HEINER
MÜLLER, IL PADRE E IL TRADIMENTO
Antonello
Piana
Il
drammaturgo tedesco - e probabilmente non solo - piú significativo
del secondo dopoguerra sosteneva che l'esperienza fondamentale
nella vita di un artista cade generalmente "prima della
cresima". Per il medesimo Heiner Müller quell'esperienza
fondante fu davvero precoce, corrisponde pressapoco al suo
primo ricordo in assoluto. Quest'edizione dell'"Avversario" verte
tutta su quel fatto, sulle sue conseguenze per l'esistenza
di un uomo e per l'opera di un autore.
Nel 1958 Heiner Müller butta giú la prima versione
della prosa "Il padre", un testo autobiografico che
ruota tutto intorno al "tradimento", non solo ma anche
del genitore. In tedesco le parole "Padre" (Vater)
e "Tradimento" (Verrat) costituiscono quasi un anagramma
perfetto. Tradimento del padre verso il figlio, tradimento del
padre da parte del figlio, le due dimensioni convivono a un tempo,
come viene dimostrato da Frank Hörnigk nel breve saggio
che proponiamo.
Il tradimento rappresenterà poi uno dei motivi conduttori
di tutta l'opera teatrale di Heiner Müller, una chiave con
cui si può leggere la maggior parte dei suoi drammi, presente
nel dramma stesso del secolo ventesimo: tradimento della rivoluzione
da parte del popolo tedesco, tradimento del socialismo da parte
di Stalin, il tradimento del movimento operaio nelle rivoluzioni
mancate e il tradimento degli ideali del movimento in quelle
riuscite.
In questo senso la prosa "Il padre" di Heiner Müller
non è soltanto un documento autobiografico e psicologico
dettato da un'urgenza privata, ma anche un complesso tessuto
allegorico che affronta l’esperienza storica dall'ottica
dei suoi protagonisti traditi, come si proverà a dimostrare
nella breve analisi seguente. Ma cominciamo dal peccato originale.
Una
notte di gennaio del 1933 i vetri delle finestre della famiglia
Müller tintinnano insistentemente, le SA sono venute ad
arrestare il padre di Heiner, causa la sua militanza nel Partito
Socialdemocratico. All'età di quattro anni, Heiner Müller
osserva dal buco della serratura suo padre che viene malmenato
e i libri della biblioteca che volano per la stanza. Il piccolo
torna a letto e chiude gli occhi, la porta della sua stanza
si apre, il padre appare minuscolo tra gli sgherri nazisti,
chiama il figlio ma non ottiene risposta, Heiner fa finta di
dormire. Il padre viene portato via. Si può parlare
effettivamente di una sorta di tradimento? Viene da chiedersi,
cosa avrebbe potuto fare altrimenti un bambino di quattro anni?
La violenza come forma corrente di umana convivenza, ma anche
la teatralità nella recitazione di una parte attiva in
un crimine nazista, segnano durevolmente il bambino Heiner Müller
ben al di là dell'infanzia. Ricordando l'episodio in età matura,
il drammaturgo lo definirà "la prima scena del
mio teatro".
La famiglia Müller conduce durante il regime nazista un'esistenza
di nicchia, una resistenza privata all'assedio portato dal mondo
esterno. Il bambino è costretto ad un'atteggiamento schizofrenico
tra le mura familiari e il consorzio sociale, si sente tradito
dal mondo circostante, che a sua volta verrà tradito piú tardi
dall'ideologia nazista. È probabilmente in questo periodo
che Müller mette su una corazza, quel che piú tardi
molti critici hanno apertamente definito cinismo. In un'intervista
mai pubblicata confessa: "In me esiste certamente un'incapacità di
essere solidale. Se cresci in una muta a cui non appartieni,
diventa difficile imparare la solidarietà. In qualità di
corpo estraneo non si riceve solidarietà, di conseguenza
non si è neanche pronti ad esprimerla".
Il secondo segmento della prosa rievoca il momento in cui, dopo
l'arresto del padre, i suoi amici gli annunciano che "non
potevano piú giocare con me, perché mio padre era
un delinquente". I compagni di gioco lo tradiscono in ossequio
alle convenzioni della società nazista, ma vengono a loro
volta traditi dalla medesima società dodici anni piú tardi, "gettati
allo sbaraglio da generali piú grandi, sotto il boato
di un'autentica e infinita artiglieria, nelle ultime terribili
battaglie della Seconda Guerra Mondiale, ammazzando e morendo."
