PEREGRINAZIONI ASSIDUE DI UN BUONGUSTAIO
Silvia Ganora
Mercoledì, 16 marzo
Mi
sento come uno dei maiali che ho comperato. Uno di quei tre prosciutti
crudi che adesso sono in auto insieme al vino. Un pezzo di carne
morta, tesa, con un velo di sale sopra. Però profumata.
Egidio
Sanna sollevò lo sguardo dal quaderno. Fuori della finestra
la nebbia serale stava avvolgendo i campi e il nastro grigio dell'autostrada.
Conosceva bene quel paesaggio. Il lato del motel su cui si trovava
non era il migliore. Il migliore era sul retro, da dove potevi
vedere uno scorcio di campagna miracolosamente privo di piloni
della luce, un filare di pioppi e la sagoma rossastra di un casolare
abbandonato.
Appoggiò la bic sui fogli e si sistemò gli occhiali
sul naso. Era strano. Si sentiva quasi felice. Andò e ripose
il quaderno nella tasca interna della valigia. Un giorno avrebbe
potuto tirarne fuori una specie di libro. Lo avrebbe intitolato
Peregrinazioni assidue di un buongustaio. Gli piaceva quell'aggettivo:
'assidue'. Rendeva perfettamente lo spirito dei suoi viaggi: boe
arancioni in mezzo ad un mare piatto e senza vele all'orizzonte.
Mercoledì,
sera
Il
piacere per me è sempre stato una questione di papille.
E' così concreto, pensavo. Più concreto perfino
dell'istantaneo piacere del sesso. Adesso non ne sono più
tanto sicuro. Continuo a pensare a come mi sono alzato e le sono
passato davanti guardandola a quel modo. A quando lei è
comparsa dietro di me, riflessa nello specchio sopra ai lavandini.
Aveva un sorriso strano. Con quel sorriso, mi ha preso per mano
e mi ha condotto dentro a uno dei gabinetti, avendo cura di chiudere
la porta col chiavistello. In silenzio si è sfilata la
maglietta; poi si è arrotolata sui fianchi la gonna di
jeans...
Temevo che entrasse qualcuno. Ma all'alba c'è poca gente
su quel tratto di autostrada. Qualche camionista. Rappresentanti.
Un uomo di mezza età. Il suo furgoncino gli piace: ha un
bagagliaio capiente e ci può stipare casse di vino o di
olio
E' così che d'un tratto mi sono ricordato chi ero; ma lei,
senza smettere di sorridere, si era già abbassata le mutandine
e mi si offriva, in un modo su cui avevo già abbondantemente
fantasticato, ogni volta che l'avevo vista infilarsi nei gabinetti
degli uomini
Aveva un odore. Non saprei definirlo. Un po' odore e un
po' profumo. Ricordo di aver pensato che l'odore doveva venirle
da quel giubbotto di pelle che non smetteva mai di indossare,
e il profumo dal bagnoschiuma con cui si lavava.
E' stato tutto molto rapido. Più pensavo all'assurdità
di quella situazione, più provavo l'urgenza di sperimentarla.
Lei lo faceva con allegria, sorridendo. Era come se mi assolvesse
dalla mia colpa. Perché io sono sempre stato fedele a mia
moglie, e quello non era un tradimento, non era nemmeno una colpa.
Forse un peccato di gola, sì, ma di quelli modesti, come
rubare un cioccolatino da una scatola quasi vuota, per il gusto
di svuotarla definitivamente. Nei miei viaggi ho incontrato tante
belle donne. Ma il piacere della buona tavola è immensamente
superiore, pensavo. Perché adesso non ne sono più
tanto sicuro. Continuo a pensare a quando le ho detto di toccarmi,
a come volessi possederla e fossi diffidente di quel corpo che
si lasciava penetrare da chiunque, a quando le ho preso la mano
e gliel'ho messa sul mio sesso. E lei si è come messa a
ridere, un'allegria contagiosa, mentre a mia volta la toccavo
e improvvisamente, quasi ridendo anch'io, di colpo venivo.
Aveva
saputo che si chiamava Mariella.
"La Mariella oggi niente patatine", aveva sentito dire
il gestore dell'autogrill.
