L'architteto
dell'anti-utopia
Quest'anno
si commemorano i 25 anni dalla morte di Fritz Lang, uno dei geni
indiscussi del cinema del ventesimo secolo. Chiamato da Truffaut
"l'architteto delle immagini", Lang non lasciava niente
al caso nella costruzione delle sue opere: ogni centimetro dello
schermo doveva essere riempito secondo una pianificazione molto
minuziosa.
La sua opera si divide in due fasi distinte: quella espressionista
tedesca e la fase americana. Ma è soprattutto con la prima,
con film del calibro del Dottor Mabuse, Metropolis e Il mostro
di Düsseldorf, che Lang ha creatoalcune delle immagini icone,
città fantastiche, robot umanizzati, che rimarrano come
simboli eterni del "secolo breve". Vero creatore di
anti-utopie - insieme a scrittori come Kafka, Burgess, Zamiatin,
Ballard, Orwell o Huxley - Lang ha concepito il "paesaggio"
del futuro negativo, l'incubo tecnologico, che alla fine è
stato esorcizzato - o che forse è arrivato in un modo così
imprevedibile da rendersi irriconoscibile.
Cabeza
de Vaca e gli esuli moderni
Un
commento di Todorov sul conquistatore Cabeza de Vaca, da lui considerato
come una sorta di precursore dell'ibridazione culturale dei nostri
giorni: "Sul piano dell'azione, dell'assimilazione dell'altro
o dell'identificazione con esso, Cabeza de Vaca arrivò
anch'egli a un punto neutro, non perché fosse indifferente
alle due culture (quella della Spagna Isabelliana e quella degli
indiani della Florida) ma perché le aveva vissute tutte
e due dall'interno; d'un tratto non vi furono intorno a lui che
dei 'loro': senza diventare indiano, Cabeza de Vaca non era più
spagnolo. La sua esperienza simboleggia e preannuncia quella dell'esule
moderno, il quale a sua volta personifica una tendenza tipica
della nostra società: è un essere che ha perduto
la patria senza acquistarne un'altra, uno che vive in una doppia
esteriorità".
E più avanti Todorov aggiunge: "L'esilio è
fecondo se si appartiene contemporaneamente a due culture, senza
identificarsi con nessuna di esse; ma se l'intera società
è una società di esiliati, il dialogo delle culture
cessa".
Uno
standard mondiale
Il
più grande scrittore argentino vivente, Ernesto Sábato,
in occasione del suo novantesimo compleanno si è così
pronunciato sulla profonda crisi da cui è travolto il proprio
paese: " Ci sono periodi della storia in cui ci è
dato di abitare nella luce e altri, come quello attuale, in cui
dobbiamo abituarci ad andare avanti in uno stato di privazione.
Sono momenti in cui l'uomo, anziché proprietario, si sente
prigioniero della Storia. Ma è anche, misteriosamente,
paradossalmente, un tempo di grandi opportunità."
Ovviamente non fa riferimento alle sole opportunità economiche,
ma a una possibilità di cambiamento più profondo
nell'essenza della nostra civiltà. Confermando tale opinione
poche settimane fa, quando è andato a ritirare un premio
letterario in Brasile, Ernesto Sábato ha detto: "Il
mondo vive di una globalizzazione che non è incline ad
unire le culture, bensì ad imporre ad esse uno stesso standard
che permetta loro di entrare nel sistema mondiale".
