IL
MULTICULTURALISMO ITALIANO (1)
Sandra
Ponzanesi
L'identità
frammentata dell'Italia
Per
comprendere il processo di multiculturalizzazione in atto, è
necessario in primo luogo ripensare la nozione di identità
italiana: un concetto che appare piuttosto controverso negli anni
Novanta. L'Italia, che si proietta al mondo esterno come il paese
del made in Italy e della corruzione politica, non coincide
con un'area culturalmente coesa. Il recente movimento della Lega
Lombarda, che propone uno stato federale in cui il nord possa
essere separato dal resto del paese, è solo la recente
espressione di una lunga storia di differenziazioni linguistiche,
politiche ed economiche.
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La costruzione dell'identità nazionale italiana deve essere
vista anche alla luce del gigantesco esodo dalla nazione. Durante
il secolo scorso si verificò un'enorme migrazione di lavoratori
italiani, soprattutto dalle regioni meridioniali, verso l'Europa
settentrionale, gli Stati Uniti, l'Australia e l'Argentina (2).
Il ruolo simbolico svolto dagli italo-americani è particolarmente
interessante perchè delinea gli italiani, considerati come
nè bianchi nè neri, come il gruppo etnico minore
tra quelli presenti negli Stati Uniti. Gli italo-americani che
hanno raggiunto il successo nelle varie espressioni artistiche
(Francis Ford Coppola, Martin Scorsese nel cinema, da Frank Sinatra
e Madonna nella musica, ai grandi attori come Robert de Niro e
Marlon Brando) danno dell'Italia l'immagine di una nazione di
successo, che contrasta con il suo ruolo marginale sul piano economico
(3).
Nel suo articolo La preclusione di un discorso post-coloniale
nell'Italia meridionale, Pasquale Verdicchio sottolinea come
la storia dell'emigrazione italiana sia marcata da una forma di
colonizzazione all'interno della nazione, visto che la maggior
parte degli immigrati italiani provengono dalle regioni meridionali.
Questa condizione di subalternità era stata già
rilevata da Antonio Gramsci ne La questione meridionale
(4), ma Verdicchio enfatizza il ruolo degli emigranti meridionali
come cittadini di confine. In Italia infatti, si afferma comunemente
che "l'Africa comincia a sud di Roma", quindi c'è
un'interpretazione storica che connette i meridionali italiani
ad altri popoli colonizzati.
Quest'aspetto è descritto anche nel bellissimo romanzo
di Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli (1945)
(5), in cui l'immagine della Lucania dimenticata da dio, funziona
come un'allegoria dello stato centrale che difende gli interessi
e la cultura del centro-nord, e che non si è mai preoccupato
dello sviluppo e del miglioramento delle condizioni economiche
del sud.
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Forse proprio a causa del fatto che l'emigrazone di massa ha precluso
la possibilità di un discorso post-coloniale sull'Italia
stessa, i cittadini meridionali hanno cercato di mantenere all'estero
una propria identità, distinta dal modello nazionale generale.
Negli Stati Uniti infatti l'origine regionale, con le sue variazioni
linguistiche e culturali, risulta più rilevante della dichiarazione
di affiliazione all'identità nazionale italiana.
Alla complessità della larga scala degli allineamenti politici,
che hanno accelerato il passo, bisogna aggiungere il paradosso
che caratterizza l'Italia: uno dei cinque paesi più economicamente
potenti al mondo, il paese della moda, del design e della cultura
alta, ma che allo stesso tempo è considerato in Europa
come la "piccola Italia". Una nazione che ancora si
scontra con forme di arretratezza civica e sociale, affossata
dal debito pubblico, dal crimine organizzato, dalla corruzione
del governo, da una cattiva amministrazione, dalla disparità
economica tra nord e sud, dall'instabilità politica, intrappolata
nel cattolicesimo e fondata su un concetto della famiglia nucleare
che scalza la fiducia nello Stato. L'ovvia immaturità dello
stato italiano rispetto agli altri paesi europei andrebbe analizzata
a fondo visto che, nonostante non risponda al modello di modernizzazione
adottato da Germania, Inghilterra e Francia, è comunque
un paese competitivo, con una diffusa prosperità e un membro
fondatore dell'Unione Europea. Questo fa dell' "eccezionalismo"
italiano un modello che potrebbe avvicinarsi in qualche modo ad
altre realtà del Mediterraneo.
Un profilo dell'immigrazione
Questa
ricerca di un'identità italiana è complicata dalla
nuova situazione generata dall'improvviso flusso di immigrati
provenienti dai territori ex-coloniali, il cui status economico
e culturale è paragonabile a quello dei migranti meridionali
italiani. Mettendo in discussione la storia italiana attraverso
una ridefinizione dei suoi margini, gli immigrati di oggi si aspettano
solidarietà dagli italiani, sulla base delle analogie rilevate
nelle esperienze degli emigranti meridionali di cento anni fa.
Ma questo non è ciò che accade. Il processo di integrazione
di razze differenti, e spesso di differenti religioni, è
segnato da esplosioni di violenza, discriminazione e intolleranza
sociale.
La limitatezza dell'esperienza coloniale in Africa non ha generato
al momento dell'indipendenza un'immigrazione massiccia verso la
nazione ex-coloniale. Solo in pochi vennero in Italia con l'annessione
dell'Eritrea all'Etiopia, ma non acquistarono la visibilità
delle più recenti forme di immigrazione. Invece le difficili
condizioni in cui attualmente versano questi paesi, guerre civili,
carestie, sconvolgimenti politici, hanno costretto molti a partire,
in alcuni casi anche verso l'Italia, divenuta il cancello d'ingresso
verso la Fortezza Europa per i popoli provenienti da Africa, Asia
ed Europa Orientale (quest'ultima a causa della dissoluzione del
blocco comunista).
Il film Lamerica (1994) di Gianni Amelio, che raffigura
gli Albanesi ammassati sulle navi, che sognano di raggiungere
la loro terra promessa (ovviamente il titolo allude al sogno americano)
è un efficace ritratto dell'Italia vista da occhi "immigrati"
e pieni di speranza. Questa forma di immigrazione non è
connessa al passato coloniale italiano, ma è dettata da
una nuova convergenza geografica.
Per quanto riguarda l'immigrazione infatti, l'Italia è
l'ultima arrivata rispetto a Francia e Gran Bretagna, in cui la
storia dell'immigrazione dalle ex-colonie è iniziata negli
anni Cinquanta. La condizione italiana è considerata anomala
rispetto al contesto europeo, proprio perchè, diversamente
dagli altri paesi, non ha un'antica tradizione d'immigrazione
basata su una politica sociale capace di gestire sia il flusso
degli immigrati in arrivo, sia il consolidamento della loro presenza
sul territorio.