Sedeva sempre a un tavolino sul fondo del locale. Aveva un'aria
ruvida, selvatica. Passava tra i clienti, la borsetta in mano,
negligentemente penzoloni; l'andatura che voleva essere sinuosa
e che invece suscitava il riso. Ad ognuno chiedeva una sigaretta
e offriva in cambio una scopata. L'aveva sentita dire proprio
così: "La tua sigaretta vale una scopata, se vuoi".
Difficilmente restava delusa.
Un mattino si era sorpreso a notare la sua assenza. Arrivando
nella luce biancastra dell'alba, l'aveva immaginata al suo posto,
i capelli lunghi e neri e dritti come quelli di una squaw e il
solito bicchiere di bianco e il sacchetto di patatine davanti.
Era entrato e subito lo sguardo si era diretto nel punto dove
pensava l'avrebbe trovata. E invece non c'era.
Erano arrivati i tre camionisti dall'accento barese e una coppia
di motociclisti.
Poi l'aveva vista.
Portava un paio di stivali da cowboy e un giubbotto di pelle nera.
Si era tirata indietro i capelli ai lati del viso e li aveva fermati
sulla nuca con un mollettone. Gli era passata davanti ondeggiando
in quel suo modo ridicolo, quel sorriso serafico che le increspava
le labbra. Aveva appoggiato maldestramente la borsetta sul tavolino
e si era seduta.
Voltandosi a guardare fuori, Egidio si era accorto che aveva iniziato
a piovere.
Poi, qualcuno aveva tossito, si era alzato ed era entrato nei
bagni.
Mariella lo aveva seguito come un'ombra. Un'ombra appena un po'
in ritardo.
Domenica, 20 aprile
Ci
siamo distesi fra le casse di vino e i formaggi, nel bagagliaio
che aveva un odore forte di latte di capra. Lei ha preso dal taschino
del giubbotto una scatola di preservativi e me l'ha consegnata.
Ne avevo una anch'io, questa volta.
L'ho posseduta in fretta, con urgenza, e sono venuto guardando
la curva paffuta di una caciotta, la crosta bianca venata di sottili
screpolature.
Non mi è spiaciuto della mia irruenza. In fondo, credo
che a lei interessi soltanto l'atto in sé, più che
il piacere. Lo posso vedere da come non smette di sorridere, anche
soltanto con gli occhi: una specie di sguardo eternamente riconoscente
e inconsapevole.
Sono rimasto disteso a fissare il tettuccio del furgone e per
un istante Lisa e le ragazze mi hanno attraversato la mente. Le
sentivo così lontane che ho chiuso gli occhi e ho cercato
di afferrarle. Sono scivolate via, e io le ho lasciate andare.
Mariella si era messa a sedere. L'ho guardata rivestirsi, poi
ho preso dal portafoglio cinquantamila lire. Ha alzato gli occhi
e ha preso i soldi con calma, con la sicurezza di chi sta facendo
un gesto abituale. Mi ha dato un po' fastidio.
L'ho osservata. Sembrava essersi truccata in fretta e senza cura.
Ho allungato una mano, le ho sollevato piano il mento, e l'ho
baciata. Durante l'amplesso non ne avevo sentito il bisogno; del
resto nemmeno Lisa l'ho mai baciata tanto. Lei si è scostata
bruscamente e io mi sono sentito come da bambino, quando salivo
nella capanna fra rami del castagno e restavo giornate intere
disteso sul tappeto che copriva il pavimento di assi. Mi sono
ricordato dell'odore del muschio e delle foglie.
In quei tre mesi aveva avuto come un presentimento. Che avrebbe
cambiato zona e sarebbe sparita. Si vedeva arrivare e trovare
il suo tavolo vuoto.
Ormai la considerava parte del viaggio e si aspettava di ritrovarla.
Come sapeva che avrebbe rivisto, ad un certo punto dell'autostrada,
quella bella chiesetta abbandonata, con quel campanile tozzo e
squadrato, o quella fabbrica di detersivi con l'insegna enorme
e assolutamente orrenda. Non trovarli sarebbe stato come scoprire
un buco nel paesaggio, un vuoto; come se qualcuno li avesse ritagliati
da una fotografia.
Faceva così caldo che sembrava di camminare in qualcosa
di vivo, una specie di alito, di respiro. Era sceso dall'auto
e aveva raggiunto in fretta l'entrata dell'autogrill. Al di là
delle porte automatiche, la solita musica di sottofondo, una frescura
artificiale. E Mariella, al tavolo in fondo.
