore era andata in cerca dei suoi parenti che abitavano
non so dove nella marca, era talmente disperata che non distingueva
piú il pericolo, non sopportava di fare la fame quando
i parenti nella marca sono mugnai, ma non aveva il coraggio di
portarsi dietro il piccolo Hermann, per fortuna, perché poi è scomparsa
senza lasciare traccia e anche oggi nessuno sa che fine ha fatto.
Margarethe si era presa a cuore il bambino, e cosí qualche
settimana dopo il mio ritorno, appena la situazione si è assestata
un po', mi sono legato il bambino sulla schiena e siamo partiti
in bicicletta alla ricerca di Hannelore e dei parenti. Conoscevo
il villaggio dove abitavano, anche se non sapevo l'indirizzo,
ma il paese era piccolo e si conoscevano tutti, non ho avuto
difficoltà a trovare i parenti. Erano contenti di rivedere
il piccolo Hermann, lo avevano visto solo una volta quando era
nato, c'era già la guerra e ognuno ne aveva abbastanza
per i fatti suoi, ma le donne erano venute lo stesso. Oramai
camminava da solo, vedi com'è composto, sembra proprio
un ometto, ma quando si sono resi conto che doveva restare da
loro hanno cambiato faccia. Hannelore dai parenti non c'era mai
arrivata e ormai c'erano poche speranze che si faceva viva, aveva
fatto una brutta fine come pensavo io, o se l'era squagliata
chissà dove, come disse il mugnaio con la bocca storta.
Mi facevano salire il sangue alla testa i parenti che si lamentavano
di sfamare una bocca in piú, come se facevano la fame,
e invece in confronto a noi che abitavamo in città, l'unico
mulino dei paraggi e servivano pure un battaglione di russi in
paese, pagavano sottoprezzo, ma una guarnigione con soldati a
dozzine, pensa le pagnotte tutti i giorni. Il mugnaio aveva pure
insinuato che era tutta una truffa che avevo organizzato io per
scroccargli il pane, che il bambino non era figlio di Hannelore.
Ero sul punto di spaccargli la testa, ma poi ho fatto per andarmene
col bambino e allora le donne sono scoppiate a piangere e il
mugnaio ha cambiato idea, ha chiesto pure scusa e il bambino
alla fine è restato da loro. Me ne sono andato poco sollevato,
anche oggi non so se ho fatto la cosa giusta, ma tant'è,
non avevamo il diritto di tenerci il bambino e niente o quasi
da offrirgli.
Poco prima del mio ritorno c'era stato il saccheggio dei bunker
di Humboldthain, da noi di bunker non ce n’erano proprio
e non avevamo potuto neanche rinforzare la cantina con una porta
d’acciaio, come avevano fatto tanti altri per le bombe
incendiarie, sono stati tutto il tempo a sedere su un barile
di polvere. La cantina non li avrebbe protetti dagli incendi,
se la casa prendeva fuoco avrebbero fatto tutti la fine del topo.
Le bombe al fosforo non si potevano mica spegnere, non so se
hai mai visto i piedi di chi è affondato fino alle caviglie
nel bitume delle strade, liquido come le sabbie mobili ma rovente.
I bunker venivano smobilitati uno a uno, bisognava approfittare
dello scarto tra la partenza delle SS e l'arrivo dei russi, e
se avevi fortuna potevi trovare zucchero e sale a sacchi interi,
fagioli e patate, mentre Frau Schultz aveva messo gli occhi addosso
al negozio di scarpe di Kowalski, quello sulla Gleimstraße.
Se ne arriva una notte con un sacco pieno, parola, aveva arraffato
di tutto a caso, ed era tornata impettita come suo solito con
un sacco dietro la schiena, e poi la bella sorpresa, tutte sinistre,
giuro, non ce n'era una destra. Tu adesso ridi ma sul momento,
Karl, ci saremmo calzati tutti per dieci anni e invece quella
stupida della Schultz.
In quei primi mesi passavano continuamente i russi per le case,
i soldati, non gli ufficiali, si erano sistemati sulla Göhrener
Straße, una volta erano entrati in casa che io ero fuori
a far legna. Se ti fermavano a un controllo di ronda potevi scordarti
la legna, se la tenevano loro e ti chiudevano la bocca a schiaffi,
ma quel giorno ero venuto a sapere per caso che stavano demolendo
un rudere all'angolo con la Duncker e nel cortile avevano buttato
giú un albero, cosí sono uscito insieme a Gutschke,
che prima della guerra era falegname, e siamo andati a segare
qualche bel ramo per la stufa. Sai come faceva Grete a far legna
prima che tornavo? Stava a sentire in che direzione cadevano
le bombe e dopo che suonava la sirena correva a vedere se avevano
buttato giú qualche albero in un viale o in un cortile.