La realtà dell'immigrazione in Francia ad esempio è
caratterizzata dal suo "assimilazionismo etnocentrico",
un riflesso del suo modello coloniale. Il progetto assimilazionista
è basato sul fatto che gli immigrati, per essere positivamente
integrati, debbano abbandonare la loro cultura di origine per
la lingua e i costumi francesi; in accordo con l'idea della nazione
francese, basata sulla centralizzazione di uno stato che di fatto
esclude le minoranze etniche. La cittadinanza viene concessa sulla
base della perfetta assimilazione delle minoranze, a dispetto
dei loro differenti bisogni culturali e della diversità
dei gruppi provenienti dalle ex-colonie.
Anche i Britannici attuano una politica dell'immigrazione che
riflette il loro modello coloniale, caratterizzato da una strategia
liberale e autonoma. La Gran Bretagna è pronta ad accettare
le particolarità delle minoranze etniche (costumi, tradizioni,
abitudini) poichè si dà per scontato che gli immigrati
non diverranno mai dei veri British. In pratica le minoranze
etniche sono ghettizzate e relegate in uno spazio marginale in
cambio di una presunta libertà, che in realtà consiste
in una forma di "pluralismo diseguale". Quest'approccio
all'immigrazione è una chiara conseguenza del passato coloniale
britannico, in cui l'autonomia era garantita ai governatori locali,
solo fino a quando essi riconoscevano l'autorità e la superiorità
dei governanti, cioè i Britannici. La flessibilità
di questo sistema offriva una soluzione efficace alla mutevole
situazione dell'immigrazione fino a circa un decennio fa. Oggi
però la Gran Bretagna si confronta con una seconda e una
terza generazione di immigrati che sono pienamente consapevoli
dei loro diritti legali e sociali, e del legame con le loro specificità
culturali. Questa generazione di immigrati non è più
disposta ad accettare il ruolo subordinato attribuitole in passato,
anzi è pronta a trasformare il concetto stesso di Britishness,
espandendolo dal suo interno, come Hanif Kureishi ha dimostrato
col suo lavoro.
La situazione italiana è più confusa, sia per la
mancanza di progettualità durante la colonizzazione (caratterizzata
dall'italiana "arte di arrangiarsi"), sia per l' "anomalia"
della forma assunta qui dall'immigrazione. Come ho già
detto, infatti, per gli immigrati che si confrontano con il mutato
panorama europeo, la soluzione italiana non rappresenta la scelta
migliore e più ambita, ma solo un'alternativa ad altri
paesi che hanno chiuso le loro frontiere.
Inoltre la condizione dell'immigrazione in Italia è anomala
perchè generata da un complesso assetto di contesti politici
ed economici, che sono specificamente correlati alle condizioni
storiche ed economiche della postmodernità. L'immigrazione
attuale infatti, non è connessa solo al passato imperiale
italiano e alla politica post-coloniale dei paesi limitrofi, ma
soprattuto alla realtà contemporanea del mercato globale.
Sia in Italia che all'estero, l'identità nazionale italiana
è determinata dall'intersezione di diversi fattori, tra
cui l'esistenza di intellettuali immigrati e migranti che contribuiscono
alla formulazione delle mutevoli prospettive storiche e culturali
sull'identità nazionale.
Ad eccezione dell'immigrazione regolare dal Marocco iniziata negli
anni Sessanta, l'Italia è stata coinvolta nel fenomeno
dell'immigrazione solo a partire dagli anni Ottanta, quando gli
altri paesi europei avevano già irrigidito la loro politica
dell'immigrazione, o avevano chiuso le frontiere. Dunque l'Italia
è divenuta una soluzione di ripiego, un paese in cui non
c'era una chiara legislazione che regolasse sia gli ingressi,
sia gli immigrati già presenti. L'Italia offriva opportunità
di lavoro non qualificato o semi-specializzato: per molti, condizioni
migliori di quelle lasciate a casa. Questa è una delle
ragioni per cui gli immigrati provenienti dalle colonie francofone
come il Senegal, che popolano i marciapiedi italiani, vengono
chiamati vu' cumprà, un termine dispregiativo usato
per tutti i venditori di strada africani. L'espressione schernisce
il modo in cui gli Africani storpiano l'italiano "vuoi comprare?".
Un'altra potente associazione tra razza e lavoro in Italia è
quella dei raccoglitori di pomodori. Nell'ultimo decennio un flusso
di immigrati clandestini di colore è venuto a lavorare
nel sud Italia. Il loro arrivo è stato così improvviso,
che non c'erano servizi adeguati per accoglierli, e la reazione
della popolazione locale è stata di razzismo e violenza.
La femminilizzazione della migrazione
L'offerta
più consistente di lavoro riguarda il settore dell'assistenza
domestica, considerato in Italia come "informale lecito".
Il numero crescente di donne italiane che hanno fatto il loro
ingresso nella forza lavoro, ha creato un vuoto nella sfera domestica,
colmato dalle donne immigrate, e ha determinato la recente femminilizzazione
dell'immigrazione in Italia. Nonostante dapprincipio le donne
venissero soprattutto per ricongiungimento familiare, oggi c'è
un flusso di donne che arrivano sole e lavorano nella sfera domestica,
risparmiando per permettere alle proprie famiglie di raggiungerle.
Perciò la percentuale delle donne immigrate in italia è
cresciuta dal 30 al 50% circa. In alcuni gruppi, come mostrerò
poi, questa percentuale raggiunge il 90%. La maggioranza delle
immigrate provengono dalle regioni che hanno avuto in precedenza
un contatto coloniale, come l'Etiopia e l'Eritrea, o sono prevalentemente
cattoliche (anche qui a causa della colonizzazione o dell'attività
missionaria) come le donne delle Filippine o di Capoverde, che
sono impegnate nella penisola in tutte le attività domestiche.
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Le statistiche publicate dalla Caritas insieme al Ministero dell'Istruzione
(6) contano le seguenti comunità legali di immigrati in
cui le donne superano il 75%: Russia, Capoverde, Eritrea, Etiopia,
Ucraina, Tailandia, Colombia, Ecuador. La comunità femminile
più numerosa è quella filippina: le donne filippine
sono comunemente inpiegate come "colf" (collaboratrici
domestiche), che in italiano significa balia, cameriera, donna
delle pulizie, cuoca, governante, tutto in una sola persona.
