FUORI DI TESTA


Giorgio Bona

Il giorno in cui Emanuele fu convocato al Palazzo di Giustizia per la storia di una mazzetta di sessanta milioni, entrata dicono per non si sa quale caso all’Assessorato alla Cultura e alle Politiche Giovanili, si trovò a passare da testimone ad imputato e mi ricordo la sua espressione di grande imbarazzo quando incrociai il suo sguardo.
Non posso dimenticare la sua preoccupazione mentre l’usciere lo annunciava al Sostituto Procuratore dicendogli di accomodarsi….. e a me è venuto in mente “Vecchio Frac”.
Ho guardato la sua figura scomparire oltre la porta, così ho provato ad immaginarmelo seduto davanti ad una scrivania piena di scartoffie, con il Sostituto Procuratore o chi per lui che gli rivolgeva chissà quali domande e che avrebbe minacciato di trattenerlo se non si fosse mostrato più che disposto.
E io non so perché in quel momento volevo intonare “Vecchio Frac” tanto che lui si trovava sotto torchio, ma forse non era il caso di paragonare quella vicenda a quei tempi.
Chissà se il Lele si sarebbe comportato come si comportò sette anni prima, quando la Preside della facoltà ci chiamò per modificare alcuni esami dal nostro piano di studi.
Ricordo mi rivolse quella medesima espressione dicendo “non ci penso neppure ad apportare anche la più piccola modifica” e mi aveva lasciato il suo notes di appunti di Estetica e sopra aveva riempito la copertina scrivendoci il titolo di quella vecchia canzone.
L’ho guardato sedersi e lì lo vedeva anche il Franco che lo seguì con uno sguardo stupito e attonito dopo averlo salutato con un “in bocca al lupo”!
Erano due situazioni che avevano qualche assonanza in comune, solo che mentre era davanti al Sostituto Procuratore non lo potevo vedere e allora ho provato ad immaginarmelo come quel mattino, quando mi ha detto “vedo di non farla incazzare troppo, perché è già arrabbiata a morte con te da quella volta che con alcuni compagni avete occupato l'aula e fatto sospendere la sua lezione e ti sta guardando compiaciuta perché tra poco sarai nelle sue grinfie.
E io giravo nervosamente il suo notes di appunti con quella copertina che non aveva più neppure uno spazio vuoto e mi tornava in mente la sera prima, alla festa degli studenti quando mi disse "mettimi Vecchio Frac che provo a concedermi un lento con quella strafiga di Graziella che ha due tette che non finiscono più"……
Franco però ebbe la stessa idea e alle prime note della canzone lo anticipò, ballando al suo posto con tette magiche. Emanuele ci rimase talmente male che pensai fosse il caso di rimettere il disco dall'inizio per fargli fare questo benedetto lento.
E quando il motivo riprese ci fu un mormorio generale, ma il Lele non ci fece caso più di tanto e abbracciò così forte Graziella da farle mancare persino il respiro.
Fu una serata indimenticabile. Da quella volta, quando capitava l'occasione di qualche festa, Franco e Lele facevano a gara per contendersi un valzer lento e stringere a sé Graziella tette magiche.
E' stata forse quella la molla che ha fatto scattare la convocazione a giudizio, dopotutto il Lele non sembrava essersela presa poi così male. Tra l'altro, quando uno di noi faceva qualcosa che non era proprio attinente alla conformità del comportamento, lo riprendevamo usando una frase che Franco riteneva molto freak. Dicevamo: sei fuori di testa!
C'era un fatto singolare che successe proprio ad Emanuele e fu conseguenza di risate e di prese in giro divertentissime.
Il Lele inizialmente era iscritto a filosofia, mentre Franco, Graziella ed io eravamo iscritti a Lettere. Lui aveva inserito nel suo piano di studi un esame di Filosofia della Storia, bisogna dire che il Lele è sempre stato bravo in Filosofia e ha sempre conseguito ottimi voti al liceo, ed ecco le ragioni della sua scelta, ma quell'esame in Filosofia della Storia non gli andava proprio giù perché aveva avuto un diverbio con il professore, tanto che questi l'aveva già cacciato due volte, nonostante si fosse presentato a suo dire, più che preparato.
Eravamo al bar dell'università. C'ero io, Franco, Graziella e c’era anche Alessandro, un ragazzo di Chiavari che aveva impegni politici e per questo noi lo chiamavamo Onorevole, perché avevamo prospettato per lui una splendida carriera.