Autore senza libro
Nella
sua opera relativa alla scrittura letteraria, La parola plurale,
Maurice Blanchot oltre a citare alcuni scrittori fondamentali
del XX secolo come Beckett, Proust, Kafka e Joyce, ha menzionato
un altro autore da lui prediletto, Joubert, vissuto in Francia
nel '700, e conosciuto come "autore senza libri", tanta
era la sua ossessione per una scrittura definita come "il
camminare di un pensiero che ancora non pensa", e stesa su
infiniti quaderni. Non aspirando a " il " Libro, considerato
da lui come un oggetto idealistico da essere combattuto, privilegiando
piuttosto le esperienze della scrittura come performance e anticipando
così le rivoluzioni portate avanti nella letteratura da
Mallarmé, Joyce o Proust, Blanchot ha riconosciuto in lui
un grande illustratore della riflessione innovativa che riconduce
allo scenario del post guerra francese, lo stesso che alla fine
ha riportato contributi nelle opere di Foucault, Bataille, e Todorov.
Dice Blanchot, su Joubert e la sua utopia: "E' possibile
che l'umanità un giorno conosca tutto, gli esseri, le verità
e i mondi, ma ci sarà sempre un'opera d'arte (o l'arte
nella sua totalità), che fugge a questa conoscenza universale.
Tale è il privilegio dell'attività artistica: ciò
che essa produce, spesso anche un dio deve ignorare.
Timberland e Ferrari
In
una recente intervista Umberto Eco ha confermato che secondo lui
il libro di carta gode di ottima salute: "Non scomparirà
travolto dalla multimedialità e dall'elettronica. Sarà
un elemento fondamentale all'interno di una nuova editoria trasversale
e integrata". E aggiunge ironico: "Siamo alla morte
del libro? E come se, con l'invenzione dell'automobile, ci si
fosse chiesto: sarà la scomparsa delle scarpe?.
Infatti, dopo l'automobile, le scarpe non sono sparite, ma è
anche vero che l'automobile ha avuto un sorprendente sviluppo
mentre le scarpe sono rimaste più o meno le stesse.
La ragione dei giovani
Derek
Walcott, autore antillese di Omeros, recente premio Nobel di letteratura
considerato da molti il più grande poeta inglese in lingua
inglese, deve la sua stessa esistenza di poeta, secondo Broskij,
ad un uso particolare della lingua maggiore (simile al tedesco
di Kafka), una sorta di "lavoro di scavo all'interno della
lingua", come ha bene osservato Beppe Sebaste in un recente
articolo.
Questa particolarità dell'opera di Walcott si ricollega
anche al suo punto di vista sul mondo e sulla storia. In un recente
incontro in Italia ha pronunciato un'inequivocabile condanna nei
confronti della globalizzazione: " I giovani hanno sempre
ragione. Gli imperi culturali sono terribili e paragonabili agli
altri imperi che abbiamo avuto, spersonalizzano paesi e individui
con le loro astratte argomentazioni: i problemi vanno affrontati
e risolti con un approccio personale".
Un poeta arabo nell'Andalusia
L'Andalusia,
la cui perdita, in un recente discorso, Bin Laden ha lamentato
quasi piangendo, e giurandone la riconquista, ha prodotto almeno
un grande poeta connazionale dell'uomo più ricercato del
mondo: Ibn Quzman de Cordoba, autore di un Canzoniere a suo tempo
molto conosciuto in Siria, Iraq e Palestina. Si tratta di un testo
- la cui copia è stata fatta nella città palestinese
di Safad quasi un secolo dopo la morte del poeta - che unisce
Oriente e Occidente, tratti linguistici arabi e iberici, visioni
di mondo originalmente opposte. Oltre all'insolita e sorprendentemente
moderna combinazione di temi tradizionali come il panegirico e
l'amore (cortese?) con poesie ironiche, giocose, come la storia
di Linim, la schiava che divenne una stella, il grande merito
di Quzman è aver elevato il zeiel - un genere strofico
e poliritmico della poesia araba più popolare, di tradizione
orale - alla categoria dei testi classici cercando la stessa eleganza
stilistica delle Sura del Corano. Quanto allo stile burlesco di
Quzman che utilizza e valorizza un modo di parlare considerato
volgare per il ceto dominante, si crede che rappresenti una forza
di ribellione contro il fanatismo religioso generale del tempo.
