UGO
Roberto
Pieraccini
Estate 1993
E'
una mattina come tante. Sono appena arrivato nel mio ufficio
pieno di libri che non leggero' mai e di carte che passeranno
direttamente dal mio tavolo al bidone della carta da riciclare.
Accendo il mio terminale, come sempre. E come sempre il terminale
si illumina del piacevole messaggio "New mail for you".
Ci si abitua pian piano alla posta elettronica, senza accorgersene.
E poi un giorno, in vacanza, su una spiaggia sperduta, senza
terminali o computer a disposizione, ci si accorge che ci siamo
tagliati fuori dal resto del mondo. E dopo qualche giorno gia'
non si vede l'ora di tornare in ufficio per accendere il terminale
e scorrere quella lista di centinaia di messaggi, con la speranza
di trovare una lettera di un amico, un invito a una festa o
qualche sorpresa. E stamani la sorpresa e' qui' davanti ai
miei occhi. Una lettera di Ugo. Non me l'aspettavo davvero.
O meglio, la desideravo, ma non mi aspettavo di riceverla.
Speravo molto che decidesse di tornare, anche se ero certo
che non sarebbe tornato. In fondo gli era accaduto quello che
avevo previsto. Quella metamorfosi inversa alla quale ci si
sottopone quando si torna indietro e si accetta, dentro di
noi, nel piu' profondo, di tornare ad essere quelli che eravamo,
perche' ci si dimentica quello che saremmo potuti essere. Una
metamorfosi subdola perche' piacevole e tranquillizzante. Ne
parlavo spesso con lui quando stava qui.
***
Mi
piaceva parlare con Ugo. Fra tutte le persone che ho conosciuto,
riesco a distinguerne due categorie fondamentali. Le persone
che capiscono e quelle che non capiscono. E Ugo e' uno che
capisce. Capire non vuol dire capire le equazioni dei libri
di matematica, o la logica della metafisica. Capire vuol dire
capire. Vuol dire ascoltare, pensarci su. Non credere subito
a quello che si sente, ma cercare di vedere dentro alle cose,
quello che c'e', quello che non c'e', e quello che gli altri
pensano ci sia. E tutte le volte che parlavo con Ugo, e lui
mi ascoltava, sembrava, anche a me, di capire meglio.
Adesso, mentre leggo la sua lettera penso a lui e alla sua storia.
E improvvisamente mi sembra di capire. Anche le storie degli
uomini, come tutte le altre cose, vanno capite. Tutte hanno un
significato, e il loro significato e' l'immagine profonda dell'uomo
che gli sta dietro. In fondo il significato della nostra storia
e' il marchio che ci contraddistingue. Il nostro essere piu'
intimo e nascosto. Siamo le nostre storie, e anche se non vogliamo
ammetterlo, in fondo, viviamo la storia che vogliamo vivere.
Ma forse dovrei cominciare a raccontare la storia di Ugo, o almeno
quella parte della sua storia che conosco, dall'inizio.
Ugo
e' un tipo tranquillo. Il fatto che suoni il violoncello rende
perfettamente l'idea. Il violoncello e' uno strumento tranquillo.
Non trilla come il violino ne' ti prende allo stomaco come
il contrabbasso. Anzi, Ugo non suona il violoncello e basta.
E' professore di violoncello. Ha preso il diploma mentre studiava
da ingegnere qualche anno fa. Ma il suo diploma di violoncellista
gli e' servito solamente per dargli la certezza di saper suonare
lo strumento. Non gli e' mai passato per la testa, neppure
per un solo istante, di fare il musicista, andare in giro per
concerti o essere l'elemento di un'orchestra. Una professione
troppo precaria. E' difficile trovare un posto di lavoro, ed
e' difficile mantenerlo. Le esecuzioni di Ugo al violoncello
tradiscono un perfezionismo portato all'estremo. Le sue misure
sono sempre perfettamente squadrate, come se fossero misurate
col quarzo, tagliate col laser. Le note non sono mai ne' leggermente
piu' lunghe ne' leggermente piu' corte, sono perfette. Ugo,
in fondo, non ha grossi difetti. E non ha neppure grossi vizi.
Vive con i suoi genitori. Due simpatici signori in pensione,
dalla piacevole conversazione, e con un innato senso di ospitalita'.
Con loro vive anche la sorella maggiore, che come Ugo, non
e' sposata, e si sta avviando verso quell'eta' dopo la quale
la probabilita' di un matrimonio comincia a diminuire paurosamente.
Tutti
sapete quanto sia difficile, di questi tempi, trovare un appartamento
in affitto. Non e' che la famiglia di Ugo abbia grossi problemi
economici, anzi, direi che sono abbastanza benestanti. I due
figli hanno un buon lavoro, ed i genitori hanno una buona pensione.
Ma affrontare l'acquisto di un appartamento piu' grande non
e' certo un impresa per una coppia in pensione. D'altra parte
non e' bello far condividere la camera da letto ad un fratello
ed una sorella, un maschio e una femmina. Ecco quindi che Ugo
non ha una sua camera. Alla sera, mentre i genitori e la sorella
guardano la televisione in cucina e lui ha finito di fare i
suoi esercizi al violoncello, Ugo apre il suo divano letto
nel soggiorno, chiude la porta, e cerca di dormire. Il fatto
di non avere una camera tutta per se non disturba Ugo. Non
ha una ragazza, per cui non corre il rischio di doverla portare
in una camera che non ha. Non ascolta musica rock, ma solo
musica da camera, che piace anche al resto della famiglia,
e che quindi puo' essere ascoltata nel soggiorno, assieme a
tutti gli altri.
Ugo
ha un buon lavoro. Si era laurato in ingegneria chimica in
tempo da record. Ci aveva messo cinque anni esatti, inclusa
la tesi. Cosa ritenuta quasi impossibile. Infatti, quando frequentava
l'ultimo anno, veniva spesso additato dagli studenti piu' giovani
e da quelli piu' vecchi fuori corso. Erano davvero in pochi
quelli che finivano in cinque anni. Tenendo anche conto del
fatto che nel frattempo era anche diventato maestro di violoncello.