Giovedì, 20 luglio
Questa
volta l'ho presa io per mano. Ho scelto io il cubicolo verde dove
rinchiuderci. Questa volta l'ho baciata. L'ho presa in braccio,
seduto sulla tazza.
E' entrato qualcuno. Siamo rimasti immobili, raggelati. Io le
ho messo una mano sulla bocca perché smettesse di ansimare.
Lei mi ha morsicato leggermente, restando a fissarmi con gli occhi
duri e divertiti.
Abbiamo ascoltato il lungo zampillo dell'urina e poi lo scorrere
dell'acqua e il rumore dell'asciugatore. Ho pensato a quell'uomo.
Sarebbe tornato di là, nel suo inizio di giornata. Il mio,
ho pensato, era Mariella seduta sopra di me; il sudore che sentivo
appiccicarmi alla schiena la stoffa della camicia; quel cubicolo
verde, dentro all'autogrill. Abbiamo ripreso ad agitarci ed ero
felice. Un altro pensiero, quello della fattoria che avrei visitato
di lì a poco, mi ha fatto venire.
Quel giorno, appena salito sul furgoncino, si era accorto di lei,
sul retro dell'autogrill. La porta si era aperta ed era uscito
il gestore. Aveva addosso un grembiule bianco, che gli aveva ricordato
quello che portano i macellai. Il gestore aveva trattenuto Mariella
per un braccio e si era messo a parlarle, leggermente sporto in
avanti. Poi si era passato una mano fra i capelli sudati mentre
lei apriva la borsetta e prendeva dei soldi dal borsellino. Lui
glieli aveva tolti di mano e si era messo a contarli. Ne aveva
tenuti un po' per sé e gli altri glieli aveva ridati.
In mezzo a quei soldi c'erano anche i suoi, aveva pensato Egidio.
C'era anche il modo in cui li aveva dati a Mariella, con calma,
guardandola negli occhi e sperando di rivederla prima dell'autunno.
La sua chiesa dal campanile squadrato. La sua fabbrica di detersivi
dall'insegna orrenda.
Era sceso. Aveva attraversato il parcheggio sotto al sole che
gli bruciava gli occhi, ed era entrato nel retro dell'autogrill.
C'era un'unica porta, in fondo al corridoio, ed era aperta. D'improvviso
non aveva più saputo cosa fosse venuto lì a fare.
Era indietreggiato e se n'era andato via in silenzio.
Giovedì, notte
Non
riesco a dormire. Il caldo mi tormenta. Ho telefonato a Lisa.
Le ho detto che avrei ritardato di un giorno per via delle olive,
che dovevano ancora prepararmele da portar via. Non è vero,
naturalmente. Le olive le ho già prese, così come
il pane, i salami al peperoncino e qualche cassa di vino bianco...
L'azienda è una delle più fornite della zona. Quando
ho oltrepassato il cancello e ho preso a salire la strada sterrata,
per un momento avrei voluto non aver mai incontrato Mariella,
mai iniziato niente con lei. Guardavo la campagna ai lati del
furgoncino, le colline coi frutteti e la macchia chiara degli
ulivi in fondo, e non riuscivo a capire perché lo stessi
facendo. Tutti questi anni a scovare sapori, e per la prima volta
non provavo più niente. Ho concluso i miei affari senza
riuscire a togliermi dalla testa l'immagine di quell'uomo mentre
si metteva in tasca quei soldi.
Adesso ho questa agitazione. Mi sono alzato dal letto e sono venuto
a sedermi nella poltrona di fronte al balcone. Mi hanno dato la
stanza migliore, quella che guarda i pioppi. Non c'è luna
e nel buio vedo soltanto qualche lucciola. Mi ricordo quando ce
n'erano a decine. Ora ne vedi sì e no due o tre ogni tanto.
Trentotto anni, nata a Domodossola
- dove tuttora risiedo. Ho scritto alcune poesie, racconti e un
romanzo. Un mio racconto è stato pubblicato da Marsilio
nell’antologia Parole di Carta. L’unico (finora) racconto
allegro/comico della mia vita (!) apparirà presto su Maltese Narrazioni.
Da circa un anno sono moderatrice di Scricom, mailing list di
scrittura creativa per la quale ho fondato il sito readings.it.
Scrittori idolo: Cechov, Hemingway e Carver. Passioni (oltre la
scrittura): libri, jazz, gatti e fotografia.
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