Ovviamente, nonostante il gruppo di donne provenienti dalle regioni
del Corno d'Africa non sia numeroso come quello delle Filippine
o dell'Europa Orientale, le loro comunità italiane sono
costituite prevalentemente da donne. È importante, perciò,
rintracciare le voci femminili capaci di rappresentare queste
esperienze di immigrazione e il loro percorso verso l'integrazione
in un paese che è stato un tempo colonizzatore, ma che
ha avuto un'influenza davvero minima sugli sviluppi politici nel
Corno d'Africa, oscurata da più grandi potenze come gli
Stati Uniti e l'ex Unione Sovietica.
Come Mario Grasso ha illustrato nel suo studio Donne senza
confini. Immigrate in Italia tra marginalità ed emancipazione
(7), la femminilizzazione dell'immigrazione che interessa l'Italia
al momento è caratterizzata da due tipologie. La prima
è rappresentata dalla cosiddetta "donna tradizionale"
che emigra soprattutto per ricongiungersi al marito e per un periodo
limitato. Queste donne sono definite come les instrumentalistes,
poichè si adattano solo superficialmente al paese ospitante
e tendono a preservare il comportamento e le tradizioni dei contesti
culturali di orgine.
Il secondo tipo di immigrate è rappresentato da quelle
donne che intendono partecipare al processo di modernizzazione,
e che scelgono la migrazione non solo per ragioni economiche,
ma anche perchè implica delle opportunità di studio,
emancipazione e cambiamento. Questo gruppo è definito nel
testo di Grasso come les promotionelles, donne che emigrano
a causa delle difficoltà socio-economiche del paese di
origine, ma che optano per una migrazione consapevole e matura,
impegnandosi nella decostruzione di vecchi valori alla ricerca
di una promozione sociale e culturale all'interno del paese ospitante.
La loro migrazione è spesso permanente e perciò
ambiscono ad acquisire tutti quei diritti legali e civili che
possano rendere stabile la loro situazione e che le conducano
ad una elevazione sociale. Vivono il ruolo femminile nel tentativo
di riconciliare la diversità culturale, che finisce per
non corrispondere nè al modello lasciato a casa, nè
al modello di identità femminile offerto dal paese ospitante.
Le contraddizioni che emergono dalla difficoltà di mantenere
un equilibrio fra tradizione e modernizzazione, spesso costringono
le donne immigrate a pagare un prezzo davvero alto, impedendo
loro di mantenere una vita privata e familiare, e di trovare del
tempo libero per se stesse mentre lavorano a tempo pieno in situazioni
davvero distanti da quelle del contesto di origine.
Il caso della migrazione eritrea è particolarmente anomalo
perchè rappresenta un vero e proprio esodo, se si considerano
le cifre. Le donne sono state le prime a migrare e hanno lavorato
per creare le condizioni per il successivo ricongiungimento con
i loro mariti e figli; migrano principalmente per motivi politici
ed hanno un elevato livello di istruzione. Molte di loro hanno
partecipato alla guerra, come membri del Fronte di Liberazione
Eritreo contro l'oppressione dell'Etiopia, ed hanno un grado elevato
di emancipazione e di determinazione, come nel caso di Ribka Sibhatu
(8). La decisione di migrare è basata su una forte convinzione
e sul bisogno di ricomporre nel nuovo paese un'identità
che si accordi sia col proprio ruolo sociale, sia con la necessità
dell'affermazione.
Le tre generazioni di donne eritree oggi residenti in Italia,
rappresentano la forma di immigrazione più costante e stabile.
Nonostante tengano aperta la possibilità del ritorno in
patria, non appena si concluderanno gli sconvolgimenti politici,
soffrono di una patologia da sradicamento visto che, diversamente
da altri gruppi di immigrate, sembrano destinate ad una stabilizzazione
permanente, soprattutto a causa della presenza di una seconda
genrazione nata, crescita ed educata in Italia, che tende a perdere
l'identificazione con le caratteristiche della propria cultura
etnica.
La letteratura coloniale italiana
Forse
reputavo quegli esseri troppo semplici. Ma dovevo insistere: gli
occhi di lei mi guardavano da duemila anni, con il muto rimprovero
per un'eredità trascurata. E mi accorgevo che nella sua
indolente difesa c'era anche la speranza di soccombere.
Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, p.22.
La
multiculturalizzazione in atto in Italia ha infatti rivitalizzato
l'atteggiamento auto-riflessivo sulle implicazioni delle imprese
coloniali e sulla loro risonanza nell'ambito del contesto culturale
presente. Si verifica quindi un continuo spostamento da un atto
di negazione ad un momento di riconoscimento e coscientizzazione,
che ciò nonostante ha ancora un ruolo marginale all'interno
del panorama culturale italiano. Comunque, questa situazione contesta
le affermazioni come la seguente di Maria Cutrufelli:
Il sogno imperiale dell'Italia nel Corno d'Africa (...) è
una storia dimenticata, sepolta nell'inconscio collettivo di una
nazione (...) una guerra coperta da altre guerre e che forse anche
per questo ha lasciato poche tracce nella nostra cultura, poche
suggestioni nella prosa dei nostri narratori (9).
Quest'opinione
è condivisa da molti conoscitori e specialisti della letteratura
italiana. Anche in un approccio multiculturale alla letteratura
come quello offerto dal testo Altri lati del mondo (10),
curato da Maria Antonietta Saracino in collaborazione con altri
importanti autori (Isabella Camera D'Afflitto, Alessandro Portelli,
Vinicio Ongini, Goffredo Fofi, ecc.), si riscontra una reticenza
nell'attribuire all'Africa un ruolo all'interno della letteratura
italiana. Questa collezione di saggi delinea l'articolazione degli
incontri letterari, musicali, artistici e cinematografici tra
mondi vicini e lontani; mettendo a confronto le diverse letterature
(afro-americana, anglo-indiana, anglo-africana, araba) con l'immaturità
dell'Italia nel suo incontro con l'altro letterario:
Ed è forse anche a causa della brevità e delle modalità
della nostra esperienza coloniale, che da noi non ha fatto in
tempo a nascere un filone narrativo di reale spessore, incentrato
su quella vicenda, in termini simili a quelli nei quali, ad esempio,
esso esiste da quasi tre secoli nella narrativa inglese (11).
Maria
Antonietta Saracino si riferisce ai classici della letteratura
inglese in cui l'altro diventa una presenza familiare, come
La tempesta di Shakespeare, Robinson Crusoe di Daniel
Defoe, Cuore di tenebra di Joseph Conrad, Kim di
Rudyard Kipling o Passaggio in India di E. M. Forsters.