All'universita', durante l'anno in cui aveva lavorato alla
sua tesi, una tesi di ricerca che richiedeva l'uso continuo
del calcolatore, Ugo aveva aveva fatto amicizia con Alberto,
l'assistente del laboratorio di chimica inorganica. Sono ancora
amici. Alberto e' un giovane piu' o meno dell'eta' di Ugo,
anche lui vive con in genitori, e non ha una ragazza. Alberto
non suona nessuno strumento. Anzi, la musica classica proprio
non la sopporta. Pero e' gentile, e ascolta Ugo mentre si esercita,
senza fiatare e mostrando una rara attenzione. L'unica passione
che accomuna Ugo ed Alberto e' quella per la montagna. Da Giugno
a Settembre, quasi tutti i fine settimana, prendono i loro
zaini, li riempono di cibarie, gli scarponi ai piedi, e vanno
a camminare per i sentieri piu' o meno conosciuti delle nostre
Alpi.
Appena
finita l'universita' Ugo trova immediatamante un lavoro. Viene
assunto in un piccolo laboratorio che si occupa di nuovi materiali
plastici. All'inizio il lavoro e' eccitante. Di nuovo Ugo lavora
con il calcolatore, e questo lo rende felice. Passa le giornate
davanti al terminale, e siccome e' molto veloce nello sbrigare
i compiti che gli vengono richiesti, gli rimane un sacco di
tempo per impare a usare il computer al meglio delle sue possibilita'.
Non solo. Lui sente il computer come sente il suo violoncello.
Ha un rapporto quasi istintuale con i programmi, i comandi,
i circuiti del calcolatore. In poche settimane diventa il manuale
parlante di tutto il gruppo. Quando c'e' un problema che riguarda
il calcolatore, Ugo ha sempre una risposta. C'e' una sola nota
spiacevole: il suo capo. Ugo ama il suo lavoro e i suoi colleghi,
ma non sopporta il capo. Secondo lui l'ingegner Bordone non
capisce nulla. Tutti sanno che l'ingegner Bordone e' diventato
capo a causa di una sua parentela con il maggiore azionista
del laboratorio. D'altronde e' ben difficile trovare un lato
della sua personalita' che giustifichi, almeno in parte, la
sua nomina a capo del laboratorio. E questo Ugo non lo sopporta.
Ma la cosa che piu' fa arrabbiare Ugo, e' che l'ingegner Bordone
lo ignora nel modo piu' assoluto. Ugo sa di essere uno dei
piu' bravi, ma dopo l'eccitazione iniziale dovuta ai primi
giorni del primo lavoro nella vita, si accorge che tutto cio
che Bordone gli ha chiesto di fare, per ben piu' di un anno
dopo la sua assunzione, non serve assolutamente a nulla. Di
questo Ugo se ne accorge ben presto parlando con i colleghi.
Ma Ugo non ha il coraggio di affrontare l'ingegner Bordone
direttamente, preferisce starsene tranquillo e sperare di cambiare
lavoro, prima o poi. E dopo un anno e mezzo di lavori inutili,
Ugo si stufa. Fa domanda di assunzione presso il laboratorio
di una grande azienda farmaceutica. Solo dopo appena due colloqui
riceve la lettera lettera di assunzione. Hanno bisogno di un
chimico che sappia usare il calcolatore. Ancora una volta Ugo
si trova a sintetizzare nuove molecole al calcolatore, il suo
lavoro preferito. Ma questa volta lavora su un progetto importante,
molto importante. E siccome Ugo e' davvero bravo, il suo nuovo
capo lo stima moltissimo. Questo aiuta Ugo a sentirsi immediatamente
a suo agio nel nuovo laboratorio. Capisce immediatamente tutti
gli aspetti del progetto, e anche quello che fanno i suoi colleghi.
Anzi e' sicuro che con qualche modifica al progetto le cose
potrebbero funzionare molto meglio. Un giorno forse ne parlera'
al suo nuovo capo.
Ad
Ugo piace la nuova posizione anche perche' pare che i suoi
nuovi colleghi abbiano parecchi privilegi. E Ugo pensa che
anche lui potra' conquistarsi questi privilegi, prima o poi.
Andare alle conferenze internazionali, per esempio, come fanno
i piu' anziani del gruppo. Un tempo sembrava a Ugo una cosa
impossibile, di quelle che si vedono nei film o si leggono
sui giornali. Eppure il suo compagno di ufficio, Luciano, un
ingegnere di soli quattro anni piu' anziano di lui, e' appena
tornato dall'America proprio il giorno in cui Ugo comincia
a lavorare nel nuovo laboratorio. Ah, l'America... Fin dai
tempi dell'universita' Ugo l'aveva sognata attraverso le parole
dei suoi professori. In particolar modo Giorgetti, il professore
che teneva il corso di chimica organica avanzata. Giorgetti
andava spesso in America. Pare che tutti gli anni, alla fine
del suo corso, lui andasse in California, al favoloso Caltech,
non si sa bene se a insegnare o a fare che cosa, ma andava.
E durante il suo corso citava sempre con noncuranza i suoi
famosi "amici" d'oltre oceano. Brown, McCullogh,
Guttemberg, ma specialmente il mitico Rabinowitz. Sembra che
Rabinowitz, alla giovane eta' di quarantadue anni, avesse gia'
scritto piu' di trecento articoli, venticinque brevetti con
il suo nome, vinto tutti i premi possibili messi a disposizione
dalle agenzie e dalle fondazioni scientifiche di mezzo mondo,
e che fosse il candidato favorito alla direzione del centro
di ricerca avanzata di una delle aziende farmaceutiche piu'
famose del mondo. Uno dei centri di ricerca piu' prestigiosi
del mondo, citato in tutte le riviste a nei documentari alla
televisione. "Magari," pensa Ugo, "se riesco
a scrivere un articolo da mandare ad una conferenza, mi fanno
andare in America. E magari posso anche conoscere Rabinowitz
di persona". E con questo sogno Ugo si butta sul lavoro,
trascurando perfino il suo amato violoncello.