Ad un certo punto Emanuele si alzò in piedi e disse: “ragazzi, mi è venuta una stupenda idea che se mi riuscirà di realizzarla porrà fine a tutti i miei problemi!”
Noi lo guardammo stupiti ripetendo in coro la solita frase di rito: “sei fuori di testa”!
Pensava di corrompere il segretario della facoltà per vedere se gli era possibile sostituire sul registro e sul piano di studi questo stramaledetto esame di Filosofia della Storia con un qualsiasi esame e io cercai di dissuaderlo, dicendogli che era proprio da fuori di testa, ma non potevamo lasciarlo solo ad esporsi, perché lui in ogni caso avrebbe tentato indipendentemente dalla nostra opinione e per aiutarlo e fargli coraggio ci lasciammo coinvolgere.
Così io stesso mi offrii di accompagnarlo.
Quando giungemmo davanti alla segreteria la porta era già chiusa, perché era terminato l’orario riservato al pubblico, ma Lele decise di non desistere. Suonò a lungo il campanello d’ingresso e dovemmo aspettare qualche minuto prima che qualcuno venisse ad aprire. Si presentò proprio l’impiegato che il Lele aveva individuato e aveva riposto per non so quale motivo la sua fiducia, forse perché credeva che una volta presentatogli il problema, l’uomo fosse scosso da un po’ di umanità da acconsentire.
“Mi stai chiedendo di fare un a cosa che non posso fare,” disse l’uomo con un tono che minacciava di accendersi da un istante all’altro, “non voglio mica avere grane!”
Emanuele provò ad insistere debolmente senza alcun risultato, anzi, l’uomo gli disse ancora: “ma cosa ti viene in mente di propormi una cosa del genere? Sei proprio fuori di testa!”
Proprio così! Gli aveva detto “fuori di testa” e io incominciai a ridere e anche il Lele, rimasto male per la mancata realizzazione della sua idea, si mise a ridere mentre lo raccontava agli altri.
“Vedi,” gli aveva persino detto Graziella tette magiche, “anche chi non ti conosce, quando ti vede per la prima volta, dice che sei fuori di testa.”
Ma tra una risata e l’altra, tra una vicenda e l’altra, ecco come ci si trova dentro certe situazioni.
Una mattina di alcuni giorni dopo, Emanuele entrò al bar dell’università con un’aria di enorme soddisfazione.
“Ragazzi,” ci ha detto, “siccome la filosofia è per me come il pane e mi considero già troppo preparato, sono riuscito a farmi convalidare tutti gli esami sostenuti finora e di passare a Lettere. Da questo momento sono vostro compagno di corso e fortunatamente non dovrò più trovarmi davanti quello stronzo di Filosofia della Storia.”
“Sei proprio fuori di testa,” gli avevamo gridato e subito dopo siamo scoppiati in una risata collettiva che aveva un significato liberatorio, come quando si ha a cuore un problema che coinvolge un po’ tutti e che nel bene e nel male viene risolto.
Alcuni mesi dopo, un pomeriggio, mi telefonò il Lele e mi parve di avvertire in quella voce sommessa con la quale mi ha detto “pronto, sono io!” che c’era qualcosa di strano, era un presentimento, ma lo avvertii, ebbi addirittura l’impressione che il interlocutore dall’altra parte del cavo crollasse verticalmente.
Non si può andare a trovare un’amica del quale si è stati a lungo innamorati e confortarla di un dolore, perché si ha l’impressione di non trovare più le parole adatte, o forse si prova un sentimento di risentimento o la pietà di circostanza, unita ad uno stupido orgoglio maschile che non si è capaci di lasciare da parte.
Mi chiese di stare vicino a Graziella perché io non provavo per lei ciò che provava lui e a me veniva voglia di rispondergli: sei un imbecille, cosa ne sai tu dei miei sentimenti?
Mi sono però immedesimato in quel suo disagio e mi imposi di lasciar perdere che tanto non sarebbe servito a nulla discuterne.
La trovai in quella stanza di ospedale ancora intontita dall’anestesia. Aspettai che fosse completamente sveglia, poi mi avvicinai al suo letto e presi la sua mano, stringendola tra le mie.
Appena mi vide, scoppiò in lacrime.
