IL MULTICULTURALISMO ITALIANO (1)

Sandra Ponzanesi


L'identità frammentata dell'Italia

Per comprendere il processo di multiculturalizzazione in atto, è necessario in primo luogo ripensare la nozione di identità italiana: un concetto che appare piuttosto controverso negli anni Novanta. L'Italia, che si proietta al mondo esterno come il paese del made in Italy e della corruzione politica, non coincide con un'area culturalmente coesa. Il recente movimento della Lega Lombarda, che propone uno stato federale in cui il nord possa essere separato dal resto del paese, è solo la recente espressione di una lunga storia di differenziazioni linguistiche, politiche ed economiche.
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La costruzione dell'identità nazionale italiana deve essere vista anche alla luce del gigantesco esodo dalla nazione. Durante il secolo scorso si verificò un'enorme migrazione di lavoratori italiani, soprattutto dalle regioni meridioniali, verso l'Europa settentrionale, gli Stati Uniti, l'Australia e l'Argentina (2). Il ruolo simbolico svolto dagli italo-americani è particolarmente interessante perchè delinea gli italiani, considerati come nè bianchi nè neri, come il gruppo etnico minore tra quelli presenti negli Stati Uniti. Gli italo-americani che hanno raggiunto il successo nelle varie espressioni artistiche (Francis Ford Coppola, Martin Scorsese nel cinema, da Frank Sinatra e Madonna nella musica, ai grandi attori come Robert de Niro e Marlon Brando) danno dell'Italia l'immagine di una nazione di successo, che contrasta con il suo ruolo marginale sul piano economico (3).
Nel suo articolo La preclusione di un discorso post-coloniale nell'Italia meridionale, Pasquale Verdicchio sottolinea come la storia dell'emigrazione italiana sia marcata da una forma di colonizzazione all'interno della nazione, visto che la maggior parte degli immigrati italiani provengono dalle regioni meridionali. Questa condizione di subalternità era stata già rilevata da Antonio Gramsci ne La questione meridionale (4), ma Verdicchio enfatizza il ruolo degli emigranti meridionali come cittadini di confine. In Italia infatti, si afferma comunemente che "l'Africa comincia a sud di Roma", quindi c'è un'interpretazione storica che connette i meridionali italiani ad altri popoli colonizzati.
Quest'aspetto è descritto anche nel bellissimo romanzo di Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli (1945) (5), in cui l'immagine della Lucania dimenticata da dio, funziona come un'allegoria dello stato centrale che difende gli interessi e la cultura del centro-nord, e che non si è mai preoccupato dello sviluppo e del miglioramento delle condizioni economiche del sud.
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Forse proprio a causa del fatto che l'emigrazone di massa ha precluso la possibilità di un discorso post-coloniale sull'Italia stessa, i cittadini meridionali hanno cercato di mantenere all'estero una propria identità, distinta dal modello nazionale generale. Negli Stati Uniti infatti l'origine regionale, con le sue variazioni linguistiche e culturali, risulta più rilevante della dichiarazione di affiliazione all'identità nazionale italiana.
Alla complessità della larga scala degli allineamenti politici, che hanno accelerato il passo, bisogna aggiungere il paradosso che caratterizza l'Italia: uno dei cinque paesi più economicamente potenti al mondo, il paese della moda, del design e della cultura alta, ma che allo stesso tempo è considerato in Europa come la "piccola Italia". Una nazione che ancora si scontra con forme di arretratezza civica e sociale, affossata dal debito pubblico, dal crimine organizzato, dalla corruzione del governo, da una cattiva amministrazione, dalla disparità economica tra nord e sud, dall'instabilità politica, intrappolata nel cattolicesimo e fondata su un concetto della famiglia nucleare che scalza la fiducia nello Stato. L'ovvia immaturità dello stato italiano rispetto agli altri paesi europei andrebbe analizzata a fondo visto che, nonostante non risponda al modello di modernizzazione adottato da Germania, Inghilterra e Francia, è comunque un paese competitivo, con una diffusa prosperità e un membro fondatore dell'Unione Europea. Questo fa dell' "eccezionalismo" italiano un modello che potrebbe avvicinarsi in qualche modo ad altre realtà del Mediterraneo.