Perfino il parentado subisce il fascino del regime. La nonna
di Müller è una sostenitrice di Hitler, malgrado
il figlio fosse stato arrestato e deportato: "Dato che
mio padre era contro Hitler, io dovevo mangiare margarina. (...)
Lei non avrebbe mai mangiato margarina, disse, Hitler ci dà il
burro." Ma l'ingenuità ideologica del popolo viene
tradita dal nazismo alla stessa maniera dei coetanei compagni
di gioco: "Aveva cinque figli. I tre piú giovani
morirono sul Volga, nella guerra di Hitler per il grano e il
petrolio. Io ero presente quando ricevette la prima lettera dal
ministero. La sentii urlare."
Durante la prigionia in un campo di concentramento, la madre
e il figlio ricevono il permesso di far visita al padre: l'uomo
appare ancora una volta sconfitto e fragile, il figlio mette
nuovamente in risalto la differenza con l'aggressore: "Dovetti
appiccicarmi al cancello per vedere interamente il suo viso smagrito.
Era molto pallido. Non riesco a ricordare di cosa si parlò.
Dietro a mio padre stava una guardia armata dal viso rotondo
e roseo."
In quel periodo la famiglia versa in grosse difficoltà economiche,
per cui la madre "accettò l'offerta di un fabbricante
che era stato membro del Partito Socialdemocratico fino al 1932.
Potevo pranzare alla sua tavola." L'esperienza rappresenta
una nuova umiliazione per il bambino, l'episodio dell'investimento
di una donna da parte del fabbricante si traduce in allegoria
per la colpevole complicità della borghesia durante il
regime nazista. Anche questo tema diventerà piú tardi
un motivo di conflitto politico con il padre. La bella casa borghese
si sporca di sangue, il figlio siede a tavola "sotto
un quadro che raffigurava un cervo morente assalito da una muta
di cani". La complicità della buona borghesia col
nazismo viene simbolizzata dalla fedeltà canina - satolla
ma anche maleodorante - verso il padrone: "Erano gentili
con me, si informavano su mio padre, mi regalavano dolciumi e
mi consentivano di accarezzare il loro cane: era grasso e puzzolente." Allo
stesso tempo le vittime del nazismo, rappresentate dalla donna
investita dal fabbricante, vengono ancora una volta ridotte dai
colpevoli al rango di cacciagione: "Mentre attraversavo
la stanza per andare nel corridoio, la donna veniva trasportata
in casa da due inservienti e appoggiata sul pavimento. Potevo
vedere il suo viso, la bocca distorta da cui scorreva il sangue.
Quindi arrivò un altro inserviente con il bottino di caccia,
lepri e pernici che vennero anch'esse posate sul pavimento, a
una certa distanza dalla donna sanguinante." Per il bambino
l'episodio ha un effetto letteralmente rivoltante. La scena in
questione si ripete a rovescio con la fine della guerra e la
vittoria della classe lavoratrice - impersonata dall'occupante
sovietico - sugli oppressori della classe borghese, non senza
la soddisfazione implicita dell'io narrante, che viene tuttavia
accompagnata da un ulteriore tradimento da parte del padre verso
il suo desiderio di rivalsa: "Tredici anni piú tardi,
abitavamo in una città del Mecklenburgo, alla nostra tavola
sedeva una donna della nobiltà, vedova di un generale
che era stato condannato a morte in seguito al fallito attentato
ad Adolf Hitler del 20 Luglio 1944, la quale era venuta a chiedere
un intervento di mio padre, funzionario del ricostituito Partito
Socialdemocratico, contro la riforma agraria. Lui promise di
aiutarla."
Dopo il rilascio il padre di Müller ha molto tempo per riflettere,
la permanenza nel Lager ne ha intaccato la volontà. Un
episodio turba profondamente il figlio: Kurt Müller ottiene
lavoro suggerendo al figlio un componimento scolastico adulatorio
nei confronti del regime nazista: "A tavola mio padre
affermò:
devi scrivere che sei contento che Hitler costruisce le autostrade.
Cosí anche mio padre avrà finalmente un lavoro,
che è da tanto tempo disoccupato. Questo devi scrivere."
Il tradimento non è piú di natura squisitamente
politica, si tratta agli occhi del figlio di una resa innanzitutto
umana. Nella sua autobiografia, Heiner Müller scriverà: "Quella
frase era per me uno shock, un tradimento. Mi era stato impartito
che il nemico era fuori, i nazisti sono i nemici, tutto il mondo
esterno è nemico. A casa siamo una fortezza e restiamo
uniti. E tutto a un tratto quella breccia".