Il lettino del chirurgo
In
L'altrui mestiere, Primo Levi solleva questa curiosa riflessione
sul problema della traduzione: "Vale la pena di dire una
parola anche sulla condizione dello scrittore che si trova ad
essere tradotto. Essere tradotti non è un lavoro né
feriale né festivo, anzi, non è un lavoro per niente,
è una semi-passività simile a quella del paziente
sul lettino del chirurgo o sul divano dello psicoanalista ricca
tuttavia di emozioni violente e contrastanti. L'autore che trova
davanti a sé una sua pagina tradotta in una lingua che
conosce si sente volta volta o a un tempo lusingato, tradito,
nobilitato, radiografato, castrato, piallato, stuprato, adornato,
ucciso. E' raro che resti indifferente nei confronti del traduttore,
conosciuto o sconosciuto, che ha cacciato naso e dita nelle sue
viscere, gli manderebbe volentieri, volta volta o a un tempo,
il suo cuore debitamente imballato, un assegno, una corona di
lauro o i padrini".
Cittadini della poesia
La
Casa Editrice fiorentina Loggia de' Lanzi ha pubblicato, negli
ultimi anni, una eccezionale collana, Cittadini della poesia,
a cura di Mia Lecomte che in diversi volumi presenta tra i più
importanti poeti di origine straniera che scrivono in lingua italiana.
Si tratta dunque della più ampia riunione della cosiddetta
Letteratura Migrante nell'ambito della poesia, in cui si trovano
rappresentati scrittori medio orientali come Al Delmi, Thea Laitef,
e Anahid Baklu, balcanici come Gezim Hajdari, Stevka Smitran,
Vesna Stanich e Stevanovich, e africani come Uzona, Sibhatu, Ben
Amushie e Brhan.
Tra gli autori delle presentazioni figurano Francesco Stella,
Predrag Marvejevich, Roberto Mussapi, e Gaetano Castorina, che
ci regala una inedita conversazione con il Premio Nobel Wole Soyinka,
il quale conclude il proprio intervento affermando: "Scrivere
è una compulsione - non sono sicuro che i grandi poeti
abbiano bisogno di incoraggiamento - ma è sempre necessario
che chi scrive, in qualunque condizione si trovi, abbia modo di
fare conoscere la propria voce".
Artaud e l'oppio
In
un testo chiamato Pubblica sicurezza - la liquidazione dell'oppio,
Antonin Artaud (1896-1948), scrittore e uomo di teatro francese
che sempre ha vissuto sull'orlo dello squilibrio mentale, diceva:
"Finché non riusciremo a sopprimere le cause della
disperazione umana, non avremo il diritto di cercare la soppressione
dei mezzi attraverso i quali l'uomo cerca di liberarsi dalla disperazione".
Post-Laurea
Sul
Jornal do Brasil del 25 Dicembre scorso il colonnista Gerald Thomas
racconta di un'università olandese che ha dato recentemente
come tema di esame Post-laurea ai suoi allievi - solo a quelli
maschi ed eterossessuali di Filosofia, l'esperimento di un rapporto
di sesso orale, il fellatio, con un collega dello stesso sesso
e inclinazione: si tratterebbe di una sorta di immersione pratica
nella radice di un tabù del nostro tempo. Il voto sarebbe
stato valutato secondo le capacità dell'allievo, senza
arrendersi di fronte a preconcetti o altro - di eseguire fino
in fondo la performance erotica, per poi narrare in dettagli -
oggettivamente e soggettivamente - tutte le tappe del processo.
Almeno nell'ambito accademico, siamo ancora lontani da un'Europa
unificata...
Zé Carioca
Siamo
anche nel centenario di nascita di Walt Disney. Il suo talento
per le innovazioni tecniche nel suo campo è indiscusso.