Non dovremmo dimenticare Ooronoko: Or the Royal Slave,
il testo recentemente riscoperto di Aphra Ben (1688), la prima
donna in Inghilterra a guadagnarsi da vivere con la scrittura
(1640-1689), che racconta la storia di un uomo di colore che inizia
la sua vita da principe e la conclude da schiavo. Il libro, ambientato
in Suriname, è quindi il primo romanzo moderno inglese
(12), scritto con una voce autobiografica esplicitamente ed orgogliosamente
femminile, un testo che precede di più di cent'anni le
altre narrazioni anti-schiaviste. La lista degli incontri letterari
con l' "altro" sarebbe ancora lunga, ma ciò che
importa al momento è la risposta a questo "incontro
bianco", la letteratura prodotta dalla migrazione, la scrittura
di ritorno. In Gran Bretagna è la letteratura dominante
al momento, con autori come Salman Rushdie, Ben Okri, Derek Walcott,
Hanif Kureishi e molti altri. In Francia, accanto alla grande
letteratura di Tahar Ben Jelloun, Assia Djebar o Rachid Boujedra,
vi sono anche i numerosi racconti ironici per ragazzi che dimostrano
l'avanzare del multiculturalismo, come Il gatto di Tigali
di Didier Daeninckx, in cui un gatto tunisino viene ucciso per
motivi razzisti.
Nonostante la presenza africana, sulla base del legame coloniale,
assuma un ruolo marginale nella letteratura italiana, questo non
significa che sia completamente assente. Al contrario c'è
un numero consistente di opere letterarie che hanno a che fare
con l'Africa, o meglio col mal d'Africa. Questi testi,
che sono senza dubbio parte della letteratura coloniale italiana,
trattano dell'irresistibile attrazione per il Continente Nero,
della fascinazione per i paesaggi primordiali africani, per i
suoi antichi costumi e per la sua capacità di evocare miti.
Questo tipo di fascinazione per l'Africa è stata spesso
considerata pericolosa ed è stata vista come la causa dell'insabbiamento
degli Italiani, che determinò la loro incapacità
di lasciare il continente senza essere contaminati dalla sua terrificante
attrattiva.
Esiste certamente una mole considerevole di opere letterarie prodotte
sull'Africa dai primi etnografi, esploratori e viaggiatori, ma
c'è anche una letteratura prodotta da scrittori e giornalisti
durante il periodo di consolidamento dell'impero coloniale (13).
Anche nel caso della già menzionata retorica del regime
fascista, è chiaro il legame tra la produzione testuale
e la colonizzazione. Innumerevoli furono i resoconti delle azioni
espansionistiche, scritti per creare la "fabbrica del consenso",
come ha affermato lo storico Angelo del Boca. Le varie rappresentazioni
letterarie sul colonialismo hanno assolto il compito di preparare
e commentare la politica espansionista italiana, producendo la
retorica discorsiva della propaganda imperiale. Quindi, contrariamente
all'opinione popolare, non c'è carenza di simili testi.
Di più recente produzione è invece la letteratura
che possiamo definire post-coloniale, in cui possiamo distinguere
l'immagine degli Italiani sull'Africa, dalla risposta degli autori
e autrici africani/e che hanno iniziato a scrivere in italiano
per ragioni di colonialismo o immigrazione.
Durante la prima fase della letteratura coloniale troviamo i resoconti
dell'esploratore Vittorio Bottego, un aggressivo avventuriero
seguace della politica coloniale di Crispi. Arnaldo Cipolla fu
considerato "il Kipling italiano" per i lunghi e vividi
resoconti dei suoi viaggi. Pubblicò romanzi e racconti
su luoghi e popoli esotici. Alla vigilia dell'invasione dell'Etiopia
pubblicò L'Abissinia in armi (Firenze, Bemporad,
1935), che articola uno sguardo complesso e stereotipato sull'Etiopia,
basato sulla netta opposizione binaria tra i modelli del disprezzo
e dell'attrazione. L'Etiopia è rappresentata sia come un
paese da conquistare, barbaro e sinistro, sia come un paese esotico
ed attraente per il turismo, una tensione che permane nei successivi
resoconti dell'esperienza italiana in Africa.
Oltre a queste, vi sono le descrizioni fantastiche lasciate da
altri viaggiatori ed esploratori, come quelle di Emilio Cecchi,
o i racconti di autori come Emilio Salgari, che scrisse di luoghi
lontani come l'Africa e la Malesia (Sandokan) senza esservi mai
stato. Di genere diverso è la poesia di Ungaretti, fondatore
del movimento poetico dell'ermetismo. Egli nacque ad Alessandria
nel 1888, e userà le immagini delle regioni desertiche
africane nelle sue ultime opere.
Durante l'espansione fascista abbiamo gli scritti celebratori
della virilità fascista con autori come Gabriele D'Annunzio,
che si è appropriato ingiustamente del mito nietzschiano
del superuomo, ad esempio nella sua tragedia Più che
l'amore (14), per celebrare la figura di Vittorio Bottego
come un eroe puro, un superuomo del tipo di Ulisse. In questo
modo D'Annunzio rinnova il vecchio mito dell'Africa come una terra
rigeneratrice, e lo trasforma nel sogno politico dell'espansione.
L'Africa è presentata come una terra da conquistare, in
cui possono essere dispiegate le infinite potenzalità individuali.
In occasione della conquista dell'Etiopia egli scrisse Teneo
te Africa (15). La seconda gesta d'oltremare. Allo stesso
modo, il poeta futurista Marinetti, nella sua poetica di azione
e movimento, contempla l'Africa come la terra della creatività.
Egli scrisse un romanzo sull'Africa, Mafarka il futurista
(Milano, Edizioni Futuristiche di "Poesia", 1910) e
anche Il poema Africano della Divisione 28 ottobre (Milano,
Mondadori, 1937). L'impatto di D'Annunzio, di Filippo Tommaso
Marinetti e di altri scrittori futuristi dell'avanguardia, può
essere approfondito nell'opera di Giovana Tommasello, La letteratura
coloniale italiana. Dalle avanguardie al Fascismo (Palermo,
Sellerio, 1984).
In aggiunta a queste rappresentazioni astratte dell'Africa, vi
sono i reportage giornalistici di Orio Vergani, Curzio
Malaparte e Dino Buzzati, tutti corrispondenti per Il Corriere
della Sera all'epoca dell'Impero in Africa. Orio Vergani fu
una delle voci più autorevoli della stampa del tempo, e
il suo viaggio in Etiopia, La via nera: viaggio in Etiopia
da Massaua a Mogadiscio, fu pubblicato nel 1938. Comunque,
queste attività giornalistiche subirono il fascino della
propaganda fascista e quindi, i loro articoli non possono essere
considerati alla stregua di seri ritratti dell'Africa, o di denunce
degli aspetti sordidi della colonizzazione, ma dovevano ricadere
nell'esotismo, con descrizioni della natura e delle persone che
non dovevano entrare in conflitto con l'autorità di Mussolini.
