TRE POESIE

KAJETAN KOVIC


MON PÈRE

Mon père
non so perché ti chiamo così,
non parlavi francese,
ma questo probabilmente l'avresti capito,
forse mi esprimo in lingua straniera
per ritegno,
riuscivamo ad amarci
soltanto così:
non troppo da vicino.
Sedevamo
in vecchie osterie
a bere il riesling
o lo sipon
o più spesso
qualche vinello acre,
parlavamo
del più e del meno
e la vita se ne stava
dietro la porta,
a debita distanza.
Ci pareva
troppo impetuosa
per darle
un nome.
Le parole troppo grandi,
mon père,
ci facevano paura.
Adesso sei solamente
una foto alla parete
e una tomba
in un cimitero.
Ti accendo un lumino,
ti porto dei fiori.
Non a te,
alle tue ossa.
Ti racconto
tante cose.
Ma tu taci.
C'è solo la tua lapide.
Con le date.
Dal-al.
Dio mio,
cosa non dicono i figli
oggigiorno ai padri.
A quelli vivi e ai morti.
Mon père
nessuno era stato
come te.
Così solo,
così mio,
così padre,
sperduto in questo mondo
come me.


IL CANE IDROFOBO

Si ribellò alla mentalità, allenata a lungo
e con cura, di un cane qualunque.
Si accorse che gli ossi,
prima che glieli buttassero,
erano avvolti nella carne.
Si ribellò alla loro nuda indecenza.
Cominciò a detestare l'acqua legata alla catena
avvertendo
che la sete era diversa e più grande.

Fiutò la grande cagna della libertà.

Lo udirono spezzare le catene.
Dopo lo videro correre
a testa bassa
per vastepiazze e squallide periferie,
lo videro sostare sul monte
e bere a un fontanile,
finché correndo per un tenebroso e segreto corridoio
non entrò nei loro sogni.

Spesso si svegliavano con le facce da accalappiacani.

Ma lui, che prima era solito piegarsi
alla loro benevolenza,
adesso non temeva la loro collera.
Conosceva solo la strada dinanzi,
il dolce e spossante muovere dei passi
provando
ciò che i cani non provano mai.

Poi vide che gli sbarravano la via.
E' una catena, pensò.
Ma non mutò direzione, non mise la coda fra le gambe.
Da un lato la vita, dall'altro la morte.
Scelse la libertà.

Lo massacrarono come un cane.


IL CONFINANTE

Sono un confinante, un conquistatore,
un contrabbandiere, un razziatore.
La mia casa sta sul fiume.
Guardo oltre l'acqua.
L'altra riva è nella nebbia.
Odo solo delle voci.
Sono molto invitanti.
A notte fonda
mi sorprendo nella barca.
Sento il legno sfregare
le mie mani.
Remo.
Tocco l'altra sponda.
Corro come un bracco
attraverso l'oscurità.
Le voci si azzittiscono.
Restano soltanto i profumi.
Di muschio.
Occhi invisibili mi spiano.
Mi lasciano fare.
Sanno: non costruirò
teste di ponte.
A volte dissotterro
un pezzo di minerale prezioso.
A volte sradico un fiore.
A volte rubo un uovo
dal nido di qualche uccello.
Poi me la svigno.
A ritroso oltre il fiume.
Con il bottino
sotto la camicia.
La terra sulla mia riva
è buona.
I fiori attechiscono.
Gli uccelli escono dai gusci.
Il mondo, a quanto pare, non ha fine.
Solamente l'acqua scorre.
La notte è sempre più scura
e sempre più pesanti i remi.
E' più facile attraversare il ponte
e alla luce del giorno.


(Traduzione di Jolka Milic)




Kajetan Kovic è nato nel 1931 a Maribor (Slovenia). Laureato in Letterature Comparate presso l'Università di Ljubljana, è stato direttore responsabile della casa editrice "Drzavna zalozba Slovenje". E' membro del Pen Club e dell'Associazione degli Scrittori sloveni, dell'Accademia Slovena di Scienze ed Arti, e membro onorario dell'Associazione degli Scrittori Ungheresi. Tradotto in tutto il mondo, è autore anche di racconti e poesie per bambini.



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