Ma lo è anche la presenza costante della sua"anima
nera". Tanto nel libro Le moste vite di Papà Walt
Disney, di Christopher Barbier, quanto in Il principe nero di
Hollywood, di Marc Eliot, gli autori lo presentanocome un attivo
informatore della FBI, simpatizzante nei confronti dei nazisti,
e affermano che lui, così come Ronald Reagan, ha denunciato
diversi colleghi di sinistra al Comitato per le Attività
Antiamericane, durante il Maccartismo.
Nel 1941 Disney è stato inviato in Brasile, su richiesta
del Presidente Roosevelt e di Nelson Rockfeller - allora coordinatore
della "politica di buona vicinanza" con l'America Latina,
parte dello sforzo di guerra nazionale - in una missione politica.
Col pretesto di rappresentare ufficialmente il suo nuovo film,
Fantasia, ha preso contatti frequenti con policitici ed ha tenuto
due riunioni "di lavoro" con Lourival Fontes, allora
direttore del DIP, la temuta polizia politica di Vargas.
Da questo viaggio è anche nato il personaggio Zé
Carioca, comparso per la prima volta nel cartone animato Hello,
Amigos, e poi tornato insieme a Paperino e un certo Pablito, "messicano",
in I tre caballeros. Il fatto è che molti dei cliché
e dei persistenti stereotipi dell'America Latina e del Brasile
nell'immaginario mondiale sono nati e sono stati diffusi in quel
periodo. Poi, l'Acquarella del Brasile e Carmen Miranda, con il
suo turbante traboccante di frutti, hanno completato il quadro.
Ma questa è un'altra storia della stessa Storia...
Eleganza
L'ambiente
letterario russo del Novecento è un interminabile filone
di storie straordinarie, spesso emblematiche nella loro semplicità,
come quando venne portato per la prima volta a un incontro con
la poetessa Anna Achmatova il poeta Evtushenko, che vestiva un
maglione alla moda, una giacca occidentale, e nel taschino della
giacca portava una moderna penna stilografica. L'Achmatova lo
guardò, con sdegnoso silenzio, e poi gli chiese: "Ma
lo spazzolino da denti, non ce l'hai?"
Una storia impossibile
Un
dialogo tra Michelangelo Antonioni, e Alain Robbe-Grillet che
doveva fare un film con lui:
Alain R.G: " All'inizio, sullo schermo appare..."
Michelangelo A. (interrompendolo): "Tu mi racconti la storia"
Alain R.G: "Questo non posso farlo: se è un film,
io vedo quello che succede sullo schermo"
Il film non si fece.
La ranocchia autentica
Una
favoletta esemplare del più grande maestro del racconto
breve latinoamericano, Augusto Monterroso:
"C'era una volta una ranocchia che voleva essere una Rana
autentica, e tutti i giorni si sforzava di diventarlo.
All'inizio comprò uno specchio in cui si guardava cercando
l'ambita autenticità. Qualche volta le sembrava di incontrarla
e altre no, a seconda degli umori del giorno e del momento, fino
a che si stancò e ripose lo specchio in un baule.
Alla fine pensò che l'unico modo per conoscere il proprio
valore era attraverso l'opinione della gente. E cominciò
ad acconciarsi e a vestirsi e a spogliarsi (quando non gli restava
altro da fare) per sapere se gli altri la approvavano e riconoscevano
in lei una Ranocchia autentica.
Un giorno osservò che quello che più ammiravano
era il suo corpo, particolarmente le sue gambe, e per questo si
dedicò a fare esercizi e a saltellare per avere cosce sempre
più belle, per le quali tutti la applaudivano.
E così proseguì nei suoi sforzi fino a che, disposta
a qualunque cosa per riuscire ad essere considerata una Ranocchia
autentica, si lasciò strappare le cosce, e gli altri se
le mangiavano, mentre essa, con amarezza, sentiva i commenti dei
mangiatori, che proclamavano: che buona questa ranocchia, sembra
pollo!...".
Copertina.
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