Un profilo dell'immigrazione

Questa ricerca di un'identità italiana è complicata dalla nuova situazione generata dall'improvviso flusso di immigrati provenienti dai territori ex-coloniali, il cui status economico e culturale è paragonabile a quello dei migranti meridionali italiani. Mettendo in discussione la storia italiana attraverso una ridefinizione dei suoi margini, gli immigrati di oggi si aspettano solidarietà dagli italiani, sulla base delle analogie rilevate nelle esperienze degli emigranti meridionali di cento anni fa. Ma questo non è ciò che accade. Il processo di integrazione di razze differenti, e spesso di differenti religioni, è segnato da esplosioni di violenza, discriminazione e intolleranza sociale.
La limitatezza dell'esperienza coloniale in Africa non ha generato al momento dell'indipendenza un'immigrazione massiccia verso la nazione ex-coloniale. Solo in pochi vennero in Italia con l'annessione dell'Eritrea all'Etiopia, ma non acquistarono la visibilità delle più recenti forme di immigrazione. Invece le difficili condizioni in cui attualmente versano questi paesi, guerre civili, carestie, sconvolgimenti politici, hanno costretto molti a partire, in alcuni casi anche verso l'Italia, divenuta il cancello d'ingresso verso la Fortezza Europa per i popoli provenienti da Africa, Asia ed Europa Orientale (quest'ultima a causa della dissoluzione del blocco comunista).
Il film Lamerica (1994) di Gianni Amelio, che raffigura gli Albanesi ammassati sulle navi, che sognano di raggiungere la loro terra promessa (ovviamente il titolo allude al sogno americano) è un efficace ritratto dell'Italia vista da occhi "immigrati" e pieni di speranza. Questa forma di immigrazione non è connessa al passato coloniale italiano, ma è dettata da una nuova convergenza geografica.
Per quanto riguarda l'immigrazione infatti, l'Italia è l'ultima arrivata rispetto a Francia e Gran Bretagna, in cui la storia dell'immigrazione dalle ex-colonie è iniziata negli anni Cinquanta. La condizione italiana è considerata anomala rispetto al contesto europeo, proprio perchè, diversamente dagli altri paesi, non ha un'antica tradizione d'immigrazione basata su una politica sociale capace di gestire sia il flusso degli immigrati in arrivo, sia il consolidamento della loro presenza sul territorio.
La realtà dell'immigrazione in Francia ad esempio è caratterizzata dal suo "assimilazionismo etnocentrico", un riflesso del suo modello coloniale. Il progetto assimilazionista è basato sul fatto che gli immigrati, per essere positivamente integrati, debbano abbandonare la loro cultura di origine per la lingua e i costumi francesi; in accordo con l'idea della nazione francese, basata sulla centralizzazione di uno stato che di fatto esclude le minoranze etniche. La cittadinanza viene concessa sulla base della perfetta assimilazione delle minoranze, a dispetto dei loro differenti bisogni culturali e della diversità dei gruppi provenienti dalle ex-colonie.
Anche i Britannici attuano una politica dell'immigrazione che riflette il loro modello coloniale, caratterizzato da una strategia liberale e autonoma. La Gran Bretagna è pronta ad accettare le particolarità delle minoranze etniche (costumi, tradizioni, abitudini) poichè si dà per scontato che gli immigrati non diverranno mai dei veri British. In pratica le minoranze etniche sono ghettizzate e relegate in uno spazio marginale in cambio di una presunta libertà, che in realtà consiste in una forma di "pluralismo diseguale". Quest'approccio all'immigrazione è una chiara conseguenza del passato coloniale britannico, in cui l'autonomia era garantita ai governatori locali, solo fino a quando essi riconoscevano l'autorità e la superiorità dei governanti, cioè i Britannici. La flessibilità di questo sistema offriva una soluzione efficace alla mutevole situazione dell'immigrazione fino a circa un decennio fa. Oggi però la Gran Bretagna si confronta con una seconda e una terza generazione di immigrati che sono pienamente consapevoli dei loro diritti legali e sociali, e del legame con le loro specificità culturali. Questa generazione di immigrati non è più disposta ad accettare il ruolo subordinato attribuitole in passato, anzi è pronta a trasformare il concetto stesso di Britishness, espandendolo dal suo interno, come Hanif Kureishi ha dimostrato col suo lavoro.
La situazione italiana è più confusa, sia per la mancanza di progettualità durante la colonizzazione (caratterizzata dall'italiana "arte di arrangiarsi"), sia per l' "anomalia" della forma assunta qui dall'immigrazione. Come ho già detto, infatti, per gli immigrati che si confrontano con il mutato panorama europeo, la soluzione italiana non rappresenta la scelta migliore e più ambita, ma solo un'alternativa ad altri paesi che hanno chiuso le loro frontiere.
Inoltre la condizione dell'immigrazione in Italia è anomala perchè generata da un complesso assetto di contesti politici ed economici, che sono specificamente correlati alle condizioni storiche ed economiche della postmodernità. L'immigrazione attuale infatti, non è connessa solo al passato imperiale italiano e alla politica post-coloniale dei paesi limitrofi, ma soprattuto alla realtà contemporanea del mercato globale. Sia in Italia che all'estero, l'identità nazionale italiana è determinata dall'intersezione di diversi fattori, tra cui l'esistenza di intellettuali immigrati e migranti che contribuiscono alla formulazione delle mutevoli prospettive storiche e culturali sull'identità nazionale.
Ad eccezione dell'immigrazione regolare dal Marocco iniziata negli anni Sessanta, l'Italia è stata coinvolta nel fenomeno dell'immigrazione solo a partire dagli anni Ottanta, quando gli altri paesi europei avevano già irrigidito la loro politica dell'immigrazione, o avevano chiuso le frontiere. Dunque l'Italia è divenuta una soluzione di ripiego, un paese in cui non c'era una chiara legislazione che regolasse sia gli ingressi, sia gli immigrati già presenti. L'Italia offriva opportunità di lavoro non qualificato o semi-specializzato: per molti, condizioni migliori di quelle lasciate a casa. Questa è una delle ragioni per cui gli immigrati provenienti dalle colonie francofone come il Senegal, che popolano i marciapiedi italiani, vengono chiamati vu' cumprà, un termine dispregiativo usato per tutti i venditori di strada africani. L'espressione schernisce il modo in cui gli Africani storpiano l'italiano "vuoi comprare?". Un'altra potente associazione tra razza e lavoro in Italia è quella dei raccoglitori di pomodori. Nell'ultimo decennio un flusso di immigrati clandestini di colore è venuto a lavorare nel sud Italia. Il loro arrivo è stato così improvviso, che non c'erano servizi adeguati per accoglierli, e la reazione della popolazione locale è stata di razzismo e violenza.


