MONOLOGHI
DA MARCIAPIEDE
Anna
Vezzoni
La donna ride come un tacchino.
D'accordo, non l'ho mai sentito un tacchino, ma sono sicura che
deve fare così. E nel ridere le sobbalza il collo un po'
gonfio, come ad un tacchino. Barbagli. No, ba... bargigli?
Ogni tanto non si ricorda una parola, ma ne sa tante, tante. Dal
tubetto il rosso si riversa sulla tela, lo stende con le dita.
Ce l'ha anche corto, quel collo gonfio, e curvo dietro, dove s'innesta
sulle spalle. Dev'essere ignorante, sì, è un collo
da ignorante. Si passa le dita tra i capelli, corti, da uomo,
e poi sul viso, lasciandosi strie rosse nel grigio. Tacchino ignorante.
Lei invece è laureata, suonava il pianoforte con quelle
dita rosse, faceva la professoressa. Ma c'era sempre qualche bambina
dagli occhi troppo azzurri che faceva troppe domande e a lei non
venivano le parole. Ora però mi è venuta: bargiglio.
Sulla
tela un gatto dagli occhi smeraldi affonda i denti in un collo
rosso, che inonda tutto di sangue. Sul retro ora scrive: Ridi
ridi tacchina ignorante. Ma l'occhio è su tutti e per tutti
arriva il giorno. Troia.
La sua grafia è molto elegante.
"Amor
ch'a nullo amato amar perdona" mormora tra le labbra, sempre
più veloce, seguendo con gli occhi una donna giovane, sul
marciapiede di fronte. La odia. Non la conosce ma la odia. Una
che sculetta così. Una che si frega gli uomini. E un'altra
piange. Il Cristo sulla tela acquista, con movimenti furiosi delle
dita, tratti di donna. Dal seno sinistro un pianto di sangue.
Un ultimo tocco, ed il ventre si fa rotondo. Perché c'è
sempre una troia. Ma les enfants sont innocent.
" Lo vuoi ? te lo regalo ". L'uomo si ferma, guarda
meglio la tela, guarda le rughe sul viso bruno, la bocca quasi
sdentata.
"E' bello, quanto vuoi?"
"Te lo regalo, ti ho detto"
"Dove hai imparato?"
"Da ragazza io vivevo a Parigi, e Picasso era amico di famiglia"
L'uomo sorride
"ah, un'allieva di Picasso!"
e riceve la tela.
"Ma ritorna, ritorna, te ne faccio uno più bello...
Però stai attento alle donne!"
"Ooooo, ooooo, dico a te... Vieni qui, me la porti la colazione?"
La ragazzina la conosce, passa di lì tutti i giorni per
andare a scuola.
"Cosa vuole?"
"Bellina, mi dai del lei! offrimi cappuccino e cornetto,
i soldi ce li hai, vero?"
"Sì...va bene"
"Eh, ma il cappuccino nella tazza vera, diglielo che è
per me"
Occhi azzurri stellati, un angioletto del Signore, ma no, non
ha la spada, stelle d'occhi, peccato crescerà diventerà
una donna.
Poi, con la tazza tra le mani un po' gonfie,
"ma te di chi sei?"
Perché io sono figlia del Vate, del Vate, D'Annunzio, no?!
figlia naturale, perché lui, il Vate, era anche un maiale,
si faceva la signora e pure la serva, e la serva la mise incinta,
ma non la sposò. E neanche la signora. Se ne andò
via con un'altra, una donnaccia, che cavalcava mezza nuda, come
lui. Piansero tanto, la mia mamma buonanima e la signora, e la
signora mi sbaciucchiava e mi dava le caramelle e mi chiamava
Gabriellina, che allora mi chiamavo Gabriella, e poi se ne andò
anche lei, con un pittore, ma la mia mamma e me non ci portò
mica.
"E te, creatura, di chi sei? Peccato che sei femmina."
Non la guarda più, con la sua bella grafia scrive sulla
tela , a formare una cornice intorno al gatto dagli occhi azzurri
stellanti Laudata sii pel tuo viso di perla, o sera, e pe' tuoi
grandi umidi occhi ove si tace l'acqua del cielo!
Perché
io sono di famiglia nobile.
Non ci credi eh, "non ci crede nessuno? ma lo vedrete, quando
sarà il momento!"
Sono di famiglia nobile, sangue blu, e con le dita si disegna
sulle braccia un reticolo di vene blu.
A Milano c'è ancora il palazzo, e avevo la balia e il maggiordomo
"mica come voi, pezzenti, e d'estate le donne con le calze,
altro che gli zoccoli! troie"
D'estate si villeggiava, montagna, Svizzera, c'era Rubinstein
con noi, e mi insegnava. Che mignolo, mi diceva "lo vedete
questo mignolo? faceva invidia a Rubinstein" e suonavamo
Bach, andava pazzo per Bach. Io, per me, preferivo Chopin. Ma
lui era Rubinstein. "Rubinstein, facevo i duetti con Rubinstein,
io!"
La voce si perde nella piazza d'asfalto, nell'acqua sporca della
fontana, tra le palme delle aiuole, tra i cestini stracolmi di
sporcizia.
Ma il cane la ascolta, abbassando gli orecchi quando la voce si
alza rabbiosa. Anche il suo pelo è striato di blu.
"Stella
stellina, la notte si avvicina..."
