ERNESTO
( – brano del romanzo omonimo – )

Umberto Saba


(...) Un rimorso è la visione errata di un avvenimento lontano: si ricorda l’atto, e si dimenticano i sentimenti dai quali quell’atto è sorto; l’area infuocata che ha determinato – reso inevitabile – l’accaduto. Visto nella sua materialità, questo può apparire facilmente mostruoso. Così Ernesto ricordava, o meglio non ricordava (perché li rivedeva in una luce falsa) i suoi rapporti con l’uomo: parole, atti, tutto assumeva adesso un colore diverso da quello che, nella scorrevole realtà della vita, aveva avuto. Gli venne anche il pensiero che sarebbe stato suo dovere congedarsi onestamente dall’uomo: dirgli che voleva licenziarsi dal signor Wilder; non lasciarlo insomma sotto l’impressione di un tradimento. Negli ultimi tempi, da quando cioè i rapporti con lui gli pesavano, gli erano divenuti insopportabili, ne aveva anche un po’ di paura. L’uomo e lo zio Giovanni erano le due sole persone che temesse allora al mondo; lo abbiamo già detto: aggiungeremo che, dei due, quello che, oggi come oggi, temeva di più, era l’uomo. Se, per vendicarsi dell’abbandono che doveva giudicare immeritato, avesse parlato; dati anche, ridendo di lui, particolari? Ma con chi avrebbe potuto parlare? Con Cesco per esempio, del quale era molto amico e che, per di più, aveva l’abitudine di ubriacarsi; e gli ubriachi non sanno star zitti, raccontano tutto, di sé e degli altri. L’uomo no, non beveva mai, o poco; pensava a una cosa sola... Ma lo conosceva egli bene? Dai colloqui che aveva avuti con lui (in realtà, erano stati piuttosto monologhi) gli era sembrato, tutt’insieme, una buona persona, un po’ fissata a quelle cose; incapace di fare, volontariamente, del male. Ma (va da sé che Ernesto non metteva, nel confronto, nemmeno un’ombra di spregio) era di un ceto così diverso, aveva origini tanto diverse dalle sue... Se un giorno, per via, incontrandolo per caso, lo avesse fermato, magari rimproverato pubblicamente... Il povero ragazzo non era mai stato più “ragazzo” che in quel momento: sbagliava più, questa volta, che quando, pochi giorni prima, beveva alla fontanella, ed interpretava alla rovescia il riso delle giovani donne. L’uomo – che aveva, e per sue buone ragioni, più paura di Ernesto che Ernesto di lui – non solo non si confidò mai a nessuno (verso un ragazzo da cui aveva cavato il suo piacere, e non gli si era dato per denaro, il suo comportamento era piuttosto – se così può dirsi – cavalleresco); ma quelle poche volte che l’incontrò per strada finse di non vederlo. La prima fu mentre accompagnava a casa Cesco, così ubriaco che non si poteva più reggere sulle gambe; le altre parecchi anni dopo, a intervalli sempre più lunghi. Ernesto, anche lui molto cambiato, lo riconobbe appena: non era nemmeno sicuro se fosse lui o un altro. Lo rivide curvo, con le mani incrociate dietro il dorso: un vecchio gli pareva, un vecchio cadente e, per di più (sebbene non lo fosse), un mendicante. Tutte le volte i loro occhi s’incontrarono, per allontanarsi subito; e mai ci fu tra loro uno scambio di saluti. Tutto era finito, e finito veramente. Ernesto avrebbe potuto, quel giorno, dimenticare ogni cosa; pregustare a cuor leggero il concerto, al quale sapeva che, infine, ci sarebbe, in un modo o nell’altro, andato... (...)


(Tratto dal romanzo Ernesto, pp. 89-91, scritto nel 1953 e pubblicato da Einaudi, Torino, nel 1975.)


 

Umberto Saba (Trieste 1883 – Gorizia 1957) ha pubblicato nel 1948 per Einaudi la prima edizione del Canzoniere, poi aumentata e riveduta in successive edizioni. Un’Antologia del Canzoniere è stata pubblicata a cura di Carlo Muscetta. La nuova edizione di Ernesto è stata curata per Einaudi da Maria Antonietta Grignani.




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