La femminilizzazione della migrazione

L'offerta più consistente di lavoro riguarda il settore dell'assistenza domestica, considerato in Italia come "informale lecito". Il numero crescente di donne italiane che hanno fatto il loro ingresso nella forza lavoro, ha creato un vuoto nella sfera domestica, colmato dalle donne immigrate, e ha determinato la recente femminilizzazione dell'immigrazione in Italia. Nonostante dapprincipio le donne venissero soprattutto per ricongiungimento familiare, oggi c'è un flusso di donne che arrivano sole e lavorano nella sfera domestica, risparmiando per permettere alle proprie famiglie di raggiungerle. Perciò la percentuale delle donne immigrate in italia è cresciuta dal 30 al 50% circa. In alcuni gruppi, come mostrerò poi, questa percentuale raggiunge il 90%. La maggioranza delle immigrate provengono dalle regioni che hanno avuto in precedenza un contatto coloniale, come l'Etiopia e l'Eritrea, o sono prevalentemente cattoliche (anche qui a causa della colonizzazione o dell'attività missionaria) come le donne delle Filippine o di Capoverde, che sono impegnate nella penisola in tutte le attività domestiche.
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Le statistiche publicate dalla Caritas insieme al Ministero dell'Istruzione (6) contano le seguenti comunità legali di immigrati in cui le donne superano il 75%: Russia, Capoverde, Eritrea, Etiopia, Ucraina, Tailandia, Colombia, Ecuador. La comunità femminile più numerosa è quella filippina: le donne filippine sono comunemente inpiegate come "colf" (collaboratrici domestiche), che in italiano significa balia, cameriera, donna delle pulizie, cuoca, governante, tutto in una sola persona.
Ovviamente, nonostante il gruppo di donne provenienti dalle regioni del Corno d'Africa non sia numeroso come quello delle Filippine o dell'Europa Orientale, le loro comunità italiane sono costituite prevalentemente da donne. È importante, perciò, rintracciare le voci femminili capaci di rappresentare queste esperienze di immigrazione e il loro percorso verso l'integrazione in un paese che è stato un tempo colonizzatore, ma che ha avuto un'influenza davvero minima sugli sviluppi politici nel Corno d'Africa, oscurata da più grandi potenze come gli Stati Uniti e l'ex Unione Sovietica.
Come Mario Grasso ha illustrato nel suo studio Donne senza confini. Immigrate in Italia tra marginalità ed emancipazione (7), la femminilizzazione dell'immigrazione che interessa l'Italia al momento è caratterizzata da due tipologie. La prima è rappresentata dalla cosiddetta "donna tradizionale" che emigra soprattutto per ricongiungersi al marito e per un periodo limitato. Queste donne sono definite come les instrumentalistes, poichè si adattano solo superficialmente al paese ospitante e tendono a preservare il comportamento e le tradizioni dei contesti culturali di orgine.
Il secondo tipo di immigrate è rappresentato da quelle donne che intendono partecipare al processo di modernizzazione, e che scelgono la migrazione non solo per ragioni economiche, ma anche perchè implica delle opportunità di studio, emancipazione e cambiamento. Questo gruppo è definito nel testo di Grasso come les promotionelles, donne che emigrano a causa delle difficoltà socio-economiche del paese di origine, ma che optano per una migrazione consapevole e matura, impegnandosi nella decostruzione di vecchi valori alla ricerca di una promozione sociale e culturale all'interno del paese ospitante. La loro migrazione è spesso permanente e perciò ambiscono ad acquisire tutti quei diritti legali e civili che possano rendere stabile la loro situazione e che le conducano ad una elevazione sociale. Vivono il ruolo femminile nel tentativo di riconciliare la diversità culturale, che finisce per non corrispondere nè al modello lasciato a casa, nè al modello di identità femminile offerto dal paese ospitante. Le contraddizioni che emergono dalla difficoltà di mantenere un equilibrio fra tradizione e modernizzazione, spesso costringono le donne immigrate a pagare un prezzo davvero alto, impedendo loro di mantenere una vita privata e familiare, e di trovare del tempo libero per se stesse mentre lavorano a tempo pieno in situazioni davvero distanti da quelle del contesto di origine.
Il caso della migrazione eritrea è particolarmente anomalo perchè rappresenta un vero e proprio esodo, se si considerano le cifre. Le donne sono state le prime a migrare e hanno lavorato per creare le condizioni per il successivo ricongiungimento con i loro mariti e figli; migrano principalmente per motivi politici ed hanno un elevato livello di istruzione. Molte di loro hanno partecipato alla guerra, come membri del Fronte di Liberazione Eritreo contro l'oppressione dell'Etiopia, ed hanno un grado elevato di emancipazione e di determinazione, come nel caso di Ribka Sibhatu (8). La decisione di migrare è basata su una forte convinzione e sul bisogno di ricomporre nel nuovo paese un'identità che si accordi sia col proprio ruolo sociale, sia con la necessità dell'affermazione.
Le tre generazioni di donne eritree oggi residenti in Italia, rappresentano la forma di immigrazione più costante e stabile. Nonostante tengano aperta la possibilità del ritorno in patria, non appena si concluderanno gli sconvolgimenti politici, soffrono di una patologia da sradicamento visto che, diversamente da altri gruppi di immigrate, sembrano destinate ad una stabilizzazione permanente, soprattutto a causa della presenza di una seconda genrazione nata, crescita ed educata in Italia, che tende a perdere l'identificazione con le caratteristiche della propria cultura etnica.


La letteratura coloniale italiana

Forse reputavo quegli esseri troppo semplici. Ma dovevo insistere: gli occhi di lei mi guardavano da duemila anni, con il muto rimprovero per un'eredità trascurata. E mi accorgevo che nella sua indolente difesa c'era anche la speranza di soccombere.
Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, p.22.

La multiculturalizzazione in atto in Italia ha infatti rivitalizzato l'atteggiamento auto-riflessivo sulle implicazioni delle imprese coloniali e sulla loro risonanza nell'ambito del contesto culturale presente. Si verifica quindi un continuo spostamento da un atto di negazione ad un momento di riconoscimento e coscientizzazione, che ciò nonostante ha ancora un ruolo marginale all'interno del panorama culturale italiano. Comunque, questa situazione contesta le affermazioni come la seguente di Maria Cutrufelli:

Il sogno imperiale dell'Italia nel Corno d'Africa (...) è una storia dimenticata, sepolta nell'inconscio collettivo di una nazione (...) una guerra coperta da altre guerre e che forse anche per questo ha lasciato poche tracce nella nostra cultura, poche suggestioni nella prosa dei nostri narratori (9).

Quest'opinione è condivisa da molti conoscitori e specialisti della letteratura italiana. Anche in un approccio multiculturale alla letteratura come quello offerto dal testo Altri lati del mondo (10), curato da Maria Antonietta Saracino in collaborazione con altri importanti autori (Isabella Camera D'Afflitto, Alessandro Portelli, Vinicio Ongini, Goffredo Fofi, ecc.), si riscontra una reticenza nell'attribuire all'Africa un ruolo all'interno della letteratura italiana. Questa collezione di saggi delinea l'articolazione degli incontri letterari, musicali, artistici e cinematografici tra mondi vicini e lontani; mettendo a confronto le diverse letterature (afro-americana, anglo-indiana, anglo-africana, araba) con l'immaturità dell'Italia nel suo incontro con l'altro letterario:

Ed è forse anche a causa della brevità e delle modalità della nostra esperienza coloniale, che da noi non ha fatto in tempo a nascere un filone narrativo di reale spessore, incentrato su quella vicenda, in termini simili a quelli nei quali, ad esempio, esso esiste da quasi tre secoli nella narrativa inglese (11).