Canta la filastrocca con la voce grossa, gridata. A farle caldo
stanotte ci sarà il cane.
Eravamo creature, si dormiva tutti insieme, maschi e femmine,
la spada del peccato non ci aveva ferito, tutti insieme gli angioletti
del Signore, sotto il piumone leggero, leggero... La notte si
avvicina, tutti in ginocchio con le mani giunte, maschi e femmine,
tutti innocenti, poi la sua voce dolce, mi voleva bene, era tanto
infelice, per colpa del babbo... Nelle giornate buone chiamava
lei stellina e lei aveva occhi brillanti e la sera ce la cantava
lei la ninnananna. Ma il babbo spariva di nuovo e la filastrocca
era triste, poi veniva la nonna a cantarla. La mamma stava chiusa
in camera, al buio. Non sta bene, diceva la nonna, ha il mal di
testa. Un giorno non uscì più dalla camera. Il babbo
portò via con sé i miei fratelli, me e mia sorella
ci lasciò alla nonna. Stella stellina ce la cantavamo noi,
allora, ma non era lo stesso.
Buonanotte.
"Ehi, te, sì te, con quelle scarpe bianche..."
L'esperienza del dolore, ogni passo sofferenza, ma io volevo quelle
scarpe bianche con il laccio alla caviglia, che più grandi
non ce le avevano e lei mi chiedeva Ma ci stai bene? perché
il dito è proprio qui, mentre premeva con le dita sulla
punta della scarpa, e io dicevo Sì, ci sto bene, e invece
mi stritolavano i piedi, quelle scarpe, ma io le volevo e mi dicevo
Tanto poi si allargano, e invece non si allargarono, ma io le
portavo lo stesso... "e a te, ti fanno male quelle scarpe
bianche lì?"
perché quando il babbo veniva a trovarci volevo quelle
scarpe ed il vestito modello charleston bianco e azzurro, comprato
a Milano, ed ero grande e bella, così il babbo sceglieva
me per il giro sulla vespa e lo abbracciavo con la guancia sulla
schiena e chi ci vedeva pensava Ecco due fidanzati...
"Così, proprio come quelli lì!"
Lui portava mocassini marroni di pelle intrecciata, senza calzini,
e quando saliva sulla vespa i pantaloni scoprivano la caviglia
e vedevo i peli biondi...
"Vattene via, troia, con quei tacchi, via via!"
Io non li portavo e poi lo vidi con quella donnaccia coi tacchi
a spillo, aveva le unghie rosse le labbra rosse, era il sangue
mio, camminava sui tacchi a spillo e sculettava, ogni passo sulla
mia carne infilzata dai suoi tacchi e sangue sgorgava dagli occhi,
tutto per una troia, ma chi soffre sarà vendicato, "verrà
il giorno del giudizio, anche per te!"
Guarda i miei piedi, dita gonfie, rosse dal freddo, ero prima
ballerina, danzavo sulle punte, uno due plié, tulle bianco
piume di cigno, il teatro impazziva, mazzi di rose rosse, "a
me che danzavo sulle punte, brutte ciabattone che non siete altro!",
ora ci vorrebbero degli scarponi caldi come quelli "oh,oho,
regalami gli scarponi, non dare retta a quella lì, regalami
gli scarponi che te li ricompri nuovi, dai..." ma se era
solo me li regalava, sta' sicura.
"Sono venuti questa notte"
la tela, tutta azzurra, si riempie di tocchi di luce a forma di
ali.
"Michael ha detto che sto per salire"
luce, luce, l'occhio mi guarderà, vedrà ogni granello
di polvere,
"libera dal sangue e dalla carne"
l'angioletto appeso a capo del letto poggiava su velluto rosa
e non guardava me, guardava il cielo, ma questa notte non avevano
guance tonde e riccioli, solo luce, luce e colori...azzurro, viola...
Viola anche sulla tela, a macchie.
"Te no, te non ci vai, con quelle scarpe lì, a punta,
poche le donne, cattive!"
mi chiamava Chicchina, che allora mi chiamavo Federica, ti amo
Chicchina, poi andava da quella, scarpe a punta tacchi alti, e
io lo vidi che stava per cadere, ma non mi mossi - è figlio
suo è figlio suo pensavo - dopo lui piangeva, cosa ci è
successo? perché? La colpa è sempre delle troie.
Sulla tela, tra le ali, affiora un viso di bimbo.
"Sto per venire, su, vengo su!"
Rumore di marcia sulle pietre del marciapiede, ferraglia di scarponi.
"Via via, sono troppo pesanti, andrete a fondo"
e con le mani si slancia sugli scarponi ferrati, per scioglierli,
per far volare anche loro. Rispondono calci pesanti, ogni colpo
un tonfo sordo, quattro scarponi di marca colpiscono il corpo
scuro, senza rabbia, quasi con un sorriso sui denti.
Al mattino la ragazza si avvicina con il cappuccino, la chiama
più volte:
"Le ho portato il cappuccino caldo, signora"
Ma i piedi rimangono fermi dentro le scarpe da uomo che sbucano
fuori dai cartoni.
Anna
Vezzoni è nata e vive a Pietrasanta (Lucca). Laureata in
Lettere classiche, insegna Italiano e Latino in un Liceo Scientifico.
Ha pubblicato recentemente un libro di racconti, intitolato Anime
d'ali strappate.
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