UNGARETTI IN BRASILE:
UN'INTERVISTA CON ANTÔNIO CÂNDIDO
Lucia
Wataghin
LW: Ci può parlare della sua amicizia con Ungaretti?
AC:
Non sono stato suo allievo, perché ho frequentato il corso
di Scienze Sociali e non quello di Lettere. Ho ascoltato le sue
lezioni nel 1939 e ho espresso le impressioni che esse mi hanno
suscitato in una testimonianza, in occasione del suo settantesimo
compleanno, pubblicata insieme ad altre nella seconda parte del
libro Il taccuino del vecchio. Ma a quel tempo non gli
ero ancora stato presentato. Ciò è avvenuto solo
nel 1940
(nella foto, uno scorcio della città di São Paulo
in quegli anni), tramite Paulo Emílio, che in poco
tempo era diventato suo amico. Subito dopo ho conosciuto Italo
Bettarello, un suo ex allievo, a lui molto legato e in seguito
diventato suo assistente, che mi ha raccontato in dettaglio come
si svolgevano i suoi corsi, le sue idee e critiche, il suo modo
di essere. È stato proprio Bettarello a prestarmi i libri
L'allegria e Sentimento del tempo, che ho ricopiato
integralmente con la macchina da scrivere, e sono stati sempre
i miei favoriti, anche quando sono stati pubblicati gli altri.
Stabilito un rapporto tra di noi, Ungaretti mi trattava con affettuosa
cordialità nei molti incontri avuti, in generale nei corridoi
della facoltà, al terzo piano dell'Istituto Caetano de
Campos, dove si trovavano le nostre sezioni. A lui piaceva stare
in compagnia dei giovani ed era un uomo loquace. Io lo ascoltavo,
naturalmente un po' intimidito, approfittando della sua immensa
erudizione ed imparando ciò che diceva su poetica, filosofia,
arte. Ci vedevamo spesso negli anni 1941 e 1942, fino a quando
non ritornò in Italia, a seguito delle dichiarazioni di
guerra del Brasile contro il suo paese. Ricordo che uno dei suoi
più grandi desideri era quello di vedere personalmente
le sculture di Aleijadinho, le cui foto lo avevano tanto entusiasmato.
Ma le comunicazioni, allora, erano difficili e lui finì
per andarsene senza aver realizzato il suo desiderio, cosa che
accadde nel 1966 quando ci ritornò con Alfredo Bosi, il
cui cognato, il sociologo Celso Frederico, li accompagnò
in macchina fino là.
Del mio gruppo quello a lui più vicino era Paulo Emílio,
che frequentava la sua casa dove sono stato solo una o due volte.
Dopo la guerra lui è tornato nel 1954, e io sono andato
ad aspettarlo a Santos con Paulo Emílio. Ha tenuto allora
una conferenza straordinaria all'Instituto Cultural Ítalo-Brasileiro
e ha letto alla facoltà, in via Maria Antônia, le
sue traduzioni dell'opera di Mário de Andrade. Nel 1961
l'ho trovato a Roma, e all'inizio del 1965 abbiamo partecipato
assieme, per qualche giorno, ad un congresso a Genova, e per quell'occasione
erano con noi anche Murilo Mendes e Guimarães Rosa. In
quell'incontro gli ho regalato la traduzione di Corpo de Baile
fatta da Edoardo Bizzarri e lui ne rimase molto entusiasta. Il
congresso era in parte dedicato al nostro Cinema Novo. Abbiamo
assistito uno accanto all'altro a Deus e o Diabo na
Terra do Sol, lui è rimasto terrorizzato dal sacrificio
di un bambino da parte dei fanatici, esclamando: "Mais c'est
affreux! C'est affreux!". Nello stesso anno ci siamo visti
nei due suoi soggiorni a Parigi, dove io insegnavo. Nel 1966 è
venuto qua, come dicevo, e uno dei motivi di quel viaggio era
il suo desiderio di visitare la tomba di suo figlio, nel cimitero
di São Paulo, cosa che lo commoveva sempre profondamente.