Maria Antonietta Saracino si riferisce ai classici della letteratura inglese in cui l'altro diventa una presenza familiare, come La tempesta di Shakespeare, Robinson Crusoe di Daniel Defoe, Cuore di tenebra di Joseph Conrad, Kim di Rudyard Kipling o Passaggio in India di E. M. Forsters. Non dovremmo dimenticare Ooronoko: Or the Royal Slave, il testo recentemente riscoperto di Aphra Ben (1688), la prima donna in Inghilterra a guadagnarsi da vivere con la scrittura (1640-1689), che racconta la storia di un uomo di colore che inizia la sua vita da principe e la conclude da schiavo. Il libro, ambientato in Suriname, è quindi il primo romanzo moderno inglese (12), scritto con una voce autobiografica esplicitamente ed orgogliosamente femminile, un testo che precede di più di cent'anni le altre narrazioni anti-schiaviste. La lista degli incontri letterari con l' "altro" sarebbe ancora lunga, ma ciò che importa al momento è la risposta a questo "incontro bianco", la letteratura prodotta dalla migrazione, la scrittura di ritorno. In Gran Bretagna è la letteratura dominante al momento, con autori come Salman Rushdie, Ben Okri, Derek Walcott, Hanif Kureishi e molti altri. In Francia, accanto alla grande letteratura di Tahar Ben Jelloun, Assia Djebar o Rachid Boujedra, vi sono anche i numerosi racconti ironici per ragazzi che dimostrano l'avanzare del multiculturalismo, come Il gatto di Tigali di Didier Daeninckx, in cui un gatto tunisino viene ucciso per motivi razzisti.
Nonostante la presenza africana, sulla base del legame coloniale, assuma un ruolo marginale nella letteratura italiana, questo non significa che sia completamente assente. Al contrario c'è un numero consistente di opere letterarie che hanno a che fare con l'Africa, o meglio col mal d'Africa. Questi testi, che sono senza dubbio parte della letteratura coloniale italiana, trattano dell'irresistibile attrazione per il Continente Nero, della fascinazione per i paesaggi primordiali africani, per i suoi antichi costumi e per la sua capacità di evocare miti. Questo tipo di fascinazione per l'Africa è stata spesso considerata pericolosa ed è stata vista come la causa dell'insabbiamento degli Italiani, che determinò la loro incapacità di lasciare il continente senza essere contaminati dalla sua terrificante attrattiva.
Esiste certamente una mole considerevole di opere letterarie prodotte sull'Africa dai primi etnografi, esploratori e viaggiatori, ma c'è anche una letteratura prodotta da scrittori e giornalisti durante il periodo di consolidamento dell'impero coloniale (13). Anche nel caso della già menzionata retorica del regime fascista, è chiaro il legame tra la produzione testuale e la colonizzazione. Innumerevoli furono i resoconti delle azioni espansionistiche, scritti per creare la "fabbrica del consenso", come ha affermato lo storico Angelo del Boca. Le varie rappresentazioni letterarie sul colonialismo hanno assolto il compito di preparare e commentare la politica espansionista italiana, producendo la retorica discorsiva della propaganda imperiale. Quindi, contrariamente all'opinione popolare, non c'è carenza di simili testi. Di più recente produzione è invece la letteratura che possiamo definire post-coloniale, in cui possiamo distinguere l'immagine degli Italiani sull'Africa, dalla risposta degli autori e autrici africani/e che hanno iniziato a scrivere in italiano per ragioni di colonialismo o immigrazione.
Durante la prima fase della letteratura coloniale troviamo i resoconti dell'esploratore Vittorio Bottego, un aggressivo avventuriero seguace della politica coloniale di Crispi. Arnaldo Cipolla fu considerato "il Kipling italiano" per i lunghi e vividi resoconti dei suoi viaggi. Pubblicò romanzi e racconti su luoghi e popoli esotici. Alla vigilia dell'invasione dell'Etiopia pubblicò L'Abissinia in armi (Firenze, Bemporad, 1935), che articola uno sguardo complesso e stereotipato sull'Etiopia, basato sulla netta opposizione binaria tra i modelli del disprezzo e dell'attrazione. L'Etiopia è rappresentata sia come un paese da conquistare, barbaro e sinistro, sia come un paese esotico ed attraente per il turismo, una tensione che permane nei successivi resoconti dell'esperienza italiana in Africa.
Oltre a queste, vi sono le descrizioni fantastiche lasciate da altri viaggiatori ed esploratori, come quelle di Emilio Cecchi, o i racconti di autori come Emilio Salgari, che scrisse di luoghi lontani come l'Africa e la Malesia (Sandokan) senza esservi mai stato. Di genere diverso è la poesia di Ungaretti, fondatore del movimento poetico dell'ermetismo. Egli nacque ad Alessandria nel 1888, e userà le immagini delle regioni desertiche africane nelle sue ultime opere.
Durante l'espansione fascista abbiamo gli scritti celebratori della virilità fascista con autori come Gabriele D'Annunzio, che si è appropriato ingiustamente del mito nietzschiano del superuomo, ad esempio nella sua tragedia Più che l'amore (14), per celebrare la figura di Vittorio Bottego come un eroe puro, un superuomo del tipo di Ulisse. In questo modo D'Annunzio rinnova il vecchio mito dell'Africa come una terra rigeneratrice, e lo trasforma nel sogno politico dell'espansione. L'Africa è presentata come una terra da conquistare, in cui possono essere dispiegate le infinite potenzalità individuali. In occasione della conquista dell'Etiopia egli scrisse Teneo te Africa (15). La seconda gesta d'oltremare. Allo stesso modo, il poeta futurista Marinetti, nella sua poetica di azione e movimento, contempla l'Africa come la terra della creatività. Egli scrisse un romanzo sull'Africa, Mafarka il futurista (Milano, Edizioni Futuristiche di "Poesia", 1910) e anche Il poema Africano della Divisione 28 ottobre (Milano, Mondadori, 1937). L'impatto di D'Annunzio, di Filippo Tommaso Marinetti e di altri scrittori futuristi dell'avanguardia, può essere approfondito nell'opera di Giovana Tommasello, La letteratura coloniale italiana. Dalle avanguardie al Fascismo (Palermo, Sellerio, 1984).