Sul comodino da notte c’era il risultato della sua operazione. Un trasparente barattolo di plastica conteneva un polipo che, come lei mi spiegò, si era inizialmente cercato di asportare con un intervento tramite la liposuzione, ma poi i medici hanno ritenuto meglio asportare chirurgicamente.
“Caro mio, i tumori al seno sono pericolosissimi. Bisogna che mi tenga costantemente sotto controllo. Mi hanno detto che se non sorgono complicazioni per i prossimi cinque anni, ho ancora qualche buona speranza.”
Quando uscii dall’ospedale avevo una gran voglia di piangere. Non ricordo quanto camminai quel pomeriggio. Ricordo solo che quando arrivai a casa andai subito a letto.
Non so dire che ora era, ma il telefono dovette suonare a lungo prima che mi alzassi a rispondere.
Era la voce di Emanuele che mi chiedeva notizie.
“Dove cazzo ti trovi? Cosa fai? Gli urla,i aggredendolo con un tono che non ammetteva repliche.”
“Sono in casa che sto studiando per l’esame di Linguistica di dopodomani.”
“Tu studi, coglione di un coglione, mentre Graziella sta male in quello squallido letto d’ospedale. Dovresti vergognarti! Non sei neppure andato a trovarla! Lo sai che le hanno asportato un polipo grosso come una noce? Soffre molto perché ha paura di perderle per sempre quelle due tette magiche! Sei proprio un coglione! Se fossi stato veramente innamorato di lei avresti dovuto parlarle seriamente e non fare il pirla con quella canzone di merda per sentirti strofinare sullo stomaco quelle due tette che non si sa neppure quale futuro avranno.”
“Sei fuori di testa….!”
“Sì, sono fuori di testa e tu sei uno stronzo che più stronzo non si può! Riprendi pure a studiare quelle cagate per l’esame di Linguistica, stronzo!”
Sentii fare clic ed era segno evidente che aveva attaccato e io continuai a lanciare qualche insulto a vuoto, poi lasciai perdere.
E così questo salto d’anni, da un lento danzato alle note di Vecchio Frac a quella stanza al Palazzo di Giustizia con il Lele davanti al Sostituto Procuratore a raccontare chissà cosa….. certo lo avremmo saputo appena uscito da quella porta.
E intanto la convalescenza di Lella durò un’estate intera tra analisi, controlli, biopsie, mentre Lele, Franco ed io ci concedemmo delle vacanze veramente fuori di testa a Berlino.
Poi era tornato l’autunno e Lella tette magiche si era ripresa ed era anche su di morale e ci chiedeva continuamente di uscire e noi acconsentivamo a turno perché non volevamo lasciarla sola, ma erano ripresi gli appelli in università e dovevamo studiare.
Un pomeriggio Graziella si era offerta di accompagnarmi a comprare una giacca in un negozio del centro ed eravamo andati senza dir nulla ai due sfigati, così come lei li chiamava.
“Dovresti comprare questo blu elettrico, mi aveva detto. Dovrebbe intonarsi perfettamente con i tuoi occhi chiari.”
E io le avevo dato retta. Ricordo di averla indossata poco tempo dopo, ma lei non sembrò proprio notarla.
Quando Emanuele mi vide nel corridoio del palazzo di giustizia si avvicinò e mi disse: “qui sono tutti fuori di testa! Hanno intenzione di aprire un processo per un’inezia di sessanta milioni. Che cosa sono sessanta milioni in confronto ai furti e allo spreco di cui siamo vittime adesso?”
Era quasi divertente sentirgli raccontare la storia di quei sessanta milioni che lui, in un primo momento, disse di aver visto soltanto passare, senza toccare una lira. Poi aveva cambiato versione e sia il sostituto procuratore che il suo segretario ascoltavano con grande attenzione. Si erano addirittura dimenticati di chiudere la porta completamente e io, seduto su una delle tante sedie in corridoio, potevo sentire tutto ciò che il Lele raccontava.
“Come lei sa, Signor Procuratore, io quattro anni fa vinsi un concorso emesso dal Comune per un posto di operatore culturale e non lo crederà, non era un concorso truccato, creato apposta per qualche raccomandato. Non credevo di vincerlo, ma ci sono riuscito e dopo cinque mesi mi hanno chiamato a prendere il posto di un anziano funzionario che era andato in pensione.”
