SULL’AMORE
E.
M. Cioran
L’equivoco
dell’amore viene dal fatto che uno è felice e infelice
allo stesso tempo, la sofferenza si uguaglia alla voluttà in
un turbine unitario. Per questo la disgrazia nell’amore
cresce via via che la donna la percepisce e, proprio per questo,
ama molto di più. Una passione senza limiti porta a lamentare
che il mare abbia un fondale, ed è nell’immensità dell’azzurro
che uno sazia il suo desiderio di immersione nell’infinito.
Almeno in cielo non ci sono confini e sembra essere all’altezza
del suicidio.
L’amore è un bisogno di affogarsi, una tentazione di profondità.
In questo assomiglia alla morte. Così si spiega perché solo le
nature erotiche possiedano il senso dell’infinito. Nell’amare si
scende fino alle radici della vita, fino alla freddezza fatale della morte. Nell’abbraccio
non ci sono raggi in grado di trapassare, e le finestre si aprono fino allo spazio
infinito, affinché uno possa precipitarvi. C’è molto di felicità e
di infelicità negli alti e bassi dell’amore, e il cuore è troppo
stretto per queste dimensioni.
L’erotismo va oltre l’uomo: lo riempie e lo distrugge. È per
questo che, schiacciato da queste onde, uno lascia passare i giorni senza rendersi
conto che gli oggetti esistono, le creature si agitano e la vita si consuma,
una volta che, intrappolato nel sogno voluttuoso dell’Eros, con tanto di
vita e di amore, si è dimenticato dell’uno e dell’altro, e
così nello svegliarsi dall’amore, agli inevitabili strazi segue
un crollo lucido e senza consolazione possibile.
Il senso più profondo dell’amore non si trova nel “genio della
specie”, e nemmeno nell’annullamento dell’individuazione. Avrebbe
queste intensità tempestose l’amore, questa gravità inumana,
se fossimo soltanto strumenti e ci perdessimo personalmente? Come ammettere
che ci coinvolgiamo in tali enormi sofferenze unicamente per diventare vittime?
L’uomo e la donna non sono capaci di tanta rinuncia né di tanto
inganno. In fondo amiamo per difenderci dal vuoto dell’esistenza, e come
reazione ad esso. La dimensione erotica del nostro essere è una pienezza
dolente, fatta proprio per riempire il vuoto che è dentro e anche fuori
di noi. Senza l’invasione del vuoto essenziale che corrode la nudità dell’essere
e distrugge l’illusione indispensabile all’esistenza, l’amore
sarebbe soltanto un facile esercizio, un pretesto piacevole, e non sicuramente
una reazione misteriosa a un’agitazione crepuscolare. Il niente che ci
circonda soffre la presenza dell’Eros, che è anch’esso ingannevole
e cerca di colpire l’esistenza. Di tutto ciò che viene offerto alla
sensibilità, l’amore è il meno vuoto, al quale non si può rinunciare
senza aprire le braccia al vuoto naturale, comune, eterno. Concentrando in sé un
massimo di vita e di morte, l’amore costituisce un’irruzione di intensità nel
vuoto.
Avremmo potuto sopportare la sofferenza dell’amore se questo non fosse
un’arma contro la decadenza cosmica, contro il marciume immanente?
E saremmo stati in grado di scivolare verso la morte, attraverso incantamenti
e sospiri, se non avessimo trovato in esso una forma di essere fino al non
essere?
(Tratto dalla rivista messicana La Jornada. Traduzione di Julio
Monteiro Martins)
.
Precedente Successivo
Copertina
|