In aggiunta a queste rappresentazioni astratte dell'Africa, vi sono i reportage giornalistici di Orio Vergani, Curzio Malaparte e Dino Buzzati, tutti corrispondenti per Il Corriere della Sera all'epoca dell'Impero in Africa. Orio Vergani fu una delle voci più autorevoli della stampa del tempo, e il suo viaggio in Etiopia, La via nera: viaggio in Etiopia da Massaua a Mogadiscio, fu pubblicato nel 1938. Comunque, queste attività giornalistiche subirono il fascino della propaganda fascista e quindi, i loro articoli non possono essere considerati alla stregua di seri ritratti dell'Africa, o di denunce degli aspetti sordidi della colonizzazione, ma dovevano ricadere nell'esotismo, con descrizioni della natura e delle persone che non dovevano entrare in conflitto con l'autorità di Mussolini. Marie-Hélène Caspar sottolinea quest'aspetto della censura anche nelle sua introduzione alla pubblicazione dei settantaquattro articoli scritti all'epoca da Buzzati come corrispondente straniero in Africa. Buzzati arrivò in Africa nel 1939, tre anni dopo l'annessione dell'Etiopia all'Impero. Gli articoli di Buzzati non interessano tanto per il contenuto, che doveva essere in linea con la propaganda fascista (narrazione delle gloriose azioni degli Italiani, costruzione di gigantesche infrastrutture come la "strada della Vittoria", descrizione della semplicità e della primitività delle popolazioni native, o descrizioni del paesaggio e della fauna africana nei suoi aspetti esotici), quanto per le omissioni e le censure, riportate in corsivo da Caspar, richieste sia dal direttore del Corriere, sia dal regime fascista (16).
Comunque una volta conclusa l'avventura coloniale, e stabilita una distanza dall'enfatica propaganda fascista, cominciarono ad apparire le prime voci dissonanti che descrivevano le imprese italiane in Africa nei loro aspetti spiacevoli e disumani, compresa la crudeltà della colonizzazione italiana. Già nel 1923 Luciano Zuccoli, col suo romanzo Kif tebbi. Romanzo africano (Milano, Treves, 1923), manifestò il desiderio di eliminare la componente esotica dalla letteratura coloniale, e di mostrare un maggiore interesse per le popolazioni indigene. Anche altre opere, come Il deserto della Libia (1952) di Mario Tobino, Mal d'Africa. Romanzo storico (1934, ristampato nel 1990 da Rizzoli) di Riccardo Bacchelli, e Settimana nera (Milano, Mondadori, 1966) di Enrico Emmanuelli, continueranno a svelare l' "altra" faccia della letteratura coloniale italiana. L'opera più importante rimane il già menzionato Tempo di uccidere, 1947, di Ennio Flaiano, in cui egli crea degli eroi, effettivamente degli anti-eroi, che sono pietrificati dalla nostalgia o torturati dalla cattiva coscienza, e che riconoscono la debolezza, il malessere e la follia generati dal loro incontro con l'Africa.
L'ultimo decennio ha visto un revival del mito dell'Africa, coi racconti di Alberto Moravia: Passeggiate africane (Milano, Bompiani, 1987) o A quale tribù appartieni? (Milano, Bompiani, 1972), Lettera dal Sahara (1982), e anche il suo ultimo romanzo La donna leopardo (Milano, Bompiani, 1992), hanno tutti a che fare con l'Africa. Anche Pier Paolo Pasolini tentò di filmare un'Orestea africana. Come Moravia egli era alla ricerca delle risposte profonde ai grandi quesiti esistenziali che l'Africa pone ai suoi visitatori. Per Moravia l'Africa era un continente denso di contraddizioni e di intersezioni, che potevano offrire i paradigmi necessari per la comprensione delle strutture più profonde della nostra civilizzazione. Un'altra pubblicazione davvero recente riguarda l'opera postmoderna di Gianni Celati, Avventure in Africa (Milano, Feltrinelli, 1998), in cui i modelli di vita offerti dall'Africa sono visti come l'unica via di fuga possibile dalla routine quotidiana, erosa dai simboli del consumo di massa. Quest'Africa non è diversa o primitiva, ma è un luogo in cui si può evadere per sfuggire ai percorsi turistici. L'Africa di Celati dunque precede o ignora il mondo post-coloniale.
Oltre a queste rappresentazioni c'è la vera letteratura post-coloniale con autrici come Erminia dell'Oro, che ripercorre il passato coloniale e riconosce le sue ripercussioni per l'Italia degli anni Novanta. Nonostante la sua capacità di evitare l'esotismo e il suo talento nella descrizione della complessa natura dell'Africa, Erminia dell'Oro tende a rappresentare l'Eritrea come un paradiso in terra, riaccendendo perciò il mito dell'Africa seducente e ammaliatrice.
A queste descrizioni oscillanti tra il crudo realismo e la memoria magica, c'è la nuova risposta offerta dagli scrittori della diaspora afro-italiana, che narrano il loro desiderio e la loro visione dell'Africa nei propri resoconti della migrazione verso l'Italia, connettendola all'impatto con la realtà italiana, spesso solo immaginata, un'Italia vista come il mito delle opportunità e dei sogni. A questa brillante immaginazione si oppone spesso la realtà del razzismo, che per la prima volta in questi testi viene descritto dal punto di vista degli ospiti.
Negli ultimi venti anni l'Italia, come ho già detto, si è trasformata dal paese dell'emigrazione di massa, alla meta di un gran numero di immigrati dall'Africa e da altri luoghi. L'attuale rinnovato contatto tra Africani e Italiani, con il flusso di immigrati che si muove in una nuova direzione storica, presenta un nuovo assetto di problematiche e di opportunità che hanno importanti implicazioni non solo per il futuro della società italiana, ma per le relazioni interculturali ed interrazziali in ogni parte del mondo.