Doveva fare in fretta, non era mica l’unica in cerca. E
sai come trasportava poi i pezzi di legno lasciati dalle bombe?
Li faceva rotolare con i piedi fino a casa, con i gradini, la
neve se c'era e le salite e tutto il resto. Ma dicevo dei russi,
Margarethe era sola e i soldati le avevano messo gli occhi addosso,
si erano infilati in casa con la scusa di un controllo d'ordinanza.
Si avvicinavano tutti insieme, saranno stati quattro o cinque,
circondandola per non farla sgusciare, ma lei è sempre
stata sveglia, è scartata di lato verso la finestra, l'ha
aperta e ha gridato in strada Kommandant!, Kommandant!, e i soldati
hanno saltato la porta in un lampo, li avrei voluti vedere, si
son fatti le scale di corsa. Gli ufficiali russi non scherzano,
lo sai, se violenti una ragazza c'è il plotone, anche
oggi, senza processo.
Ci sarà scritto da qualche parte che i soldati devono
farsi la ragazza, in fondo i russi non erano nemmeno il peggio,
prima anche le SS avevano le ragazze, e poi anche gli americani,
e le ragazze devono pur mangiare, ma Grete no, Gretchen era diversa.
Le altre bussavano alla porta col secchio in mano, i russi le
facevano entrare e poi mezz'ora dopo le accompagnavano alla fontana.
Una vecchia compagna di scuola di Grete andava in giro con una
pelliccia, finché non torna il padrone che riconosce la
pelliccia per strada e se la riprende, l'ha spogliata e inseguita
fino a casa. Poi è sparita di colpo, nessuno l'ha piú vista.
Lo stesso è successo a due sorelle che abitavano di fronte,
i soldati gli avevano regalato due biciclette, ai russi piace
fare regali, e cosí scorrazzavano da sole, senza soldati,
in bicicletta fino alla Brotfabrik sulla Prenzlauer Promenade,
Kuglerstraße e Humannplatz, poi un giorno i padroni hanno
riconosciuto le biciclette, se le sono riprese e le hanno pure
suonate.
In quei primi tempi c'era coprifuoco, di notte veniva imposta
oscurità totale, guai ad accendere un lume, anche se poi
a quasi tutti faceva difetto il petrolio. Niente di strano, era
anche per quello che s‘era persa la guerra. C'era un tale
sulla Lychener che accendeva e spegneva un lume a intermittenza
quando suonava l’allarme, i russi lo hanno pescato quasi
subito, ma nessuno sa bene perché faceva quei segnali
luminosi e per chi, forse per gli americani. In ogni caso non
sarà nemmeno passato come noi per la Keibelstraße,
l’avranno fucilato dopo l'interrogatorio.
Quando ero tornato le avevo detto che i russi mi avevano lasciato
andare, era quello che avevo raccontato a tutti, ma non era vero.
Con tutta la buona volontà, non potevano liberare nessuno
se la guerra non era nemmeno finita. Margarethe non era cretina,
l'aveva capito ma non ha detto niente, però io non mi
vergognavo, se penso a quello che hanno combinato al babbo, ci
sono rimasto anche troppo, sul bel fronte orientale di Hitler,
un mattatoio è stato, per il grano e il petrolio, ne avrai
sentito parlare anche tu in Africa. Povero babbo, morire per
mano dei russi, pensavo durante la ritirata, il colmo per lui
che era saldatore, sai che da giovane si era fatto la rivoluzione?
Da bambino mi diceva sempre, quando verrà la Germania
Sovietica... sempre la stessa frase, quando verrà la Germania
Sovietica tutto il sangue non sarà stato invano, e poi
altro sangue, che senso ha avuto, proprio non lo so.