Nel 1967 è tornato ed ha ricevuto il titolo di Dottore
Honoris Causa della facoltà, e mi avvisava sempre
prima di arrivare con lettere e telegrammi.
Era un amico gentile e affettuoso, e ci teneva a coltivare con
cura le sue amicizie. Di lui ho circa venti messaggi, che in genere
ricevevo con cartoline, telegrammi, biglietti informativi. Possiedo
inoltre suoi libri con dediche affettuose. Il nostro ultimo contatto
è stato unilaterale: io insegnavo all'università
di Yale e gli ho scritto quando lui compiva ottanta anni, ma lui
non mi ha risposto. Abbiamo ricevuto la notizia della sua morte,
in facoltà, nella Città Universitaria, São
Paulo, la mattina, nel momento in cui Alfredo Bosi stava iniziando
la sua lezione per il concorso di Libera Docenza, e l'argomento
d'esame sorteggiato il giorno prima era stato... "La poesia
di Ungaretti"!
LW:
Potrebbe raccontarmi alcuni episodi della sua amicizia con Ungaretti?
AC:
Parlando soltanto del tempo in cui lui è vissuto in Brasile,
ricordo, per esempio, i nostri incontri in una straordinaria mostra
di pittura francese, "Da Ingris ai nostri giorni", presentata
nel 1940, in più saloni della Galleria Itá, in via
Barão de Itapetininga. Tutti i giorni noi andavamo lì
e incontravamo gruppi di pittori, di scrittori e curiosi a parlare
di quelle meraviglie. Ungaretti commentava ammirevolmente le arti
classiche, come un grande conoscitore, ed era fantastico sentirlo
parlare dei quadri di Renoir, sottolineando la loro forte sensualità
trasformata in forma e in colore. Più tardi, ci fu la mostra
individuale di un giovane pittore italiano, con dipinti leggeri
sull'azzurro ed il bianco, con una sorta di innocenza pittorica.
Fu chiesta l'opinione di Ungaretti, ma lui esitava a darla, e
alla fine chiuse il discorso con reticenze gentili. Ma il giovane
pittore insistette tanto che lui finì per esplodere e dire:
"Prima ammazza tuo padre, fai l'amore con una donna e poi
dipingi!"
Una volta siamo andati a visitare il Lebbrosario Pirapitingui,
vicino a Sorocaba (lui, sua moglie, Paolo Emílio, Mário
Schenberg ed io). Il direttore gli ha raccontato lo strano caso
di una donna di Sorocaba, che viveva sola con dei barboni lebbrosi,
sempre incontaminata perché immune alla malattia. Ungaretti
si entusiasmò e volle per forza andare in quella città
per conoscerla, trovando la situazione perfetta per poter scrivere
una narrativa di realismo violento. E diceva, usando eccezionalmente
l'Italiano, poiché con noi parlava solo in Francese: "Voglio
farne una storia cruda, boccaccesca!"
Lui aveva l'abitudine di esporre un argomento in modo ardente
ed esauriente, però non sempre era d'accordo con ciò
che lui stesso aveva spiegato tanto correttamente per dovere di
oggettività. Per questo, la conclusione poteva essere sorprendente.
In quella stessa gita, siamo andati a visitare a Sorocaba un'industria
tessile, e lui mi spiegava con la sua consueta minuziosità,
le radici del neotomismo. A un certo punto ha cominciato a parlare
del cardinale Mercier, spiegando che era un profondo conoscitore
della scienza moderna, fino ad arrivare a fare un corso di medicina
per analizzare bene le correnti della psicologia. Dal modo in
cui parlava, si configurava nel mio spirito il profilo di un saggio
scrupoloso ed erudito, che gli destava ammirazione. Nel frattempo,
il caporeparto, un italiano, insisteva perché venisse a
visitare i locali: "Venga Professore." Lui, completando
la sua esposizione, diceva: "Vengo, vengo!", e proseguì
parlando fino al capannone dei telai, quando già nelle
grinfie del caporeparto finì per parlare della immensa
saggezza di Mercier con il seguente riassunto, emesso con la sua
caratteristica risata un po' diabolica: "En somme, c'ètait
un sombre crètin!".