A
questo punto, per dare un immagine completa di Ugo, non bisogna
trascurare un lato del suo carattere che, anche se non in modo
esagerato, ha una certa rilevanza. E cioe' il rapporto di Ugo
con le donne. Come avrete certo notato, nella storia di Ugo,
fino a questo punto, le uniche donne che compaiono sono la
madre e la sorella. Amiche, ragazze, amanti non ce ne sono.
Certamente a Ugo piacciono le donne, e Ugo, in fondo, non e'
un brutto ragazzo. La sua compagnia e' piacevole, e' di indole
gentile, e' colto. E' difficile che si trovi a corto di argomenti
di conversazione. E queste sono qualita' apprezzate in genere
da quasi tutte le ragazze. Quindi, quando ho conosciuto Ugo,
mi e' venuto spontaneo chiedermi perche' non avesse una ragazza,
e perche' io avessi una forte sensazione che lui una vera e
propria ragazza non ce l'avesse mai avuta. Quando poi ho conosciuto
Ugo in modo piu' profondo, come raccontero' fra un po', ho
capito perche'. Per quanto Ugo fosse un abile violoncellista,
e per quanto i tempi delle sue escuzioni fossero assolutamente
perfetti, tanto i tempi delle sue reazioni nei rapporti con
le donne erano sfasati. E’ come se ad un certo punto
dell'esecuzione lui perdesse una nota da un quarto. E mentre
l'orchestra procedeva verso la fine della sinfonia, lui rimaneva
sempre indietro di un quarto di misura. E la cosa peggiore,
l'ironia della sorte, e' che questo suo sfasamento temporale,
che andava avanti fin dai tempi del liceo, avveniva unicamente
con le ragazze che gli piacevano. E quindi tutta la sua vita
sentimentale e' piena di storie che seguono sempre lo stesso
copione:
Atto
1: A lei piace Ugo, Ugo non se ne accorge. A lei continua a
piacere Ugo, e Ugo continua a non rendersene conto.
Atto
2: Lei perde la pazienza. Ugo finalmente si rende conto che
a lei, forse, lui sarebbe potuto piacere.
Atto
3 Lei, oramai stufa di attendere comincia a uscire con qualcun'altro.
A questo punto Ugo e' follemente innamorato di lei. Comincia
a corteggiarla in modo ossessivo, finche' lei gli dice di lasciarla
in pace.
Epilogo:
Ugo cade in una profonda depressione, dalla quale solo il duro
lavoro, il violoncello e la montagna riescono a farlo uscire.
Oramai
Ugo si e' abituato a questi suoi fallimenti sentimentali. Si
e' oramai convinto che una ragazza forse non ce l'avra' mai.
Si convince che poi, in fondo, avere una ragazza vuol dire
perdere una buona parte della liberta'. E molto meglio stare
a casa con i genitori, poter suonare il violoncello quando
si vuole e andare in montagna alla domenica.
E
poi, se capitasse di poter andare in America? Ma i mesi passano
e l'America sembra sempre piu' lontana.
Ecco
che, come sempre le cose capitano, prima o poi, quando le si
attende intensamente, quando oramai lui sta cominciando a perdere
la speranza, il sogno americano di Ugo si avvera. Una mattina
il capo entra nel suo ufficio e gli chiede se se la sente di
intervenire ad una conferenza che si terra' negli Stati Uniti,
a New York.
Si, proprio New York, la citta' piu' famosa del mondo.
Ugo cerca di calmarsi, finge di pensare alla risposta per circa
due secondi, e dice "Si, ci andro'".
Ugo
passa i quattro mesi che lo separano dal viaggio in America
ad organizzarsi. Legge tutto quello che c'e' da leggere su
New York. Ogni giorno chiede a Luciano notizie pratiche su
come muoversi in America. Un giorno va anche a trovare il professor
Giorgetti, e si fa dare gli indirizzi dei suoi "amici" americani.
Poi comincia a scrivere lettere per farsi invitare a visitare
i laboratori. Il primo a rispondergli e' proprio Rabinowitz.
Una lettera molto semplice e gentile che lo invita a visitare
il suo laboratorio, a San Diego.
Finalmente
arriva il giorno della partenza. Ugo eccitatissimo, dopo una
notte insonne alle prese con la statua della liberta' e la
paura di perdere l'aereo, sale sul boeing 747 che sta per attraversare
l'oceano.
Il
viaggio sembra lunghissimo. Ugo aveva viaggiato spesso in aereo.
Una volta, con Alberto, era perfino andato in Russia, con una
gita organizzata. Ma un viaggio intercontinentale, sopra l'oceano,
con la notte di oggi che diventa il giorno di domani, non l'aveva
mai fatto. E' riuscito a farsi assegnare un posto vicino al
finestrino, sulla parte destra dell'aereo, come gli aveva raccomandato
Luciano. Cosi' puo' vedere le coste del Labrador senza uscire
dal suo posto. Vede anche delle cose bianche nel mare, pensa
che siano icebergs, ma non ne e' sicuro, e teme di fare una
brutta figura chiedendolo alla hostess. Atterra a New York
in orario. Segue la coda di passeggeri stanchi e con gli occhi
rossi fino all'ufficio immigrazione dove e' preceduto da un
folto gruppo arancione di seguaci di Are Krishna. Risponde
esattamente alle domande dell'ufficiale di immigrazione. Trova
immediatamente la sua valigia all'uscita dell'aereoporto e
riesce persino ad evitare di farsi imbrogliare dal solito tassista
illegale che gli avrebbe chiesto piu di 100 dollari per andare
all'Hilton, e gli avrebbe magari rubato la valigia. Tutto questo
grazie alle informazioni di Luciano. L'America gia' gli piace.