Piú avanti ci siamo uniti alle altre divisioni per la
difesa di Varsavia, anche se la città militarmente non è di
nessun valore, ma tant'è, l'orgoglio matto di Hitler solo
per il nome Varsavia, contro ogni logica. La guerra è persa
ma nessuno lo dice, un fallimento completo, già sulla
Vistola mi era venuto il pensiero di buttare il fucile e mandare
tutto al diavolo. Per fortuna che mi è mancata l'occasione,
perché poi, a guerra finita, è saltato fuori che
il Primo Fronte Bielorusso non ha fatto prigionieri. Non potevano
lasciarli andare che si sarebbero riarmati, ma nemmeno portarseli
dietro durante l'offensiva, in fondo hanno fatto l'unica cosa
da fare, erano in guerra e soldati. E poi la ritirata, i carri
russi agili e veloci come autoblinde, dieci giorni dalla Vistola
all'Oder, Stalin voleva arrivare a Berlino prima degli americani.
Invece ai nostri prima o poi finiva il gasolio e con l'ultima
tanica davamo fuoco ai carri, piuttosto che lasciarli in mano
ai russi. Fu durante la ritirata verso il Brandeburgo che incontrai
il vecchio Hilse, mezzo assiderato con il giaccone a brandelli,
aveva saputo da Eckardt, il fochista, la vera fine del vecchio,
un compagno al fronte che conosceva di vista il babbo era stato
testimone. Pare che aveva tentato la fuga, era d'accordo con
qualche compagno, sono sicuro che da solo non ci avrebbe nemmeno
pensato, ma la polizia militare, i "cani da catena",
li avevano ripresi di lí a poco, e sai la fine che facevano,
no? Venivano spediti in prima linea oppure, come il babbo, a
sminare. Il risultato era lo stesso, non sopravviveva praticamente
nessuno - quei bastardi! - e cosí quella fu la fine del
vecchio. Ma in fondo sono contento per lui, non le poteva vedere
le SS, meglio che essere ammazzato dai soviet, almeno non ha
il rimpianto. E cosí prima di difendere l'Oder ho deciso
di andarmene anch'io, e non me ne frega se mi riprendono. Oramai
me lo sentivo nelle ossa che la partita era persa, che a rimanere
lí ci restavo ma per sempre, e hai voglia di dar retta
alla propaganda sui tartari che si prendono mogli e sorelle.
Grazie al babbo, o meglio, al suo vecchio compagno Uli Petzhof,
avevo ottennuto un posto come autista alla metropolitana, un
posto di responsabilità. I compagni si ricordavano ancora
del vecchio Hannes, si dispiacevano sinceramente per la sua fine,
non se lo meritava e quel posto era una specie di risarcimento.
Non lo possono riportare in vita, aveva detto Uli il tornitore,
ma io non dovevo preoccuparmi, i compagni hanno la memoria lunga,
avrebbe parlato con chi di dovere, e per chi ha voglia di lavorare,
e cosí avevo ottenuto il posto. Con il nuovo ordine si
sarebbe aggiustato tutto.
Anche Margarethe aveva trovato lavoro, come cassiera al cinema
Tivoli. Tutte le sere che tornavo dal secondo turno era già in
servizio, e quando non sapevo cosa fare passavo a trovarla e
qualche volta entravo pure a vedere il film o il notiziario.
Davanti alle altre faceva finta di prendere i soldi, poi me li
rendeva il mattino dopo a casa. Ma la maggior parte delle volte
non entravo alla proiezione, non avevo voglia di vedere un bel
niente, a parte Margarethe alla cassa, cosí l’aspettavo
dall’altra parte della piazza e me la potevo vedere tutto
il tempo da vicino. Era svelta a strappare i biglietti e a fare
il resto, poi appena cominciava la proiezione chiudeva la cassa
e faceva il rendiconto. Ogni tanto si voltava di lato e mi gettava
un’occhio, sorrideva un attimo e poi tornava al lavoro,
ma a me non me ne importava molto. Aspettavo in piedi fino alla
chiusura e poi passeggiavamo fino a casa, un bel tratto di una
mezz’ora a passi svelti, il momento più bello della
giornata.
Che soddisfazione vedere la dispensa piena! Con la fame che avevamo
passato ti saziavi solo a vedere tutto il ben di dio, salami
e salsicce, conserve, fagioli, lenticchie e patate, Margarethe
aveva imparato a cucinare dalla mamma, non c’era da lamentarsi
per quello. Ma la gente era cambiata, con la ricostruzione e
i traffici che diventavano sempre peggio, e tutto sembrava tornato
come prima della guerra, a parte le macerie e i soldati per strada.