Marie-Hélène Caspar sottolinea quest'aspetto della
censura anche nelle sua introduzione alla pubblicazione dei settantaquattro
articoli scritti all'epoca da Buzzati come corrispondente straniero
in Africa. Buzzati arrivò in Africa nel 1939, tre anni
dopo l'annessione dell'Etiopia all'Impero. Gli articoli di Buzzati
non interessano tanto per il contenuto, che doveva essere in linea
con la propaganda fascista (narrazione delle gloriose azioni degli
Italiani, costruzione di gigantesche infrastrutture come la "strada
della Vittoria", descrizione della semplicità e della
primitività delle popolazioni native, o descrizioni del
paesaggio e della fauna africana nei suoi aspetti esotici), quanto
per le omissioni e le censure, riportate in corsivo da Caspar,
richieste sia dal direttore del Corriere, sia dal regime
fascista (16).
Comunque una volta conclusa l'avventura coloniale, e stabilita
una distanza dall'enfatica propaganda fascista, cominciarono ad
apparire le prime voci dissonanti che descrivevano le imprese
italiane in Africa nei loro aspetti spiacevoli e disumani, compresa
la crudeltà della colonizzazione italiana. Già nel
1923 Luciano Zuccoli, col suo romanzo Kif tebbi. Romanzo africano
(Milano, Treves, 1923), manifestò il desiderio di eliminare
la componente esotica dalla letteratura coloniale, e di mostrare
un maggiore interesse per le popolazioni indigene. Anche altre
opere, come Il deserto della Libia (1952) di Mario Tobino,
Mal d'Africa. Romanzo storico (1934, ristampato nel 1990
da Rizzoli) di Riccardo Bacchelli, e Settimana nera (Milano,
Mondadori, 1966) di Enrico Emmanuelli, continueranno a svelare
l' "altra" faccia della letteratura coloniale italiana.
L'opera più importante rimane il già menzionato
Tempo di uccidere, 1947, di Ennio Flaiano, in cui egli
crea degli eroi, effettivamente degli anti-eroi, che sono pietrificati
dalla nostalgia o torturati dalla cattiva coscienza, e che riconoscono
la debolezza, il malessere e la follia generati dal loro incontro
con l'Africa.
L'ultimo decennio ha visto un revival del mito dell'Africa, coi
racconti di Alberto Moravia: Passeggiate africane (Milano,
Bompiani, 1987) o A quale tribù appartieni? (Milano,
Bompiani, 1972), Lettera dal Sahara (1982), e anche il
suo ultimo romanzo La donna leopardo (Milano, Bompiani,
1992), hanno tutti a che fare con l'Africa. Anche Pier Paolo Pasolini
tentò di filmare un'Orestea africana. Come Moravia egli
era alla ricerca delle risposte profonde ai grandi quesiti esistenziali
che l'Africa pone ai suoi visitatori. Per Moravia l'Africa era
un continente denso di contraddizioni e di intersezioni, che potevano
offrire i paradigmi necessari per la comprensione delle strutture
più profonde della nostra civilizzazione. Un'altra pubblicazione
davvero recente riguarda l'opera postmoderna di Gianni Celati,
Avventure in Africa (Milano, Feltrinelli, 1998), in cui
i modelli di vita offerti dall'Africa sono visti come l'unica
via di fuga possibile dalla routine quotidiana, erosa dai simboli
del consumo di massa. Quest'Africa non è diversa o primitiva,
ma è un luogo in cui si può evadere per sfuggire
ai percorsi turistici. L'Africa di Celati dunque precede o ignora
il mondo post-coloniale.
Oltre a queste rappresentazioni c'è la vera letteratura
post-coloniale con autrici come Erminia dell'Oro, che ripercorre
il passato coloniale e riconosce le sue ripercussioni per l'Italia
degli anni Novanta. Nonostante la sua capacità di evitare
l'esotismo e il suo talento nella descrizione della complessa
natura dell'Africa, Erminia dell'Oro tende a rappresentare l'Eritrea
come un paradiso in terra, riaccendendo perciò il mito
dell'Africa seducente e ammaliatrice.
A queste descrizioni oscillanti tra il crudo realismo e la memoria
magica, c'è la nuova risposta offerta dagli scrittori della
diaspora afro-italiana, che narrano il loro desiderio e la loro
visione dell'Africa nei propri resoconti della migrazione verso
l'Italia, connettendola all'impatto con la realtà italiana,
spesso solo immaginata, un'Italia vista come il mito delle opportunità
e dei sogni. A questa brillante immaginazione si oppone spesso
la realtà del razzismo, che per la prima volta in questi
testi viene descritto dal punto di vista degli ospiti.
Negli ultimi venti anni l'Italia, come ho già detto, si
è trasformata dal paese dell'emigrazione di massa, alla
meta di un gran numero di immigrati dall'Africa e da altri luoghi.
L'attuale rinnovato contatto tra Africani e Italiani, con il flusso
di immigrati che si muove in una nuova direzione storica, presenta
un nuovo assetto di problematiche e di opportunità che
hanno importanti implicazioni non solo per il futuro della società
italiana, ma per le relazioni interculturali ed interrazziali
in ogni parte del mondo.
La letteratura post-coloniale e la narrativa afro-italiana
La
situazione italiana appare piuttosto povera, se paragonata alla
ricezione di cui godono gli scrittori africani ed asiatici in
Inghilterra, con le splendide collane dedicate espressamente loro
da affermate case editrici. Il mercato letterario italiano è
infatti piuttosto soffocante e non dimostra un particolare interesse
verso questa novità. Nonostante nessun romanzo italiano
della migrazione possa vantare un così vanaglorioso incipit
come quello del Buddha of the Suburbia di Kureishi, in
cui egli descrive la sua identità metà pakistana
e metà britannica, questo non significa che non esista
una letteratura della migrazione in Italia:
Mi chiamo Kamir Amir, e sono un vero inglese dalla testa ai piedi,
o quasi. La gente tende a considerarmi uno strano tipo di inglese,
magari una nuova razza, dal momento che sono il prodotto di due
vecchie culture. Io però me ne frego, sono inglese (non
che me ne vanti), vengo dalla periferia meridionale di Londra
e voglio arrivare da qualche parte. Forse è stata la bizzarra
mescolanza di sangue e continenti, di qui e là, di senso
di appartenenza e non, a rendermi irrequieto e facilmente annoiato
(17).
