EUROPA, NECESSITATA
E NECESSARIA
Fernando
Savater
Credo
che uno dei drammi più seri della vita umana, tanto su
scala individuale quanto in quella collettiva, sia il fatto che
l’intenzione di correggersi si produca solo a partire da
disastri, e non come risultato di una serena riflessione razionale
su ciò che è più conveniente per il proprio
interesse. In uno dei primi (e migliori) romanzi di Giulio Verne,
Viaggio al centro della terra, il giovane protagonista
apprende dal suo mentore che andrà a ricevere “lezioni
di abisso”. Ebbene, sembra proprio che siano le lezioni
di abisso le uniche in grado di rigenerare le nostre condotte
personali,
e anche le più efficaci perché le nazioni cambino
il loro percorso erratico o predatore e cerchino soluzioni comuni
ai problemi che le affliggono. Senza dubbio, tra le più recenti
lezioni abissali che abbiamo ricevuto (di cui assistiamo alle
conseguenze), la guerra punitiva contro l’Iraq risulta
particolarmente rilevante. Questa aggressione massiccia contro
una dittatura che fino a poco tempo fa trovava tanto compiacimento
nelle nostre democrazie, compreso nei paesi che l’hanno
attaccata, dimostrò efficacemente l’impotenza della
flebile legalità internazionale e aprì la strada,
purtroppo sempre più spedita, verso un ordine planetario
fondato sulla volontà egemonica della più grande
potenza militare, e non su accordi stabiliti tra un insieme di
paesi dotati di uno Stato di diritto. Le fragili istituzioni
internazionali forgiate nel secolo scorso sembrano ora cancellate
o almeno custodite nel museo delle buone intenzioni politiche,
e hanno smarrito il loro corso legale nell’aspro e improvviso
scenario in cui il nostro mondo è inserito. Dinanzi a
questa retrocessione verso il nulla, a questa lezione di abisso,
i paesi europei che aspirano a un’unione effettiva (e oggi
sono meno uniti che mai) devono senz’altro considerare
la possibilità di un cambiamento storico di direzione.
Innanzitutto,
nessuno dei grandi Stati europei può pretendere
di ammonire in modo credibile gli Stati Uniti e rimproverare
le loro pretese imperiali. La nostra stessa bellicosa tradizione
colonialista fa di noi censori poco adatti, delle ambizioni che
fino a poco fa abbiamo condiviso e che possiamo anche dire di
aver inventato noi stessi. Però due tragiche guerre mondiali
iniziate nel nostro continente hanno convinto la maggioranza
degli europei che è necessario cercare nuove formule di
equilibrio internazionale per prevenire, evitare e, in caso estremo,
risolvere i conflitti tra interessi opposti in una scala che
supera quella delle Nazioni-stati. Si tratta della gestione planetaria
di risorse materiali come l’energia petrolifera o l’acqua,
ma anche di proteggere valori sociali come l’educazione,
le libertà democratiche e i diritti umani. Senz’altro
la sicurezza è un principio importante, ma oggi è ormai
evidente che il mondo è reso più sicuro quando
lotta non solo contro il terrorismo, ma anche contro la miseria,
la disuguaglianza e l’ingiustizia tanto politica quanto
economica. Più di sei miliardi di esseri umani non possono
continuare a vivere in tribù ostili capeggiate da divinità intransigenti,
senza vincoli di diritto e senza offrire alcun tipo di appoggio
reale ai più deboli in scala mondiale. L’importante
non è solo aver ragione e difenderla o imporla con le
armi, ma impiegare le energie in favore dello sviluppo sociale,
con lo scopo di stabilire i princìpi di una ragione comune
della quale tutti gli esseri umani possono sentirsi complici
e beneficiari. Nata e molte volte corrotta in Europa, l’idea
di progresso dovrebbe far riferimento non soltanto a una superficiale “modernizzazione” che
elimina gli ostacoli per un’espansione del capitalismo,
ma a un’urgenza di diffondere i diritti e i doveri che
rispettino l’umanità come creazione plurale. Dev’essere
chiaro quindi che “civilizzare” è qualcosa
di più di “modernizzare” i mercati e la
tecnologia.
Per giungere a questo processo civilizzatore, l’Europa
non basta, ma è indispensabile. E cioè, sempre
che si tratti di un’Europa unita non solo attorno agli
ideali cosmopoliti formulati dall’Illuminismo, ma anche
alla difesa delle conquiste successive, come il benessere sociale,
il senso laico dell’ordine politico o le garanzie legali
per tutti (tempo fa, il filosofo francese Jean Pierre Faye ha
coniato una definizione molto bella: “L’Europa è dove
non esiste la pena di morte”). Questa unità ha bisogno
di una Costituzione che possa stabilire i princìpi fondamentali
in forma istituzionale e anche una voce integrata nella politica
estera del continente e nella costruzione di una capacità militare
dissuasiva, che sia in grado di garantire la sicurezza europea
senza dover far ricorso alla protezione interessata di altre
potenze. Non si tratta di difendere l’idea di un’Unione
Europea come una fortezza inespugnabile di fronte a nessuno,
bensì di un’Europa sufficientemente forte nella
sua coerenza in modo da rimanere aperta e ispiratamente generosa
dinanzi alle necessità globali a cui nessuno può umanamente
sottrarsi. Oggi più che mai le nostre nazioni hanno bisogno
del resto del mondo, perché minacce terribili hanno dimostrato
che nemmeno i paesi più potenti possono vivere isolati:
ma è anche fuori dubbio che il mondo ha bisogno di questa
voce europea, armonica e chiara nel pluralismo che la caratterizza. È arrivata
l’ora per noi, cittadini europei, non solo quelli “progressisti” ma
anche quelli “civili” nel senso più responsabile
del termine, di esigere dai nostri governi l’adozione di
misure indispensabili perché l’unità di questo
impegno sia effettiva. Così potremo almeno dimostrare
di aver imparato fruttuosamente le lezioni di questo imminente
abisso...
(Tratto
dalla rivista telematica La Insignia, Spagna, maggio 2003.
Traduzione di Julio Monteiro Martins)
Fernando
Savater è uno dei più importanti
filosofi spagnoli contemporanei ed è Ordinario di Filosofia
dell’Università Complutense di Madrid.
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