BOTLOG


Luca Rulvoni

 

Notte. Inizio in crescendo di ombre profonde e diaboliche.
Silenzio. Mortale e sinfonico. Leggiadro e sfuggente.
Crack, crack, crack, crack!
La prima fitta fu il preludio. Improvvisa e lancinante. Come un dardo scoccato dalle stelle. Colpì a fondo, perforando le imperscrutabili ombre della notte. Aghi. Forature profonde ed invisibili. Inevitabile il dolore. Singulti sempre più opprimenti. Male serpeggiante. Le fitte presero ad avanzare, martellare e ad infierire selvaggiamente, quando scoccò il primo minuto dopo la mezzanotte di un giorno qualsiasi. Gli aghi penetravano e scarnificavano. Dapprima soltanto leggere pressioni; poi, man mano, spinsero in profondità. L'atrocità: lancinante e simile allo sgroppare di uno stallone. Come stille di rugiada, il sangue si dilatò all'esterno, oltre le lenzuola madide di sudore e di residui organici. Le membra si distesero e poi, recalcitranti, tentarono di ritornare compatte, ma il sangue scivolò via ed inondò il piano del letto. Con forza, inesauribile e colma di sofferenza, il dolore piegava e piagava le membra del corpo più esposte ai bagliori della notte imperante. Ma di aghi nemmeno l'ombra.
E l'uomo, ansimando, teneva gli occhi aperti, senza potersi muovere.
Il volto di Radis Krovo, uomo qualunque, era una maschera grottesca ed intrisa di sangue e sofferenza. Gli occhi, due sfere di fuoco purpureo, parevano schizzare dalle orbite e capovolgersi da un verso e dall'altro. Lo sguardo saettava in senso opposto al movimento delle pupille. Prima che le ossa cominciassero a schiantarsi, prima che si infrangessero le une sulle altre, gli occhi dell'uomo videro la forma scura in fondo alla camera padronale. E la figura scura, immobile e silenziosa, atavica nella sua misoginia, aveva atteso a lungo per rivelarsi. Era una sagoma dai contorni imprecisi, una sagoma scura che ne conteneva una seconda, una seconda ricoperta da ombre ammalianti e silenti. Ma intrise di sangue ed altro ancora.
Crack, crack, crack, crack
La seconda fitta, fu perforante. Le membra, come la struttura ossea, si dilatarono del tutto sino a raggiungere gli estremi. Poi, il tutto collassò. Il dolore eruppe come una sinfonia armonica e la vista si offuscò sino ad obnubilarsi del tutto. Se prima fosse riuscito a muoversi, e non lo fece per via degli aghi invisibili che l'avevano puntato, come una tela inscritta in una cornice, avrebbe tentato di sottrarsi alla morsa infernale che adesso lo attanagliava come fauci leonesche. La vittima pensava, pensava come se l'intera massa cerebrale fosse un'infernale computer terminale alla ricerca di una soluzione che pareva impossibile. Relè e conduttori allineati perfettamente che facevano in e out da sofisticati congegni alieni in grado di decodificare qualsiasi cosa. Il cervello ronzava come carcasse di apparecchiature elettroniche sopravvissute all'ultimo conflitto nucleare ed intente a risolvere calcoli complicatissimi. L'impossibilità di muoversi, la rigidità degli arti, l'imprevedibile linea rossa del dolore che avanzava, rientrava e ritornava, lo rendevano un fagotto di carne, ossa e tessuti connettivi alla mercé degli eventi ignoti che lo circondavano. Senza una spiegazione logica.
E poi la sagoma; l'ombra scarlatta, là, in fondo a tutto, oltre una cortina d'invisibilità.
Era scoccata la mezzanotte e Krovo dormiva da poco. Aveva trascorso la serata nel salone di casa sua, accovacciato su di un divano a guardare la televisione. Programmi di intrattenimento, talk show e nient'altro. Ad un certo punto cambiare canale quando c'era la pubblicità non era più divertente. Gli spettacoli della tivù erano quanto di più assurdo la società potesse partorire. Una stramaledetta quotidianità imperante. Monotona ed alienante. Niente d'insolito; tutto nella norma. Al signor Krovo divertiva il taglio satirico dei telegiornali. Le notizie di guerra che erano immancabili e le filippiche dei politici. Non se ne perdeva uno. Anche se poi dicevano sempre le stesse