“Il giorno che mi sono presentato, ho subito legato con un collega, ma mi permetta di non rivelare il nome. Mi ha subito detto: tu non sai come funziona qui, ma presto capirai. Anche se non siamo dipendenti dell’Assessorato all’Urbanistica o ai Lavori Pubblici, possiamo star bene, basta essere scaltri.”
“Ho capito successivamente quello che voleva dire, la prego di credermi, Signor Procuratore, non mi sono mai ridotto ad essere così meschino, tanto si sa che a noi funzionari spettano solo le briciole, il grosso lo prendono i politici.”
“Vada pure avanti”, disse il Sostituto. “Tanto abbiamo tempo.”
Poi l’ho sentito rivolgersi al suo segretario: “hai verbalizzato tutto quello che ha detto?”
Non ho udito una risposta, ma probabilmente aveva risposto con un cenno d’assenso.
“Venne poi il giorno in cui bisognava preparare quella benedetta delibera atta a finanziare una grossa iniziativa che doveva coinvolgere tutte le scuole. La Giunta ne aveva già discusso. Sarebbe mancata solo l’approvazione del Consiglio, ma non rappresentava un problema. Era, lei lo saprà, Signor Procuratore, un’iniziativa che doveva finanziare i gruppi artistici e musicali della città, perchè realizzassero una serie di laboratori spettacolo per gli studenti. Il finanziamento complessivo era di trecentotrentasette milioni ed erogando quella somma, noi avremmo avuto quelli che si chiamano i benefici di ritorno. La persona del quale non farò il nome mi aveva detto che a sua volta era stato incaricato dall’Assessore a coordinare l’operazione e che potevo starci anch’io. Lo so che avrebbero potuto farne a meno, ma era un modo per coinvolgermi e per sapere se si sarebbero potuti fidare in futuro….”
“Ma lei mi risulta abbia intascato sette milioni, se non erro?” Lo interruppe il Sostituto Procuratore. “E gli altri soldi dove sarebbero andati a finire?”
“Io rispondo solo dei miei sette milioni….. comunque non lo so, ci ha pensato quel collega del quale non voglio fare il nome.”
“E invece le conviene farlo, se non vuole passare dagli arresti domiciliari ad una comoda cella fino al giorno del processo.”
Conosco bene il Lele. Potevano anche torturarlo che non avrebbe parlato, ma forse sapeva che non era proprio il caso di salvare il culo a qualche stronzo di funzionario o ad un ladro di Assessore che lo avrebbero lasciato nella merda senza troppi scrupoli.
Così raccontò la sua storia e il Procuratore alla fine non lo fece neppure mettere a verbale, ma che ascoltò fino alla fine.
“Era la prima volta che accettavo dei soldi. Sapevo di molti colleghi con precedenti per averlo sentito dire, non faccio nomi, ma sapevo. Io però sono stato sempre onesto e mi sono posto il valore dell’onestà fin dal primo giorno di lavoro. Purtroppo uno non può riuscire ad essere come desidera, ci sono circostanze che lo impediscono. Vede, c’è una mia cara amica, una ex collega di università del quale sono stato molto innamorato, che aveva un seno bellissimo. Un giorno dovette subire un intervento a causa di un tumore che i medici avevano diagnosticato maligno. Poco tempo fa l’ho rivista e mi ha raccontato del riacutizzarsi del suo male. Ha dovuto nuovamente sottoporsi ad un altro intervento chirurgico e zac, via il seno sinistro. Era disperata. Mi ha detto che doveva andare a Ginevra per farsi ricostruire un seno uguale a quello che gli era rimasto. Cosa dovevo fare, Signor Procuratore? Mi ha inoltre detto che non aveva la possibilità finanziaria e io mi sono offerto di aiutarla. Purtroppo non ci sono riuscito. Quei sette milioni non li ho rubati per me, servivano a ben altro scopo…..”
“Lei mi sembra veramente un po’ fuori di testa…..” disse il Procuratore e a me pareva un convenevole abituale, solo che in quel frangente era diverso dalla solita frase di rito che si usava per sdrammatizzare.
Lì era una questione ben più seria, tant’è che il Procuratore aggiunse: “mi vedo costretto a trattenerla sotto custodia cautelare, a meno che lei non faccia quel nome che vuole tenere nascosto e sia disposto a farlo anche al processo.”
