ABITO NERO

Julia Kasdorf


Dignitosa come una nave da crociera, Maxine Kumin
passa tra la folla, grigia e slanciata,
già nonna ma ancora attraente,
e la mia mente va ad Anne Sexton -
vaso di sesso in una bara. Kumin dice
che per le letture avevano un abito in due
dividevano perfino le scarpe. Scarpini di vernice a punta,
calze fumé, e un tubino sbracciato da sera
rimbalzavano lunghe telefonate
tra le loro cucine di periferia
per concordare su chi lo avrebbe ritirato
in lavanderia, e su chi lo avrebbe usato prima
o lo avrebbe usato di più, come se il successo
si potesse condividere così, semplicemente,
quando leggevano erano entrambe così stupende
che la gente le confondeva, Sexton ci scherzava su
"Prenderebbero lucciole per lanterne!"
Voglio pensare che si dividessero
il desiderio dei lettori così come
dividevano le ambizioni -
una leggeva le sue nuove poesie
e l'altra al telefono tratteneva il fiato -.
o le disperazioni. Come mettevano in comune bimbi
e crisi di nervi come fanno le nostre snelle madri,
rigidi sorrisi e movimenti catturati
nelle foto, le loro braccia nude come pesci
irretiti nello scuro vassoio di un'abito.
Vorrei sapere come ha fatto Kumin a sopravvivere
alla sua bellezza, e come fa a continuare a scrivere da sola -
e infine come riesce a star là sfidando
chiunque voglia costruire una storia esemplare
dalla sua vita.


(Traduzione di Andrea Sirotti)



L'originale in Inglese:


BLACK DRESS


by Julia Kasdorf


Poised as a cruise ship, Maxine Kumin
passes through the crowd, willowy and gray,
someone's grandma by now but still lovely,
and my mind goes straight to Anne Sexton -
a sex pot in a coffin. Kumin says
they shared one reading outfit
down to the shoes. I see pointed pumps,
smokey hose, and a sleeveless cocktail sheath
shuttling between them, long phone calls
between suburban kitchens
to arrange who'd pick it up
at the cleaners, who needed it next
or who needed it most, as if success
could be shared that simply,
both of them knockouts at the podium
and so often mixed up, Sexton joked
"They can't tell the kook from the Jew!"
I need to believe they shared
the readers' desire as easily
as they shared their ambitions-
how they read each new line
to the other's breath on a Princess phone.
Or their despair-how they shared babies
and breakdowns as all our slim mothers
did, stiff smiles and shifts captured
in photographs, their bare arms like fish
tangled across a dress's dark platter.
I need to know how Kumin finally survived
her own beauty, and how she keeps writing alone-
how she finally stands here in defiance
of anyone who'd concoct a cautionary tale
of her life.




Julia Kasdorf



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