E sono appena due ore che e' atterrato. Si sente a suo agio,
come se ci fosse gia' stato.
L'indomani
al congresso, ed i giorni successivi, tutto e' perfetto. Il
suo intervento viene ascoltato con interesse, riesce a cavarsela
bene con le domande. Il suo inglese e' preciso, la pronuncia
non troppo distorta. Trascorre il fine settimana a gironzolare
per New York, e quindi parte per San Diego.
***
Rabinowitz
mi aveva avvisato della visita di Ugo solo qualche giorno prima.
Avevo subito pensato che fra me e Ugo, che ancora non conoscevo,
ci fossero dei punti in comune. Intanto veniva dalla stessa
citta' nella quale avevo abitato durante la mia gioventu'.
E poi conoscevo Luciano, il suo collega, fin dai tempi dell'universita'.
Anzi io e Luciano avevamo condiviso anche una camera in affitto
tanti, tanti anni fa ed eravamo ancora buoni amici. L'avevo
giusto incontrato l'anno precedente a una conferenza a Boston.
Ricordo che avevamo chiacchierato a lungo una sera a cena in
un ristorante sul porto, parlando dei vecchi tempi e delle
nuove vite. A lui pareva cosi' strano che a un certo punto
della mia vita avessi deciso di andare a vivere in America.
Luciano e' un tipo cosi' tranquillo, che mai si sposterebbe
dal suo paese natale, figuriamoci andare a vivere in America.
Chissa'
come e' Ugo, penso mentre sono in macchina e vado verso l'aereoporto.
Mi piazzo davanti all'uscita del gate dove e' atterrato l'aereo
che viene da New York con in mano un foglio di carta con il
nome di Ugo scritto su. Cerco di indovinare quale sia, fra
i passeggeri che stanno sbarcando. Lo vedo. Sono sicuro che
e' lui, infatti e' Ugo, che si avvicina a me, e timidamente,
dandomi del lei, mi da la mano e si presenta.
Diventiamo
amici gia' nei pochi minuti di macchina dall'aereoporto al
laboratorio. L’amico comune, Luciano, ci aiuta a rompere
il ghiaccio a piu' di cinquemila miglia di distanza. E proprio
in macchina, sotto il meraviglioso sole di San Diego, scopro
il piacere di parlare con Ugo. Scopriamo subito che ad entrambi
piace la musica, l'arte, la letteratura. Lui suona il violoncello,
io un po' il pianoforte. Parliamo di musica. Gli dico che a
me piace Debussy, ma lui gentilmente mi dice che lo trova troppo
moderno. Mi ci vogliono comunque poco piu' di cinque minuti
per rendermi conto che Ugo e' uno che capisce. E' per questo
che decido immediatamente di invitarlo a cena, quella stessa
sera, a casa mia. Per continuare il piacere della conversazione.
E mia moglie sara' senz'altro contenta di avere un ospite italiano.
Arriviamo
al centro di ricerca dove lascio Ugo con Rabinowitz. Rabinowitz
e' un uomo incredibile. Da quando lo conosco non ha mai finito
di stupirmi. Sembra che abbia la rara capacita' di espandere
il tempo. In un ora lui riesce a fare quello che potrebbe tranquillamente
riempire l'intera giornata lavorativa di una persona come me.
E la cosa che piu' mi stupisce e' come lui riesca a trovare
perfino il tempo di fare quelle cose che i grandi scienziati
normalmente non fanno, come leggere USA Today, ascoltare la
stazione di musica leggera della radio locale, andare a fare
compere con la moglie e le figlie. Il mio primo giorno di lavoro
al laboratorio, tanti anni fa, mi ricordo che Rabinowitz fu
il primo ad entrare nel mio nuovo ufficio, lui, il capo dipartimento,
portandomi una scorta di carta per scrivere e penne biro. Fa
cosi' con tutti, e' semplice e modesto, ed e' per questo che
tanti gli vogliono bene. E ovviamente conquista subito anche
Ugo, che fa fatica a seguirlo per i corridoi del laboratorio,
con il suo passo ondeggiante e velocissimo, ed a seguirlo nei
suoi lunghissimi monologhi in un inglese veloce ma chiaro,
con quel tipico accento newyorkese di Brooklyn che ricorda
tanto i film di Woody Allen.
Me
ne torno nel mio ufficio e sono contento. E' una bella giornata.
Fuori il sole splende nel cielo pulito. Telefono a mia moglie
che e' felicissima di avere un italiano a cena. Sono contento
di aver conosciuto Ugo, di portarlo a casa mia, di presentarlo
a mia moglie.
E'
ancora giorno quando arriviamo a casa. Mia moglie ci aspetta
nel giardino davanti. Sta tagliando l'erba che cresce velocemente
in questo periodo. Vedo lo stupore negli occhi di Ugo al suo
primo incontro con l'America suburbana. Era accaduta la stessa
cosa anche a me, anni prima. Per noi che veniamo dall'Italia,
incastrata fra mare e monti, in strette valli o in citta' dove
le case vecchie si mescolano con quelle nuove e si amalgamano
in un unico colore, l'America suburbana sembra finta. Di notte
sembra un enorme campeggio. Lucine intervallate qua e la da
enormi spazi bui ed alberi dovunque. Di giorno e' perfetta.
I prati verdi, le case bianche con le persiane finte. I tetti
neri, le cassette della posta con la bandierina. Cani e i gatti
randagi non ce ne sono. Al loro posto gli scoiattoli si arrampicano
sugli alberi, e i cervi attraversano prudentenmente la strada
seguiti dai giovani cerbiatti. E tutto quel cielo che sembra
cosi’ grande...