E in quel momento, in quel preciso momento, mi sono alzato dalla sedia dove ero seduto perché sentivo dentro un gran senso di vuoto e una forte nausea, perché avrei voluto con tutte le mie forze oppormi a quella circostanza, entrare in quell’ufficio e urlare al Sostituto Procuratore tutto il mio disprezzo e la mia rabbia, dirgli che non aveva un briciolo di cuore e di umanità e che tutti quei ben pensanti che desideravano il linciaggio morale e la galera per quelli coinvolti in questi fatti, si sarebbero commossi e avrebbero apprezzato quel gesto. Sono andato verso un telefono a gettoni posto nel corridoio vicino all’entrata e ho introdotto la scheda per chiamare l’onorevole che in quegli anni era diventato onorevole sul serio e che speravo potesse fare qualcosa.
Mentre componevo il numero, pensai a quello che dovevo dire.
Gli avrei detto: Emanuele si trova nei guai perché ha preso una mazzetta di sette milioni che servivano a salvare le tette di Graziella, ma lui avrebbe pensato ad uno scherzo e mi avrebbe risposto: sei proprio fuori di testa e allora dovevo metterla più giù sul tragico e dirgli: Emanuele si trova in un guaio e sta rischiando un periodo di carcerazione preventiva. Tu come Deputato potresti veramente fare qualcosa, che so, un’interrogazione parlamentare e chiedere chiarimenti su quei fatti e cercare di fargli ottenere almeno gli arresti domiciliari.
Mentre facevo il numero cercavo di tener a mente ciò che dovevo dire. Il telefono ha fatto due squilli e mi ha risposto una vove femminile che mostrava molto garbo.
“L’Onorevole si trova al partito perché ha una riunione importante. Può lasciar detto a me, se lo desidera?”
“Sono un suo caro amico. Ho bisogno di parlare con lui personalmente e con la massima urgenza.”
“Le ripeto che può lasciar detto a me. Mi lasci un suo recapito che mi premunirò di farla richiamare.”
Riagganciai con un colpo talmente secco che dovettero avermi sentito fin dall’altra estremità del corridoio. Sono tornato a sedermi sulla sedia vicino alla stanza dell’interrogatorio, ma nel tempo stesso in cui mi sono assentato dovevano aver chiuso la porta e da fuori non si poteva più sentire ciò che si diceva all’interno. Ogni tanto si udiva ridere sguaiatamente e ho pensato che potesse essersi allentata la tensione e che il Lele avesse fatto quel nome.
E da lì provai un forte sentimento di repulsione per tutto ciò che mi circondava e allora mi sono alzato per andarmene, al diavolo il Lele perché sono cazzi suoi se ha rubato e al diavolo anche Graziella tette magiche che anche se le rifaranno il seno non sarà più come prima.
Nell’istante in cui mi sono alzato è uscito anche il Lele, accompagnato da due poliziotti, mi ha guardato e mi ha detto:” hanno deciso di trattenermi. Dì agli amici che sto bene e di non preoccuparsi.”
Mi ha detto solo questo mentre lo portavano via e mi sembrava di vedere la sua espressione di grande imbarazzo dissolversi poco a poco.
“Lele”, avrei “voluto rispondergli, ti ricordi Vecchio Frac?”
Avrei voluto anche vederlo sorridere, in fondo tutto è iniziato da una canzone, una canzone che ci ha mandato fuori di testa.
Sì, avrei voluto dirgli proprio così, ma non lo feci. Mi avviai verso l’uscita molto lentamente, cercando di contenere il piede ad ogni passo dentro al rettangolo delle piastrelle del pavimento, perché da bambino ho sempre avuto la sensazione che all’interno di un piccolo spazio fosse contenuto il mondo che aveva le stesse scansioni e le stesse misure del corpo.


Giorgio Bona (19.12.1956) vive a Frascaro, un piccolo paese nelle colline del Monferrato tra Alessandria e Acqui Terme.
Ha tradotto dall’inglese autori come Lee e Hamburger e dal russo la raccolta antologica “fiabe dai Balcani a Vladivostock”.
Ha pubblicato “Newton” (poesie, 1992 Campanotto), “Omaggio il tempo (poesie, 2002 Lietocollelibri), “Ciao, Trotzkij” (racconti, 2003 Besa).
Un suo racconto è inserito sul numero due di “Tabula Rasa”, rivista di letteratura invisibile dell’editore Besa.



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