Restavano le tracce ma nessuno le vedeva piú, qui è morto
tal dei tali, e il terzo giorno passi davanti e non ci pensi
piú. Solo di notte tornava la pace, le strade silenziose
e oscure senza lampioni. I russi non hanno fatto in tempo a rimetterli,
c’è ben altro che ha la precedenza, anche per quello
mi piaceva tanto passeggiare la notte con Margarethe. Con la
luna non c’era bisogno d‘illuminazione, e che pace
quando la città dormiva! Una notte avevo accompagnato
Grete a casa dopo il lavoro ma non avevo voglia di mettermi subito
a letto, con quella luna in cielo mi sembrava uno spreco, cosí ho
salutato piano Margarethe guardandola negli occhi, ma lei aveva
sonno ed era gia metà dentro il portone, e così sono
restato da solo in strada con i miei pensieri. Ho camminato sulla
Schönhausen fino al Café Nord, angolo Wichertstraße,
una bettola sempre affollata che restava aperta tutta la notte.
Ancora oggi c'è parecchia gente senza un tetto sopra la
testa in questa città, restano a dormire con la faccia
sul tavolino, ma nessuno fa questioni perché conoscono
la situazione. Al Café Nord c'erano tante ragazze, ma
anche se ora c'avevo i soldi mi mancava la voglia. Al fronte
mi vedevo le ragazze anche in battaglia dalla voglia che c‘avevo,
ma ora lo sapevo io il motivo, anche se le ragazze erano belle,
piú belle di Margarethe.
E la notte dopo la stessa luna bianca senza una nuvola in cielo,
sarà stata quella luna a farmi effetto. Niente Café Nord
quella sera, me la guardavo dalla finestra della cucina che splendeva,
cosí fredda e pulita. Margarethe si era appena coricata,
sono entrato in camera ma non nel mio letto, sono entrato in
quello di Margarethe, avevo voglia di sentire la sua pelle come
prima, se ci vede qualcuno Karl, non ci vede nessuno Grete, ma
lei invece è saltata fuori e mi ha lasciato lí nel
letto ed è scappata in cucina, adesso non è piú come
l'anno scorso, Karl, e perché no? urlo io fino in cucina,
cos'è cambiato adesso? E cosí che è successo
tutto, mi sentivo una rabbia dentro che saliva, non era giusto,
dopo quello che s'era passato insieme. Mi vedevo la scena come
da fuori, come se non ero io ma un personaggio di un film muto
del Tivoli: Grete in cucina davanti alla finestra che guarda
la luna con le braccia conserte, Grete che scappa e urla Karl e piange e minaccia, Grete infilzata nel fianco che si aggrappa
alla stufa ancora calda, Grete che rovescia la minestra e cade
per terra sulla minestra, Grete che si muove ancora e Grete che
non si muove piú. L'ho raccolta tra le braccia, l'ho baciata
nei capelli, sulla nuca, sui seni tiepidi, l’ho rimessa
a letto e sono tornato in cucina a osservare la luna. Quando
la stuoia era stretta e si tremava di freddo, se ci vede qualcuno.
Non ci vede nessuno, Margarethe. La pancia piena ma il cuore
stretto, questa la condanna, vuoto il cuore e pieno lo stomaco.
Per il soldato Ratzek è arrivato il momento del giudizio,
amico mio, un po‘ in ritardo ma senza pietà. La
guerra è finita e tutti sono tornati in superficie. Non
strisciano piú come i ratti, hanno dimenticato come si
fa, ora hanno una carta alimentare, ma come hanno strisciato
per mesi sottoterra, mentre noi vegliavamo al fronte insieme
alla luna.
Non chiedo misericordia né perdono, amico mio, sta bene
cosí, la mia testa e la mia colpa rotoleranno nel vuoto
senza far rumore. Tanto fra poco ritornerò da Grete in
cantina, tra le bombe e i tiratori scelti sui campanili, da Grete
che dorme seduta, nella cantina zeppa di tutti gli inquilini
del palazzo, con le bombe che fischiano sulla Schönhausen
e settimane intere senza un secchio d'acqua in cui lavarsi nemmeno
lí sotto. E fra poco ritornerò da Grete sulla stuoia,
la casa vuota e perciò piú fredda, ai piedi della
stufa accesa prima di addormentarsi, e accarezzerò di
nuovo la sua pelle tremante.
C'è una luna chiara anche stasera, amico mio, e fra poco
me ne tornerò da Margarethe.
Antonello Piana è nato ad Alghero, in Sardegna, nel
1974, ha studiato a Pisa e dal 1998 vive e lavora a Berlino.
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