La letteratura post-coloniale e la narrativa afro-italiana

La situazione italiana appare piuttosto povera, se paragonata alla ricezione di cui godono gli scrittori africani ed asiatici in Inghilterra, con le splendide collane dedicate espressamente loro da affermate case editrici. Il mercato letterario italiano è infatti piuttosto soffocante e non dimostra un particolare interesse verso questa novità. Nonostante nessun romanzo italiano della migrazione possa vantare un così vanaglorioso incipit come quello del Buddha of the Suburbia di Kureishi, in cui egli descrive la sua identità metà pakistana e metà britannica, questo non significa che non esista una letteratura della migrazione in Italia:

Mi chiamo Kamir Amir, e sono un vero inglese dalla testa ai piedi, o quasi. La gente tende a considerarmi uno strano tipo di inglese, magari una nuova razza, dal momento che sono il prodotto di due vecchie culture. Io però me ne frego, sono inglese (non che me ne vanti), vengo dalla periferia meridionale di Londra e voglio arrivare da qualche parte. Forse è stata la bizzarra mescolanza di sangue e continenti, di qui e là, di senso di appartenenza e non, a rendermi irrequieto e facilmente annoiato (17).

A dispetto degli aspetti più scoraggianti, vi sono infatti alcuni segnali di un'apertura dei confini letterari. La tendenza esiste e il processo è irreversibile. La città di Rimini ad esempio, ha organizzato un premio letterario (Eks&tra) per poesie e racconti ad opera di scrittori immigrati. La casa editrice "Fara" ha già pubblicato tre raccolte a partire da questa competizione: Le voci dell'arcobaleno (1995), Mosaici d'inchiostro (1996), Memorie in valigia (1997). Inoltre a Roma il giornale "Il Caffè. Per una letteratura multiculturale", ha già pubblicato diversi numeri contenenti testi migranti scritti in italiano o tradotti. Anche "Effe", la rivista delle librerie Feltrinelli, ha dedicato il suo secondo numero al multiculturalismo con un articolo del giornalista italiano Oreste Pivetta, Multiculturalismo, voci di razza, in cui ha affermato:

I pakistani di My Beautiful Laundrette, la fortunata sceneggiatura di Hanif Kureishi, sono sufficientemente numerosi, forti e sicuri, per costruire una loro lingua, un inglese piegato alle modalità della loro tradizione. Sostengo che paradossalmente lo scarso numero dei nostri immigrati (rispetto agli altri paesi europei e malgrado gli allarmismi) impedisce la nascita di una cultura che si possa chiamare multietnica. Nascerà naturalmente perchè l'immigrazione continuerà, malgrado le leggi, anche le più restrittive (18).

Nell'ultimo decennio la situazione si è evoluta oltre l'affermazione di Pivetta. Anche l'editore parigino Harmattan, che ha una sede torinese, ha pubblicato molti testi rilevanti per la questione dell'interculturalità. La cooperativa editrice Sinnos sta pubblicando inoltre una collana di testi bilingui, I Mappamondi, in cui è apparso il testo di Ribka Sibhatu Aulò. Canto-poesia dall'Eritrea.
Le affermazioni tiepide come quella di Pivetta, sulla possibilità di una letteratura multiculturale, sono dovute anche al fatto che per gli Italiani l'incontro coloniale è avvenuto altrove e in un passato lontano. Mentre la Gran Bretagna ha sperimentato un flusso di ritorno negli ultimi quattro decenni, l'Italia ha rimosso le sue gesta imperiali dalla coscienza nazionale. Ma gli immigrati che oggi popolano le città italiane e che iniziano a raccontare le loro storie sui propri paesi, mettono l'Italia a confronto con un pluralizzazione innegabile e davvero auspicabile.
Per intraprendere la ricerca delle categorie analitiche più adatte, vorrei suggerire che l'Italia non ha mai avuto realmente a che fare con la rappresentazione dell'altro fino alle immagini create dalla propaganda fascista con libri di testo, immense carte geografiche, messaggi pubblicitari, poster, canzoni e film. Tutte immagini estremamente significative per l'analisi della costruzione dell'immaginario collettivo italiano e della rappresentazione dell'altro, ma che sono piuttosto datate, razziste e frutto di una specifica retorica espansionista. C'è dunque una necessità di cercare nuove rappresentazioni meno compromesse, che contribuiscano a valutare la nuova realtà che emerge in seguito alla crescente multiculturalizzazione che si verifica in casa. Perciò, il nuovo ordine del giorno da fissare consiste nel riconoscimento e nella valutazione delle contro-rappresentazioni proposte dagli stessi scrittori immigrati, che tramite le loro narrazioni invertono lo sguardo del colonizzatore e rispondono, ri-narrano la nazione italiana così come loro la sperimentano. La multiculturalizzazione emergente in Italia è quindi presente nelle significative opere letterarie degli immigrati.
Molti dei testi degli immigrati italiani sono scritti in collaborazione con uno scrittore o un giornalista italiano, che con una genuina intenzione di impegno civile, danno voce a coloro che non ne hanno, prestando la loro lingua alla narrativa migrante, cercando di mescolare l'interesse per la situazione multiculturale presente con le intenzioni letterarie. Il risultato oscilla da uno stile documentario ad una fiction più articolata che raggiunge il respiro del romanzo. Alessandro Micheletti è il co-autore con Saidou Moussa Ba de La promessa di Hamadi (19), 1991. Ba è l'esempio di un immigrato che proviene da un altro background coloniale, in questo caso francese, ma molti Africani che scrivono in italiano vengono dal Senegal, dal Marocco e dalla Tunisia. Queste origini sono inscritte nei loro testi. La Francia e la lingua francese funzionano come tramite tra l'Africa e l'Italia:

C'è una discrepanza tra la cultura colonizzatrice che ha dominato parte delle vite di questi nuovi scrittori afro-italiani e la lingua letteraria in cui le loro vite vengono trascritte. Queste creazioni letterarie ibride sono basate sull'accumulazione e la relativa assimilazione di differenti tradizioni culturali occidentali, filtrate attraverso occhi e lingue non-occidentali (20).