A
cena Ugo ci racconta della sua vita, del violoncello, del divano
letto, dei genitori e della sorella. E poi, mentre prendiamo
il caffe' seduti fuori, sulla terrazza, mi dice che gli piacerebbe
venire a lavorare al laboratorio per cinque o sei mesi. Forse
un anno. Che non sa se e' possibile, se lo lasciano venire,
ma che ha sentito dire che altri l'hanno fatto. A me viene
subito in mente che in fondo non e' un idea impossibile da
realizzare. Ci sono i fondi per il nuovo progetto, forse riesco
a convincere Rabinowitz che c'e' bisogno di un aiutante, e
Ugo mi sembra proprio la persona adatta.
Neanche
sei mesi dopo sono di nuovo sulla strada dell'aereoporto. Vado
a prendere Ugo, questa volta non viene come un visitatore,
ma viene per rimanere per un anno. Non c'e' voluto molto per
convincere Rabinowitz. Anche lui aveva capito subito che Ugo
e' un ragazzo intelligente. Ed eccolo la', sta uscendo dal
'gate', mi vede e mi sorride. Andiamo assieme ad aspettare
le tre valige con tutta la roba che dovra' bastargli per un
anno. Mentre aspettiamo le valige lui mi racconta delle difficolta'
burocratiche che ha dovuto superare perche' lo lasciassero
venire. Ne so qualcosa anch'io, perche' nel frattempo sono
stato invitato a trascorrere sei mesi in un laboratorio tedesco.
Sono contento di tornare in Europa per un po', ma mi dispiace
di non poter passare un anno intero con Ugo.
Carichiamo
le valigie sulla macchina e ci avviamo verso casa mia. Adesso
cominceranno i vari problemi di assestamento per Ugo. Se e'
fortunato non ci vorrano piu' di un paio di settimane. Trovare
un appartamento e' abbastanza facile. Ma Ugo vuole un appartamento
speciale! In una casa bifamiliare, con l'altro appartamento
occupato da una anziana signora. Questa richiesta particolare
mi stupisce non poco, all'inizio. Ma poi penso al modo in cui
Ugo vive, ed ha vissuto letteralmente tutta la sua vita fino
a oggi La vicinanza della madre, con tutte le sue cure, ha
abituato Ugo a una vita facile. Non ci sono camicie da stirare,
piatti e bicchieri da lavare. Cucinare? Ci ha sempre pensato
la mamma. Adesso Ugo dovra' arrangiarsi. Sua madre gli ha preparato
un quaderno con un sacco di note pratiche.
"Fai
soffriggere la cipolla, poi metti il pomodoro, a fuoco basso", "Non
mettere mai nella lavatrice cose scure e cose chiare assieme", "Ogni
tanto metti in varichina le magliette bianche, ma diluiscila
un po' altrimenti si consumano troppo".
E
se qualcosa non funziona? Be', se ci fosse una gentile signora
vicina di casa a cui bussare si starebbe piu' tranquilli. E
se la signora ha...una certa eta', questo ha senz'altro pensato
la madre di Ugo, non gli potra' certo creare dei problemi.
"Quelle
donne americane hanno tutte una cattiva fama, basta vedere
uno di quei film..."
E
cosi' Ugo, mentre cerca un appartamento con anziana signora
per vicina, vive in casa mia, dove io e mia moglie stiamo facendo
i preparativi per andare in Germania. Ed e' proprio in questo
periodo che comincio a conoscere Ugo profondamente. Lo accompagno
spesso in giro per fargli conoscere la zona. I negozi, i centri
commerciali, i supermercati. E spesso la sera, prima di tornare
a casa dopo il lavoro, ci concediamo un giro in una libreria.
E prendendo lo spunto dai titoli dei libri cominciamo discussioni
filosofiche che continuano anche quando torniamo a casa e non
ci fanno andare a dormire mai prima della la mezzanotte. Durante
queste conversazioni comincio a capire chi e' Ugo.
Ugo
e' un ragazzo molto intelligente. Capisce quasi tutto della
vita. Anzi, direi quasi che e' un saggio, o quantomeno, uno
il cui istinto tende alla saggezza come limite ultimo della
conoscenza. E infatti mi ritrovo spesso, durante le nostre
conversazioni, a chiedergli consigli. Si, chiedere consigli
a Ugo, nonostante sia abbastanza piu' giovane di me e abbia,
senza dubbio, vissuto meno esperienze di me. Quando gli racconto
storie lui non si stupisce mai. Neppure con le storie piu scabrose.
Quelle che si raccontano sottovoce. Lui ascolta e quasi mai
giudica. E riesce sempre a collocare la storia nella prospettiva
giusta.
Il
fatto che un giovane alla soglia della trentina, che non si
e' mai spostato dalla citta' in cui e' nato, che non e' mai
uscito dalla casa dei genitori, che forse non ha mai avuto
una donna, capisca in modo cosi' rapido e profondo le storie
della vita ha due possibili spiegazioni. La prima e' una simulazione
di comprensione. Si puo' far finta di capire in modo cosi'
credibile, che l'interlocutore ha la sensazione di parlare
con una persona che ha visto e vissuto cosi' tante situazioni
da non stupirsi oramai piu' di nulla. C'e' poi un altro tipo
di simulazione. E questo e' secondo me il caso di Ugo. Si tratta
della simulazione interiore di tante possibili situazioni della
vita. E credo che Ugo abbia vissuto dentro di se tante situazioni
e tante vite. E abbia acquistato la sua saggezza da queste
vite vissute dentro. Ma la saggezza di Ugo e' una saggezza
cauta. Da buon montanaro non vuole mai muovere un passo prima
di essere sicuro che il piede appoggi su un sostegno stabile.
Per questo Ugo rinuncia un po' alla vita. E' come se dentro
avesse una avarizia. L'avarizia di darsi completamente.
Finalmente
Ugo si sistema e comincia a vivere la vita di tutti i giorni.