A
dispetto degli aspetti più scoraggianti, vi sono infatti
alcuni segnali di un'apertura dei confini letterari. La tendenza
esiste e il processo è irreversibile. La città di
Rimini ad esempio, ha organizzato un premio letterario (Eks&tra)
per poesie e racconti ad opera di scrittori immigrati. La casa
editrice "Fara" ha già pubblicato tre raccolte
a partire da questa competizione: Le voci dell'arcobaleno
(1995), Mosaici d'inchiostro (1996), Memorie in valigia
(1997). Inoltre a Roma il giornale "Il Caffè. Per
una letteratura multiculturale", ha già pubblicato
diversi numeri contenenti testi migranti scritti in italiano o
tradotti. Anche "Effe", la rivista delle librerie Feltrinelli,
ha dedicato il suo secondo numero al multiculturalismo con un
articolo del giornalista italiano Oreste Pivetta, Multiculturalismo,
voci di razza, in cui ha affermato:
I pakistani di My Beautiful Laundrette, la fortunata sceneggiatura
di Hanif Kureishi, sono sufficientemente numerosi, forti e sicuri,
per costruire una loro lingua, un inglese piegato alle modalità
della loro tradizione. Sostengo che paradossalmente lo scarso
numero dei nostri immigrati (rispetto agli altri paesi europei
e malgrado gli allarmismi) impedisce la nascita di una cultura
che si possa chiamare multietnica. Nascerà naturalmente
perchè l'immigrazione continuerà, malgrado le leggi,
anche le più restrittive (18).
Nell'ultimo
decennio la situazione si è evoluta oltre l'affermazione
di Pivetta. Anche l'editore parigino Harmattan, che ha una sede
torinese, ha pubblicato molti testi rilevanti per la questione
dell'interculturalità. La cooperativa editrice Sinnos sta
pubblicando inoltre una collana di testi bilingui, I Mappamondi,
in cui è apparso il testo di Ribka Sibhatu Aulò.
Canto-poesia dall'Eritrea.
Le affermazioni tiepide come quella di Pivetta, sulla possibilità
di una letteratura multiculturale, sono dovute anche al fatto
che per gli Italiani l'incontro coloniale è avvenuto altrove
e in un passato lontano. Mentre la Gran Bretagna ha sperimentato
un flusso di ritorno negli ultimi quattro decenni, l'Italia ha
rimosso le sue gesta imperiali dalla coscienza nazionale. Ma gli
immigrati che oggi popolano le città italiane e che iniziano
a raccontare le loro storie sui propri paesi, mettono l'Italia
a confronto con un pluralizzazione innegabile e davvero auspicabile.
Per intraprendere la ricerca delle categorie analitiche più
adatte, vorrei suggerire che l'Italia non ha mai avuto realmente
a che fare con la rappresentazione dell'altro fino alle immagini
create dalla propaganda fascista con libri di testo, immense carte
geografiche, messaggi pubblicitari, poster, canzoni e film. Tutte
immagini estremamente significative per l'analisi della costruzione
dell'immaginario collettivo italiano e della rappresentazione
dell'altro, ma che sono piuttosto datate, razziste e frutto di
una specifica retorica espansionista. C'è dunque una necessità
di cercare nuove rappresentazioni meno compromesse, che contribuiscano
a valutare la nuova realtà che emerge in seguito alla crescente
multiculturalizzazione che si verifica in casa. Perciò,
il nuovo ordine del giorno da fissare consiste nel riconoscimento
e nella valutazione delle contro-rappresentazioni proposte dagli
stessi scrittori immigrati, che tramite le loro narrazioni invertono
lo sguardo del colonizzatore e rispondono, ri-narrano la nazione
italiana così come loro la sperimentano. La multiculturalizzazione
emergente in Italia è quindi presente nelle significative
opere letterarie degli immigrati.
Molti dei testi degli immigrati italiani sono scritti in collaborazione
con uno scrittore o un giornalista italiano, che con una genuina
intenzione di impegno civile, danno voce a coloro che non ne hanno,
prestando la loro lingua alla narrativa migrante, cercando di
mescolare l'interesse per la situazione multiculturale presente
con le intenzioni letterarie. Il risultato oscilla da uno stile
documentario ad una fiction più articolata che raggiunge
il respiro del romanzo. Alessandro Micheletti è il co-autore
con Saidou Moussa Ba de La promessa di Hamadi (19), 1991.
Ba è l'esempio di un immigrato che proviene da un altro
background coloniale, in questo caso francese, ma molti
Africani che scrivono in italiano vengono dal Senegal, dal Marocco
e dalla Tunisia. Queste origini sono inscritte nei loro testi.
La Francia e la lingua francese funzionano come tramite tra l'Africa
e l'Italia:
C'è una discrepanza tra la cultura colonizzatrice che ha
dominato parte delle vite di questi nuovi scrittori afro-italiani
e la lingua letteraria in cui le loro vite vengono trascritte.
Queste creazioni letterarie ibride sono basate sull'accumulazione
e la relativa assimilazione di differenti tradizioni culturali
occidentali, filtrate attraverso occhi e lingue non-occidentali
(20).
Saidou
Moussa Ba, senegalese, è un esempio di questo genere di
scrittore: ha scritto alcuni appunti in francese, usati per sviluppare
la trama del romanzo che è stato scritto poi in stretta
collaborazione tra gli autori. Saidou Moussa Ba ha pubblicato
anche un altro testo in collaborazione con Alessandro Micheletti,
La memoria di A., 1995 (21).
Mohamed Bouchane viene dal Marocco e il suo libro Chiamatemi
Alì, 1990 (22), era originalmente un diario scritto
in francese e in arabo dallo stesso Bouchane. L'occasione per
quest'opera fu accidentale: mentre partecipava ad una lezione
di italiano egli scrisse un tema ispirato alla propria vita. L'insegnante
italiana, Carla de Girolamo, suggerì che il suo diario
potesse essere pubblicato e lavorò con lui per tradurre
la sua opera bilingue dal francese/arabo all'italiano. Nel suo
libro egli racconta la difficoltà di preservare la propria
religione, islamica, nell'ambito di una società così
fortemente cattolica come quella italiana. Bouchane tenta di definire
la sua identità come un'identità religiosa, e accentua
il fatto che l'integrazione per un musulmano in Italia è
più difficile che per altri immigrati. In Italia gran parte
dell'attenzione per gli extracomunitari venne inizialmente dalle
istituzioni religiose e dalla Chiesa cattolica, che offriva carità
agli altri, con l'implicazione che avrebbe cercato di convertirli.