La relazione con la famiglia continua ad incrinarsi irreversibilmente.
La crisi è latente, la perdita d'autorità del padre
agli occhi del figlio è un fatto psicologico motivato
esternamente da differenze politiche. Dopo la guerra il padre
riprende la sua militanza, dapprima nel ricostituito Partito
Socialdemocratico, successivamente nella SED, il partito sorto
dalla fusione con quello Comunista, che aveva assunto immediatamente
l'egemonia. Kurt Müller era stato eletto sindaco di Frankenberg,
in Sassonia, ma alla scadenza del suo mandato "nel 1951,
per tenersi fuori dalla guerra delle classi, mio padre se ne
andò nel settore americano, passando per Potsdamer Platz
a Berlino." Il figlio interpreta la partenza del padre come
una fuga dalle responsabilità storiche del movimento operaio,
un tradimento delle sue antiche convinzioni: "Lui trovò la
sua pace, a distanza di anni, in una cittadina del Baden, pagando
pensioni ad assassini di operai e a vedove di assassini di operai." Nella
fantasia erotica che segue alla partenza dei genitori, Heiner
Müller si sostituisce al genitore nel tentativo di colmare
il vuoto psicologico lasciato dalla perdita d'autorità paterna.
Quel che però Müller ignora o vuole ignorare, è il
fatto che il padre era rifugiato a Berlino-Ovest per scampare
all'arresto da parte delle autorità sovietiche, dovuto
non solo al fatto di aver ostacolato la nazionalizzazione delle
terre, ma soprattutto a un suo presunto "titoismo",
reato fumoso piú o meno equivalente al fatto di avere
problemi con la figura di Stalin.
Ad ogni modo, la madre raggiunge il padre all'ovest e si attende
naturalmente che anche il figlio compia lo stesso passo, ma Heiner
Müller non prende nemmeno in considerazione l'eventualità.
Resta da solo e privo di mezzi nella DDR, assolutamente convinto
di essere nel giusto.
L'ultima scena della prosa "Il padre" mette ancora
una volta in risalto l'aspetto allegorico del testo, con la vetrata
tra i due uomini come una sorta di premonizione del muro di Berlino,
che impedisce la comunicazione tra due fazioni opposte ma non
contrarie: "Restammo in piedi, tra di noi il vetro,
ad osservarci. Il suo viso smagrito era pallido. Dovemmo rivolgerci
la parola
a voce molto alta. Scosse la maniglia della porta chiusa, poi
chiamò l'infermiera, che accorse, scosse il capo e sparí nuovamente.
Lui lasciò cadere le braccia, mi osservò attraverso
il vetro in silenzio". Ancora una volta il padre viene descritto
nella sua debolezza fisica, l'ospedale in cui è ricoverato
a Berlino-Ovest ricorda il Lager in cui era prigioniero durante
il nazismo, gli stessi vestiti larghi, lo stesso pallore emaciato,
lo stesso passo trascinato. Nel campo di prigionia "lo
vidi arrivare attraverso la recinzione, sulla strada del Lager
ricoperta
di ghiaia. Camminava piú lentamente a mano a mano che
si avvicinava. I vestiti da galeotto gli andavano larghi, cosicché sembrava
piú piccolo (...) Dovetti appiccicarmi al cancello per
vedere interamente il suo viso smagrito. Era molto pallido."
In ospedale: "Quindi arrivò mio padre. Sembrava piccolo
nel pigiama a righe che gli andava troppo largo. Le sue pantofole
si trascinavano sul pavimento piastrellato. Restammo in piedi,
tra di noi il vetro, ad osservarci. Il suo viso smagrito era
pallido."
Che Heiner Müller abbia voluto sottolineare cosí una
continuità storica tra la Germania nazista e la nuova
Repubblica Federale? Ad ogni modo, l’immagine finale del
padre è piú ambigua di quelle precedenti, serpeggia
una compassione che anticipa forse una successiva revisione di
vecchie certezze giovanili a tenuta stagna, una revisione che
subentrerà solo in età matura, al piú tardi
dopo la lettura del resoconto del padre sulla sua resistenza
al nazismo, che proponiamo in questa edizione. Si può dare
per certo che una tale revisione sia effettivamente avvenuta,
ma possiamo soltanto supporne i contorni, giacché per
la sua scabrosità tutta privata nemmeno un tipo come Heiner
Müller è arrivato direttamente a trasformarla in
materiale di lavoro. Che non fosse poi quel gran cinico che gli
piaceva tanto mettere in scena?
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