Lo incontro giornalmente al laboratorio, sovente andiamo a
prendere il caffe' assieme. Andiamo spesso a pranzo, io e lui,
e quando e' possibile continuiamo le nostre conversazioni in
italiano. Arriva quindi il giorno della mia pertenza per la
Germania. Mi dispiace di lasciare Ugo da solo. Nei due mesi
che e' stato a San Diego non ha fatto amicizia con nessuno
tranne che con me. Sembra che a Ugo non interessi conoscere
le altre persone del laboratorio. Lavora fino a tardi e da
quando si e' comprato un violoncello usato passa tutte le sere
a casa a esercitarsi. Il giorno della partenza ci accompagna
all'aeroporto con la sua vecchia station wagon bordo' comprata
per mille dollari, ci aiuta con le valigie, e ci saluta con
un sorriso. Adesso e' solo.
***
Dopo
sei mesi torniamo dalla Germania. Mia moglie, mio figlio e
io siamo stanchissimi, e all'aereoporto, come una piacevole
sorpresa, troviamo Ugo ad aspettarci. Appena lo vedo mi accorgo
che qualcosa e' cambiato in lui. C'e' qualcosa di diverso dall'Ugo
di sei mesi prima. Forse sono i jeans e la giacca di pelle
al posto dei pantaloni di velluto e dell'impermeabile cachi'
di sei mesi prima? O forse i capelli piu' lunghi tirati all'indietro
col gel? Insomma, e' un Ugo tutto diverso, molto piu' disinvolto,
quello che si avvicina a noi con uno smagliante sorriso. E
improvvisamente mi vengono in mente tutte le storie che mi
ha raccontato per posta elettronica
in questi sei mesi in cui sono stato in Germania. La sua solitudine
dei primi tempi seguita immediatamante dal senso di liberta'
scoperto nel vivere da solo per la prima volta in vita sua. Il
crescere della sicurezza in se stesso. I nuovi amici. I viaggi
sulle lunghe autostrade con la sua station wagon. I successi
sul lavoro. La proposta di Rabinowitz di rimanere al laboratorio
in modo permanente. E in macchina, mentre ci porta a cena a casa
sua, non riesce a trattenere il suo entusiasmo nel raccontarci
come ha passato questi sei mesi in America. I primi tempi sono
stati duri. Essendo io l'unico amico che aveva si e' trovato
immediatamente solo. E per vincere la solitudine si e' immerso
nel lavoro. Mi racconta che passava le notti al laboratorio davanti
al terminale. E lavorava come un pazzo, stupendo perfino Rabinowitz
per i suoi progressi sul progetto. Ogni tanto usciva dalla sua
stanza per andare a prendersi un caffe'. I laboratori sono ambienti
strani e affascinanti. Si popolano normalmente verso sera. Una
parte dei ricercatori, quelli che hanno qualcuno che li attende
a casa, lasciano il loro ufficio all'imbrunire. Ma i giovani,
gli studenti, i topi di laboratorio arrivano col calare del sole.
E Ugo cominciava a confondersi con questa popolazione di animali
notturni che non hanno la fretta dei lavoratori del giorno. Due
ore a scambiarsi idee davanti a una tazza di caffe' e' un tempo
breve confrontato con tutta la notte. E la notte nei laboratori,
con il ronzio dei computer e le luci al neon, ha un fascino al
quale pochi riescono a sottrarsi. E' come se le idee, quelle
buone, escano solo di notte dai loro rifugi eterni e si arrendano
inerti, pronte per essere catturate. E Ugo lavorava al progetto
e si confondeva con i notturni sempre di piu'. Finche' e' diventato
parte di loro. Usciva con loro, ai concerti di musica jazz e
ritm and blues, a mangiare nei diner alle quattro di mattina,
quando solamente i camionisti di passaggio sono seduti davanti
ai tavoli di formica macchiati di caffe'.
E
cosi Ugo cominciava a capire che cosa sia la liberta'. La liberta'
di non tornare a casa, di cucinare per gli amici, di stare
sveglio tutta la notte a ascoltare musica. E' difficile accettare
il fatto che spesso la liberta' piu' difficile da conquistare
e' quella da noi stessi. Noi siamo i carcerieri piu' intolleranti
del nostro io. E quando finalmente troviamo la chiave, troviamo
il modo di sfuggire alle barriere che noi stessi ci siamo imposti,
scavalchiamo quei muri alti che ci eravamo pazientemente costruiti
in tutti quegli anni, e ci chiediamo perche'. Perche' non ce
ne eravamo mai resi conto? Perche' ci impedivamo di essere
liberi? E in quel preciso momento e' come se un numero grandissimo
di scatole inserite una dentro l'altra come bambole russe cominciassero
ad aprirsi e a liberare il loro contenuto rimasto la' dentro
per chissa' quanto tempo. E questo era quello che, semplicemente,
era accaduto a Ugo. Le scatole si erano aperte, e il loro contenuto
era venuto alla luce scoprendo la ricchezza che stava dentro.
E credo di aver capito tutto questo in un attimo. Quando Ugo
ci ha sorriso all'aereoporto. Perche' anche a me era successa
la stessa cosa,
molti anni prima.
Sono
stanco dal viaggio di ritorno dalla Germania, ma a cena a casa
di Ugo voglio ascoltare tutta la storia di nuovo. Mi racconta
che Rabinowitz e' entusiasta di lui. Ugo ha portato aria di
nuove idee, e' ammirato da tutti, anche se deve scontrarsi
ogni giorno con in ricercatori piu' isterici che contendono
con lui la memoria e il tempo del calcolatore centrale. Rabinowitz
gli ha chiesto piu' volte di rimanere. Mandare una lettera
di dimissioni al laboratorio in Italia, farsi spedire il suo
vecchio violoncello, trovare una casa piu' grande, comprarsi
una macchina nuova, e diventare un ricercatore permanente al
laboratorio.