Saidou Moussa Ba, senegalese, è un esempio di questo genere di scrittore: ha scritto alcuni appunti in francese, usati per sviluppare la trama del romanzo che è stato scritto poi in stretta collaborazione tra gli autori. Saidou Moussa Ba ha pubblicato anche un altro testo in collaborazione con Alessandro Micheletti, La memoria di A., 1995 (21).
Mohamed Bouchane viene dal Marocco e il suo libro Chiamatemi Alì, 1990 (22), era originalmente un diario scritto in francese e in arabo dallo stesso Bouchane. L'occasione per quest'opera fu accidentale: mentre partecipava ad una lezione di italiano egli scrisse un tema ispirato alla propria vita. L'insegnante italiana, Carla de Girolamo, suggerì che il suo diario potesse essere pubblicato e lavorò con lui per tradurre la sua opera bilingue dal francese/arabo all'italiano. Nel suo libro egli racconta la difficoltà di preservare la propria religione, islamica, nell'ambito di una società così fortemente cattolica come quella italiana. Bouchane tenta di definire la sua identità come un'identità religiosa, e accentua il fatto che l'integrazione per un musulmano in Italia è più difficile che per altri immigrati. In Italia gran parte dell'attenzione per gli extracomunitari venne inizialmente dalle istituzioni religiose e dalla Chiesa cattolica, che offriva carità agli altri, con l'implicazione che avrebbe cercato di convertirli.
Io, venditore di elefanti, 1990 (23), di Pap Khouma, fu ideato in collaborazione col giornalista Oreste Pivetta, che ha scritto anche l'introduzione al testo autobiografico. Anche Khouma è un senegalese emigrato dapprima a Parigi, la capitale dell'impero, e che si è sentito rifiutato sia dalla comunità francese che da quella senegalese che viveva lì da più lungo tempo. Di conseguenza si trasferì in Italia, considerata come un paese alternativo di emigrazione, dove non esisteva ancora una tradizione consolidata e dove ha dovuto affrontare ugualmente un'insormontabile discriminazione. "La mia esperienza" scrive Khouma, "ovviamente è stata vissuta da molti altri immigrati come me, persone che conoscono come loro lingua ufficiale la lingua dei colonizzatori, spagnolo, francese, inglese o portoghese".
Salah Methnani è un immigrato tunisino che racconta la sua esperienza in un libro autobiografico del 1990, Immigrato (24), un resoconto schietto, sincero e straziante della sua discesa apparentemente inevitabile verso la marginalizzazione e la criminalità.
Anche Mohsen Melliti ha già pubbicato due testi da solo, Pantanella. Canto lungo la strada, 1992 (25) e I bambini delle rose, 1995 (26). Il primo testo sulla Pantanella, una fabbrica di pasta abbandonata a Roma, dove un grosso numero di immigrati aveva trovato rifugio, affronta i problemi sociali creati dall'occupazione e dallo sgombero forzato da parte della polizia. Quest'evento è analizzato anche da Renato Curcio in Shiv Mahal, 1991 (27).
Questi testi sono spesso puri ego-documenti, narrati in prima persona nella forma dell'autobiografia. Come sostiene Maria Saracino "L'autobiografia diventa un gradino, un passo necessario per arrivare alla narrativa di fantasia. Come se non ci si potesse affidare al racconto senza aver prima detto chi si è, senza aver messo avanti le proprie credenziali" (28). È questo progetto di dichiarazione del sè e della relazione con una nuova identità nella formazione degli immigrati, che produce un genere letterario che è ancora un ibrido, in bilico tra la cronaca e il romanzo, tra la memoria di casa e l'esperienza della contaminazione culturale.
[…]
Dunque, l'intera storia della presenza italiana nel Corno d'Africa diventa rilevante per leggere questi testi in cui la complessa natura delle conseguenze dell'impero, connessa alla nuova economia globale, può rispondere in parte al confuso panorama multiculturale italiano.


(Traduzione di Sonia Sabelli)