Io, venditore di elefanti, 1990 (23), di Pap Khouma, fu
ideato in collaborazione col giornalista Oreste Pivetta, che ha
scritto anche l'introduzione al testo autobiografico. Anche Khouma
è un senegalese emigrato dapprima a Parigi, la capitale
dell'impero, e che si è sentito rifiutato sia dalla comunità
francese che da quella senegalese che viveva lì da più
lungo tempo. Di conseguenza si trasferì in Italia, considerata
come un paese alternativo di emigrazione, dove non esisteva ancora
una tradizione consolidata e dove ha dovuto affrontare ugualmente
un'insormontabile discriminazione. "La mia esperienza"
scrive Khouma, "ovviamente è stata vissuta da molti
altri immigrati come me, persone che conoscono come loro lingua
ufficiale la lingua dei colonizzatori, spagnolo, francese, inglese
o portoghese".
Salah Methnani è un immigrato tunisino che racconta la
sua esperienza in un libro autobiografico del 1990, Immigrato
(24), un resoconto schietto, sincero e straziante della sua discesa
apparentemente inevitabile verso la marginalizzazione e la criminalità.
Anche Mohsen Melliti ha già pubbicato due testi da solo,
Pantanella. Canto lungo la strada, 1992 (25) e I bambini
delle rose, 1995 (26). Il primo testo sulla Pantanella, una
fabbrica di pasta abbandonata a Roma, dove un grosso numero di
immigrati aveva trovato rifugio, affronta i problemi sociali creati
dall'occupazione e dallo sgombero forzato da parte della polizia.
Quest'evento è analizzato anche da Renato Curcio in
Shiv Mahal, 1991 (27).
Questi testi sono spesso puri ego-documenti, narrati in prima
persona nella forma dell'autobiografia. Come sostiene Maria Saracino
"L'autobiografia diventa un gradino, un passo necessario
per arrivare alla narrativa di fantasia. Come se non ci si potesse
affidare al racconto senza aver prima detto chi si è, senza
aver messo avanti le proprie credenziali" (28). È
questo progetto di dichiarazione del sè e della relazione
con una nuova identità nella formazione degli immigrati,
che produce un genere letterario che è ancora un ibrido,
in bilico tra la cronaca e il romanzo, tra la memoria di casa
e l'esperienza della contaminazione culturale.
[
]
Dunque, l'intera storia della presenza italiana nel Corno d'Africa
diventa rilevante per leggere questi testi in cui la complessa
natura delle conseguenze dell'impero, connessa alla nuova economia
globale, può rispondere in parte al confuso panorama multiculturale
italiano.
(Traduzione
di Sonia Sabelli)
NOTE
(1) [Estratto da Sandra Ponzanesi, Paradoxes of Post-colonial
Culture. Feminism and Diaspora in South-Asian and Afro-Italian
Women's Narratives, Utrecht, Universiteit Utrecht, 1999, p.187-205.
Traduzione di Sonia Sabelli.
In questo testo l'autrice si propone di "inserire la letteratura
afro-italiana nella cornice di una letteratura minore, rispetto
al mainstream delle altre letterature post-coloniali, e
di quella anglo-indiana in particolare". L'elemento di continuità
tra le autrici trattate (le afro-italiane Chora, Hassan, Sibhatu,
Viarengo, e le anglo-indiane Alexander, Gupta, Mukherejee, Suleri)
è rappresentato dalla "comune esperienza della diaspora,
che è analizzata come una concreta condizione sociale ed
economica, ma funziona anche come un tropo che connette popoli
di differenti origini e nazionalità, portando le varie
periferie/margini al centro. Ciò consente alle differenti
forme di marginalità di entrare in dialogo le une con le
altre, e di evitare il processo di ricolonizzazione e di canonizzazione".
N.d.T.]
(2) Quella dell'identità italiana è una questione
piuttosto complessa. Come ha affermato Antonio Negri, forse nessun
altra nazione se non l'Italia ha visto partire un terzo della
sua popolazione nel giro di cinquant'anni. Dal momento dell'unificazione
fino agli anni Venti, quando il fascismo chiuse le porte all'emigrazione
italiana, un terzo della popolazione, dieci dei trenta milioni
di abitanti che l'Italia contava all'epoca, hanno lasciato il
paese. Antonio Negri, "Italy, Exile County", in Beverly
Allen e Mary Russo, Revisioning Italy. National Identity and
Global Culture, Minneapolis, University of Minnesota Press,
1997, p.45.
(3) "L'interrogativo sulle componenti "razziali"
e di classe dell'italianità negli Stati Uniti, si muove
in due direzioni:
1) verso il riconoscimento degli Italo-Americani come un gruppo
marcato sia dall'etnicità che dalla classe, e
2) verso il riconoscimento della posizione strutturale degli Italo-Americani
come terra di frontiera delle distinzioni razziali: l'ultima categoria
"bianca" e "razziale" nella scala che va da
"bianco" a nero".
I film del regista africano-americano Spike Lee, ad esempio, con
le loro storie di violenza razziale e di amore interrazziale,
riconoscono la natura intrigante e pericolosa di questa vicinanza".
Beverly Allen e Mary Russo, Revisioning Italy. National Identity
and Global Culture, cit., p.7.
(4) Antonio Gramsci, La questione meridionale, Roma, Editori
Riuniti, 1966.
(5) A causa della sua opposizione al fascismo, Carlo Levi, pittore,
dottore e scrittore ebreo, fu mandato al confino in un piccolo
e primitivo paese della Lucania, agli inizi della guerra di Abissinia
(1935). Levi scrisse un romanzo formidabile e pieno di compassione
su questa regione dimenticata da Dio, che mostra il suo incredibile
talento nella creazione dei personaggi e la sua particolare sensibilità
per la condizione umana. Carlo Levi, Cristo si è fermato
ad Eboli, Torino, Einaudi,1945.
(6) Immigrazione. Dossier statistico '97. A cura della
Caritas di Roma, del Ministero dell'Istruzione e della Commissione
Europea, Roma, Anterem, 1998. Per riassumere, se prendiamo un
numero simbolico di 9 donne immigrate in Italia, possiamo dire
che 4 provengno dall'Europa (Germania, Austria, Francia, Spagna,
Svezia, Finlandia, Svizzera), 3 dalle Americhe (USA, Canada, Argentina,
Cile, Messico, Brasile, Venezuela, Repubblica Dominicana, Cuba),
2 dall'Asia (Filippine, Subcontinente Indiano,Tailandia) e solo
1 dall'Africa (Marocco, Somalia, Nigeria, Etiopia).