LW: Qual' è stata l'importanza di Ungaretti per la poesia
brasiliana?
AC:
La mia impressione è che non è stata grande. Ma
la sua presenza ha sempre destato molto interesse, forse più
per le caratteristiche della sua personalità che per quelle
della sua poesia, dell'estetica del frammento, che ci hanno insegnato
il modernismo poetico, che spesso analizzava. L'influenza più
grande deve essere stata tra gli allievi e gli amici. Mário
de Andrade conosceva bene la sua opera, così come Manuel
Bandeira, Henriqueta Lisboa, Vinícius de Moraes. Ma chi
alla fine è rimasto più legato a lui è stato
Murilo Mendes, grazie al suo lungo soggiorno in Italia, iniziato
negli anni '50. Murilo si è molto integrato alla vita culturale
di Roma, e nel 1961 è uscita l'edizione bilingue del suo
libro Finestra del caos, tradotto da Ungaretti.
LW:
Crede che Ungaretti abbia pubblicizzato la poesia brasiliana in
Italia attraverso le sue traduzioni?
AC:
Senza alcun dubbio. Lui non solo ha tradotto Mário de Andrade
e Osvald de Andrade, di cui era diventato amico, ma anche alcune
leggende degli Indios e anche qualche poeta del passato, come
Gonçalves Dias e Gonzaga. Mi ricordo che negli anni '50
lui organizzò in Italia un programma radiofonico sul Brasile,
con poesie e canzoni. In quell'occasione gli ho inviato del materiale
microfilmato e se non mi sbaglio, Vinícius de Moraes, al
quale era molto legato, ha fatto parte del programma.
Lui aveva grande ammirazione per la capacità creativa della
letteratura brasiliana e mi ha detto più di una volta che
uomini come Mário de Andrade e Guimarães Rosa erano
geniali. Mi ricordo che ha studiato l'opera di Andrè Bazin
sul nostro barocco, ma ha concluso che era un testo soltanto coscienzioso
e corretto, senza la genialità che vedeva nel breve saggio
di Mário sull'Aleijadinho. Su Mário, ha scritto
che era il più grande poeta brasiliano.
LW:
Si potrebbe dire che alcuni poeti brasiliani hanno influenzato
la poesia di Ungaretti?
AC:
Non lo so, ma non credo. Io direi, più in generale che
nella sua poesia compaiono segni dell'universo brasiliano, ma
non di questo o di quel poeta. Nell'insieme delle poesie che ha
scritto in parte in Brasile e alle quali ha dato il titolo di
Un grido e Paesaggi, nel così detto Monologhetto,
ci sono ritornelli, uno dei quali in Portoghese:
Ironia,
ironia,
Era só o que dizia.
Ma
c'è soprattutto Semantica, di franca tonalità
amazzonica, con alberi del caucciù, amache sospese tra
i rami, zanzare, e un vago fascino indigeno. C'è quindi
una presenza del paese piuttosto che dei poeti. È stata
l'esperienza brasiliana in generale ciò che l'ha segnato,
aggiungendosi ad altre in questo italiano di formazione francese,
nato in Egitto, portandolo ad includere il Tietê tra i "suoi
fiumi", insieme al Nilo, alla Senna, al Serchio e all'Isonzo.
Peccato che non abbia mai scritto il libro che aveva in mente
sul Brasile.
(Tratto dalla rivista Poesia
Sempre,
Biblioteca Nacional, Rio de Janeiro, Giugno 1995, Traduzione di
Julio Monteiro Martins)
Nella foto, Antonio Candido.
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