NOTE
(1) [Estratto da Sandra Ponzanesi, Paradoxes of Post-colonial Culture. Feminism and Diaspora in South-Asian and Afro-Italian Women's Narratives, Utrecht, Universiteit Utrecht, 1999, p.187-205. Traduzione di Sonia Sabelli.
In questo testo l'autrice si propone di "inserire la letteratura afro-italiana nella cornice di una letteratura minore, rispetto al mainstream delle altre letterature post-coloniali, e di quella anglo-indiana in particolare". L'elemento di continuità tra le autrici trattate (le afro-italiane Chora, Hassan, Sibhatu, Viarengo, e le anglo-indiane Alexander, Gupta, Mukherejee, Suleri) è rappresentato dalla "comune esperienza della diaspora, che è analizzata come una concreta condizione sociale ed economica, ma funziona anche come un tropo che connette popoli di differenti origini e nazionalità, portando le varie periferie/margini al centro. Ciò consente alle differenti forme di marginalità di entrare in dialogo le une con le altre, e di evitare il processo di ricolonizzazione e di canonizzazione". N.d.T.]
(2) Quella dell'identità italiana è una questione piuttosto complessa. Come ha affermato Antonio Negri, forse nessun altra nazione se non l'Italia ha visto partire un terzo della sua popolazione nel giro di cinquant'anni. Dal momento dell'unificazione fino agli anni Venti, quando il fascismo chiuse le porte all'emigrazione italiana, un terzo della popolazione, dieci dei trenta milioni di abitanti che l'Italia contava all'epoca, hanno lasciato il paese. Antonio Negri, "Italy, Exile County", in Beverly Allen e Mary Russo, Revisioning Italy. National Identity and Global Culture, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1997, p.45.
(3) "L'interrogativo sulle componenti "razziali" e di classe dell'italianità negli Stati Uniti, si muove in due direzioni:
1) verso il riconoscimento degli Italo-Americani come un gruppo marcato sia dall'etnicità che dalla classe, e
2) verso il riconoscimento della posizione strutturale degli Italo-Americani come terra di frontiera delle distinzioni razziali: l'ultima categoria "bianca" e "razziale" nella scala che va da "bianco" a nero".
I film del regista africano-americano Spike Lee, ad esempio, con le loro storie di violenza razziale e di amore interrazziale, riconoscono la natura intrigante e pericolosa di questa vicinanza". Beverly Allen e Mary Russo, Revisioning Italy. National Identity and Global Culture, cit., p.7.
(4) Antonio Gramsci, La questione meridionale, Roma, Editori Riuniti, 1966.
(5) A causa della sua opposizione al fascismo, Carlo Levi, pittore, dottore e scrittore ebreo, fu mandato al confino in un piccolo e primitivo paese della Lucania, agli inizi della guerra di Abissinia (1935). Levi scrisse un romanzo formidabile e pieno di compassione su questa regione dimenticata da Dio, che mostra il suo incredibile talento nella creazione dei personaggi e la sua particolare sensibilità per la condizione umana. Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli, Torino, Einaudi,1945.
(6) Immigrazione. Dossier statistico '97. A cura della Caritas di Roma, del Ministero dell'Istruzione e della Commissione Europea, Roma, Anterem, 1998. Per riassumere, se prendiamo un numero simbolico di 9 donne immigrate in Italia, possiamo dire che 4 provengno dall'Europa (Germania, Austria, Francia, Spagna, Svezia, Finlandia, Svizzera), 3 dalle Americhe (USA, Canada, Argentina, Cile, Messico, Brasile, Venezuela, Repubblica Dominicana, Cuba), 2 dall'Asia (Filippine, Subcontinente Indiano,Tailandia) e solo 1 dall'Africa (Marocco, Somalia, Nigeria, Etiopia).
(7) Mario Grasso, Donne senza confini. Immigrate in Italia tra marginalità ed emancipazione, Torino, L'Harmattan, 1994.
(8) [Ribka Sibhatu, Aulò. Canto-poesia dall'eritrea (con testo tigrino a fronte), introduzione di Tullio De Mauro, Roma, I mappamondi, Sinnos Editrice, 1993. A questo testo è dedicato il capitolo IX del testo di Sandra Ponzanesi. N.d.T.]
(9) Maria Rosa Cutrufelli, recensione a Erminia dell'Oro, L'abbandono. Una storia eritrea, Einaudi, 1991. "L'indice dei libri del mese", 1992, n.2
(10) Il saggio di Vinicio Ongini intitolato ironicamente "Cenerentola è nata in Cina", traccia una connessione tra il piedino di Cenerentola che dimostra la sua nobiltà e la pratica di fasciare i piedi in Cina. Apparentemente sembra che la più antica versione della favola sia stata scritta da un ufficiale cinese, come riporta lo storico italiano Carlo Ginzburg in Storia notturna (Torino, Einaudi, 1989). Ciò dimostra la straordinaria capacità delle favole di tenere presenti le differenze e le similarità culturali: mantenendo questi temi come sottotesti culturali, le fiabe possono generare il sorgere di un sorprendente numero di testualizzazioni. Idem, in Maria Antonietta Saracino (a cura di), Altri lati del mondo, Roma, Sensibili alle foglie, 1994, pp. 165-176.
(11) Maria Antonietta Saracino, "In casa d'altri", in Altri lati del mondo, cit., 1994, p.16.
(12) Come è chiaramente illustrato da Firdous Azim in The Colonial Rise of the Novel, 1993. In questo testo critico Azim anticipa l'inizio del romanzo inglese, chiarendo che il romanzo come genere ha escluso sia le donne che la gente di colore. Nel tentativo di demolire l'universalità del romanzo, Azim offre un importante contributo agli studi femministi e post-coloniali.
(13) A questo proposito è davvero interessante la collezione di saggi curata da Marie-Hélène Caspar, L'Africa e l'Italia contemporanea: miti, propaganda, realtà, in "Narrativa", Centre de Ricerche Italiennes. Université Paris X, Nanterre, no.14, Juillet 1998.
(14) Gabriele D'Annunzio, Più che l'amore, in Tutte le opere, Milano, Mondadori, 1932.
(15) Gabriele D'Annunzio, Teneo te Africa. La seconda gesta d'oltremare, Roma, Il Vittoriale degli Italiani, 1942.
(16) Marie-Hélène Caspar, L'Africa di Buzzati. Libia: 1933. Etiopia: 1939-1940, Université Paris X, Nanterre. Centre de Recerches Italiennes C.R.I.X., 1997. Si veda anche Sandra Ponzanesi, Professionista magico. Dino Buzzati e l'Africa, in "Incontri, Rivista Europea di Studi Italiani", 1997, pp.3-4.
(17) Hanif Kureishi, Buddha of the Suburbia, London, Faber & Faber, 1990. [Edizione italiana: Hanif Kureishi, Il Budda delle periferie, traduzione di Maria Ludovica Petta, Milano, Mondadori, 1990. N.d.T.]
(18) Oreste Pivetta, Multiculturalismo. Voci di razza. Immigrati in Italia. Che cosa scrivono, come li vediamo, "EFFE, Rivista delle librerie Feltrinelli", primavera 1996, n.2, p.10.
(19) Saidou Moussa Ba, La promessa di Hamadi. A cura di Saidou Moussa Ba e Alessandro Micheletti, Novara, De Agostini, 1991.
(20) Graziella Parati, Living in Translation. Thinking with an Accent, in "Romance Languages Annual" 1996, vol.8, West Lafayette (IN), Purdue Researche Foundation, p.4.
(21) Saidou Moussa Ba, La memoria di A. A cura di Saidou Moussa Ba e Alessandro Micheletti, Edizioni Gruppo Abele, 1995.
(22) Mohamend Bouchane, Chiamatemi Alì. A cura di Carla de Gerolamo e Daniele Miccione, Leonardo, 1991.
(23) Pap Khouma, Io, venditore di elefanti. A cura di Pap Khouma e di Oreste Pivetta, Milano, Garzanti, 1990.
(24) Salah Methnani, Immigrato. A cura di Salah Methnani e Mario Fortunato, Theoria, 1990.
(25) Mohsen Melliti, Pantanella. Canto lungo la strada, Edizioni lavoro, 1992. Questo testo fu scritto prima in arabo, ma pubblicato solo nella traduzione italiana di Monica Ruotto.
(26) Mohsen Melliti, I bambini delle rose, Edizioni lavoro, 1995.
(27) Renato Curcio, Shiv Mahal, Roma, Sensibili alle foglie, 1991. Curcio ha fondato la casa editrice Sensibili alle foglie dalla prigione. Un attivista politico degli anni Settanta, Curcio fu imprigionato come leader del gruppo terrorista delle Brigate Rosse, e rilasciato nell'ottobre del 1998.
(28) Maria Antonietta Saracino, Altri lati del mondo, cit., p.86.

 

Sandra Ponzanesi è ricercatrice e docente universitaria presso l'Università di Utrecht (Paesi Bassi). È stata anche docente di teoria della letteratura presso l'università di Groningen, e ha lavorato come post-dottoranda all'Università di Amsterdam (Belle Van Zuylen Institute - Research Centre for Multicultural and Comparative Gender Studies). Ha ottenuto un P.h.D. dall'Università di Utrecht. La sua tesi di dottorato, dal titolo Paradoxes of Post-colonial Culture. Feminism and Diaspora in South-Asian and Afro-Italian Women's Narratives (in corso di pubblicazione per Albany: SUNY Press, disponibile dal 2003) è un approccio critico al post-colonialismo, alla letteratura comparata e alle teorie femministe del terzo mondo. Si è laureata in letteratura inglese all'Università di Bologna con una tesi su V.S. Naipaul. Ha lavorato e studiato anche nel Regno Unito (Sussex University e Greenwich University). Ha pubblicato in ambito internazionale sulla critica letteraria post-coloniale, gli women's studies, le rappresentazioni urbane e la storia coloniale italiana. Sta curando un volume con Daniela Merolla su "Migrant Cartographies: Cultural Travellers and New Literatures". Ha contribuito alla Cambridge Guide to Women's Writing in English e al Routledge Companion to Contemporary Black British Culture.





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