(7) Mario Grasso, Donne senza confini. Immigrate in Italia
tra marginalità ed emancipazione, Torino, L'Harmattan,
1994.
(8) [Ribka Sibhatu, Aulò. Canto-poesia dall'eritrea
(con testo tigrino a fronte), introduzione di Tullio De Mauro,
Roma, I mappamondi, Sinnos Editrice, 1993. A questo testo
è dedicato il capitolo IX del testo di Sandra Ponzanesi.
N.d.T.]
(9) Maria Rosa Cutrufelli, recensione a Erminia dell'Oro, L'abbandono.
Una storia eritrea, Einaudi, 1991. "L'indice dei libri
del mese", 1992, n.2
(10) Il saggio di Vinicio Ongini intitolato ironicamente "Cenerentola
è nata in Cina", traccia una connessione tra il piedino
di Cenerentola che dimostra la sua nobiltà e la pratica
di fasciare i piedi in Cina. Apparentemente sembra che la più
antica versione della favola sia stata scritta da un ufficiale
cinese, come riporta lo storico italiano Carlo Ginzburg in Storia
notturna (Torino, Einaudi, 1989). Ciò dimostra la straordinaria
capacità delle favole di tenere presenti le differenze
e le similarità culturali: mantenendo questi temi come
sottotesti culturali, le fiabe possono generare il sorgere di
un sorprendente numero di testualizzazioni. Idem, in Maria Antonietta
Saracino (a cura di), Altri lati del mondo, Roma, Sensibili
alle foglie, 1994, pp. 165-176.
(11) Maria Antonietta Saracino, "In casa d'altri", in
Altri lati del mondo, cit., 1994, p.16.
(12) Come è chiaramente illustrato da Firdous Azim in The
Colonial Rise of the Novel, 1993. In questo testo critico
Azim anticipa l'inizio del romanzo inglese, chiarendo che il romanzo
come genere ha escluso sia le donne che la gente di colore. Nel
tentativo di demolire l'universalità del romanzo, Azim
offre un importante contributo agli studi femministi e post-coloniali.
(13) A questo proposito è davvero interessante la collezione
di saggi curata da Marie-Hélène Caspar, L'Africa
e l'Italia contemporanea: miti, propaganda, realtà,
in "Narrativa", Centre de Ricerche Italiennes. Université
Paris X, Nanterre, no.14, Juillet 1998.
(14) Gabriele D'Annunzio, Più che l'amore, in Tutte
le opere, Milano, Mondadori, 1932.
(15) Gabriele D'Annunzio, Teneo te Africa. La seconda gesta
d'oltremare, Roma, Il Vittoriale degli Italiani, 1942.
(16) Marie-Hélène Caspar, L'Africa di Buzzati.
Libia: 1933. Etiopia: 1939-1940, Université Paris X,
Nanterre. Centre de Recerches Italiennes C.R.I.X., 1997. Si veda
anche Sandra Ponzanesi, Professionista magico. Dino Buzzati
e l'Africa, in "Incontri, Rivista Europea di Studi Italiani",
1997, pp.3-4.
(17) Hanif Kureishi, Buddha of the Suburbia, London, Faber
& Faber, 1990. [Edizione italiana: Hanif Kureishi, Il Budda
delle periferie, traduzione di Maria Ludovica Petta, Milano, Mondadori,
1990. N.d.T.]
(18) Oreste Pivetta, Multiculturalismo. Voci di razza. Immigrati
in Italia. Che cosa scrivono, come li vediamo, "EFFE,
Rivista delle librerie Feltrinelli", primavera 1996, n.2,
p.10.
(19) Saidou Moussa Ba, La promessa di Hamadi. A cura di
Saidou Moussa Ba e Alessandro Micheletti, Novara, De Agostini,
1991.
(20) Graziella Parati, Living in Translation. Thinking with
an Accent, in "Romance Languages Annual" 1996, vol.8,
West Lafayette (IN), Purdue Researche Foundation, p.4.
(21) Saidou Moussa Ba, La memoria di A. A cura di Saidou
Moussa Ba e Alessandro Micheletti, Edizioni Gruppo Abele, 1995.
(22) Mohamend Bouchane, Chiamatemi Alì. A cura di
Carla de Gerolamo e Daniele Miccione, Leonardo, 1991.
(23) Pap Khouma, Io, venditore di elefanti. A cura di Pap
Khouma e di Oreste Pivetta, Milano, Garzanti, 1990.
(24) Salah Methnani, Immigrato. A cura di Salah Methnani
e Mario Fortunato, Theoria, 1990.
(25) Mohsen Melliti, Pantanella. Canto lungo la strada,
Edizioni lavoro, 1992. Questo testo fu scritto prima in arabo,
ma pubblicato solo nella traduzione italiana di Monica Ruotto.
(26) Mohsen Melliti, I bambini delle rose, Edizioni lavoro,
1995.
(27) Renato Curcio, Shiv Mahal, Roma, Sensibili alle foglie,
1991. Curcio ha fondato la casa editrice Sensibili alle foglie
dalla prigione. Un attivista politico degli anni Settanta, Curcio
fu imprigionato come leader del gruppo terrorista delle Brigate
Rosse, e rilasciato nell'ottobre del 1998.
(28) Maria Antonietta Saracino, Altri lati del mondo, cit.,
p.86.
Sandra
Ponzanesi è ricercatrice e docente universitaria presso
l'Università di Utrecht (Paesi Bassi). È stata anche
docente di teoria della letteratura presso l'università
di Groningen, e ha lavorato come post-dottoranda all'Università
di Amsterdam (Belle Van Zuylen Institute - Research Centre for
Multicultural and Comparative Gender Studies). Ha ottenuto un
P.h.D. dall'Università di Utrecht. La sua tesi di dottorato,
dal titolo Paradoxes of Post-colonial Culture. Feminism and
Diaspora in South-Asian and Afro-Italian Women's Narratives
(in corso di pubblicazione per Albany: SUNY Press, disponibile
dal 2003) è un approccio critico al post-colonialismo,
alla letteratura comparata e alle teorie femministe del terzo
mondo. Si è laureata in letteratura inglese all'Università
di Bologna con una tesi su V.S. Naipaul. Ha lavorato e studiato
anche nel Regno Unito (Sussex University e Greenwich University).
Ha pubblicato in ambito internazionale sulla critica letteraria
post-coloniale, gli women's studies, le rappresentazioni urbane
e la storia coloniale italiana. Sta curando un volume con Daniela
Merolla su "Migrant Cartographies: Cultural Travellers and
New Literatures". Ha contribuito alla Cambridge Guide
to Women's Writing in English e al Routledge Companion
to Contemporary Black British Culture.
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