Ugo
e' lusingato da questa offerta. Mi dice che e' quasi deciso
a accettare, ma che prima vuole tornare in Italia, parlare
con i suoi colleghi, rivedere il suo posto di lavoro, insomma
pensarci su un attimo. Questa sua leggera indecisione mi fa
venire il vago dubbio che l'Ugo di prima, una volta ritrovatosi
nei suoi luoghi abituali e passato lo shock dei primi attimi,
possa avere il sopravvento sul nuovo Ugo. Ma questo dubbio
svanisce subito di fronte all'entusiamo dell'Ugo di adesso.
L'Ugo di adesso e' tanto pieno di vita ed energia quanto l'Ugo
di prima era cauto e pacato. Mi dice che non sopporta davvero
l'idea di tornare dove era prima, quello che era prima. Non
sopporta l'idea di vivere ancora in casa coi genitori, dormire
sul divano letto. Non avere una camera, una casa, un posto
tutto suo, libero di lasciare le cose in giro, mangiare quando
ne ha voglia, dormire quando gli va. Nei pochi mesi che passera'
in Italia, in attesa di tornare in America, si trovera' senz'altro
un appartamento dove abitare da solo. Dispiacera' certo ai
suoi genitori, ma capiranno. Si abitueranno cosi' poco a poco
all'idea della sua partenza definitiva.
E
cosi' passano gli ultimi mesi della permanenza di Ugo ai laboratori
di San Diego. Ogni giorno parliamo e lui e' sempre piu' entusiasta,
piu' eccitato, piu' contento della sua nuova vita, della sua
liberta' ritrovata, della sua nuova confidenza in se stesso.
E'
consueto nel nostro laboratorio fare un pranzo in onore di
un visitatore che se ne va. Il giorno prima della partenza
di Ugo andiamo tutti assieme a una pizzeria. Siamo piu' di
trenta. Ugo, prima felice, diventa immediatamente triste man
mano che la fine del pranzo in suo onore si avvicina. Leggo
nei suoi occhi qualcosa che mi fa un po' paura. La percezione
della fine di qualcosa che non potra' mai piu' ritornare. Gli
amici, la liberta', i momenti di felicita' creati dal vivere
una vita diversa. Ma no. Ugo tornera'. Andra' in Italia a sistemare
alcune faccende. E prendera' la sua decisione. E anche se non
tornera' qui in America non si arrendera' all'Ugo di prima.
Penso questo mentre lo accompagno all'aereoporto. Lo saluto,
gli faccio i miei auguri e lo vedo allontanarsi pensoso verso
il ‘gate’ del volo internazionale.
La
settimana seguente alla partenza di Ugo attendo con ansia una
sua telefonata. Rabinowitz, per il quale gli eventi si misurano
in minuti, e non in ore, giorni o mesi, mi chiede continuamente
se Ugo ha finalmente deciso, se ho ricevuto alcun messaggio
da lui, se so nulla dei suoi piani. Dopo due settimane Ugo
mi telefona. E' sempre l'Ugo nuovo che mi parla. Questo mi
tranquilliza. Mi racconta del suo ritorno. Dei colleghi invidiosi
che gli chiedono tutti i dettagli sulla sua vita negli USA.
Della piacevole sensazione che prova nel sentirsi al centro
dell'attenzione. Non gli era mai capitato prima. Adesso e'
lui il personaggio. Lo invitano alle feste. Ha la sensazione
di piacere. Mi dice pieno di entusiasmo che e' andato dal direttore
del laboratorio e gli ha comunicato le modifiche che secondo
lui ci sono da fare ai progetti in corso. Sta diventando il
ricercatore piu' importante di tutto il gruppo. Mi racconta
anche che la sua vita privata sta avendo una svolta. Una vecchia
zia, poveretta, e' passata a miglior vita. Viveva da sola in
un appartamento dall'altra parte della citta'. Ugo e sua sorella
sono gli unici nipoti. L'appartamento e' stato lasciato loro
in eredita'. Ugo ha grandi progetti. Vuole farlo risistemare.
Spostare alcuni muri, comprare nuovi mobili, e andarci a vivere
al piu' presto. Inoltre ha incontrato una vecchia amica del
liceo, si chiama Immacolata. L'ha invitata a vedere le foto
degli Stati Uniti. Sono usciti una sera a cena assieme. Pare
che si piacciano. Insomma, tutto sta andando a gonfie vele
per il nuovo Ugo. E poi gli chiedo se ha intenzione di ritornare.
Come se lui d'improvviso ricordasse una promessa dimenticata,
mi dice che tornera' senz'altro negli USA. Anzi, non riesce
proprio a immaginarsi come potra' rimanere a lavorare in quel
posto. Con quei colleghi cosi' poco stimolanti. Ma deve ancora
sistemare alcune cosette. E poi, mi dice, ha incontrato il
vecchio professor Giorgetti. Il professore era molto orgoglioso
dei successi di Ugo oltreoceano, e gli ha detto che prima o
poi sarebbe stato bandito un concorso per professore associato
all'universita'. E Ugo, con qualche lettera di raccomandazione
di Rabinowitz e di alcuni altri amici di San Diego, e specialmente
con l'appoggio di Giorgetti stesso, senza alcun dubbio potra’ ottenere
un posto nel mondo accademico. Quello che deve fare nel frattempo,
sempre secondo Giorgetti, e’ starsene tranquillo e andarlo
a trovare di tanto in tanto per sentire se c'e’ nessuna
novita'. No, certo questa non e' la soluzione per Ugo, ma vale
sempre di pena di prenderla in considerazione, almeno come
seconda possibilita', mi dice. Be', un posto all'Universita',
vicino a casa, e' pur sempre un buon posto, un posto sicuro.
E quest'ultima frase di Ugo mi fa venire il sospetto che l'Ugo-di-prima
non abbia rinunciato alla sua battaglia contro l'Ugo-di-adesso.