cose era confortante pensare che alla fine si trovassero tutti d'accordo nel fare ciò. Erano ormai giorni che non osava mettere becco fuori di casa. Rimanersene in solitudine a crogiolarsi nel silenzio accidioso che ammorbava gli ambienti dell'appartamento in cui viveva pagando un affitto da sproposito,era tutto ciò che aveva desiderato. Osservare gli spazi esterni che si dilungavano oltre le portefinestre era il passatempo ideale per un uomo come lui, che non amava la confusione, che non gradiva la chiassosità dei suoi simili. Televisione accesa, qualche libro a metà sul tavolino del salone dove preferiva poggiarci i piedi nudi piuttosto che fare altro, era tutto il suo mondo. Prima di coricarsi si era assicurato, come sempre, che tutte le imposte fossero ben chiuse e che l'allarme si fosse attivato. Dopo di ciò era filato sotto le coperte e si era disteso, chiudendo immediatamente gli occhi. C'è gente che si sofferma a rimirare il soffitto e a contemplare il futuro prossimo; altra invece, con l'abat-jour accesa, scorre qualche pagina di un libro mai terminato e che non lo sarà mai. Occhi chiusi. Soltanto ombre e quiete. Tutto ciò che desidera. Nessun rumore anomalo, nessun suono particolare. Nulla.
Pochi minuti ed era arrivata la prima fitta.
Crack crack crack crack
La terza ed ultima fu quella letale. Oramai la carne si era schiusa come boccioli di rosa in primavera. Molto sangue era precipitato ai bordi del corpo, ed il restante sembrava che stesse gorgogliando all'interno delle fratture di carne mischiate alla poltiglia d'ossa. La bocca era aperta e delle mascelle non vi era più alcuna traccia.
L'ombra, informe di carne nera ed inconsistente, osservava la macabra scena da dietro i tendaggi spessi del salone. La sagoma era immobile e silenziosa come la morte che si appropinqua. Sì, proprio come la Morte. Stava là come una decorazione. Da qualsiasi punto la si guardasse sembrava non essere altro che un'immagine e non una forma. Se fosse stata ripiena di altre forme, e lo era, se fosse stata un ricettacolo di creature mostruose ed irreali, e lo era, sarebbe comunque apparsa come un'immagine allo specchio, soltanto rovesciata.
Krovo era passato accanto ai tendaggi e li aveva accostati. Aveva controllato che non vi si fossero attaccati insetti come le cimici o le forbici. Tremava all'idea che gli insetti camminassero sul pavimento ed al risveglio potesse inavvertibilmente schiacciarli sotto la pianta dei piedi, oppure ritrovarli a perlustrare il bavero delle lenzuola, risvolte sul copriletto. Ma non aveva visto l'ombra; eppure la sagoma di carne nera, brumosa ed irta di spicchi di insetti decapitati che germinavano nuove creature della notte, era sempre stata là. Soltanto che di giorno è quasi invisibile e preferisce le cantine o i giardini.
La bocca era aperta e delle mascelle non vi era più alcuna traccia. Niente più. Soltanto conati di vomito sanguinanti. Già molti insetti camminavano a ridosso delle lenzuola. Avvolgevano la sagoma del corpo in putrefazione nascosto sotto un copriletto, marcio di sangue.
Soltanto prima di morire, di abbandonare il corpo allo scempio degli eventi e delle ombre diafane che si dilungavano ovunque, Radis Krovo percepì, nonostante l'assenza degli occhi, la sagoma. Ed era immobile come sempre. Come in tutte le stanze di ogni casa. Dietro un pesante tendaggio. E l'ombra di sangue e carne nera, gli sembrò che stesse sorridendo.





Luca Rulvoni, classe '76, è autore di numerosi racconti di stampo horror/sci-fi. Non disdegna contaminazioni e scrive per cacciare i demoni che lo inseguono. Predilige l'uso di pseudonimi evocativi e solo ora, osa sfidare l'usura del giudizio altrui, utilizzando la sua vera identità per dare paternità ai suoi scritti. Alcune sue opere sono consultabili on line e sono in cantiere alcuni progetti editoriali che lo vedono protagonista. Al momento sta lavorando ad idee e romanzi. Vive e lavora in Torino.



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