Ma non puo' farcela, dico fra me e me. L'Ugo-di-adesso e' cosi'
pieno di energia che non si lascera' sopraffare. Ma il dubbio
rimane quando riaggancio il telefono e rispondo a Rabinowitz
che e' entrato furtivo nel mio ufficio e mi ha chiesto il quotidiano
aggiornamento sui piani di Ugo.
Passano
altre settimane e non ricevo notizie. Pressato sempre
di piu' da Rabinowitz, mi decido a telefonare. Quando Ugo mi
risponde mi rendo conto immediatamente, con un sentimento immediato
di tristezza, che la metamorfosi inversa di Ugo si sta davvero
compiendo. Non e' piu' il nuovo Ugo, ma un misto del nuovo Ugo
e del vecchio Ugo quello che parla al telefono con me. Gli chiedo
se si e' finalmente trasferito nel suo appartamento, e lui mi
dice che vuole essere sicuro che i lavori di modifica siano fatti
per bene. Ha deciso di cambiare le mattonelle nel bagno, alcuni
pavimenti. La manodopera costa molto oggigiorno. E allora lui
se la prende un po' con calma. In fondo una casa ce l'ha. E poi
ci sono un sacco di vantaggi. Sua madre cucina cosi' bene, e
lui ha un sacco di tempo libero. Non deve neppure preoccuparsi
di fare il bucato. E Immacolata? Si vedono ogni tanto. Si, le
piace uscire con lei. Ma lui tiene molto anche al suo tempo libero.
Vuole continuare a andare in montagna, suonare il violoncello.
E poi Immacolata viene da una famiglia molto tradizionale. Non
la lasciano andare in gita con Ugo per due o tre giorni. Chissa'
cosa potrebbero pensare i vicini. E cosi' Ugo passa spesso i
fine settimana in montagna con Alberto. E durante la settimana,
le serate in casa. A guardare la televisione o a suonare il violoncello.
E magari un giorno o l'altro il professor Giorgetti telefona
con una buona notizia, l'atteso concorso all'universita'. Nel
frattempo Ugo aspetta con pazienza.
E
l'America? Ugo, ti ricordi l'America? Ti ricordi cosa voleva
dire esessere liberi? Lavorare di notte con le creature del
laboratorio. Prendere la macchina e andare in Messico alle
tre di mattina, a bere una birra. O andare di notte nel deserto,
accendere un fuoco, e rimanere a parlare con gli amici finche'
la notte non diventa giorno. Te lo ricordi?
Non
occorre attraversare l'oceano per sentirsi liberi. Basta semplicemente
ascoltare noi stessi. Mangiare quando abbiamo fame, camminare
quando abbiamo voglia di camminare. Liberi da tutto, liberi
dalla paura di essere soli, liberi dalla paura di non essere
soli. Liberi dalla paura di quello che potrebbe accadere domani.
Liberi dalla paura di donarsi, di regalare noi stessi agli
altri. Regalarsi con un racconto, con una visita inaspettata,
con una sorpresa, con un viaggio di trecento miglia solo per
dire ciao. Non devi attraversare l'oceano per questo, Ugo,
devi solo sentirti libero.
***
Non
l'ho piu' sentito. Non mi ha piu' telefonato, e io non gli
ho
piu' telefonato. Ho detto a Rabinowitz che forse Ugo sarebbe
rimasto in Italia. Gli ho detto questo e non ho piu' pensato
a lui. Fino a oggi, fina a quando la lettera che ho sotto gli
occhi conclude questa sua storia come un ciclo. Ugo e' di nuovo
l'Ugo-di prima. L'Ugo-di-adesso non esiste piu'. Forse e' stata
solo una mia invenzione, una mia speranza. Ugo mi racconta come
ancora abiti con in suoi genitori. La sorella e' poi andata a
vivere nell'appartamento, oramai finito, della vecchia zia. In
fondo e' la sorella piu' grande e ha il diritto di decidere per
prima, no? Ma un'altra zia, la sorella del padre, rimasta sola
per anni dopo la morte del marito, ha deciso di venire ad abitare
col fratello. E Ugo gli cede la stanza e torna a dormire sul
suo divano letto. La televisione in cucina, gli esercizi di violoncello,
e poi a letto. E Immacolata? Be', Immacolata non l'ha piu' vista.
Avere una ragazza richiede troppo tempo, e Ugo di tempo da dedicare
non ne ha poi molto. Ma la conclusione, la vera coinclusione
della storia di Ugo, la conclusione del ciclo, sta nelle sue
vicende di lavoro. Il suo capo e' finalmente diventato direttore
del laboratorio, e il gruppo di Ugo, Ugo incluso, e' stato trasferito
nei locali di una piccola ditta che un tempo si occupava di nuovi
materiali plastici. E' la stessa ditta nella quale un tempo lavorava
Ugo, prima di cambiare. La ditta e' fallita, ma il suo capo,
il famigerato ingegner Bordone, parente del maggior azionista
che adesso e' fuggito in Svizzera, e' stato assunto dal laboratorio
dove lavora Ugo, anzi ne e' il nuovo capo. E Ugo si trova esattamente
al punto di partenza.
Roberto
Pieraccini e’ nato nella seconda meta’ del
ventesimo secolo, mentre era di passaggio da Genova. Ma in realta’ sarebbe
dovuto nascere a Viareggio, come il resto della sua famiglia.
Cercando di rimediare all’errore, dai 5 ai 25 anni di eta’ e’ rimasto
a Viareggio, con qualche viaggio a Pisa per laurearsi in Ingegneria
Elettronica. Ma poi ha deciso di andare a costruire macchine
parlanti, prima a Torino e poi in America, in un posto che non
esiste piu’ chiamato Bell Laboratories. Adesso vive nel
New Jersey, lavora a New York, continua a costruire macchine
parlanti e sempre piu’ spesso ritorna nella vecchia Europa.
Dedica questo racconto ad Ugo, che non vede da un secolo.
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